rivista anarchica
anno 44 n. 393
novembre 2014






Quelle bruschette della disobbedienza

di Mimmo Lavacca

Il 2 febbraio 2004 a Monopoli (Bari) centinaia di persone, agricoltori in testa, occuparono il porto per protestare contro la frode sistematica dell'importazione illegale di olio. L'idea era venuta a Veronelli. Che c'era.

Negli anni novanta il porto di Monopoli era considerato uno dei principali approdi da parte di navi cisterna piene di olio di dubbia provenienza. Olio che dopo il suo sbarco diventava magicamente extravergine nazionale. Sempre negli anni novanta, un gruppo di compagni aveva messo in piedi una piccola associazione dal nome Assudd, e il raddoppio delle consonanti esse e di voleva significare gente fastidiosa, tosta, rognosa. Bene, decidemmo che tra le varie iniziative era giunto il momento di incazzarsi sullo scempio che ogni giorno veniva perpetuato a danno degli olivicoltori monopolitani.
Quelle continue navi cisterne nel porto di monopoli davano un segnale di una cittadina indifferente alle truffe e alle sorti dell'agricoltura. Sapevamo che quell'immagine non rappresentava i pugliesi e cosi decidemmo di agire. Avevamo bisogno di una autorità, di una persona di indubbio valore tecnico e sociale, una persona che potesse darci una mano ad accendere un grande faro sul porto di Monopoli e su tutto quello che di negativo rappresentava per la città e per la Puglia. Convenimmo tra i compagni che l'unica persona che poteva darci una mano era Luigi Veronelli.
Qualche giorno dopo trovai il numero della casa editrice EV e chiamai. Chiesi di poter parlare con il maestro Luigi Veronelli. Telefonata che non dimenticherò facilmente. Telefonata che mi gira ancora in mente per la cortesia nell'ascoltarmi, la concretezza nelle risposte e nelle proposte. Una voce e un timbro di grande spessore. In quella bellissima telefonata del gennaio 2004 Luigi mi ascoltò, era al corrente e sapeva perfettamente quale fosse la situazione nel porto di Monopoli e mi propose senza indugi un'azione di disobbedienza civile. L'obiettivo era di occupare la banchina del porto di Monopoli e salire su una delle navi cisterna ancorate alla banchina.
La sua proposta fu chiara, precisa e tosta. Con la stessa convinzione io accettai. Finalmente un atto di ribellione contro le migliaia di tonnellate di olio scaricate nel porto. Da quella telefonata, da quella bellissima intesa, si realizzò la più bella, la più nutrita, la più variegata manifestazione di protesta in agricoltura. Da quella telefonata hanno preso avvio tante cose con Luigi e con tutto il mondo che gli girava intorno.
La manifestazione fu progettata nell'area di pertinenza della capitaneria di porto. Area vietata da sempre a qualsiasi manifestazione. La mattina del 2 febbraio del 2004 centinaia di persone si ritrovarono al porto di Monopoli per dare vita a un momento di di disobbedienza civile. Luigi sembrava il pifferaio magico. Arrivarono da tutta Italia, arrivarono dalle campagne del sud della Puglia, arrivarono agricoltori dalle campagne monopolitane. Bellissimo, tanta gente che manifestava finalmente contro le importazioni selvagge di olio.
Gli agricoltori avevano portato il loro olio, il loro pane e i loro pomodori. Furono allestiti, nell'area vietata, tavoli della qualità e furono offerte bruschette della disobbedienza. Gino parlava con tutti e tutti parlavano con lui, attorniato dagli agricoltori pugliesi. La mattinata si concluse con un successo di partecipazione, per me e per noi, impensabile. A pranzo fummo invitati in campagna da amici agricoltori e si formò una grande tavolata. Persone e agricoltori che arrivavano alla spicciolata per il solo piacere di parlare con Gino o farsi una foto con lui.
Il pomeriggio avevamo organizzato un dibattito nella chiesa sconsacrata di San Pietro e Paolo nella città vecchia di Monopoli. Tanta tanta gente. La batteria dei politici in prima fila ad ascoltarlo. Gino fu grandioso, continuò ad affascinare tutti i presenti, grandi racconti, grandi intuizioni, grandi storie agricole. Parole semplici, ma efficaci come macigni. Scosse coscienze e menti appassite. Rimane e rimarrà la più importante e grande manifestazione agricola mai realizzata nei nostri territori.
Il diario di quella giornata fu impreziosito da un regalo che lui volle fare all'agricoltura del sud. La manifestazione si svolse il 2 febbraio, giorno del suo compleanno. La scelta del 2 febbraio non fu casuale. Io lo considero un grande omaggio agli agricoltori pugliesi. Alcuni numeri di quella giornata, oltre alle centinaia di agricoltori e cittadini: c'erano una sessantina di organizzazioni presenti alla manifestazione, una decina di emittenti nazionali e locali, una quindicina di testate giornalistiche.
Una giornata indimenticabile, ancora grazie.

Mimmo Lavacca

Etichetta di un vino prodotto con uva fogarina
in ricordo di Gino Veronelli


Il vin dell'avvenire

di Diego Rosa

Un ricordo delle numerose lotte e dei progetti. Sempre in favore della libertà, della natura e dei piaceri della vita.

Luigi (Gino) Veronelli ha sempre condotto tenacemente e seriamente qualsiasi attività e progetto intrapresi. Una vita, la sua, piena di proposte portate avanti lottando con competenza, genialità e senza cedimenti. Filosofo, scrittore, giornalista, enologo, gastronomo, anarchico individualista.
Tre definizioni, apparse nel tempo, lo riassumono in modo soddisfacente: Sua nasità, Anarchenologo, Hombre vertical (così definito da Gianni Mura). Gli sono stato amico, ricambiato, con piacere e per mia fortuna. Mi ha sempre affascinato il suo insistente “camminare la terra” che lo vedeva affrontare tutte le particolarità e realtà della vita con una curiosità infinita. Il suo cercare soluzioni e sostenere proposte piene di una inattaccabile ovvietà. La lotta perenne contro i vini e i cibi industriali, l'invito a migliorare sempre la ricerca, anche istituzionale, per garantire e attuare le sue idee. Ne sono conferma le sue ultime battaglie per le De.Co. (spesso osteggiate all'interno del mondo anarchico) e per l'olio. Nella sua vita ha “ridotto” l'Anarchia, la sua Anarchia, ad un concetto essenziale e inequivocabile da cui non si può fuggire: l'assunzione di responsabilità. “Né Dio, né Stato, né Padroni”, certo, ma soprattutto assumersi le proprie responsabilità per un mondo di eguali e lottare sempre fino in fondo, in modo non violento, per ciò in cui si crede. Questo è ciò che spetta all'uomo e questa è stata la chiave di lettura di tutta la sua vita.

Manifesto di un'iniziativa dedicata
al “vin dell'avvenire” ovvero
il lambrusco del contadino

Ha camminato la terra coi piedi e con la testa, ci ha messo dentro le mani per conoscerla e farla sua, ha accettato gioie e dolori e, come amava ripetere, ci ha fatto l'amore. La natura, la grande madre a cui tornare alla fine. Ci ha insegnato a non seguire pedissequamente gli “esperti” di vino e cibo nei loro abbinamenti, ma cercare le eccellenze e sperimentare provando e riprovando. Celebre e scandalosa è la sua frase a proposito di quella che era diventata la moda rassicurante dell'abbinamento tra cibi e vini: io ti dico la mia, ma tu prova e riprova perché il vino è un amante infedele.
Nel 2007, con l'amico, mio e di Gino, Giuseppe Caleffi, abbiamo costituito la Cellula Veronelli di Gualtieri, dedicando poi a Veronelli una saletta dell'”Osteria della merla”, il nostro ritrovo. Un modo per ricordarlo, non per santificarlo, con iniziative molto diverse tra loro e con la presunzione che gli sarebbero piaciute, che vi avrebbe partecipato se fosse stato ancora tra noi. Gli abbiamo dedicato un Convegno: “Il Veronelli politico”. Si è svolto rigorosamente a tavola tra cappelletti e trippe in brodo, guancialini di maiale brasati, torta sbrisolona e tanto lambrusco. Relatori Gianni Mura, Marc Tibaldi e Gianandrea Ferrari. Un'altra iniziativa è stata, sempre rigorosamente a tavola, la lettura di suoi scritti, pensieri e aforismi: “cinquanta commensali leggono Veronelli”. Abbiamo presentato serate dedicate ai cibi, per esempio quella sui “cappelletti”, dove le “risdore” del luogo portavano i loro cappelletti con le varianti che ogni famiglia ha consolidato nel tempo e fatte proprie. Abbiamo presentato libri, non solo di cucina o vini, tra cui la trilogia di Rino De Michele dedicata alla cucina libertaria. Abbiamo organizzato serate di musica popolare e, col “duo Pinon e Fernando” (che Gino ha conosciuto e apprezzato), di intrattenimento tra i tavoli. C'è stato poi anche il ricordo, con i Folkin' Po, della folk singer locale Giovanna Daffini. Ci siamo immersi nel Fluxus col “Concerto per pangrattato e grattugia” di Philip Corner e Phobe Melville a seguito della presentazione del libro di Ivanna Rossi, incentrato sulle ricette di recupero del pane. Ci siamo accodati al suo “t/Terra e libertà/critical wine” con le nostre serate di “Critical wine, uno alla volta” in cui un produttore proponeva i vini a prezzo sorgente ai clienti della “merla” durante la cena. Sempre in tema di vino abbiamo dedicato a Gino un'etichetta della riscoperta Fogarina: quattro bicchieri salutano, dalla sponda del Po, la barchetta che porta Veronelli verso la foce dopo la sua morte. Una barchetta rigorosamente anarchica. Nostro intento era anche fare in modo che il vero Gino, dopo la morte, non fosse posto nel “Giardino dei frutti dimenticati”, dove finiscono spesso i personaggi scomodi che la società è costretta, per la loro grandezza, a osannare in vita. L'esperienza ce lo insegna. Un ricordo particolare, l'ultimo che ho di lui, risale a fine agosto del 2004, quando con la compagna Christiane e Andrea Bonini ha partecipato ad una iniziativa sul “prezzo sorgente” al Lido Enza di Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone (da cui il manifesto con la falce e, al posto del martello, la bottiglia di lambrusco “divino”). Questa festa, ed è stata veramente una grande festa, era dedicata a “Il vin dell'avvenire”, cioè il lambrusco del contadino. L'ultima immagine che ho di lui è quella mentre firma, richiesto dai commensali che facevano la fila, i manifesti come fosse una pop-star. È stata la sua ultima apparizione pubblica.
Termino con due storielle Sufi dedicate a Gino. Quando gliele ho raccontate ha riso felice. La prima è questa. “Un uomo quando torna a casa dal lavoro è solito suonare il flauto in attesa della cena. Lo fa da anni, ma ultimamente la moglie sente che suona sempre la stessa nota. Allora gli chiede come mai non fa come gli altri che usando più note creano delle belle armonie. Il marito gli risponde che “gli altri stanno cercando la loro nota, io invece l'ho già trovata”. Nella seconda storia ci troviamo in un piccolo albergo di notte, in campagna. Il proprietario ha spento tutte le luci e se n'è andato in paese. Quando torna vede che le luci del salone al piano terra sono accese. Incuriosito, entra nel salone dove vede un cliente carponi che sta cercando qualcosa sotto i mobili. Gli chiede se ha perso qualcosa e l'altro risponde di sì, che ha perso qualcosa in giardino. Ma allora perché lo cerca nel salone? “Perché qui c'è la luce” è la risposta. In queste due storie c'è Gino, l'amico che ha lottato tutta la vita convinto che l'utopia non è l'irraggiungibile, ma ciò che non si è ancora raggiunto. L'ha fatto mettendo al centro di ogni sua azione la natura e l'uomo libero e uguale e il godimento dei piaceri della vita.

Diego Rosa



Una “città ideale”

di Domenico Liguori

Il comunalismo libertario e l'impegno degli anarchici di Spezzano Albanese (Cs) affascinò Veronelli, che li andò a trovare nel 2004.

Credo corresse l'anno 2003 quando alcuni compagni di Cosenza e della presila cosentina organizzarono in loco un incontro pubblico con Luigi Veronelli, già presente in Calabria per altre iniziative. Ci andai, partecipai, intervenni ed illustrai in breve l'impegno degli anarchici e dei libertari di Spezzano, in sintonia con le problematiche territoriali che nell'incontro si affrontavano. Evidenziai soprattutto le iniziative dell'allora Comitato Popolare “Spezzano è... “, di cui i libertari erano i promotori, tutto basato sul recupero dei prodotti tipici locali come fonte di saperi e di sapori e sulla metodologia autogestionaria propria del comunalismo libertario (attivo da alcuni decenni in loco), quale prassi protesa a stimolare la comunità a rendersi socialmente artefice del proprio futuro.
Luigi, che aveva seguito con estrema attenzione l'intervento, alla fine esclamò con gioia: “Spezzano è la mia città ideale, non mancherò di venire a trovarvi”. Io colsi subito l'occasione per invitarlo a partecipare alle manifestazioni estive di “Spezzano è...” e lui accettò con entusiasmo l'invito, tant'è che nell'ambito della seconda edizione di “Spezzano è..” del 21/24 Agosto 2003 il manifesto che pubblicizzava l'evento preannunciava che per il 22 Agosto Luigi Veronelli sarebbe stato con noi in un apposito incontro-dibattito organizzato per l'occasione. Ma le cose non andarono così: problemi di salute sorti all'ultimo momento impedirono a Luigi di poter prendere parte all'evento.
Nel febbraio del 2004 però, a grande sorpresa ricevo una telefonata: “sono Luigi Veronelli sto in Puglia e fra qualche giorno intendo passare per Spezzano. Che ne dite?”. Cogliendo come si suol dir la palla al balzo, gli espressi tutto il mio entusiasmo e in quattro e quattr'otto, in fretta e furia organizzammo nella sala consiliare di Spezzano Albanese una pubblica manifestazione con dibattito e buffet dei nostri prodotti tipici per salutare l'evento.
Il 5 Febbraio del 2004 Luigi giunse a Spezzano con Andrea Bonini mentre stavamo per allestire la sala che in pochissimo tempo si riempì di popolo. Fu una serata bellissima, e interessantissima si rivelò la relazione di Luigi sulla denuncia del prepotente monopolio delle multinazionali e sul recupero e la valorizzazione dei prodotti locali attraverso un processo autogestionario. Molti furono gli interventi e quasi tutti centrati sul tema De.Co. di cui “Spezzano è...” da tempo si stava interessando.
Concludemmo la serata in grande convivialità in un ristorante locale a suon di canti anarchici, vino e prodotti tipici, con la promessa di Luigi che sarebbe stato a fianco della nostra attività e che sicuramente sarebbe più volte ritornato a trovarci. Nell'autunno del 2004 partecipammo a Roma alle manifestazioni del Critical wine, incontrammo Andrea Bonini e gli chiesi subito di Luigi, ma per risposta ricevemmo la notizia delle sue molto precarie condizioni di salute. Solo qualche mese dopo e precisamente a novembre apprendemmo che Luigi non era più fisicamente tra noi. “Spezzano è...” in seguito da Comitato Popolare si era trasformata in Associazione di Promozione Sociale Luigi Veronelli.
Oggi l'associazione non è più in vita, ma sempre vivi in noi e nell'attività comunalista in cui qui a Spezzano continuiamo ad essere impegnati permangono il legame con Luigi e con le sue idee ed azioni libertarie.

Domenico Liguori



Fare a pezzi un discorso

di Simonetta Lorigliola

Il movimento t/Terra e libertà/critical wine, portato avanti da Gino Veronelli, aveva lo scopo di abbattere la retorica dei discorsi sulla buona tavola fatti dai critici e dalla TV. E anche oggi, più che ricordare lui, ricordiamoci delle sue idee e battaglie. E portiamole avanti.

A Gino Veronelli non sarebbe piaciuto essere commemorato. Lo diceva spesso che avrebbe voluto che fossero le sue idee, non la sua persona, a rimanere attive nel ricordo, e soprattutto nelle pratiche quotidiane. Lo diceva riferendosi a Benedetto Croce, che altrettanto spesso citava, a sproposito, forzandolo a sé, come maestro del pensiero anarchico.
Nemmeno a chi pensò, collettivizzò e diede vita al movimento t/Terra e libertà/critical wine, a cui Veronelli prese parte attiva e propositiva negli ultimi anni della sua vita, sarebbe piaciuto e piacerebbe entrare nel dispositivo reazionario del ricordo.
Le parole d'ordine di quel movimento nuovo e dirompente nel mondo del vino, se mai ce ne sono state, erano provocazione e sobillazione.
L'interesse per il cibo, il vino e tutta la cultura materiale, che generò tale movimento, era semplicemente una scusa.
Alle compagne ed ai compagni che cominciarono a discuterne insieme non interessava immergersi in una folta schiera, oggi ancora più affollata e miseranda, di parlatori e ciarlatani che andavano (e vanno) cianciando sul buon salame della tradizione antica, sulla cipolla garantita da avamposti di tutela, su formaggi sopraffini affinati in grotte neolitiche e venduti a 80 euro il chilo. O che gareggiano con le pignatte dentro, per dirla con Veronelli, mammativvù. Il discorso intorno a una materia prima o a un prodotto trasformato dall'uomo, che gira vorticosamente su se stesso e su se stesso si avviluppa arrivando a soffocare ogni significante, e ogni sua possibile connessione con il mondo, è merdre gastronimique. È scarto semiologico. È assopimento sociale.
t/Terra e libertà/critical wine lo ha fatto a pezzi. Ha scardinato i confini del buono, sfondando le porte delle filiere produttive. Luigi Veronelli era in prima linea, scansando i numerosi nasi storti di chi diceva fosse uscito di senno, a mettersi coi pezzenti dei centri sociali. Era il 2001. Nessuno o quasi utilizzava la parola filiera. Indagare le filiere, in ogni loro aspetto è uno strumento di libertà, si diceva. Si parte dalla terra, da come viene lavorata, con quali strumenti ed ausili, con quali concessioni all'agrochimica o all'ingegneria genetica (e ai loro lugubri custodi e accumulatori d'argent). Si passa poi alle trasformazioni, indagate in ogni loro singolo aspetto. Si arriva al lavoro e, infine, al prezzo e al meccanismo di offerta che porta al consumo.
Tutti questi aspetti devono stare assieme per descrivere sinteticamente ed analiticamente la filiera. Tutti, fino a giungere al prezzo, il più ostico da denudare. Nessuno può e deve restare escluso, pena l'irrealizzabilità della filiera trasparente e, quindi, lo svuotamento di una sua sostanziale utilità per il produttore ed il consumatore che intendano scegliere una via virtuosa, ossia una filiera che realizzi l'amore totale per il buono: ambiente, terra, lavorazioni, persone, prezzo.
Il libro manifesto del movimento t/Terra e libertà/critical wine, edito da DeriveApprodi nel 2004 (Sensibilità planetaria, agricoltura contadina e rivoluzione dei consumi, il sottotitolo) e le pratiche che lo accompagnarono, nonché i numerosi interventi pubblici di Veronelli, dicevano tutto questo. E molto di più.
Il cibo, il vino e tutti i prodotti della terra o della trasformazione agivano in un unico scenario in cui gli attori, con la stessa responsabilità e lo stesso piacere di esserci, erano i produttori e i consumatori, uniti dalla scelta per la filiera totalmente trasparente. Ecco perché venne coniato il termine co-produttori ad indicare una linea di fuga da ruoli imposti dall'incorruttibile economia di mercato. Tagliare le intermediazioni per diventare co-produttori. La filiera diretta è la seconda intuizione geniale del movimento, realizzata da subito con gli eventi dedicati ai vignaioli e alle produzioni alimentari (Verona, Brescia, Milano, Genova, Sarzana, Venezia, Torino, Monopoli, Lario, Jesi...) e con i mercati autogestiti da produttori e consumatori, ovvero co-produttori, che avvengono in molti centri sociali e piazze della penisola.
E che ancora oggi in molti di questi luoghi continuano ad esserci, vivi e frequentati. La sperimentazione macchinica del movimento cadde sui centri sociali, che esprimevano anche le persone che il movimento felicemente animavano. Spazi franchi da cui gettare nelle realtà urbane una formula (ormai) sconosciuta: i mercati autogestiti. Da non confondersi con i blandi mercati della terra (e dintorni) che copiosi seguirono, spesso basati sull'apparato istituzionale e sulle logiche di controllo di certificazioni, appartenenze, etichette a garantirne eterologamente la «qualità».

Di bontà, qualità e libertà

«Qualità» era uno dei termini di cui t/Tl/cw si fece acerrimo nemico poiché totalmente svuotato di ogni senso e foglia di fico dell'industria alimentare e della sua rete di distribuzione e promozione.
Piuttosto si parlava di bontà, unita a libertà ed autogestione, che andavano di pari passo con trasparenza totale (la filiera) e autocertificazione ovvero, e qui Luigi Veronelli era in primissima fila, con «l'atto di responsabilità individuale» di ogni produttore che dichiarasse apertamente le sue pratiche agricole e/o produttive. Nacquero le schede di autocertificazione, strumento semplice per mettere in contatto diretto produzione e consumo, anche in assenza fisica del produttore. Lo strumento ebbe successo ed è oggi ancora utilizzato in molte realtà che in mille differenti rivoli hanno moltiplicato ed evoluto le esperienze di t/Tl/Cw.
Strumento provocatorio, la scheda, che denuncia la certificazione tradizionale ed i suoi rischi. Molti obiettarono che fosse inabile a stare sul mercato poiché inadatta alle logiche di import-export o di grande distribuzione. Obiezione insensata: la dimensione delle produzioni coinvolte non prevedeva, per costituzione e per scelta, una vendita spersonalizzata e sconfinata. Anche i sassi sanno che le certificazioni servono prevalentemente ai grandi gruppi, per cui è impossibile gestire ogni informazione e contatto con chi acquista, se non in forma di marketing. Non è piccolo è bello contro la mostruosità del grande. Sono semplicemente due differenti esistenze, due opposti approcci ontologici alla t/Terra e alle relazioni che essa genera e contiene.
C'è chi dice, da qualche anno, che oggi questi temi non siano più attuali poiché c'è stato chi ne ha svuotato la potenza disarmante, disinnescandoli. Forse è così.
È certamente vero che t/Tl/cw si sciolse in una accesa assemblea di tutte le realtà che ne fecero parte. Atto terribile, per alcuni, ma sanificante poiché ha generato immunità da ogni apologia possibile.
Eppure pensare di consegnare questa cultura materiale e sua cassetta degli attrezzi ad altre mani ed anche a potenti organizzazioni soltanto perché ne utilizzano, oggi ed ampiamente, spunti e lessico, sarebbe un atto doppiamente mortifero.
Veronelli sosteneva che è centrale, sempre, festeggiare la vita. E, citando Charles Fourier, diceva anche che la felicità, unica meta massima concepibile di ogni individuo e di ogni società, andava pensata non tanto affidandosi alle calcolate pratiche analitiche, pur importanti, quanto piuttosto all'aperta immaginazione.
Il patrimonio immaginativo e la dirompenza di t/Tl/cw sono morti con la sua fine?
Luigi Veronelli ha sepolto con le sue ceneri le sue idee di una gastronomia liberata?
Ci restano soltanto inerti ricordi?
Negli ultimi eventi veronesi t/Tl/Cw aveva trasformato il proprio nome in Terre ribelli/Critical wine. Ribellione. Rivolta. Parole via via sempre più impronunciabili e impresentabili. Eppure in grado di divenire pratiche dirompenti, oggi più di ieri. Non le rivolte di sparuti gruppi autoreferenziali. Ribellarsi è altro. È in ogni atto quotidiano, in ogni parola scambiata con chiunque. È nella ricerca di nuove parole e nuovo senso per una gastronomia che non può essere lasciata in mano a chi ne sta dilapidando meticolosamente ogni connessione alla comunità, al piacere sociale.
Non è vero che cibo e vino vanno abbandonati perchè sono temi ormai infruttuosi per il mutamento. La tavola va riapparecchiata oggi. A beneficio comunitario Va riapparecchiata non ricordando il passato e utilizzando le stoviglie della nonna divenute trendy. In tavola oggi ci va una veronelliana (da Veronelli, oltre Veronelli) cassetta degli attrezzi che può servire ad una sola cosa: nuovo utilizzo e nuove dirompenze enogastroniche. E che siano magari brutte, sporche e cattive. Purché vadano dappertutto. E dimostrino che la tavola apparecchiata è, materialmente, bene comune. Miccia. Innesco. Futuro.

Simonetta Lorigliola

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