rivista anarchica
anno 44 n. 393
novembre 2014




Noi, i vignaioli

interviste di Orazio Gobbi


Riportiamo le nove domande sottoposte a quattro produttori di vino e le loro relative risposte. La loro opera può considerarsi una testimonianza dell'eredità culturale distribuita di Gino Veronelli; le loro attività in enologia e in agricoltura sono il tentativo di coniugare tradizione e innovazione, dignità del lavoro e cooperazione, etica solidale e difesa ambientale.
Per un presente e un futuro diverso.


Domanda 1. Avete conosciuto personalmente Gino Veronelli? Avete condiviso con lui un'amicizia, una collaborazione, una frequentazione? In ogni caso descrivete la vostra opinione, anche critica se volete, sul personaggio Veronelli, su quello che egli ha rappresentato per voi e per l'enologia italiana.

Domanda 2. Veronelli ha costantemente sollecitato i vignaioli a prendersi cura della terra che lavorano, ha indicato il vigneto come l'elemento più importante per ottenere uve e vini di qualità. Ma sono necessarie anche le capacità tecniche per fare e conservare il vino. Nella vostra esperienza come conciliate questi due aspetti?

Domanda 3. Nel periodo più recente nuove pratiche agricole sono state adottate in viticultura. Vignaioli che lavorano con metodi tradizionali di coltivazione naturale o biologica o biodinamica. Come coltivate i vostri vigneti? Avete sempre adottato questa pratica oppure l'avete cambiata nel corso del tempo?

Domanda 4. Veronelli, sulla scorta della tradizione viticola francese, evocava il termine “terroir” per indicare l'insieme degli elementi naturali che influiscono sulla tipicità dei vini di un territorio. Ma anche il vignaiolo con la sua opera concorre a delineare la tipicità dei vini. Secondo voi il vignaiolo è parte attiva del terroir?

Domanda 5. Il mutamento di clima e il riscaldamento globale hanno ripercussioni sul nostro continente anche in viticultura: forti escursioni termiche, vendemmie anticipate, vini con gradazioni alcoliche elevate. Questi mutamenti possono rappresentare un rischio per la qualità e la tipicità dei vostri vini? Qual è la vostra esperienza in proposito e quali rimedi state adottando?

Domanda 6. Veronelli esortava i giovani a occuparsi non solo di “culture” ma anche di “colture”. Lo sfruttamento del lavoro nell'attuale crisi sta producendo l'erosione dei legami sociali. l'agricoltura, la cura della terra e dell'ambiente possono essere per i giovani delle opportunità per sperimentare nuove forme di socialità, di reddito, di lavoro autogestito?

Domanda 7. Essere vignaioli e fare vino per voi è la prosecuzione di una eredità paterna/materna che portate avanti nel tempo oppure è una attività che avete intrapreso come nuova? Quali sono i maggiori problemi che si pongono di fronte alla vostra attività?

Domanda 8. I mass-media di oggi trattano con superficialità di vini e di cibo in tv, sui giornali, nell'editoria, su internet. Cosa ne pensate dell'attuale informazione enologica, delle guide dei vini, della critica enogastronomica, dei winemaker?

Domanda 9. Se voleste condensare in poche parole l'eredità che ci ha lasciato Gino Veronelli, cosa scrivereste?



Noi della cooperativa Aurora

alla cooperativa agricola Aurora

Tra le colline coltivate a viti, frumento, ulivi e frutta si trova Aurora, una realtà comunitaria/libertaria consolidata.
Animare lo spirito comunitario, prendersi cura della terra e dell'ambiente sono il presente e il futuro di Aurora.

Risposta 1. Abbiamo conosciuto Veronelli in occasione del primo Critical Wine a Verona. In precedenza aveva telefonato in azienda per avere una campionatura dei nostri vini da assaggiare. Dopo l'assaggio scrisse un bell'articolo sul Corriere della Sera che ci ha aiutato a farci conoscere; gli siamo grati per questo. Veronelli con molto garbo ha tentato di scoperchiare un pentolone in cui lui era comunque parte del brodo. False immagini, marketing parassitari, standardizzazione dei gusti, necessità agronomiche o di trasformazione che hanno poco di naturale. Ha dato, poi, delle indicazioni sul problema delle denominazioni d'origine e sulla trasparenza dei prezzi che ancora fanno dibattere.

Risposta 2. Si conciliano benissimo se si parte con il presupposto che un buon vino si fa nel vigneto. Il lavoro del vignaiolo consiste nella custodia e nella cura attenta e metodica del vigneto fino alla raccolta dell'uva, e nell'evitare che questa si rovini durante la trasformazione. Questo può avvenire con una cultura tradizionale e con l'uso di tecniche innovative, tutto ovviamente nel rispetto della natura.
Santa Maria in Carro (Ascoli Piceno), 1 maggio 2012
La cooperativa agricola Aurora

Risposta 3. Siamo un'azienda agricola biologica dal 1980, praticamente da sempre. Negli ultimi quattro anni abbiamo adottato alcune pratiche biodinamiche.

Risposta 4. Il terroir oltre ad essere l'insieme del terreno, clima, esposizione, è anche cultura di chi lavora nel vigneto ed interagisce con esso.

Risposta 5. Se pensiamo e crediamo di interagire col vigneto e con il vino, le nostre azioni, nella pur evidente situazione di cambiamento climatico, sono rivolte a non danneggiare, e ad aiutare a sopravvivere nel cambiamento. Occorre pensare al vigneto o in generale alla natura che ci circonda come all'elemento più importante. Se è il vignaiolo al centro dell'attenzione, facciamo danni!

Risposta 6. Il lavoro agricolo non è solo fonte di reddito o socialità alternativa. E' salvaguardia dell'ambiente, difesa del territorio, produzione di cibo sano e piacevole. Speriamo che tutto questo sia fatto da giovani animati da spirito comunitario che si associano per non essere sfruttati e non sfruttare e per essere solidali.

Risposta 7. Abbiamo iniziato l'attività nel 1979; prima facevamo altri lavori. L'intento era di lavorare insieme. Ci siamo organizzati cercando il più possibile di non assumere ruoli definiti, con una cassa comune in cui ognuno ha prelevato secondo i propri bisogni, pensando ad investire nell'azienda. Le difficoltà sono derivate dalla nostra poca esperienza nel settore. Ora, a distanza di trent'anni, stiamo cercando di trasmettere quello che abbiamo imparato.

Risposta 8. Guardando occasionalmente qualche programma TV del passato, anche di Veronelli o di Soldati si vede nettamente la differenza con i programmi attuali similari. Erano programmi, quelli vecchi, che cercavano di scoprire tradizioni e modi di essere del mondo agricolo, per farlo conoscere; erano realmente programmi di divulgazione. Ora sono tutti incentrati sul personaggio di turno o con chiaro obiettivo pubblicitario.

Risposta 9. Ci ha lasciato uno spirito critico, la necessità di chiarezza e trasparenza nelle comunicazioni. L'importanza di dare la giusta dimensione alle cose e quindi anche al vino; considerare il vino come strumento per socializzare e non fine a se stesso. Ci ha lasciato uno slogan: il vino è di tutti e per tutti.

Cooperativa agricola Aurora


Noi di Barolo

a Giuseppe Rinaldi

Per chi come la famiglia Rinaldi produce Barolo da generazioni, lavorare secondo natura non è una questione di moda.

Risposta 1. Ho conosciuto Gino personalmente e ripetutamente sia qui nella zona del Barolo, sia a casa sua a Bergamo. Ma ancor più lo ha frequentato mio padre Battista Rinaldi, fondatore e primo presidente dell'Enoteca Regionale del Barolo, ente comprensivo degli undici comuni dell'area del vino Barolo. Considero Veronelli, insieme a Paolo Monelli e Mario Soldati, l'antesignano della comunicazione e promozione del mondo enologico e gastronomico. In particolare Gino è stato fautore di una nuova dignità ed etica del mondo vitivinicolo e delle persone che vi operano. L'ho sempre considerato, per personali assonanze ideologiche e di militanza, uomo di alta moralità, coraggio e lungimiranza. Per il suo impegno a coltivare la lingua italiana, la terminologia, le aggettivazioni innovative, eleganti e poetiche. L'ho sempre ammirato per il suo manifesto disagio nei confronti degli stereotipi, delle massificazioni, degli appiattimenti, e anche per le estremizzazioni, come quando diceva “il miglior vino è quello del contadino”.

Risposta 2. Non si può prescindere dalla scienza, ma questa, specie in campo viticolo ed enologico, non deve ammazzare esperienza e conoscenza.

Risposta 3. Ho da sempre teso, e così mio padre, ad un rispetto dei terreni, delle piante e della fauna specifica, specie entomologica, e a perseguire etiche di naturalità e di tutela. Tuttavia, provo un innato disagio a essere incasellato a sfrutto del biologico, biodinamico o legato alle mode.

Risposta 4. Penso che il vignaiolo debba essere un interprete sano e puntiglioso di un territorio, i prodotti dovrebbero esserne le espressioni più manifeste ed artigianali.
Da sinistra: Beppe Rinaldi e Gianni Canonica

Risposta 5. Nella nostra area, sinora, il mutamento climatico non ha fatto che bene perché l'uva Nebbiolo, vitigno tardivo, maturando anticipatamente rispetto a tempo fa arriva alla vendemmia perfetta e sana, con ottime gradazioni alcoliche. Ricordo quando Veronelli, negli anni passati, aveva sostenuto e organizzato la provocazione dello zuccheraggio del vino alla Certosa di Pavia. Quanti eravamo e quante bustine di zucchero! W GINO e la sua anima goliardica.

Risposta 6. Alla base di un ritorno e di un impegno dei giovani in agricoltura c'è la necessità di un reddito sufficiente e il riconoscimento di una dignità individuale e collettiva. Il lavoro legato alla terra è quello più eclettico, vario ed arricchente, molto meno faticoso di un tempo e bisognoso di capacità, informazioni e passioni.

Risposta 7. Proseguo un'eredità di cinque generazioni. I problemi per le aziende vitivinicole, veramente artigianali, sono gli eccessi di burocrazia, i disagi connessi a norme insulsamente vessatorie, bizantine e a-storiche, legate ai potentati burocratici e mercantili. Nel mio mondo oramai tutti saltano sul carro della naturalità, sulle pale di bianchi mulini, anche strumentalmente e per moda.
Come dicevano Luporini-Gaber, quando moda è moda!

Risposta 8. L'informazione e la conversazione per chi è legato ad una realtà artigianale è troppo spesso interprete di interessi di lobby. Forse in questi tempi di decadenza si enfatizzano in modo esagerato e strumentale i vini e l'enogastronomia in genere. Televisioni e giornali, e così troppe persone, parlano solo di mangiare e bere.

Risposta 9. Di Gino Veronelli si deve ricordare la spinta ideale, la vivacità intellettuale, le doti di umanità, l'impegno e il coraggio per un progetto di vita dichiaratamente espresso e cocciutamente perseguito.

Giuseppe Rinaldi


Noi de “Il quarto stato”

a Giovanni Canonica

Il nome è emblema della lotta alle élite cibarie. Un agriturismo diretto da un artigiano cantiniere. Con un'idea chiara di decrescita e semplicità nei rapporti umani.

Risposta 1. Ho conosciuto Gino Veronelli a Bergamo, al Seminario Permanente: io giovane viticoltore, lui affermato giornalista. La cosa che più mi ha colpito è stata la naturale gentilezza e il suo sorriso franco. All'epoca andavano per la maggiore i vini affinati in barriques o carati, come li chiamava lui, mentre a me non piacevano. Abbiamo parlato un po' dell'uso dei legni di botte perchè lui era favorevole ai carati, ma nonostante questo dopo qualche giorno ha scritto sull'Espresso il primo articolo, per me speciale, su di me e i miei vini. Ci siamo ritrovati molti anni dopo, lui ormai quasi cieco, al Leoncavallo per la fiera dei Particolari e mi ha fatto molto piacere che si ricordasse ancora di me, pur non essendo io per niente famoso o affermato.

Risposta 2. Le conoscenze tecniche in cantina servono se sono applicate con buon senso, questo vale anche per i lavori in vigna. Prendersi cura del terreno va visto, secondo me, nel senso più ampio della parola. Si parla di terreno o di Terra? È inutile produrre in modo pulito se non si vive in modo pulito, non sono i pannelli solari a fare bio, così come non lo è il non diserbare o non usare prodotti di sintesi, se poi nel garage riposano 1 o 2 suv puzzolenti o si ha un tenore di vita votato allo spreco e al consumo.

Risposta 3. L'unica parola che ho trovato adatta per descrivere il mio concetto di produzione è: Decrescita. E a leggere bene gli scritti di Gino credo che sarebbe stato entusiasta di questa scelta.
Sembra che se un produttore di vino non produce decine di migliaia di bottiglie non possa farcela, e allora avanti a ingrandire aziende. Credo che sia meglio avere 10 aziende agricole con pochi ettari, con prezzi di vendita che diano la giusta retribuzione al produttore, piuttosto che poche grandi aziende.

Risposta 4. Purtroppo il viticoltore è parte attiva del terroir, anche se dovrebbe cercare di esserlo il meno possibile. Il vino dovrebbe farsi quasi da solo, accompagnandolo nella sua maturazione, non tanto ricercandone l'eccellenza ma la semplicità, rispettando sempre le peculiarità dell'uva annata dopo annata. Mi capita di bere vini di annate diverse ma uguali nel gusto e nel profumo, come è possibile? Dall'inizio dei tempi non sono esistiti 2 giorni uguali, come possono esserci 2 annate uguali?

Risposta 5. I mutamenti climatici ci sono e bisogna conviverci.
Le ultime annate sono state calde e hanno prodotto vini con concentrazioni maggiori in alcool, in estratti, etc… Rifacendomi alla risposta precedente aggiungo che ci si deve adattare al clima, non dobbiamo usare tecnologie per ottenere prodotti uguali in annate diverse, ma convivere con condizioni meteo differenti.

Risposta 6. Sarebbe bello se ci si potesse riunire in cooperative di lavoro o di vendita ma purtroppo da noi, nelle Langhe, questa collaborazione è molto difficile. La cooperazione credo sia più facilmente applicabile in zone marginali in cui non è ancora arrivato il benessere. Anni fa è stato pubblicato uno scritto di un giornalista svizzero che vedendo i cambiamenti recenti in atto nella zona del Barolo aveva proposto di mettere cartelloni stradali con l'indicazione “Zona colpita da improvviso benessere”. Questo mi porta a dire che quando in un territorio girano molti soldi è più difficile fare attività sociale.

Risposta 7. La mia famiglia da circa 200 anni ha gestito una macelleria a Barolo, ma io non mi sentivo portato per quella attività. Mi è sempre piaciuto lavorare in campagna e ora, con alcune difficoltà legate alla salute di un mio ginocchio, devo farmi aiutare nei lavori da una cooperativa, ma la cosa mi rende triste perchè non mi piace far lavorare e far sudare altri al posto mio.
Per noi piccoli produttori di vino i problemi maggiori sono derivati dalla burocrazia. Nel nostro settore la macchina burocratica produce i più forti disagi.

Risposta 8. I mass-media hanno contribuito a diffondere la cultura del cibo e del bere, ma ora dovrebbero fermarsi. Mi capita di invitare a cenare amici che per ogni piatto servito in tavola ti chiedono il pedigree di quello che stanno mangiando. Lo trovo molto deprimente perché in giro ci sono persone che faticano a riempire il piatto e ancora più deprimente è che molte di queste élite cibarie appartengono a quella che una volta era la sinistra.

Risposta 9. Quello che mi rimane più impresso di Gino Veronelli è la semplicità nei rapporti umani.
Non so se con le mie risposte ho soddisfatto le vostre aspettative, ma in qualunque caso se passate da Barolo venite a bere un bicchiere da noi.

Giovanni Canonica


Noi di Valli Unite

alla cooperativa Valli Unite

In Piemonte, sui colli Tortonesi, la cooperativa agricola e agrituristica Valli Unite sperimenta da anni l'autogestione del lavoro, l'autosufficienza, la sobrietà e l'etica solidale. Tra i loro prodotti, anche il VINOTAV solidale, imbottigliato per sostenere la causa della popolazione valsusina. Intervista a Ottavio Rube e Alessandro Poretti.

Risposta 1. (Alessandro) Veronelli non ho fatto in tempo a conoscerlo, è morto prima che io iniziassi a lavorare come vignaiolo e cantiniere. Però Ottavio conserva un ricordo limpido dell'incontro con Gino.
(Ottavio) Ero imbarazzato quando nei locali della Coop. 8 Marzo mi chiesero di mangiare allo stesso tavolo con Gino, ma l'imbarazzo svanì presto perché mi trovavo accanto a una persona di alto spessore culturale e politico però capace di stare nei discorsi semplici, così abbiamo chiacchierato.
Rimpiango poi che Gino non abbia avuto l'occasione di visitare Valli Unite quella volta che passava da queste parti insieme a Marc Tibaldi. Avrei voluto che vedesse la nostra realtà, purtroppo non c'è stata altra occasione.
Ottavio Rube

Gino mi ha sostenuto nel mio impegno politico nella Comunità Montana, lui insisteva che bisognasse entrare dentro le nostre comunità, nonostante le schifezze dei partiti, per poter incidere sul futuro della società; le sue parole mi hanno molto aiutato nei momenti che mi sentivo solo contro tutti. Poi da Gino ho imparato ad assaggiare il vino con gli occhi chiusi, come faceva lui. È una cosa semplice da fare che però ha un grande valore. E così quando lo faccio il mio pensiero va a lui.
Potrei dire che è morto nel momento sbagliato, perchè in quel momento stava trasformando il suo sapere in critica politica. L'impegno sociale, la contadinità e i suoi aspetti critici sono parte integrante del Critical Wine che ha contribuito a far nascere.
Sarei curioso di sapere l'opinione di Veronelli sul fatto che Langa e Roero sono state dichiarate patrimonio dell'Unesco. Però trovo paradossale che la rivista “Langhe e Roero” metta in prima pagina una azienda che per piantare una vigna ha dovuto sbancare venti metri di terra, tagliando anche il bosco. Io penso che ogni produttore di vino debba avere un'etica da seguire; questa idea Gino l'ha sempre sostenuta, dichiarando in modo provocatorio “il peggior vino di un contadino è migliore del più grande vino industriale”.
Teniamo in vista con orgoglio a Valli Unite la rivista “Veronelli”, dove Simonetta Lorigliole e Marc Tibaldi dedicano ampio spazio ai “vini veri di Valli Unite”.

Risposta 2. (Alessandro) Il vino di qualità si ottiene soprattutto partendo da una materia prima sana e matura e anche dall'andamento stagionale e dalla capacità del vignaiolo. Quando la vite arriva sana e in salute alla vendemmia è quasi certo ottenere un uva di alta qualità e di conseguenza avere un vino che solo l'incuranza del vignaiolo o del cantiniere può rovinare.
La nostra cantina accompagna l'uva a diventare vino, da noi sono quasi scomparse le filtrazioni, le chiarifiche, i lieviti selezionati, quindi le nostre capacità tecniche diventano fondamentali: scelta del momento di raccolta, del numero di rimontaggi e dei tempi di macerazione. Decidere quando travasare il vino, quando mettere in legno e quanto tempo farlo sostare in cantina e poi in bottiglia.
Conciliare cura della vigna e cura del vino diventa possibile quando il vino non è un fine ma un mezzo, un mezzo per comunicare cosa è la terra e quale è il suo rapporto con il cielo e con l'uomo. Il vino esprime il legame tra questi elementi, quindi un vino si conserverà meglio quando questo legame sarà più saldo, e ugualmente emozionante sarà capire quale elemento in una determinata stagione è stato più o meno decisivo nella composizione del vino.
Un vino “tecnico” figlio dell'enologia moderna invece sarà probabilmente un vino morto, un vino solo capace di esaltare le capacità umane e di soddisfare i desideri richiesti dalla massa e da un sistema edonistico che non guarda né al cielo né alla terra ma solo al terzo elemento, l'uomo.

Risposta 3. (Alessandro) La nostra è una cooperativa agricola biologica dalla nascita, nel 1981. Abbiamo sempre utilizzato le tecniche tradizionali cercando di diminuire i trattamenti e i calpestii, favorendo gli inerbimenti. Cerchiamo di interagire con il terreno cercando di prevenire eventuali problemi attraverso l'esperienza diretta o lo scambio di saperi con altri vignaioli. I nostri vigneti sono allevamento col sistema Guyot, i trattamenti sono con zolfo di cava e rame (poltiglia bordolese e idrossido), la gestione della chioma e la vendemmia sono interamente manuali. Per la lotta alla Flavescenza d'orata sono obbligatori due trattamenti di piretro.

Risposta 4. (Alessandro) Certamente il vignaiolo è parte attiva della tipicità quindi del terroir, lo dimostrano alcuni vignaioli naturali nostri vicini di vigna che ottengono uve e vini differenti da noi. Sicuramente abbiamo la terra uguale, i vitigni uguali ma evidentemente si sente la mano differente dell'uomo.
Alessandro Poretti

Risposta 5. (Alessandro) Noi non siamo interventisti ma custodi, ci adeguiamo al clima, siamo persino arrivati a vendemmiare in agosto, cosa inimmaginabile prima del 2000. Cerchiamo di assecondare la natura col rischio di scontentare l'uomo ma il risultato per noi è interessante: vini di alta gradazione alcolica, più equilibrati, ma la tipicità per noi non cambia. La tipicità ne risente se modifichi la raccolta e cerchi di assecondare i gusti massificati, se i gradi alcolici di un vino sono alti, basta bere di meno. Per esempio nell'annata 2011 la forte concentrazione zuccherina ha bloccato molte vasche in fermentazione naturale. Abbiamo deciso di non intervenire e con l'annata 2012 abbiamo passato sulle bucce il vino del 2011, portando a fine fermentazione il vino. Così facendo abbiamo perso la DOC 2011 e 2012 ma abbiamo salvato il vino.

Risposta 6. (Alessandro) Con questa domanda sfondi una porta aperta. Qui a Valli Unite è stato sempre così, i giovani si avvicinano proprio perché coltivare in comunità crea nuove forme di socialità con la terra e il cielo come custodi, e dopo questa esperienza molti giovani si fermano ed altri costruiscono situazioni analoghe, magari più piccole. L'autogestione e l'agricoltura per esistere hanno bisogno di regole precise però danno la possibilità di spaziare con le idee e rendere reale i propri desideri. L'agricoltura ha la capacità di dare un senso pratico e un risultato palpabile agli sforzi fisici e mentali che fai, ci dà come premio il cibo e la sussistenza e ci consente di tenere i piedi ben saldi nel nostro paesaggio e nella nostra tradizioni storica.

Risposta 7. (Alessandro) È un eredità che passa di generazione in generazione, un passaggio di saperi tra chi è nato già vignaiolo e chi invece vuole farlo per innamoramento, per una scelta di vita, perché fare il vignaiolo e fare il vino non è un lavoro ma qualcosa di più affascinante e romantico. Non vivo grossi problemi col mio lavoro, la difficoltà maggiore è la fase della vendita dei nostri prodotti, cercare di affrontare e conoscere il mercato non come agricoltore passivo ma piuttosto affrontarlo come imprenditore attivo.

Risposta 8. (Alessandro) Noi non siamo particolarmente attenti ai mass-media e non li seguiamo, le guide enologiche non ci interessano perché molte volte sono false o fuorvianti. Fortunatamente Internet offre molte finestre sul mondo dell'enologia, lì è possibile trovare cose che tv e giornali non fanno vedere. I blogger che trattano di vini sono numerosi e in certi casi riescono ad informare bene sul mondo del vino naturale.

Risposta 9. (Alessandro) Gino ci ha lasciato un modo differente di osservare, spiegare, raccontare e bere il vino. Ci ha dato degli strumenti unici per interpretare il vino, per renderlo molto più vicino alla terra a dispetto di chi lo voleva portare sulla Luna. Ha fatto scoprire territori meravigliosi che vivono con il vino e per il vino, ha contribuito a fare uscire dalla marginalità alcune zone bellissime e dimenticate d'Italia. Arrivando a Valli Unite c'è una scritta sul muro che dice: “Ma il vino che cos'è? È il canto della terra verso il cielo”. Grazie Gino.

Ottavio Rube & Alessandro Poretti


Bere No-Tav

Dalla collaborazione tra movimento Notav e cooperativa Valli Unite nasce con la vendemmia 2012 questo VINOTAV solidale, prodotto utilizzando Barbera dei colli tortonesi.
Questo progetto vuole coniugare la passione e il rispetto per la terra con la resistenza ai soprusi e alle devastazioni.
Il ricavato della vendita viene utilizzato per sostenere le iniziative e le spese legali del movimento.
Acquistare questo vino è un atto di solidarietà, è portare un frammento di resistenza valsusina in ogni parte d'Italia e oltre.

Per info, contatti, richieste:

vinotav@autistici.org

info@valliunite.com