rivista anarchica
anno 44 n. 393
novembre 2014


dibattito

I misteri dell'origine del linguaggio

di Piero Borzini


L'analisi dello sviluppo delle capacità linguistiche indica la mancanza di un gap reale tra esseri umani e altre specie.
Una critica a Noam Chomsky.


Qualche mese fa sono riuscito a far stampare i risultati di una ricerca che ho condotto sui prerequisiti biologici e culturali che hanno consentito lo sviluppo di quelle specifiche facoltà che rendono noi umani così diversi da tutte le altre specie viventi. Questa mia ricerca ha assunto la forma di un libro intitolato Diventare Umani1. A causa della mia formazione bio-medica, la mia analisi ha preso in esame in modo particolare gli aspetti dell'evoluzione biologica, anche se ho cercato di non trascurare alcuni dei più importanti aspetti antropologici e di evoluzione culturale. Il mio non è stato uno studio sul campo. Mi sono avvalso di molte centinaia di articoli e di libri scritti dai maggiori esperti del mondo sui molti e disparati aspetti che costituiscono la rete delle facoltà neurocognitive e motorie alla base del nostro essere umani. In questa sorta di tesi compilativa sull'argomento mi sono molto interessato al linguaggio umano e alle diverse teorie che riguardano le sue origini. Questo è il motivo per cui sono stato attratto da un articolo apparso sul “Corriere della Sera” del 13 maggio 2014 il cui titolo recitava proditoriamente Chomsky demolisce vent'anni di ricerche: non si sa com'è nato il linguaggio. L'articolo del “Corriere” rimandava a un articolo recentemente apparso su una rivista scientifica il cui titolo, tradotto in italiano, suona Il Mistero dell'Evoluzione del Linguaggio2. Gli autori di quest'ultimo articolo (che da qui in poi chiamerò Mistery) sono tutti personaggi di spicco nelle loro discipline: linguisti, paleontologi, biologi evoluzionisti, antropologi, linguisti informatici. Tra tutti spicca il nome di Noam Chomsky, esperto linguista del Massachusetts Institute of Technology, i cui interventi non sono mai banali e che fa della provocazione uno stile comunicativo. In questo caso la sua provocazione riguarda l'evoluzione del linguaggio sulla cui origine non ci sono prove. È proprio su questo che si basa Mystery: vale a dire, sull'assenza di prove certe a proposito dell'origine del linguaggio. Pertanto, afferma Chomsky, in assenza di prove certe, i quarant'anni di ricerche effettuate sull'origine del linguaggio sono carta straccia priva di valore.
ALT, mi sono detto! Un conto sono le prove: un altro conto sono gli indizi e le teorie che si basano sugli indizi. Non si può buttare via tutto (il classico bambino insieme all'acqua del bagnetto) solo perché ci si chiama Chomsky. Così ho voluto studiare accuratamente l'articolo di Chomsky alla ricerca di eventuali falle nel suo ragionamento. Qualcuna credo di averla trovata.
A proposito dei presupposti biologici del linguaggio umano, gli autori di Mystery (come d'altronde anche io nel mio libro) si riferiscono a varie ipotesi basate su omologie strutturali e analogie funzionali comparate tra la specie umana e diverse specie animali. Tra le altre cose, si parla dell'uso simbolico di lessigrammi da parte dei primati; della funzione comunicativa delle grida da parte dei primati; del canto degli uccelli o del ballo delle api; dell'origine gestuale del linguaggio.
Centinaia di studiosi si sono occupati, e si occupano, delle radici biologiche del linguaggio umano cercando anche di capire se e che cosa condividiamo con chi. La domanda che questi biologi – e anche gli autori di Mystery – si pongono è se questi studi di biologia e di bio-comunicazione comparata possono dirci qualcosa sulla capacità rappresentative delle parole del linguaggio umano (non solo sulla capacità referenziale nei confronti di entità concrete ma anche di entità astratte) e sul modo con cui la funzione computazionale e sintattica del linguaggio umano si è evoluta. Queste centinaia di studiosi sperano che i loro studi individuino elementi che possano illuminare il mistero del linguaggio umano. Per gli autori di Mystery, questo sforzo collettivo è del tutto inutile giacché, affermano, “non è possibile supportare empiricamente la tesi della continuità [tra specie diverse] là dove si usino animali non umani come modello di precursore dell'uomo moderno”. Ci sarebbe quindi un problema di confrontabilità o, detto altrimenti, di incommensurabilità tra la specie umana e i primati contemporanei a noi più vicini assunti come modello di precursore della cognitività umana.

Noam Chomsky
Al vertice? Non proprio

Qui c'è in ballo qualcosa di molto più profondo che non la legittimità di un confronto tra le capacità di un uomo (o di un bambino) e quelle di uno scimpanzé. Forse ci sono addirittura in ballo alcuni fondamentali dell'evoluzionismo.
Il problema della non confrontabilità posto dagli autori di Mystery pone due ordini di problemi. Quello della continuità dell'evoluzione (che include il problema della continuità-contiguità tra specie simili) e il problema della “perfezione” della specie umana. Partiamo con il secondo problema che ci porta poi automaticamente a rispondere anche al primo.
Giacché pensiamo, parliamo, siamo dotati (molti di noi) di ragionamento causale, siamo coscienti di noi stessi, del passato e del futuro, della vita e della morte, produciamo manufatti artistici, musica e via dicendo, ci viene spontaneo pensare che, grazie al raggiungimento di tutte queste facoltà, noi siamo al vertice dell'evoluzione. Per uno che è al vertice, tutto ciò che non è al vertice, è rimasto indietro, è a un livello precedente al nostro. Le facoltà che in lui non si sono evolute e che, invece, in noi si sono ulteriormente evolute possono essere considerate “precursori” delle nostre attuali facoltà.
Noi umani siamo esseri particolarmente elaborati ed è particolarmente elaborata la rete delle associazioni neurali che ci consente di esprimere funzioni che ad altri organismi sono negate. È però vero anche il contrario. Per esempio, noi non siamo in grado di muoverci al buio utilizzando un ecoscandaglio; non siamo in grado di orientarci seguendo i campi di forze elettromagnetiche; non siamo in grado di vedere al buio usando la gamma elettromagnetica dell'infrarosso o di vedere colori visibili soltanto nella banda dell'ultravioletto. Non siamo in grado di comunicare a grandi distanze utilizzando infrasuoni; non siamo capaci di seguire tracce odorose labili; non siamo capaci di estrarre l'ossigeno dall'acqua; non siamo in grado di volare e nemmeno di alimentarci catabolizzando la cellulosa come fanno le pecore. Ci sono infinite funzioni nelle quali altri organismi ci sono “superiori”.
I concetti di “superiore” o di “evolutivamente avanzato” sono sbagliati e fuorvianti. L'uomo, il lombrico che si nasconde nella terra del nostro vaso di fiori, la zanzara che di notte ci insidia l'orecchio, lo scarafaggio che, sempre di notte, gironzola sotto l'armadio della cucina, il cane di nostra cugina, tutti questi hanno la nostra stessa età evolutiva: condividono tutti una parte di albero genealogico (filogenetico), con le stesse antiche radici nella profondità del tempo. Non c'è n'è uno più perfetto dell'altro: il lombrico è perfetto quanto l'uomo: è perfetto per vivere nascosto nella terra del nostro vaso di fiori, cosa per cui noi siamo molto poco attrezzati. Si tratta di differenza specifica, non di perfezione evolutiva. Se non c'è una specie che sta davanti e una che sta dietro, allora, come dicono gli autori di Mystery, il primate non può essere considerato un precursore di un altro primate.
Ci sono tuttavia parentele nell'albero filogenetico da cui sembra di capire che, a un certo punto dell'evoluzione, due primati attuali (per esempio, l'uomo e lo scimpanzé) avessero un lontano progenitore comune. Se questo è vero (cosa che non può essere provata, anche se la biologia molecolare fornisce di ciò robusti indizi) una certa continuità tra le specie esiste e se ci sono progenitori comuni, allora non si può escludere che una facoltà che una specie ha perfezionato possa essere rimasta, nell'altra specie, in forma meno perfezionata. È in questo senso, e in questa direzione, che la facoltà che in una specie non si è trasformata può essere considerata il precursore della facoltà che, nell'altra specie, si è evoluta. Se le cose stanno così (ma non lo possiamo provare) la questione di non confrontabilità sollevata dagli autori di Mystery viene a cadere. Specie diverse contemporanee sono quindi confrontabili come se rappresentassero differenti tempi evolutivi, tenendo conto però che il confronto deve essere limitato a differenze particolari e specifiche, mai dimenticando che il confronto “temporale” (tra un prima e un poi evolutivo) di due specie contemporanee si basa su una finzione, una sorta di artificio metodologico.

L'evoluzionismo in discussione

La dichiarazione di non confrontabilità fatta dagli autori di Mystery sottende, credo, una qualche sfiducia nelle teorie evoluzionistiche. Certamente, l'idea darwiniana della sommatoria di piccole variazioni che conduce alla formazione di organi o di funzioni macroscopicamente distinte è stata messa in discussione da molti che hanno preferito pensare a variazioni più grossolane (che già Darwin aveva chiamato sports) e che, più recentemente, Eldredge e Gould hanno inserito nella loro teoria degli Equilibri Punteggiati. Anche io, personalmente, sono più portato a credere alla teoria degli Equilibri Punteggiati che non a un accumularsi casuale di piccole variazioni. In ogni caso, quel che non mi pare in discussione, per quanto sostenuta solo da robusti indizi, è la continuità che lega tra loro le forme, che pure sono discontinue, delle specie viventi.
Siano o non siano confrontabili con noi “il gap tra noi e loro è così ampio”, sostengono gli autori di Mystery, “perché il raffronto possa aiutarci a capire la natura dei precursori e il processo evolutivo che ha portato, nel corso tempo, da quelle [ipotetiche] forme alla forma attuale del linguaggio umano”. Non riesco a fare a meno di pensare che la parola gap stia a marcare, da parte degli autori di Mystery, il senso di un salto ontologico tra un “noi” e un “loro” abbastanza disturbante.
La biologia e la genetica molecolare sono in grado di definire mappe molecolari caratteristiche di molte specie animali e vegetali. La presenza delle medesime proteine o dei medesimi geni in specie diverse segna, generalmente, una loro parentela, vicina o lontana. Ci sono alcuni geni che sembrano avere a che fare con lo sviluppo delle capacità linguistiche. Non esistono veri e propri geni del linguaggio, ma piuttosto geni regolatori che intervengono nel condizionare variazioni strutturali e funzionali di organi e apparati che possono avere influenza in alcuni aspetti, cognitivi o motori, della funzione linguistica. I lunghi tempi dello sviluppo somatico e intellettivo dell'uomo, per esempio, sembrano essere determinati da questo tipo di geni regolatori. Com'è ovvio, una parte della ricerca si è dedicata a studiare la presenza e le mutazioni di questi geni nelle popolazioni umane, nelle specie animali, e anche nei reperti paleontologici risalenti a varietà di Homo estinte (Neanderthal e Homo di Desinova in particolare). È molto curioso il trattamento che gli autori di Mystery riservano allo statuto del ritrovamento o meno di questi geni nelle specie studiate. Per esempio, quando essi si riferiscono al gene FOXP2 (il primo di questi geni a essere scoperto e studiato), l'apparente condivisione di identiche varianti di questo gene da parte di Homo sapiens e dell'Homo di Neanderthal non viene riconosciuta come una prova sufficiente per dire che le due varietà umane condividessero una comune base biologica correlata alle funzioni linguistiche. Quando invece si riferiscono a geni di più recente scoperta (CNTAP2, ASPM, MCPH1 e altri), la probabile assenza di questi geni nel Neanderthal e nell'Homo di Desinova, diventa prova sufficiente per dimostrare la mancanza di un comune terreno biologico per lo sviluppo del linguaggio. Un modo un po' contraddittorio di trattare gli indizi.
Ci sono ancora almeno due sostanziali rilievi da fare agli autori di Mystery. Uno è esclusivamente di carattere metodologico. Gli autori, secondo me non del tutto a torto, contestano il valore – ai fini dello sviluppo delle facoltà linguistiche – degli studi paleontologici riguardanti le impronte lasciate dalla massa cerebrale all'interno del cranio (endocasti). Circa due milioni di anni fa, il cervello degli ominidi ha cominciato ad aumentare di volume e la crescita della sua parte corticale ha lasciato nei crani impronte che non erano presenti nei teschi di specie umanoidi più antiche. Alcuni scienziati hanno messo in relazione questa crescita con le aumentate capacità cognitive (e forse motorie) della specie Homo. Questo è probabilmente verosimile, ma il legame con facoltà cognitive legate allo sviluppo delle capacità simboliche e linguistiche è, effettivamente, troppo vago e indiretto. Su questo tema mi sarei sentito in sintonia con gli autori di Mystery, se non fosse che essi – subito dopo aver contestato il valore euristico degli endocasti – suggeriscono l'ipotesi che, attraverso l'uso di più sofisticati mezzi per indagare a livello più fine le granulazioni endocastiche, si potrebbero ottenere maggiori dettagli sulla struttura dei circuiti interni: per questo però, dicono gli autori, ci vorrà ancora molto tempo. Poco importa, mi viene da dire, quanto tempo sarà necessario per avere quel tipo di informazione: se questo tipo di informazione così grossolano e indiretto non è una prova sufficiente, non si capisce come possa esserlo un'informazione altrettanto grossolana e indiretta, se pur su scala un po' maggiore. Anche questa osservazione mi pare metodologicamente parecchio contraddittoria (e anche di scarso peso).

La casa editrice Elèuthera ha pubblicato tre volumi di Noam Chomsky. eleuthera@eleuthera.it
Lessico e manufatti

L'ultima osservazione che desidero commentare riguarda il nesso tra il possesso delle capacità linguistiche, il possesso della capacità simboliche e delle capacità di ragionamento causale, il possesso di una “sintassi del processo” necessaria per la fabbricazione di manufatti. Gli autori di Mystery, affermano una cosa da tutti condivisa, ovvero che in Homo sapiens, dopo la divergenza con il Neanderthal, alla facoltà del linguaggio – certamente presente – si affiancavano altre facoltà simboliche ed espressive, con ciò affermando che le facoltà simboliche e quelle linguistiche sono probabilmente collegate. Ma questa ovvietà non è il punto centrale del problema che riguarda, invece, se e come l'associazione tra queste facoltà si è generato. Se per generare le facoltà linguistiche è necessario saper pianificare (per pianificare una proposizione e per pianificare la manifattura di un oggetto occorre saper mettere insieme e gerarchizzare azioni e ripetizioni di azioni) allora il germe delle facoltà linguistiche (anche se non necessariamente simboliche) può essere rintracciato in quelle specie pre-umane che sapevano eseguire certe azioni complesse già due milioni e mezzo di anni fa. L'Homo habilis scheggiava le pietre oltre due milioni di anni fa; un milione e mezzo di anni fa l'Homo erectus maneggiava il fuoco e produceva amigdale scheggiate complesse e, centotrentamila anni fa, era in grado di costruire zattere e compiere navigazioni. Queste capacità possono essere considerate del tutto senza valore ai fini dell'evoluzione delle facoltà cognitive richieste dal linguaggio? Io sono convinto che queste facoltà abbiano un nesso con l'evoluzione delle facoltà linguistiche, ma gli autori di Mystery sostengono che “non ci sono prove evidenti di comportamenti moderni da parte dell'Homo di Neanderthal o di altre specie ominine estinte”. Anche questa affermazione, prima ancora che metodologicamente contraddittoria, suona fortemente a favore di una pregiudiziale diversità ontologica tra Homo sapiens e tutto ciò che l'ha preceduto.
Infine, la ciliegina sulla torta. Dopo aver cercato di ridurre il valore dei risultati di quaranta anni di studi effettuati nelle varie discipline (anatomia e funzionalità comparata; paleontologia e archeologia; biologia molecolare e genetica; modellistica computazionale), gli autori di Mystery presentano i loro “suggerimenti per gli indirizzi di ricerca da effettuare in futuro”. Arrivato alla fine di un lungo articolo in cui, passo passo, gli autori hanno negato valore ai vari approcci metodologici fin qui tentati, il lettore si aspetta che gli autori gli prospettino nuovi ambiti, nuovi metodi, nuove strategie. E invece... gli autori si limitano a suggerire aggiustamenti piuttosto banali delle vecchie metodologie da utilizzare nei medesimi campi precedentemente studiati (anatomia e funzionalità comparata; paleontologia e archeologia; biologia molecolare e genetica; modellistica computazionale). Francamente ci si sarebbe potuti aspettare di meglio.
Nel 1971, facendo riferimento al potenziale innovativo che era contenuto nella rivolta studentesca parigina del maggio del 1968, l'antropologo gesuita Michel de Certeau aveva utilizzato l'espressione Rupture Instauratrice, facendo esplicitamente riferimento a un principio e a un metodo di ricerca. Se l'articolo di Chomsky avesse avuto un minimo di questo spirito di Rottura Rifondatrice, allora lo si sarebbe potuto considerare un passo metodologico per una più efficace ricerca sulle origini del linguaggio. Al contrario, l'articolo non evoca alcun afflato di Rottura Rifondatrice, ma solo l'immagine avvizzita di una vecchia, stantia e per nulla innovatrice Rottura (senza altri aggettivi di genere).

Piero Borzini

Note

  1. Diventare Umani. Origine ed evoluzione di quel che siamo. Aracne, Roma, 2013.
  2. Hauser MD, Yang C, Berwick RC, Tattersall J, Ryan MJ, Watumull J, Chomsky N, Lewontin RC. The Mystery of Language Evolution. Front. Phychol. Pubblicato on line: 7/5/2014.