rivista anarchica
anno 44 n. 393
novembre 2014





Mytunes

Un po' come il precedente “L'ultimo disco dei Mohicani” (che vi avevo segnalato su “A” 360, febbraio 2011) anche questo Mytunes - Come salvare il mondo, una canzone alla volta di Maurizio Blatto (ed. Baldini&Castoldi, Milano, 2014, pp. 464, €16,00) sembra ma non è un libro che racconta i dischi: è un libro di storie, storie piccole e semplici che a volte però si complicano, e la musica è una scusa buona. L'autore vi ha raccolto, in versione modificata e riadattata (un remix: forse sarebbe più appropriato dire così...) alcuni interventi pubblicati in questi ultimi anni dal mensile rock “Rumore”, del quale è un collaboratore storico. Ma attenti: tutt'altro che una di quelle imprese furbette per rivendere vecchie cose già vendute, il libro si rivela come una raccolta brillante di riflessioni, confessioni e testimonianze sull'influenza importante e imprevedibile che la musica può avere -ed ha effettivamente avuto, stando a quanto si legge- sulla costruzione dei meccanismi del ragionamento, sulle scelte e sulle decisioni, sul rapporto con i familiari e gli amici, in una parola sulla vita dell'autore.
Suddiviso in una settantina abbondante di racconti brevi, ciascuno l'intreccio di una canzone con una o più briciole di vita privata, il libro scorre senza scossoni né drammi né apocalissi del cuore tra pop e rock in un arco di tempo che va grosso modo dalla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo a quasi i nostri giorni.
“Qui non ci sono tutte le mie canzoni preferite” - avverte Maurizio - “Molte sono davvero quelle che mi hanno salvato la vita e fatto piangere, ma altre figurano semplicemente come perfette meteore di un passato buffo o al pari di buone scrivanie su cui appoggiare filosofia da cameretta”. Siccome le strade personali non passano necessariamente per le enciclopedie ufficiali del rock, ci sono dentro “I say a little prayer” cantata da Aretha Franklin e “I see a darkness” di Will Oldham, “Fortunate son” dei CCR e “Shipbuilding” di Elvis Costello cantata da Robert Wyatt, ciascuna con un suo perché e spesso con più d'uno. E ne sono rimaste fuori, con ogni probabilità con dei perché altrettanto numerosi ed altrettanto validi e circostanziati, molte altre canzoni, a migliaia.
Si può raccontare questo libro anche da un'altra prospettiva, considerandolo cioè come un'autobiografia con colonna sonora. Fatto strano, sebbene contenga essenzialmente dei riferimenti a “cose sue” e fatti e ragionamenti personali, ho trovato il libro curiosamente condivisibile. Nel corso della lettura mi sono ritrovato frequentemente in sintonia con Maurizio, al punto di sorprendermi di aver vissuto certe situazioni simili (la precarietà dei dischi presi in prestito e la scomparsa frequente di quelli prestati agli amici, le cassette miste fatte mettendo le canzoni in fila convinti che in qualche modo ci riguardino e addirittura ci assomiglino, l'irresistibile impulso di ficcare il naso nel reparto dischi quando entriamo in casa d'altri, l'autoradio mangiacassette estraibile ma scomodo da portarsi in giro perché grosso come un tostapane, e potrei continuare noiosamente la lista per qualche pagina) e ad aver reagito press'a poco alla stessa maniera a certe canzoni stimolanti. Eppure non abbiamo la stessa età (lui ha nove anni meno di me), abbiamo percorsi scolastici distanti (il mio molto più corto del suo), siamo vissuti in aree geografiche diverse (grande città del nordovest lui, provincia del nordest io) e, se alla diversità tra la sua e la mia ipotetica playlist personale potesse essere attribuito un qualche significato ideologico, non credo di sbagliare nell'affermare che ascoltiamo preferibilmente cose differenti.

Maurizio Blatto
Una lettera dal futuro

“Mytunes” è così ben congegnato che lo si può leggere in maniera disordinata (un racconto qui e adesso, un altro un'altra volta, senza seguire l'ordine delle pagine né quello cronologico di pubblicazione delle canzoni) senza sminuirne impatto e intelligenza: ecco, l'impressione complessiva e duratura che ho tratto da questa lettura è che sia stata una lettura intelligente, oltre che godibile. Capace di un grande e sincero gesto d'amore sull'importanza del lavoro delle cicale, così spesso sottovalutato rispetto a quello delle formiche, Maurizio Blatto si mantiene sempre a grande distanza dallo scrivere le lodi dei cantanti e degli autori e dei musicisti, concentrandosi sui piccoli particolari di ciascun pezzo, sulle pieghe nascoste degli arrangiamenti, sui ritagli di testo più significativi, a volte soffermandosi sui ragionamenti che stanno dietro al testo e svelandone l'intimità. Ma, ripeto, credo che qui dentro si non volesse affatto raccontare delle canzoni: le canzoni per Maurizio sono il pretesto per raccontare di sé e delle proprie fantasticherie, per analizzare le sue suggestioni e certe sue manie, per guardare indietro e sorprendersi in una vecchia foto e, complice il tempo, scrivere a sé stesso una lettera dal futuro che contiene sì carezze d'incoraggiamento e pacche sulle spalle, ma anche qualche pedata ben assestata in forma di critica pungente degli usi e costumi dell'adolescenza, degli anni vissuti in branco per scacciare la paura, delle contraddizioni che non si è stati abbastanza capaci a risolvere. Una specie di misura della distanza tra quello che ci sarebbe piaciuto fare e quello che invece ci si è ritrovati a dover fare, grazie alla buona musica e soprattutto nonostante la cattiva musica tutt'attorno.

Marco Pandin