rivista anarchica
anno 45 n. 395
febbraio 2015


No Expo

Le ragioni del dissenso

testo di Carlotta Pedrazzini
foto tratte dalla pagina facebook Io non lavoro gratis per Expo


Il 1° maggio si apre l'Expo.
Dal 2007 una rete di comitati, associazioni, centri sociali e singoli militanti si batte per denunciarne la pericolosità in termini economici, sociali e ambientali. Proponendo pratiche virtuose e alternative.


L'avversione nei confronti delle grandi opere non è, come alcuni credono, dettata da idealismo bensì da un profondo pragmatismo. Chi si batte per affermare la dannosità di mega-progetti e mega-eventi lo fa a fronte di un'analisi ponderata delle conseguenze che le grandi opere possono avere in termini ambientali, economici e sociali. E proprio una valutazione costi/benefici ha portato nel 2007 alcuni cittadini milanesi a mobilitarsi per impedire l'assegnazione dell'organizzazione di Expo, da parte dell'Ufficio Internazionale delle Esposizioni (Bureau international des expositions, BIE), alla città di Milano.
In seguito alla nomina del capoluogo lombardo quale sede di Expo 2015, il numero di partecipanti alle mobilitazioni è cresciuto; sono nati diversi comitati, associazioni e una rete, la Rete No Expo, impegnata a coordinare tutte le soggettività implicate nella lotta contro il mega-evento tra cui centri sociali, attivisti del sindacalismo di base e singoli militanti. Fino ad ora sono state diverse le manifestazioni, i presidi, gli scioperi, i climate camp (campeggi di azione climatica) organizzati per esprimere il forte dissenso nei confronti dell'evento, della gestione dei lavori ad esso connessi e per proporre una visione alternativa e antagonista di sviluppo e valorizzazione del territorio.

Quella condotta dalla Rete No Expo è una battaglia volta a smascherare le illusioni in seno all'ormai imminente esposizione universale e le sue contraddizioni, a partire dal tema. Nutrire il pianeta. Energia per la vita stride infatti con la realtà di una regione che negli ultimi anni non ha eccelso nella salvaguardia del proprio patrimonio agricolo o nella valorizzazione delle produzioni locali; da decenni in Lombardia si dissolvono annualmente migliaia di ettari di aree agricole a cui, dal 2008, si aggiungono quelle irrimediabilmente compromesse per dare spazio al sito Expo e alle infrastrutture ad esso collegate quali TEM (tangenziale est esterna di Milano) e il collegamento autostradale Brescia-Bergamo-Milano (Brebemi).

In lotta contro il cemento

Gli appartenenti alla Rete No Expo sottolineano come il progetto di sviluppo legato all'esposizione universale, costituito principalmente da cemento, asfalto e mega-costruzioni, non si avvicini in alcun modo a quella sostenibilità ambientale ampiamente propagandata e conclamata. I membri della rete affermano che il modello eco-sostenibile a cui l'intero evento intende ispirarsi non sia compatibile né con gli attori coinvolti (grandi aziende e grandi marchi) né con il generale svolgimento dei lavori di preparazione: cementificazione di aree verdi e agricole, costruzione ex-novo preferita alla valorizzazione delle strutture esistenti, a cui sono seguiti diminuzione e deturpamento del capitale naturale di quella zona.
Ma le critiche non si fermano solo al modello di sviluppo; anche i contenuti dell'evento sono stati posti sotto accusa, ossia il modo di guardare all'alimentazione e al cibo principalmente attraverso l'ottica di industrializzazione, che tiene maggiormente conto di mercati e profitti, mettendo da parte qualità, cultura e soprattutto i piccoli produttori.

A fronte dell'aumento della popolazione mondiale, dei consumi alimentari ed energetici, il tema Nutrire il pianeta. Energia per la vita risulta calzante; ma le proposte che saranno presentate tra i padiglioni di Expo 2015 a soluzione di questi problemi (come, ad esempio, innovazione Ogm-biotech e catena alimentare industriale) sono fonte di un aspro disaccordo da parte della Rete No Expo, per la quale Ogm e industria non costituirebbero affatto una soluzione alle difficoltà agro-alimentari mondiali, ma un'ulteriore fonte di preoccupazione.
Non è tutto. Da tempo i comitati mettono in guardia dall'illusoria credenza che effetti positivi possano essere generati dall'evento; effetti che sarebbero in grado, secondo gli estimatori dell'esposizione, di risollevare l'economia milanese e quella lombarda, con ricadute benefiche per l'intero paese. Ma la storia recente delle esposizioni universali (Siviglia 1992, Lisbona 1998, Hannover 2000 e Saragozza 2008) ci insegna qualcosa di diverso. Nonostante i copiosi investimenti, questi appuntamenti non hanno goduto della partecipazione di pubblico prevista cosicché non solo l'obiettivo di guadagno prefissato non è stato raggiunto, ma è stato addirittura ingenerato un debito di cui la collettività ha dovuto farsi carico. Il loro fallimento va ricercato nell'anacronismo di una fiera campionaria di enormi proporzioni al tempo dell'iper-connessione e della velocità di movimento. L'esposizione è infatti figlia di un modo di pensare che risultava vincente alle porte del XX secolo, epoca di incipiente industrializzazione, ma che non può più essere considerato di successo soprattutto oggi, in periodo di piena crisi economica.

Inoltre, i comitati No Expo hanno espresso più volte la loro paura riguardo la possibilità che l'organizzazione dell'esposizione a Milano potesse trasformarsi in un abissale debito e con il passare dei mesi questo timore sembra concretizzarsi sempre di più. L'ombra della manovra speculativa volta a drenare soldi pubblici per l'arricchimento di privati era stata denunciata dai comitati già all'avvio delle pratiche di acquisizione dei terreni sopra i quali il sito Expo sarebbe stato costruito. In seguito alla nomina di Milano quale sede di Expo 2015, comune e regione decisero che l'esposizione avrebbe dovuto avere luogo su terreni di proprietà di soggetti privati, ma da acquistare, va da sé, con soldi pubblici; la società Arexpo Spa (partecipata a maggioranza dalla regione Lombardia e dal comune di Milano) ha così acquistato i terreni da privati, per la precisione da Fondazione Fiera Milano e dalla società Belgioioso (gruppo Cabassi).
Per poter rientrare dell'investimento iniziale, da qualche tempo si sta cercando un compratore disposto ad acquistare il lotto di un milione di metri quadrati per 315,4 milioni di euro (soglia minima per un rientro dell'investimento). Ma alla gara per la vendita dei terreni con scadenza il 15 novembre non si è presentato nessuno. La faccenda sta iniziando a farsi molto seria e dimostra che le perplessità avanzate dagli appartenenti alla rete No Expo non erano infondate; se nessun compratore sarà disposto ad acquistare i terreni, o se ci sarà una “svendita”, si aprirà letteralmente una voragine nei conti pubblici che porterà ad un possibile intervento della Corte dei Conti oltre alla generazione di un debito a cui i cittadini dovranno far fronte, che lo vogliano o meno. L'orizzonte economico non si dimostra roseo: nessun guadagno per gli enti pubblici che stanno lottando per non ritrovarsi in perdita, tantomeno per la collettività che rischia di doversi accollare un debito che non ha contribuito a creare.

Lavoro gratuito? No, grazie

Un punto sul quale la mobilitazione della Rete No Expo si è dimostrata molto incisiva riguarda i contratti di lavoro. Un accordo in materia, pensato specificamente per Expo 2015 e sottoscritto il 23 luglio 2013 da Expo Spa e dai sindacati confederali e di categoria, prevede il ricorso massiccio all'apprendistato e, in modo ancor più sorprendente, al lavoro gratuito. 18500 è il numero di contratti disponibili per chiunque volesse prestare la propria manodopera a Expo senza ottenere alcuna retribuzione in cambio. Al fine di boicottare le previste assunzioni senza retribuzione, i comitati hanno lanciato la campagna “Io non lavoro gratis per Expo” a cui molti giovani hanno deciso di aderire con l'intento di procurare all'esposizione un deficit di manodopera. Al momento, il numero di volontari dichiaratisi disponibili a prestare la propria opera a partire dal 1 maggio 2015 sembra attestarsi a meno della metà di quelli richiesti dagli organizzatori.

L'incompiuto raggiungimento del numero di lavoratori non è l'unico obiettivo mancato. I lavori all'interno dei cantieri, infatti, proseguono molto a rilento, complici non solo le mobilitazioni ed i presidi, ma anche le diverse indagini aperte a causa di sospette infiltrazioni mafiose, corruzione e irregolarità. Tra i progetti ancora lontani dalla realizzazione, una “via d'acqua” lunga circa 20 chilometri che dovrebbe collegare il Canale Villoresi al Naviglio Grande, passando dal sito espositivo. Durante il corteo svoltosi a Milano lo scorso 22 novembre, la Rete No Expo, insieme ai comitati No Canal che da tempo si battono per la cancellazione di questo specifico progetto, ha proposto alla società organizzatrice di stornare i 45 milioni di euro stanziati per un'opera che quasi sicuramente non sarà costruita in tempo, e di restituirli alla cittadinanza. Una richiesta che acquista ancora più senso se si considerano i danni provocati recentemente dalle esondazioni di Seveso, Lambro, Olona e l'emergenza di dissesto geologico riscontrata in alcune zone della città.

Il blocco dei lavori di costruzione della cosiddetta “via d'acqua”, opera che dovrebbe attraversare l'intero polmone verde di Milano, ossia quattro parchi ad ovest della città, sarebbe una vittoria per i comitati No Canal che per diverso tempo, ad ogni ora del giorno e con ogni clima, hanno sfidato le ruspe intralciando lo svolgimento dei lavori.
Ad oggi le varie soggettività implicate nella Rete No Expo continuano la loro lotta, consci della necessità di estendere dissenso e resistenza al mega-evento ad una cerchia molto più ampia di persone. Non si tratta infatti di una lotta di quartiere, ma di uno scontro aperto con tutte le pratiche economiche e politiche che Expo incarna e di cui è diretta emanazione. Non riguarda in prima persona solo i cittadini di Milano, ma l'intera collettività. Sì perché il “sistema Expo” risulta essere uno strumento nelle mani di grandi attori economici e finanziari, i quali stanno in tutti i modi tentando, tramite il drenaggio di capitali pubblici, il consolidamento a livello locale di logiche di accumulazione che beneficiano pochi grandi circuiti e che impediscono la distribuzione della ricchezza prodotta localmente.

Un altro modo è possibile

Durante la manifestazione tenutasi l'11 e il 12 ottobre organizzata dalla Rete No Expo, è stato redatto un documento politico in cui i futuri intenti dei membri attivi nelle mobilitazioni sono stati esplicitati. Non solo ostruzionismo nei confronti di Expo, non solo denuncia delle sue caratteristiche devastanti per l'assetto sociale-economico-ecologico di Milano e dintorni, ma anche una riaffermazione del Diritto alla Città. Perché la Rete No Expo non vuole limitarsi a dissentire, ma propone di rilanciare pratiche virtuose e costruttive, alternative a quelle egemoni. Pratiche di riappropriazione degli spazi cittadini che fungano da laboratorio per esperimenti di autoproduzione e autogestione e che veicolino il messaggio che un altro modo di gestione territoriale è possibile. Un'altra via che non contempli speculazione finanziaria, imposizioni dall'alto, ma che faccia leva e incentivi la partecipazione e l'inclusione; che non preveda mega-costruzioni e cementificazione, ma che avvenga nel rispetto dell'ambiente.

L'opposizione a Expo non vuole essere fenomeno temporaneo, ma banco di prova per tutti gli attori sociali impegnati nella costruzione di alternative socio-economiche e politiche. Le lotte alla precarizzazione, al consumo di suolo, alla finanziarizzazione, alla corruzione, all'industria agro-alimentare basata su biotecnologie e Ogm, la volontà di riappropriazione del potere decisionale in materia di gestione dei territori non riguardano solo l'esposizione universale di Milano e non svaniranno con la chiusura dei padiglioni il 31 ottobre 2015; continueranno ad alimentarsi e a concepire nuove pratiche di gestione inclusiva dei territori. Nell'assoluta certezza che un altro sistema è possibile. Sempre che lo si voglia trovare.

Carlotta Pedrazzini