rivista anarchica
anno 45 n. 395
febbraio 2015





Milano/
“Attenzione caduta anarchici”

A 45 anni dalla morte del compagno Giuseppe Pinelli troppe ombre attorniano la vicenda. Nel corso degli anni le istituzioni hanno cercato di seguire la via della pacificazione e della mediazione: nessuna vittima, nessun carnefice.
Al giorno d'oggi, però, non se ne parla più. Tra i giovani miei coetanei, pochi, anzi pochissimi sanno chi era Pinelli. Non ci si pone neanche più la domanda: il disinteresse è totale. Sebbene la versione ufficiale sancisca la tesi del suicidio, resteranno sempre troppi dubbi e incongruenze a riguardo. L'omertà ha vinto coprendo un omicidio di Stato e difendendo l'atto squadrista di quattro poliziotti. Il 27 ottobre del '75 tutti gli imputati furono prosciolti “perché il fatto non sussiste”. Di tutto questo non se ne parla più, e cosa ci rimane? Niente! Ecco perché bisogna tener viva la memoria!
A tal proposito, un gruppo di ragazzi appartenenti a diversi licei milanesi, hanno deciso di lanciare da una finestra della rispettiva scuola, un manichino con stampata sul volto l'immagine di Pinelli. Questi ragazzi, appartenenti a Milano Attiva (un'associazione che si occupa di informazione e cultura a livello giovanile), hanno fatto partire la campagna “Lancia il Pinelli”. L'iniziativa è stata colta con entusiasmo principalmente dai ragazzi appartenenti ai vari collettivi, e successivamente ha suscitato interesse anche negli altri. Manzoni, Vittorio Veneto, Parini, Bottoni, Beccaria, Brera, Boccioni, Virgilio: moltissimi sono i licei che hanno aderito. Ciò è servito ad informare tutti quei giovani che non sanno cosa accadde in quegli anni. Ogni scuola ha documentato il tutto con uno smartphone; i vari video sono stati assemblati e poi diffusi sul web ottenendo un discreto successo. “Aspetta a buttarlo giù, fagli avere prima un malore!”, grida un ragazzo che riprende la scena col telefonino mentre un altro lascia un cartello con su scritto: attenzione caduta anarchici.
A sinistra: Un gruppo di studenti del collettivo del liceo scientifico
milanese Vittorio Veneto. A destra: Uno dei manichini utilizzati

Con un gesto semplice e un pizzico di ironia si è riusciti a riportare nelle scuole un senso critico e coscienza storica. Una manifestazione del genere non poteva che colpire e suscitare interesse perché “la memoria è un presente che non finisce mai di passare”, o almeno così dovrebbe essere.

Tommaso Proverbio
Milano



Caso Mastrogiovanni/
A Salerno si processa la tortura, reato che (ancora) non c'è

La prima udienza del processo d'appello
Si è tenuta venerdì 7 novembre 2014, presso un'affollata aula del Tribunale di Salerno la prima udienza, subito rinviata, del processo d'appello per la morte di Franco Mastrogiovanni. Dei sei medici imputati e condannati in primo grado a pene variabili da due a quattro anni, era presente solo Michele Della Pepa, mentre dei dodici infermieri, tutti incredibilmente assolti, solo cinque hanno ritenuto di doversi presentare in aula. Il Presidente della Corte d'Appello di Salerno, Michelangelo Russo, in apertura dell'udienza, ha dichiarato, così come fece Elisabetta Garzo, Presidente del Tribunale di Vallo della Lucania nel processo di primo grado, di voler calendarizzare le udienze e concludere il processo emettendo la sentenza entro il mese di dicembre 2015.
Alla prima udienza, oltre ai famigliari del maestro cilentano, erano presenti numerosi componenti del Comitato Verità e Giustizia, i legali e i rappresentanti delle associazioni che si sono costituite parte civile e l'operaio Giuseppe Mancoletti, compagno di stanza di Mastrogiovanni che, come si vede nel “video dell'orrore”, legato al letto di contenzione, per poter bere poche gocce d'acqua dovette far cadere una bottiglia sul tavolo. Scene allucinanti che hanno fatto il giro del mondo e che fanno rabbrividire perchè ricordano i lager nazisti, i gulag staliniani e le carceri allestite dai torturatori dei regimi latinoamericani.

Il video dimostra che in Italia la tortura esiste
Dopo la vergognosa, quanto clamorosa, sentenza Cucchi vogliamo evitare che anche il processo d'appello per la morte di Mastrogiovanni abbia lo stesso esito. Mentre nel caso di Stefano Cucchi si spera che qualche testimone racconti la verità sugli autori dei due pestaggi e sulle violenze alle quali è stato sottoposto Stefano, per Mastrogiovanni la prova è agli atti ed è il “video dell'orrore” che dimostra che in Italia esiste la tortura. Il filmato della durata di oltre 83 ore costituisce una prova “inoppugnabile” e “incorruttibile” di ciò che è drammaticamente successo.
Per questi aggeggi elettronici è evidente che non valgono le false testimonianze, gli stati di rimozione e negazione e/o le alchimie processuali. I tentativi di scaricare il barile addosso ad altri (in genere ai sottoposti) si infrangono come onde del mare sugli scogli davanti alla dura realtà delle immagini che si fanno verità, storia e memoria di una morte disumana, priva di pietas e di dignità dove l'uomo, il medico, l'operatore sanitario ha annullato la propria coscienza non sappiamo ancora in nome di quale routine o ubbidienza. Nonostante la sentenza di primo grado abbia assolto i dodici infermieri siamo convinti che, nel processo d'appello, il comportamento gravemente negligente del personale sanitario in servizio sarà rianalizzato.
A suo tempo, i consulenti tecnici del GIP Rotondo, dottori Maiese e Ortano, parlarono, per il personale medico e paramedico, nella loro perizia, di negligenza commissiva nel mettere in atto una contenzione fisica con le modalità sopra descritte e di negligenza omissiva nel non controllare, monitorare e nutrire il paziente per tutto il periodo del ricovero. Da parte nostra vogliamo ribadire, come dimostra il filmato, che i dodici infermieri del reparto di psichiatria di Vallo della Lucania sono stati soggetti attivi nelle 83 ore di contenzione di Francesco Mastrogiovanni e hanno agito in prima persona (con autonomia di scelta e responsabilità così come prevede il codice) e quindi avevano l'obbligo di denunciare gli abusi e i comportamenti disumani che si verificavano sotto i loro occhi.
“Se si potesse chiederemmo che siano condannati ad essere semplicemente dei buoni medici ed infermieri”.
Con questa battuta il Presidente del Comitato Verità e Giustizia per Franco Mastrogiovanni, Giuseppe Tarallo, ha sintetizzato lo spirito che ha mosso, sin dall'inizio, i tanti cittadini che tanto hanno dato e continuano a dare tutto il loro apporto affinché venga affermata un po' di giustizia visto che la verità, su quanto è accaduto all'insegnante anarchico, ce l'ha raccontata un video della durata di oltre 90 ore.
La prossima udienza è fissata per il 10 marzo 2015.

Angelo Pagliaro
angelopagliaro@hotmail.com
del Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni



La tortura? Un reato

Chiediamo, oltre all'introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura, che sia garantito ai familiari e alle associazioni l'accesso in ogni momento ai reparti, che i pazienti siano trattati nel rispetto della propria dignità personale conservando i propri abiti civili e gli effetti personali, che siano posti nelle condizioni di poter comunicare con l'esterno, sia attraverso i personali telefoni cellulari che con i telefoni di reparto e  che sia riconosciuto loro il diritto alla propria difesa e immediata opposizione al Tso, anche attraverso l'intervento di familiari, associazioni o legali di fiducia.

Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni





Novara/
Il monumento al disertore

In piazza delle Erbe a Novara, il 2 novembre è stato inaugurato il Monumento al Disertore. A cento anni dallo scoppio della grande guerra, vogliamo tornare a gridare la nostra opposizione all'idea che ci sia sempre un nemico oltre la frontiera. Il nostro nemico non è oltre la frontiera, ma è tra noi. È colui che si arricchisce e manipola l'informazione e trova in altri la responsabilità delle nostre miserie. È colui che ogni giorno toglie a noi un pezzo di vita per non perdere i propri attuali privilegi e l'acquisizione di nuovi.

Movimento NO-F35 del novarese
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