rivista anarchica
anno 45 n. 395
febbraio 2015





Anno fine coraggio: mai


Qualche mese fa una studentessa universitaria incontra Carmelo Musumeci al polo universitario del carcere di Padova e dopo l'incontro scrive questa lettera.

Caro Carmelo,
mi chiamo Giulia, se ti ricordi ci siamo incontrati la settimana scorsa, quando sono venuta in visita al Polo Universitario per il mio progetto di tesi.
È difficile spiegare cosa ho provato a conoscerti e a conoscervi. Credevo di arrivare libera da ogni pregiudizio, invece mi sono stupita del clima che ho trovato, delle piacevoli conversazioni che ho avuto, dell'acutezza e profondità delle cose che mi avete raccontato. Ti assicuro che il 70% delle conversazioni che ho qui fuori è di un livello nettamente più basso. Mentre guidavo per tornare a casa ho capito che questo mio stupore era figlio di un pregiudizio che non sapevo di avere. Non mi stupirei di passare un pomeriggio piacevole al bar con persone qualunque, perché mi devo stupire del tempo ricco e arricchente che ho passato con voi? Quindi innanzitutto ti ringrazio e vi ringrazio perché mi avete ricordato che il pericolo dello stereotipo è sempre in agguato, la nostra mente tende a semplificare il mondo che ci circonda se non la teniamo allenata a ricercare sempre la profondità e la complessità delle cose. Grazie ancora per la disponibilità con cui mi avete accolta, trovare l'apertura proprio in un carcere era l'ultima cosa che mi aspettavo. Se puoi ti prego di estendere il ringraziamento a tutti tuoi colleghi.
La seconda parte di quello che ti vorrei dire è più difficile per me da esprimere perché tocca le corde più profonde del mio cuore. Sono rimasta colpita, tra le tante cose che mi hai detto, da una tua frase: “Studiare ti fa sentire molto di più il dolore della pena”. Ho pensato tanto a questa frase, è stata per me una chiave che ha aperto un mondo al quale non avevo mai dedicato la giusta attenzione. Mi ha fatto cambiare totalmente la prospettiva con la quale voglio scrivere la mia tesi, che non sarà di sicuro un trattato a livello internazionale, ma è mia, e anche se non la leggerà nessuno, voglio che tratti il tema dalla giusta prospettiva: la vostra.
La sera stessa avevo una cena con alcune mie amiche, non potevo smettere di parlare di te. Del modo in cui ti sei raccontato. Ancora una volta parlando con loro ho scoperto il pericolo del pregiudizio, attaccato, incrostato dentro di me.
Mentre mi parlavi non ho mai mai mai visto, neanche per un secondo, un criminale. Chi credevo di trovare? Hannibal Lecter? Davanti a me ho visto un papà, un nonno, una persona colta ed intelligente, un uomo dotato di grande empatia e doti comunicative. Ho visto il mio papà, che è anche nonno, e che è anche uomo intelligente, me lo hai ricordato tanto. Sarà che lui è il papà più bravo del mondo, ma in te ho rivisto il papà più bravo del mondo.
Insieme alle mie amiche quella sera abbiamo letto tante cose su di te, la tua storia, la tua famiglia, il tuo percorso. Io inizialmente non volevo sapere per quale reato fossi stato condannato. Avevo paura di poter cambiare idea su di te, di spaventarmi delle emozioni che ho provato ascoltandoti. Ho avuto paura di non riuscire più a vederti come uomo ma solo come delinquente. E invece no, conoscere la tua storia mi fa essere ancora più vicina a te come persona e alla tua causa. Anzi è proprio la tua storia a dare il vero senso alla tua lotta.
Mi indigno con te di vivere in una società che non offre un'altra possibilità ad un uomo, papà, nonno come te. E a tanti altri come te. Mi indigno di un sistema penale che mette anno di fine pena 9999, una grottesca ironia, una sadica dicitura, una presa in giro. Mi chiedo dove sarei adesso se quando ho sbagliato nessuno mi avesse perdonato.
Ti ringrazio per il coraggio e la forza che metti nel cercare di cambiare le cose. Non solo per te, ma in nome di un senso di giustizia più grande. Forse non conterà molto, ma conoscerti, leggere ciò che scrivi, ascoltare le tue interviste, mi ha fatto cambiare idea, mi ha tenuto il pensiero e il cuore impegnati per giorni. Ho riflettuto tanto sul significato delle parole che usiamo superficialmente tutti i giorni: colpa, colpevole, criminale, pena, buoni, cattivi. Il tuo definirti “cattivo”, in contrapposizione ai “buoni” che ti condannano ad una punizione senza vie d'uscita, è un contrasto così forte che ci costringe a rimettere in discussione la nozione stessa di bene e di male. La parola “cattivo” non sta bene con i tuoi occhi, con i tuoi modi, con la tua umanità, è un po' come il calzino con i sandali dei tedeschi per capirci, non ci sta.
Ho parlato di te al mio amore, alla mia famiglia, ai miei amici e anche alla mia nipotina, che come sempre, con i suoi 4 anni ha più ragionevolezza della maggior parte degli adulti. Forse non conterà molto ma come disse Madre Teresa, se non mettessimo la nostra piccola goccia, l'oceano sarebbe un po' più vuoto. Forse non conterà molto ma se posso fare qualcosa, ci sono.
Grazie per la tua forza, per il messaggio che passi ai più giovani, per l'impegno, per non fermarti mai di dire, scrivere, raccontare. Anno fine coraggio: mai.
Ti abbraccio,

Giulia Duca

Nello scorso numero abbiamo parlato del libro Totu sa Beridadi, autobiografia di Mario Trudu, ergastolano ostativo, condannato per sequestro di persona, in carcere da 35 anni. Uscito in anteprima con l'associazione Strade Bianche, è pubblicato ora nella collana Eretica di Stampa Alternativa. Da febbraio in libreria.