rivista anarchica
anno 45 n. 396
marzo 2015






Diario dei giorni di pena
L'affaire “Charlie Hebdo”

La prima copertina dopo la morte

...poi tutto si sciolse nella copertina. La prima copertina di Charlie Hebdo dopo l'attentato: un impegno da far tremare i polsi al più scafato dei disegnatori.
Sarà che sono diventato proprio un vecchio coglione, pronto più a commuoversi che a digrignare i denti... ma, date le premesse di questi giorni, io la trovo sublime. «Tutto è perdonato»: non osate fare nessuna violenza e guerra in nostro nome. Nessun trionfalismo, nessun vittimismo. Si riafferma solo il diritto a rappresentare l'irrappresentabile Profeta Maometto, perché quello è il coraggio del proprio mestiere. Per il resto non è il sangue versato più vicino che ci può far dimenticare a quanto se n'è versato e se ne versa dove noi non sappiamo o non vogliamo vedere. Niente rosso, un campo monocromo, verde come la speranza di un campo irlandese, e dentro questo verde non ci sono moltitudini solidali in marcia, ipocrite come i capi di stato che hanno marciato a Parigi, ma una sola figura che dice tutto. «Tutto è perdonato», perché da qui ricomincia le denuncia e la lotta.
Chioso subito la mia interpretazione: se si capovolge il disegno, il volto turbantato di Maometto, ha evidentemente il contorno di un cazzo (Charlie è pur sempre Charlie, mica la confraternita del Sacro Cuore di Gesù!) giusto sotto il cartello «Je suis Charlie»... cioè (e rivolto in special modo ai capi di stato e agli ipocriti vari) «Je suis Charlie» un cazzo!
Inoltre il verde, nell'intenzione dell'autore di questa copertina, ha certamente più a che fare col colore rappresentativo dell'Islam che con l'Irlanda. L'Irlanda è un cortocircuito mentale solo mio: in questi giorni inquieti sono andato a vedere il film di Ken Loach Jimmy's Hall e l'ho trovato bellissimo. Un dopoguerra catramoso e pesante, con gli ex-rivoluzionari giunti al potere che fanno pace con una chiesa cattolica preoccupata di consolidare la propria egemonia e i propri privilegi, a discapito del popolo. Un film politico e duro, con delle vittime e dei momenti di violenza che non trovano né l'orrore, né la catarsi del sangue, ma che si lasciano dietro l'inquieto scetticismo di una rivoluzione repubblicana tradita.
Il film e la rivista Charlie non c'entrano nulla fra di loro, ma – per la casualità del destino – questi giorni me li hanno fusi nella stessa pena.
Condivido in quest'articolo il diario dei miei pensieri, fra il 7 e il 14 gennaio del 2015, mettendo assieme anche le riflessioni già apparse sui miei profili Facebook.

La strage e il mugugno

Il 7 di gennaio intorno alle 13 mi trovo a casa dei miei genitori a Lecce, attaccato allo schermo del mio computer portatile come mi capita troppo spesso. È lì che mi arrivano le notizie e la concitazione del momento dall'altra stanza, dove la TV è accesa. Penso subito in termini molto feisbucchiani – passatemi l'orrore di questo neologismo – d'altronde è uno dei più rapidi modi di comunicare quanto ci sta a cuore: devo cambiare l'immagine del mio profilo, esprimere la solidarietà a questo pilastro della mia cultura (parlo proprio di quella personale, sono stato un grande appassionato di fumetti francesi). Grottescamente vivo un attimo, che è proprio uno ma c'è, di terrore, che si dissolve non appena leggo un breve pensiero del compagno Dino Taddei «Poveri fascistelli di Dio, evidentemente hanno capito che sarà proprio una risata a seppellirli. Figurarsi se la Francia, che in altri tempi ha decapitato anche le statue dei santi cristiani, si farà spaventare da voi». Più a lungo dura un'altra più sottile inquietudine: appare di tutta evidenza che questo sarà un banchetto ricchissimo per le jene, per i razzisti, per gli avversatori della libertà, che infatti hanno già cominciato a commentare. Come prendere le distanze? Come non prestare nemmeno l'angolo di un fianco ai sostenitori della “guerra di civiltà”? Come essere sconvolti, restando se stessi? Sentinella a che punto è la morte? Sono ore difficili queste: troppi Dei inesistenti, e ciò non di meno arrabbiati, si danno battaglia. E la notte - che sempre precede il giorno - è così buia che nessun profeta, e tantomeno i nostri pensatori, si azzarda a fare pronostici sulla sua durata.
Ma i giorni di pena alternano le sensazioni, e così, affianco alle urla delle jene, vedo anche insorgere belle compagnie, solidarietà per nulla pretestuose, una schiera consistente di gente di indubitabile fede antirazzista, antimilitarista, anarchici e compagneria varie, che inalbera – bella come il sole – la scritta JE SUIS CHARLIE.
Fatto salvo qualche mugugno per la truculenza di una satira anti-religiosa che ai nostri occhi assume un carattere ottocentesco, violentissimo, scatologico e – a gusto di alcuni – ingiustificato, brutto esteticamente, bestemmiatorio. Per esempio a molti appare davvero eccessiva la copertina di Charlie che prendeva posizione sulle esternazioni contro il matrimonio omosessuale di Monsignor Vingt-Trois – arcivescovo di Parigi – in una vignetta in cui un simpaticissimo Dio Padre - arzillo vecchietto in pantofole - viene sodomizzato da Gesù Cristo - con tanto di corona di spine, mani e piedi forati – che, a sua volta, è sodomizzato dallo Spirito Santo, rappresentato come un triangolo (all'incirca delle dimensioni di quelli per segnalare un incidente automobilistico) con un occhio al centro.
L'immagine in realtà traduce una bella obiezione: come si può appellarsi alla incongruità delle unioni fra due uomini, quando il dogma trinitario fonde addirittura tre figure percepite come maschili? Una piccola opera filosofica che fa riflettere sulle relazioni simboliche, filtrata da una cultura della trivialità che discende dritta da Rabelais e dal Villon della Grosse-Jeanne, e, passando per il frate con il cazzo omicida di Restif de la Bretonne, arriva ai romanzi porno/blasfemi dei surrealisti e di Benjamin Péret, che usciva per strada a insultare preti e monache... insomma è una tradizione culturale francese, come l'illuminismo (il ché non vuol dire che la si debba amare per forza!).

Siamo tutti Charlie

Sarà che - oltre che un vecchio coglione - sono un incorreggibile romantico, ma per me questo popolo non ha detto «Je suis Charlie» perché ha avuto Oriana Fallaci, ma perché ha avuto Giordano Bruno, Galileo Galilei e Pier Paolo Pasolini.
A me proprio l'idea del tanto peggio a tutti i costi non mi commuove...
A me, dal fondo di ghiaccio, costernazione e rabbia in cui m'ha gettato la mattinata di mercoledì 7 gennaio, ha fatto piacere vedere una mobilitazione così collettiva in difesa della satira tignosa, scorretta, aggressiva di “Charlie Hebdo”... quella satira che pareva ogni tanto un po' pesante, “louche” dicono i francofoni con la loro bella lingua. Ma è necessario, se si vuole essere cattivi, per colpire al cuore del buon senso bisogna colpire molte volte a caso. Tanto si tratta di disegni e nuvolette, mica muore nessuno.
Così, se leggo di tanti che ora prendono le distanze da quelli che esprimono solidarietà, mi infastidisco. Abbondano i “voi non li avete mai letti”, “voi non sapevate manco chi erano”, “troppo facile ora”... come dire che ci sono degli autonominati “guardiani del tempio” che diffidano i falsi amici dell'ultima ora. La ronda dei partigiani DOC.
Poi ci sono quelli che invece chiedono “quel sangue era dunque così puro?” Quelli che conoscono gli scheletri nell'armadio di Charlie, i dispetti, gli ostracismi, le lotte interne, i partiti presi... d'altronde quale gruppo, redazione, comitato - anche libertario - non ne ha?
Io li conosco da sempre quelli di Charlie - mi sono occupato di fumetti per quindici anni - non li conosco tutti, certo, e non le singole posizioni di ognuno, e vi dico anche che i miei preferiti di quella banda erano già morti da tempo come Reiser, il genio della sgradevolezza, o se n'erano già andati da un pezzetto (qualcuno anche sbattendo la porta): Cavanna, il Prof. Choron con i suoi deliri libertari e poetici, più recentemente, e per una brutta storia di censura, Siné. E allora?
A me, che li conosco, sembra amaro ma consolante che tanti che non ne sapevano niente fino a ieri, oggi si sentano colpiti, incuriositi, commossi, sconvolti. A me in generale fa piacere persino quando vedo una maglietta con la A cerchiata indossata da un quindicenne in metrò... e, anche se so che magari è solo un fatto di moda, preferisco quella moda lì a quella della svastica. A me fa piacere, non ingenera fastidio, che De André - un libertario - sia diventato post mortem il cantautore più amato del nostro immemore paese. Non mi illudo che questo ne cambi la secolare miseria, morale e reale, ma di certo non la peggiora.
Che poi, chi ha detto che dal simbolo non si possa risalire la corrente?
Io sono diventato anarchico anche perché ho ascoltato certe canzoni che all'inizio m'affascinavano per pure ragioni estetiche (come se esistesse una bellezza solo estetica).
E così viva i “Siamo tutti Charlie”, e non penso affatto che a quella redazione decimata farebbe più piacere muoversi nell'indifferenza e nei cinque minuti di silenzio per i morti, mentre prepara i prossimi numeri, i più difficili della sua travagliata storia. I nuovi amici di Charlie magari sono dei falsi amici, interessati, disonesti, tardivi... ma tutti? proprio tutti? possiamo esserne sicuri? Io dico benvenuti, benarrivati, non è mai tardi, nessuno è soprannumerario nel mio mondo, ciascuno è insperato e necessario. Sopratutto dopo che ce ne hanno ammazzati un po'. Il tempo poi saprà liberarci lui degli eventuali sciacalli.
E non penso neanche che i fascisti di Dio che hanno sparato abbiano fatto un grande affare, hanno fatto un orrore ma anche una cazzata.
Da una parte noi riscopriamo e rinfocoliamo la nostra critica all'autoritarismo, al pensiero unico, alla peste clericale fanatica, e non facciamo sconti agli oppressi di oggi, se il loro scopo è quello di diventare gli oppressori di domani. Noi diamo la nostra solidarietà alle vittime - il cuore è sempre con loro - ma la nostra testa sceglie come alleati solo i liberatori e non mai gli oscurantisti.
E i fascisti e leghisti nostrani? Gli orridi lepeniani? Quelli che oggi senza nessun titolo si fanno partigiani di Charlie?
State tranquilli, compagni, le vignette irreligiose e libertarie sono le sole armi intelligenti, bruciano le mani degli stronzi, nessuno se le può manipolare a piacimento. Dicono quello che vogliono dire.
E se per incredibile piaggeria e miopia stupidissima i quotidiani come Libero o Il Giornale le riprendessero... pensa che risate vedere    i fascisti, i razzisti, i preti pedofili, il Papa, Dio o Allah stesso, sbeffeggiati proprio su quelle pagine. Le vie dei buffoni sono infinite!
Chissà, magari qualche giovane confuso e rabbioso, ma non ancora perduto, che per noi è irraggiungibile, potrebbe persino essere toccato da un minuto di illuminazione, scoprire l'esercizio della critica, iniziare un percorso di consapevolezza. I miracoli della cultura sono gli unici nei quali non dico di credere ma quanto meno di sperare.
Non sparate ai poeti, ai pittori, ai comici, agli artisti, non perché siano sacri - per carità: sacra è la vita tutta e fascista è la morte - ma perché è come saltare su una pozzanghera. I poeti esplodono, si scompongono, si sdoppiano, vi contagiano da tutte le parti: rendono gli assassini più orrendi e gli xenofobi più palesi e grotteschi. C'è tanta vita esplosa sotto quelle raffiche infami che la morte non sa proprio che farci e ci rimanda quei disegni macchiati di sangue davanti agli occhi sconvolti e alla bocca che vuole ridere.
In alto i cuori, anche se un po' sforacchiati.
Siamo tutti Charlie. Viva la vita.

Alessio Lega
alessiolegaconcerti@gmail.com