rivista anarchica
anno 45 n. 396
marzo 2015


narrazioni

Una vita da Lalli

intervista a Lalli di Claudia Piccinelli
poesie e canzoni di Lalli
scritti di Dori Ghezzi e di Paolo Finzi


È una delle cantautrici più intense e originali nel panorama musicale italiano degli ultimi decenni. Pubblichiamo in queste pagine un'intervista, la sua discografia, alcune delle sue poesie e canzoni, gli interventi di Dori Ghezzi e di un nostro redattore.

Lalli con Pietro Salizzoni



narrazioni

La testa sì,
quella canta sempre

intervista di Claudia Piccinellia Lalli


Marinella Ollino, da Mongardino (Asti), 1956. Lalli e basta.
Dai Franti a Elia: voce solista, compositrice, poetessa e altre cose ancora.
Un pezzetto di storia, una storia a pezzetti.
Tutta dentro la musica.

Incontro Lalli una mattina colorata di un bell'autunno torinese. Mi accoglie nella sua stanza chiara, silenziosa. Il micio Tato ancora insonnolito ci fa compagnia sulla poltrona. È un trovatello, nato malato e raccolto dal cassonetto delle immondizie, a San Vincenzo.
Attento, fissa con i suoi occhi ciechi e ascolta il racconto di Lalli, mentre lei con mano leggera, di tanto in tanto, gli asciuga con un fazzoletto il mucolino, strofinandogli i baffi.

C.P.

Lalli, mi piacerebbe in questa nostra conversazione iniziare a cogliere il tuo profondo sguardo sul mondo, il tuo mondo interiore. Tu sei torinese di adozione, ancora piccola con la famiglia, dalla provincia di Asti ti sei trasferita in città. Se sei d'accordo, ti va di iniziare proprio con un balzo all'indietro, ripercorrendo la tua infanzia, le persone a te vicine che hanno segnato la tua strada?
Certo, volentieri farò un bel balzo all'indietro...
Avrò avuto quattro anni. Dalle colline di Mongardino ci siamo trasferiti a Torino dove  mio padre lavorava. All'asilo la maestra mi obbligava a stare con gli altri bambini, io invece preferivo rimanere da sola. Mi sedevo sulle scale, non volevo entrare in classe. Non mi sono mai inserita. Mia mamma era preoccupata per me. Ho impressa la sua immagine molto sofferente quando mio padre ha deciso di andarsene. Io avevo undici anni. Ha perso i capelli. “Prova a fumare, ti rilassa”, le ha detto il dottore di famiglia. Si è accesa una sigaretta e dopo qualche minuto l'ho vista addormentarsi. Così ha preso il vizio del fumo. La sua presenza mi bastava, compensava anche quella di  mio padre. Ormai  non lo vedevo più. Ma  lo amavo. Si chiamava Venanzio.
Mamma Alma aveva una predilezione per i bambini, voleva fare la maestra. Era del '29. Invece ha cresciuto i fratellini, in una famiglia contadina. Era la figlia preferita di mia nonna Marina. Io mi chiamo Marinella, come dire, una Marina piccola, curioso! Le saltavo sulle ginocchia. Sento ancora i suoi abbracci, e quel suo amore smisurato per gli animali. Come quando mio nonno tornato da caccia con una volpe ferita dalla tagliola, nonna Marina si è presa cura della povera bestiola con dedizione, costanza, senza risparmiare carezze, coccole, tenerezza.
Belle le estati a Mongardino dalla nonna! Ci rimanevo fino a settembre. Non mi piaceva tornare a Torino, la Torino Sabauda, perché non potevo parlare il dialetto. Il piemontese è diverso dal dialetto di Torino, più savoiardo, in punta di lingua. Il nostro è più largo, contadino, da mani grandi, scarpe da lavoro.
Allora mio padre: “Se stai buona, se parli bene l'italiano a scuola, ti porto a fare il sonnellino e ti lascio parlare tutto in dialetto”. E io mi sentivo liberata.
Un tempo nevicava molto di più in inverno. Nonna Marina ci preparava il dolce con la neve. Prendeva la parte sotto, bella pulita, e ci metteva lo zucchero. Zucchero e neve, il dolce più buono!
Anche lei una presenza discreta, come tutti del resto, nella mia famiglia. “Non devi essere la migliore” mi ripeteva. E mia madre, tra la guerra e i fratelli da crescere non ha potuto studiare, allora: “I libri dovranno diventare i tuoi migliori amici”. Tutti i libri di Salgari usciti in edicola me li ha comprati, e io ne ho ricomprati altri sulle bancarelle. Sono cresciuta con Salgari e Madama Butterfly. La cantava mia mamma: “Un bel dì vedremo...”. Ho la sua stessa estensione vocale. Le chiedevo di suggerirmi le parole, non me le ricordavo mai. Lei ascoltava la mia voce.

Il padre e la madre di Lalli in due foto d'epoca

Ad un certo punto ti sei aperta  alla vita politica. Come ricordi questa esperienza?
Mi sono avvicinata alla politica alle superiori. Scuole sovraffollate, i turni al pomeriggio per le lezioni. Assemblee, occupazioni. Marea di persone in mezzo alle strade. Semplicemente un'apertura al mondo. Compagne di scuola e ragazzi di altre scuole, manifestazioni. Politica militante voleva dire andare ai collettivi, ai coordinamenti.
A scuola diventai un mito. Le avanguardie erano già uscite. Ora toccava a me andare dalla bidella, prendere il megafono, far uscire tutti gli studenti dalle aule e convogliarli in palestra. Ad un certo punto, per la confusione esce il preside e mi si avvicina. All'improvviso, silenzio, disagio. “E lei di che classe è?”, “Operaia” risposi senza lasciarmi intimorire. Tutti si misero a ridere, e il preside da quella volta ha cominciato a dimostrarsi meno intransigente, insomma più comprensivo.
Poi la militanza è finita negli anni di piombo, nella repressione. Sono stati cancellati i luoghi, gli spazi fisici, la sede di Lotta Continua, di Corso San Maurizio. Non potevi far gruppo, nemmeno sederti sulle panchine: arrivava la sicurezza, chiamavano la polizia. Tutti i cinema chiusi. Un'altra perdita per noi che ci andavamo quasi ogni giorno. Costava davvero poco, un piatto di pasta e il cinema...

Lalli con Miguel Angel Acosta

Musica e scrittura, un bell'incontro. Quali circostanze ti hanno avvicinata?
Nel gruppo c'era sempre qualcuno che suonava la chitarra. Ho conosciuto Stefano Giaccone. Volevamo aprire una radio libera. Il nome c'era già: “Radio Morgana”, suona bene, tanti i riferimenti: la fata Morgana, la Morgana di Corto Maltese. Ma non avevamo i fondi, dovevamo andare in collina per affittare un ripetitore. Non ci siamo riusciti. Per raccogliere i fondi abbiamo organizzato un concerto, il mio primo concerto. Poi abbiamo iniziato insieme l'esperienza dei “Franti”. Il primo concerto in città, all'aperto. Non ricordo bene dove, ma è stata la prima rivelazione anche per me. Ho capito che era un mondo che mi si poteva aprire.
Il Cortiletto di Torino, un punto di riferimento. Era la sala prove del quartiere, non c'era bisogno di farsi le proprie cantine. Lì conoscevi tutto il mondo musicale, con la circoscrizione sempre aperta. Vicino c'era il bar dove andavano gli operai di Mirafiori. Mi piaceva molto interpretare “Voglio di più” di Pino Daniele, “America” di Gianna Nannini. E Stefano: “Prova a scrivere”. Così ho composto “Le loro voci”, per i Franti. La mia prima canzone, in una notte. Sulla strage dei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila a Beirut. Era successo all'alba. La notte ho scritto il massacro visto dalla parte di un bambino: “poco sole, pochi giochi, i bambini guardano su ....”. Quella notte non ho dormito, per il dolore.
Mi sono resa conto che potevo scrivere canzoni e che “Le loro voci” ha rappresentato un testo fondamentale.
Poi “Voghera”. Era normale far parte di collettivi femministi, spesso si avevano parenti o detenute incarcerate a Voghera. Cercavo di capire cosa significava per i parenti. E per i detenuti vivere in una situazione di assoluta a-sensorialità, quando ti lasciano la luce accesa 24 ore su 24, quando non sai se è giorno o notte, oppure stai nel silenzio senza sentire un rumore per giorni, giorni e giorni: “pietre che cadono sull'acciaio invisibile...”.
 Mio padre era molto affezionato a “Bella ciao”. Una notte, in sogno mi diceva molto affettuoso, sorridente: “Canta la mia canzone”. Al mattino mi sono alzata e ho scritto “Brigata partigiana Alphaville”, e l'ho dedicata a mio padre.

Pietro Salizzoni

Ti va di parlare dei luoghi, degli spazi che hanno connotato la tua esperienza di donna, cantante, autrice?
Vivrei in casa, sempre. Non perché non mi piaccia il mondo. Ma la mia dimensione è questa. È di nuovo stare un po' indietro. Come quelli della mia famiglia, anch'io sono così. Se devo fare, faccio. Ad esempio ho fatto l'avanguardia a scuola, in politica, la front-man nei gruppi musicali - sì, front-man, non front-woman, non c'è un modo di dirlo al femminile, bisogna dirlo al maschile-. Comunque, se devo scegliere, preferisco stare un po' più in disparte.
“Testa storta”, per la colonna sonora del film “Preferisco il rumore del mare” del regista Mimmo Calopresti, è la prima canzone che abbiamo scritto Pietro ed io. In casa, senza fatica. Un'altra rivelazione, una persona con la quale potevo scrivere tranquilla. Era proprio come essere a casa. Un non far fatica. Di fondo, c'è casa. “Èlia”, il titolo del cd del 2006, è il nome della nonna di Pietro. Ed è di nuovo casa.
Mongardino, di nuovo, è un ritorno a casa. Ma oggi io non mi sento più a casa, né a Torino né a Mongardino. Però essere nata in un posto, quando ci torni è sempre casa. I colori di Mongardino, il verde, rosso, i gialli. Diversi rossi, diversi gialli. E poi si vendemmia, in autunno, a Mongardino.
Se penso invece alla città allora è Torino, e solo Torino. Con la sua urbanizzazione e i luoghi scomparsi. La faccia della città cambia, Mongardino no. Oggi riconosco pochissimi posti. Piazza Solferino, ma perché ci ho lavorato quasi trent'anni, dove c'erano le piste per le olimpiadi. Ci sono molto affezionata . E poi certi viali e controviali alberati da percorrere sui marciapiedi, camminando.

Il calciatore Gigi Meroni. Un omaggio al cuore granata di Lalli

Quale significato e quale posto ha la musica nel tuo sentire personale?
La musica, l'ho capito da subito, un posto l'avrebbe avuto nella mia vita. A tutto tondo, non limitato a un solo periodo.
 A seconda delle fasi della vita, ha un posto più o meno grande, più o meno coinvolgente.
Dopo “Tempo di vento” del '98, il mio primo disco solista, avrei mollato, se non fosse stato per Pietro. Lui, la sua umiltà. È un chitarrista Pietro Salizzoni, non solo un autore. Un musicista che sa fare il proprio mestiere a livelli eccellenti, creare arrangiamenti particolari e capace di farli risuonare. Mi piace in particolare la musica composta da Pietro per “Ballo lento”. Ogni tanto me la canto dentro.
Diceva: “Lalli, i miei interessi sono altri, faccio il Politecnico, vorrei fare l'ingegnere ambientale. Se serve imparare a suonare il basso, il contrabbasso, il banjo per suonare con te, lo faccio”. Una persona rara, mi potevo fidare. C'era intesa profonda, sintonia.
E poi, la musica ti trascina su un palco, davanti a un pubblico. “È schizofrenico”, diceva Demetrio Stratos. Sei su un palco. Canti, senti la tua voce da dentro, ma tu non sentirai mai quello che sentono loro. In più canti da sola, fai finta di rivolgerti a qualcun altro che ti sta di fronte. Ma il pubblico è una entità astratta, un'altra forma di schizofrenia. Charlie Parker suonava di schiena, fino alla fine della sua carriera ha suonato di spalle, ed era Charlie Parker.
La musica fa parte di me, anche quando non tengo concerti pubblici o non scrivo con Pietro canzoni. Io suono sempre. Io canto sempre. Ho la testa che canta, pensa a una canzone, alle parole, alla melodia, a come cantarla. Mi sveglio cantando.
Nulla sfugge alle regole della musica, alla sua legge, neanche le persone, i rapporti umani, l'amore, gli affetti. In qualche modo stanno lì dentro.
Quando hanno saputo della mia grave malattia, dalla Toscana, mia zia Mirella e mio cugino Marco - non li vedevo da vent'anni - mi hanno accolta in casa loro, a San Vincenzo. Salvata un'altra volta perché da sola non potevo accudirmi. Come dire, è un sentire comune, un'armonia, un essere nello stesso tempo. Marco da un anno è ritornato a Torino. La vita ti riporta ai tuoi luoghi.
Quando c'è molta sofferenza, smetto di ascoltare musica. Come sento una nota mi si stringe la gola. Ma devo essere forte. Allora smetto di ascoltare, anche per mesi, e mi sembra di stare meglio.

Una foto di scena del film “Nemmeno il destino”,
con il regista Daniele Gaglianone

E la tua filosofia di vita?
Sono una contadina. Stefano - siamo stati compagni per più di sette anni - ogni tanto mi rimproverava: “Sei troppo semplicistica, troppo contadina”. Invece io rivendico questo mio essere contadina. Perché le cose della vita sono semplici, magari sono difficili da raggiungere, da spiegare, da rendere. Come la semplicità della musica è difficile da realizzare. Dietro la semplicità c'è un lavoro enorme. Enorme. Enorme.
Come ad un concerto, tutto bello, sì. Pensa a quello che si è svegliato alle quattro del mattino per costruire il palco, a quello che si presenta dopo qualche ora per allestire le luci, a quell'altro che lavora da mesi per creare certi effetti. Lavoro, sì tanto lavoro.
Per trovare un accordo di una canzone, magari ci si mette anche sette, otto mesi: “No la melodia lì non va bene, è ridondante... No no Pietro, guarda ci ho ripensato... “.
I miei sono tempi da contadina. Ho bisogno di un bel paio di maniche lunghe per masticare il dolore, poterci stare dentro, sopravvivere. Maturare un abbandono, una mancanza. Devi sentirla come vera, reale, buona. Conviverci. E poi accettare che “non è”. E basta. Imparare la rassegnazione. Ci vuole tempo. Per me che sono una contadina, una ribelle di natura non è facile. Forse non la imparerò mai. Invece essere più in pace con me stessa, quello sì, credo di averlo imparato. Anche questa è una forma di rassegnazione.
Oggi puoi fare l'equilibrista, il cantante, il pittore dadaista, non importa. È la legge dell'immagine ad essere dominante, nient'altro. E a questo non ci si rassegna facilmente. Perché poi la vita batte e quell'immagine lì va a farsi fottere. Quando hai bisogno di una mano, a cosa serve che l'altro sappia usare la sua mano, solo per un selfie!

A chi si rivolgono le tue parole in musica?
Da ragazze e ragazzi ho ricevuto tantissime lettere. Mi parlano come se fossi entrata in casa loro, sapessi cosa stanno passando, vivendo. Si mettono l'iPod e sei nelle loro orecchie, nella loro testa. E non sai dove sei capitata. Non sai con la musica dove puoi arrivare.
Lettere intense esprimono il bene che sembra tu abbia fatto loro. Invece hai solo scritto una canzone. Certo, gratifica molto. Ma si incappa anche in situazioni particolari. Innamoramenti, crisi di gelosia. Vorrebbero mettersi con te perché ti conoscono già prima di incontrarti, attraverso le canzoni.
Oggi, con la mia malattia, non ho il fiato per cantare. Allora scrivo. Scrivo poesie. Ma lo dico anche in “Fuochi I”: “nella testa la musica non si ferma mai”.
Io ho sempre la testa che pensa, suona, scrive, canta. La testa canta. La testa sì, quella canta sempre.

Claudia Piccinelli





Brigata partigiana Alphaville
(dall'album Tempo di vento)

Scesi dall'auto a toccare il mondo
come venuti dalle stelle
ci guardavamo attorno, senza fretta.
I colletti alzati delle giacche,
erano rondini senza vento,
nella testa solo un richiamo,
rumore sordo di mare, un uragano.
Mi sorprendono gli occhi di tua madre,
mi trapassano, se ne vanno,
proprio mentre il ponte
saltava in mille scintille...
Oggi sono vecchio e stanco,
è aprile e vento, ho più paura,
così sono venuto a chiederti,
fammi questo piacere,
ti prego, questo piacere
Canta la mia canzone preferita
ti prego, canta,
cantala in questa mattina
appena appena impazzita,
cantala dove la mia mano ti potrà vedere,
cantala dove anche il mare
si può riposare
Vedi, non potevo davvero,
non potevo di certo
guardare le altre luci brillare
senza provare a toccarle,
canta la mia canzone preferita,
ti prego, canta,
cantala in questa mattina
appena appena impazzita



Mostar
(dall'album Tempo di vento)

Senti la neve, com'è calda qui
Nessun rumore e anche il cecchino si dev'essere stupito
Senti la neve? Senti la neve?
Lavoravo qui con mio padre
e un pezzo di quel ponte, sai, era anche mio,
e di un poeta che non voleva morire per i confini dei potenti
Senti la neve? senti la neve?
Solo l'odio e le cicatrici, diceva,
ci sarebbero venuti dietro per sempre con le nostre ombre
come le nostre ombre,
come le nostre orme sopra la neve
Com'è fredda qui tra le mie dita
Senti la neve? Senti la neve?
Un colpo dietro l'altro ha coperto tutto
ha coperto tutto ma non proprio tutto
adesso i miei occhi vedono tutto bianco, senza confini,
vedono tutto quello che non c'è più,
ci distinguo ancora la luna,
ma sono così stanco, adesso mi riposo un po'
qui sulla neve
Senti la neve? Senti la neve?



Aria di Buenos Aires  
(dall' album Tempo di vento)

Qui non vengono più a posarsi gli arcobaleni
e le nuvole alte, così larghe
da tenersi stretto il vento sottobraccio e il sole tra i denti,
il giovedì pomeriggio in questa Piazza di Maggio,
tutte qui, mezze a Torino e mezze a Buenos Aires.
Come per magia eccole uscire dai corsi immensi,
scivolate fin qui come nebbia in novembre,
indossano foto sbiadite e nessuno sembra vederle,
eppure gridano nomi, posti e date,
ognuno una nuvola, uno sparo su Buenos Aires.
E d'improvviso è già qui un vento caldo che sa un po' di terra
ma è quasi un tango
e batte piano così come una lingua che sa un po' di sale
ed è proprio un tango.
Dietro la porta si sente il mare,
le donne in nero le pietre portate fin qui,
addosso il dolore di un silenzio,
ma qui sotto i seni il caldo del cuore, del tempo di un'onda
in questa stanza al confine con Buenos Aires



Ballo lento
(dall'album All'improvviso, nella mia stanza)

Una nuvola di fumo
che ci scopre lentamente
corpi stretti nell'abbraccio
in un ballo senza tempo
La camicia stropicciata
sulle braccia abbandonate
il tremore della terra
E mi stringo nella testa
per non fare uscire il grido
tutto è solo e abbandonato
Sarà così, si farà da sé
parlerà per me
Sarà così
Dimmi il nome e la ragione
perché un cuore sconosciuto
lascia più vergogna e più ferite
Vorrei bastasse dirti - Guarda
porgendoti uno specchio
e il tremore delle mani
È solo un ballo lento
nell'urgenza della voce,
fra i battiti del tempo,
fra i respiri del silenzio,
nelle pieghe delle case
sulle pagine del mondo
la canzone
si scriverà
da sé
parlerà per me
Sarà così, si farà da sé
parlerà per me
Sarà così



La fiaba di Nushe
(dall'album All'improvviso, nella mia stanza)

Dal foulard le spuntava
un ricciolo scuro
come il tempo di temporale
a far buia la strada
e ombra sul viso
E Nushe non apre la mano
continua a cantare
si fa compagnia
mentre rondini pazze di inverno
da sotto il vestito
le volano via
Salta dal carro
saltale addosso
copri la bocca adesso
poi casca il mondo
casca la terra
Il foulard cade piano
un ricciolo chiaro
come l'alba dal campo
a far luce sui monti
e livido il viso
E Nushe riapre la mano
sul labbro gonfio
la vergogna e l'orrore
di portare nel ventre un seme d'offesa
che dovrebbe
esser solo d'amore
Salta dal carro
saltale addosso
copri la bocca adesso
poi casca il mondo
casca la terra



Samira piccola
(dall'album All'improvviso, nella mia stanza)

Samira piccola comincia a contare
prima le onde e sulle onde le file
Poi passa alle stelle, ma fai attenzione
perché in questa notte senza comete
sarà per noi una di vetro
a indicarci la via e l'approdo
Chiudi gli occhi, mio piccolo pane,
lasciati andare e vedrai il bosco
nell'acqua che non aspetta,
ogni gemma un grano di riso
Nel mio sogno ero in cima a un ulivo
e non potevo restare e non potevo cadere
Nonna, ho paura e il bosco che vedo
non lo riconosco
e le luci laggiù mi confondono il conto,
sono stanca e noi siamo buio
e la nostra stella suderà per trovarci
Nonna, tienimi stretta, nonna cantami un poco
Nel mio sogno tutto brillava
al suono di una musica che non sentivo,
dondolavano i rami spargendo polvere
di sabbia e d'argento sul fondo del bosco,
così finalmente potevo volare
Ora prova a dormire, mia principessa
Ma fu un'altra stella, figlia del mare,
a guidarle fino al fondo del mondo
accanto ad un nome scritto su un coccio
sepolto per sempre di là dalle mura
della terra bagnata da un altro dio
Samira piccola, così l'ho trovato
Samira piccola



Le loro voci
(dall'album dei Franti Non classificato)

Poco sole, pochi i giochi, i bambini guardano su
Una scia graffia il cielo, occhi scuri cercando un se
Inventa madre, tu che sei dolce
storie impaurite di felicità
presto il sonno ci prenderà, suoni lievi la tua voce
Quattro di mattina piove piano, me li vedo i marciapiedi
trasparenti il buio e i neon, è solo un altro giorno
Ti svegli e sei dentro un sogno,
mi dici “dormi”, guardi l'ora
una piega cancella il tuo viso,
suoni lievi la tua voce
Una mano conta i minuti, respira storie di gioia bruciata
Una mano tatuata sul palmo, è fredda è notte è Beirut.
Sembra una notte come tante, ruba ancora aria là fuori
Occhi feroci uccidono il giorno, forse domani solo una foto.
Mani, le mie, mani su Beirut,
taglio di luce spezza il sorriso
Mani, le mie, mani, il cuscino, la fine del sonno è dentro.
Sembra una notte come tante,
quasi sento gridare qua sotto
Si, lo so, è molto lontano
anche la strada è sempre uguale


Discografia e...

1981 – Lalli partecipa alle registrazioni del demo dei Luna Nera (progetto precedente ai Franti): tre canzoni, due delle quali sono presenti nel cd “Estamos en todas partes” (ed. stella*nera, 2005).
1982 – Esce la cassetta di debutto di Franti “A/b” (autoprodotta). Lalli è però assente, alla voce c'è Luca Colarelli dei Deafear.
1983 – Esce la cassetta di Franti “Luna nera” (autoprodotta). Con Lalli, troviamo Massimo d'Ambrosio, Vanni Picciuolo, Marco Ciari, Stefano Giaccone ed altri.
1984 – Esce uno split LP autoprodotto e senza titolo di Franti e Contrazione. A distanza breve le registrazioni di “Luna nera” vengono ristampate su LP.
1986 – Esce l'album di Franti “Il giardino delle 15 pietre” (LP, ed. Blu Bus / P.E.A.C.E.), preceduto dal singolo “Acqua di luna” (ed. Blu Bus / P.E.A.C.E.). Sul lato b del singolo sono raccolti i contributi di Lalli, Stefano Giaccone e Vanni Picciuolo dei Franti alla raccolta di poesie “Schizzi di sangue” (MC, ed. Blu Bus, 1985).
1987 – I Franti raccolgono quasi tutto il materiale pubblicato nel box “Non classificato” (ed. Blu Bus): oltre all'album “Luna nera”, alle registrazioni comparse nello split LP con i Contrazione e all'album “Il giardino delle quindici pietre”, troviamo il miniLP “Nel salto dell'ascia sul legno” e molte registrazioni inedite. “Non classificato” è stato ristampato più volte sia in versione 2CD (ed. Blu Bus, 1992) che 3CD (ed. stella*nera, 1999).
1988 – con Stefano Giaccone dei Franti, Lalli forma il gruppo Environs. Esce il singolo “No man can find the war” (ed. Inisheer).
1989 – Esce l'album degli Environs “3 luglio 1969” (LP, ed. Inisheer). Esce qualche mese dopo l'album “Canzoni” degli Orsi Lucille (LP, ed. Inisheer): nel gruppo insieme a Lalli anche gli altri ex-Franti Vanni Picciuolo, Massimo d'Ambrosio e Stefano Giaccone.
1990 – Gli Environs pubblicano l'album “Cinque parti” (LP, ed. Inisheer). Nel 2001 una selezione delle registrazioni degli Environs è stata raccolta in “Un pettirosso in gabbia...” (CD, stella*nera). Lalli e Stefano Giaccone si presentano in duo come Howth Castle e pubblicano l'album “Rust of keys” (LP, ed. Inisheer).
1992 – Esce l'album “Due” degli Orsi Lucille (LP, ed. Inisheer).
1994 – Esce “Good morning, Mr. Nobody!” degli Howth Castle (CD, ed. Blu Bus).
1995 – Lalli e Vanni Picciuolo formano il gruppo Ishi; che pubblica l'album “Sotto la pioggia” (CD e LP, ed. Blu Bus).
1996 – Esce “The lee tide” degli Howth Castle (CD, ed. Inisheer).
1998 – Lalli debutta come solista con l'album Tempo di vento” (CD, ed. il Manifesto). Oltre diecimila copie vendute. La rivista “Il mucchio selvaggio” lo premia come miglior opera prima.
1999 – Esce “Tra le dune di qui” (CD, ed. On/Off) che contiene la canzone “Le donne quando restano sole”. Lalli vince il Premio Ciampi.
2000 – La canzone “Testa storta”, scritta da Lalli e Pietro Salizzoni, compare nella colonna sonora del film di Mimmo Calopresti “Preferisco il rumore del mare”. Lalli ed il cantante e chitarrista argentino Miguel Angel Acosta propongono lo spettacolo “Vengo a ofrecer mi corazon”, un recital / omaggio alla musica di Leon Gieco e Violeta Parra che ottiene grande successo e viene rappresentato anche a Londra.
2001 – Lalli partecipa a “Come fiori nel mare”, tribute CD a Luigi Tenco, con una personalissima versione di “Vedrai, vedrai”.
2003 – Esce “All'improvviso nella mia stanza” (CD, ed il Manifesto) che contiene alcune perle tra cui “Canzone del ritorno” e “Ballo lento”.
2004 – Lalli partecipa a “Mille papaveri rossi”, tribute CD a Fabrizio de André (ed. stella*nera / Editrice A), con un'interpretazione struggente di “Ave Maria”. Esordisce come attrice nel film “Nemmeno il destino” di Daniele Gaglianone, presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che ottiene numerosi riconoscimenti fra i quali i premi come Migliore Regia e come Migliore Attrice al Sulmona Cinema Festival e il Premio Tiger Award al Festival del Cinema di Rotterdam.
2005 – Seconda esperienza come attrice nel film “Senza fine” del regista torinese Roberto Cuzzillo.
2006 – Lalli e Pietro Salizzoni pubblicano l'album “Elia” (CD, ed. il Manifesto).
2012 – Lalli e Pietro Salizzoni realizzano l'album dal vivo “Elia in concerto” (CD, ed. Felmay).

a cura di Marco Pandin







Strade nel nodo della mano.
La mia collina, un dono,
un sogno davvero.

a Mongardino


Quando torno a casa,
conosco a memoria le curve,
riconosco ogni petalo sul quale salivo
per intraprendere la terra di sempre
e l'abisso di domani.
Sono ancora piccoli boschi in discesa, scarpe,
rive, fossi, capelli sudati, zappe,
che sovrastano donne e uomini,
chini,
nelle vigne,
sull'affanno dei soldi per comprarsi la vita,
sul riposo che la sera viene a riempire i piatti della cena,
e non basta mai.
E ancora, da sempre,
nel buio, canto.


C'è calma,
mentre i miei pesi salgono a spinta.
Quand'ero bambina,
la domenica pomeriggio,
preferivo stare a guardare
gli altri bambini giocare.
Non sembra vero, adesso,
sia bastata una rete a catturare il cielo.


Mi conosci,
senza luci e rumori.
Mi manca sempre la neve,
sotto il cielo di Torino.
Cammino sul ciglio,
da tanto.
Le foglie mi cadono addosso.
Imparo, ogni giorno,
piccole cose.


La musica,
la sento anche quando dormo.
Quando non ho più forze,
fiato, risorse,
riesco ancora cantare,
anche nel sonno.
Per la strada, la musica è una magia.
Per favore, non dirlo a mia madre,
altrimenti si spaventa,
esce e viene a cercarmi.
- Qualcuno ha visto la mia bambina?
Dove sono le giunchiglie della musica?
perché è lì che è andata,
ne sono certa -


Se le assi con cui sono costruiti i palchi
potessero tornare indietro nel tempo,
ecco, il bosco della musica.


Passi,
lucenti come le pratoline alla rugiada.
Se ci fosse il mare, qui,
verrebbero su svelti dalla collina,
lasciandosi alle spalle
il posto dove io so
vanno a dormire i gabbiani.


Avete presente Nina Simone ed Edith Piaf?

Tra i molti tributi musicali dei primi anni in onore di Fabrizio, uno che mi colpì in particolar modo, affascinandomi davvero molto, fu una versione dell'Ave Maria interpretata da una voce particolarissima e profonda, che mi ricordava quelle straordinarie cantanti soul – che ho sempre tanto adorato – come Nina Simone.
Ho poi scoperto che quella voce apparteneva a Lalli, un'artista che prima d'allora non avevo ancora avuto occasione di ascoltare. 
Il desiderio di conoscerla di persona è stato immediato e quando finalmente ci siamo incontrate, ho scoperto che questa enorme voce è contenuta in uno scricciolo di donna, il che ha suscitato in me ancora più curiosità e meraviglia.
Poco dopo ho avuto il piacere di assistere a un suo concerto, ed è stata un'ulteriore conferma del suo temperamento e della forza della sua arte. Una presenza scenica alla Edith Piaf.
Credo che Lalli – come purtroppo spesso succede – se fosse nata in un paese di respiro più internazionale, sarebbe considerata un'artista di primo piano, pur conservando la sua tanto rivendicata anima contadina, “in volo per il mondo”.

Dori Ghezzi

A forza di essere Lalli

di Paolo Finzi

A spasso per il centro di Torino, tra un caffè sabaudo e il ricordo di un corteo, una sala di registrazione, una trattoria di compagni.
Pezzi di memoria collettiva, spunti per riflessioni individuali.

Conosco Lalli da oltre una trentina d'anni, più di metà della sua vita, quasi metà della mia. La prima immagine, nel buio di un centro sociale nei pressi delle colonne di San Lorenzo, nel quartiere Ticinese, nella Milano dei primi anni ‘80, è quella di una donna magra, fragile, con una voce della madonna, di quelle che ti fanno accapponare la pelle, forte e sensuale (la voce), modulata e soprattutto calda, voce solista dei Franti. E già in quell'occasione – almeno nel ricordo che vivido conservo – c'è un aspetto essenziale della “mia” Lalli. Antagonista, combattiva, determinata – non a caso è la voce e la “punta” dei tostissimi Franti – ma al contempo dolce, sentimentale mi verrebbe voglia di dire, intima.
E sono queste le caratteristiche della compagna, della donna con cui in una calda giornata dell'ottobre torinese mi ritrovo a girovagare per il centro del capoluogo sabaudo. Un giro bello, ricco di spunti, carico (a volte, mi pare, sovraccarico) di memoria. Questa mattina Lalli se la sente, “ma sì, andiamo in centro”, un viaggetto in tram, una sosta per un caffè nello storico bar in piazza Castello e poi: qui c'era la sala di registrazione, lì ci trovavamo nel ‘77 noi dei collettivi studenteschi, qui ricordo una manifestazione con un casino di gente, poi ci furono cariche e scontri... Pezzi di memoria, pezzi di una storia collettiva a prima vista uguale per tanti di noi: la nostra generazione, le nostre generazioni (io ho 5 anni più della mia anfitriona, 5 anni pesanti, lo spartiacque tra chi è arrivato prima del ‘68 e chi dopo la perdita dell'innocenza rappresentata da piazza Fontana e l'assassinio Pinelli).

Al punto da sembrar fragile

Decenni dopo (Tradiscono i decenni, saranno gli anni fa cantava Amedeo Minghi) contano più le atmosfere, i sentimenti, la loro rielaborazione da parte di una memoria selettiva che non è più collettiva, ma individuale. La Lalli è la Lalli, io sono io. E ognuno è se stesso. Abbiamo fatto cose in parte analoghe, in parte diverse: storia, una gran bella storia, ma passata.
È l'oggi di questa piccola grande donna, esile come la sua voce al punto da sembrar fragile, ma forte di una consapevolezza interna che è frutto di riflessioni, sofferenza, sofferenze, comunque di un grande lavoro interiore. Voluto? Spontaneo? Non lo so, non m'interessa. Sento solo che le sue parole mi piacciono, non solo in sé, ma per quanto lasciano intuire, trasparire: un percorso così diverso dal mio – altro genere (e già questo...), altra città, altre frequentazioni politiche, lei la musica, ovunque musica, io più sulla parola, lo scritto, ecc..
Anche se poi, spulciando e sfogliando libri e opuscoli esposti in piccole bancarelle di piazza Vittorio Veneto, bancarelle spesso senza nemmeno la bancarella (un tavolino e basta e scatoloni aperti) ritroviamo e ci segnaliamo libri e opuscoli che a volte allora inconsapevoli abbiamo condiviso, altre volte ci segnaliamo reciprocamente ora per la prima volta. Quella scrittrice, il resoconto di un processo, il ricordo di un autore.

Quella religione

In altra occasione – una delle tante di comune ricordo e riflessione – spunta un piccolo crocefisso. Ricordo a Lalli che ben lo notai al suo collo, una volta che anni – tanti anni – fa passò con Pietro a Milano, in redazione, prima di un concerto al circolo Arci “Matatu” (oggi non c'è più, come tante cose di cui parliamo). Le chiedo, se se la sente e la mia curiosità non le risulti invasiva, della fede. E fa capolino una sua sosta, nel corridoio di un ospedale torinese, quando diretta a una visita oncologica importante sente l'esigenza di fare una sosta nella cappelletta che si affaccia sul corridoio, e di una piccola preghiera silente. Fede? Cattolicesimo?
Non posso in poche righe “spiegare” io quel che non conosco e che ho solo cercato di capire. Chiederò a Lalli se le sembri opportuna, se se la sente che riferisca in pubblico di questi suoi pezzetti di vita raccontata. Di religione, zen buddhismo, silenzio, privilegi clericali e sterminii in nome di dio, parliamo a lungo. Saltano fuori le mie lunghe e per me bellissime chiacchierate di ore ed ore con don Andrea Gallo, il mio perdurante ateismo, ma con un approccio non più antagonistico e aggressivo con la sensibilità religiosa, il nostro comune “anticlericalismo” (se i privilegi e le pretese vaticane contrastare bisogna, nessun dubbio: ci siamo). Mi colpisce un'affermazione di Lalli, che dopo tante letture “orientali”, afferma che se comunque un riferimento anche religioso dovesse sentire il bisogno di ritrovare, le sembra naturale che sia alla religione in cui è stata allevata e cresciuta, se pure per poi distaccarsene. A quel cattolicesimo che la madre – figura cui tanto fortemente e complessamente è legata – e la nonna e le altre donne della sua infanzia le trasmisero.
Già la madre, questa donna che quando anni fa iniziai ad andare a parlare con Lalli a Torino, ritrovavo accanto a Lalli e ben ricordo. E la cui mancanza, in relazione alla Lalli di oggi, colgo credo appieno.

Con il solito treno

Tra gli altri temi, la violenza. Il tema forse per me “per eccellenza”, quello cui maggior tempo e sofferenza e riflessioni ho dedicato e dedico – credo – da sempre. Con un rifiuto sempre più radicato e convinto, che mi porta a valorizzare l'etica e le tecniche della nonviolenza che però non sento del tutto mia, perché troppo ho presenti le drammatiche contraddizioni del vivere. E soprattutto non mi piacciono le soluzioni “a tavolino”, ideologiche, e cerco di partire e di arrivare nella concretezza delle esperienze, dell'esperienza.
Bando alle spataffiate. Con Lalli la sintonia mi pare davvero profonda. Nel suo racconto, comprese le risposte a mie specifiche domande, viene fuori una Lalli che direi a disagio nel ruolo di donna di punta di un gruppo (i Franti) e poi di esperienze comunque vissute e apprezzate nell'area dell'antagonismo duro, combattente. Le P38 virtuali, quelle dita delle mani a simboleggiarle, le pesavano già allora e le sono pesate quando, molto tempo dopo, rifecero come gruppo un concerto a Torino e i loro (e quindi anche suoi) fan espressero così la loro lettura del messaggio frantesco. Ma Lalli, mi dice, non ci stava allora e tantomeno c'è stata più recentemente. C'è stata male.
“Si vive una volta sola in questo mondo, almeno non lasciamo pratiche e ricordi di violenza contro le persone” mi dice. Ne parliamo complessivamente per ore. Ne parleremo ancora, di questo come delle foglie, di Mongardino, di sua mamma, dell'anarchia e dei sogni.
Al prossimo appuntamento, piccola grande amica. Con il solito treno da Milano Centrale delle 7.18.

Paolo Finzi


Gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso

dall'Ave Maria

di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi