narrazioni
Una vita da Lalli
intervista a Lalli di Claudia Piccinelli poesie e canzoni di Lalli scritti di Dori Ghezzi e di Paolo Finzi
È una delle cantautrici più intense e originali nel panorama musicale italiano degli ultimi decenni. Pubblichiamo in queste pagine un'intervista, la sua discografia, alcune delle sue poesie e canzoni, gli interventi di Dori Ghezzi e di un nostro redattore.
|
Lalli con Pietro Salizzoni |
narrazioni
La testa sì, quella canta sempre
intervista di Claudia Piccinellia Lalli
Marinella Ollino, da Mongardino (Asti), 1956. Lalli e basta. Dai Franti a Elia: voce solista, compositrice, poetessa e altre cose ancora. Un pezzetto di storia, una storia a pezzetti.
Tutta dentro la musica.
Incontro Lalli una mattina colorata di un bell'autunno torinese.
Mi accoglie nella sua stanza chiara, silenziosa. Il micio Tato
ancora insonnolito ci fa compagnia sulla poltrona. È
un trovatello, nato malato e raccolto dal cassonetto delle immondizie,
a San Vincenzo.
Attento, fissa con i suoi occhi ciechi e ascolta il racconto
di Lalli, mentre lei con mano leggera, di tanto in tanto, gli
asciuga con un fazzoletto il mucolino, strofinandogli i baffi.
C.P.
Lalli, mi piacerebbe in questa nostra conversazione iniziare
a cogliere il tuo profondo sguardo sul mondo, il tuo mondo interiore.
Tu sei torinese di adozione, ancora piccola con la famiglia,
dalla provincia di Asti ti sei trasferita in città. Se
sei d'accordo, ti va di iniziare proprio con un balzo all'indietro,
ripercorrendo la tua infanzia, le persone a te vicine che hanno
segnato la tua strada?
Certo, volentieri farò un bel balzo all'indietro...
Avrò avuto quattro anni. Dalle colline di Mongardino
ci siamo trasferiti a Torino dove mio padre lavorava.
All'asilo la maestra mi obbligava a stare con gli altri bambini,
io invece preferivo rimanere da sola. Mi sedevo sulle scale,
non volevo entrare in classe. Non mi sono mai inserita. Mia
mamma era preoccupata per me. Ho impressa la sua immagine molto
sofferente quando mio padre ha deciso di andarsene. Io avevo
undici anni. Ha perso i capelli. “Prova a fumare, ti rilassa”,
le ha detto il dottore di famiglia. Si è accesa una sigaretta
e dopo qualche minuto l'ho vista addormentarsi. Così
ha preso il vizio del fumo. La sua presenza mi bastava, compensava
anche quella di mio padre. Ormai non lo vedevo più.
Ma lo amavo. Si chiamava Venanzio.
Mamma Alma aveva una predilezione per i bambini, voleva fare
la maestra. Era del '29. Invece ha cresciuto i fratellini, in
una famiglia contadina. Era la figlia preferita di mia nonna
Marina. Io mi chiamo Marinella, come dire, una Marina piccola,
curioso! Le saltavo sulle ginocchia. Sento ancora i suoi abbracci,
e quel suo amore smisurato per gli animali. Come quando mio
nonno tornato da caccia con una volpe ferita dalla tagliola,
nonna Marina si è presa cura della povera bestiola con
dedizione, costanza, senza risparmiare carezze, coccole, tenerezza.
Belle le estati a Mongardino dalla nonna! Ci rimanevo fino a
settembre. Non mi piaceva tornare a Torino, la Torino Sabauda,
perché non potevo parlare il dialetto. Il piemontese
è diverso dal dialetto di Torino, più savoiardo,
in punta di lingua. Il nostro è più largo, contadino,
da mani grandi, scarpe da lavoro.
Allora mio padre: “Se stai buona, se parli bene l'italiano
a scuola, ti porto a fare il sonnellino e ti lascio parlare
tutto in dialetto”. E io mi sentivo liberata.
Un tempo nevicava molto di più in inverno. Nonna Marina
ci preparava il dolce con la neve. Prendeva la parte sotto,
bella pulita, e ci metteva lo zucchero. Zucchero e neve, il
dolce più buono!
Anche lei una presenza discreta, come tutti del resto, nella
mia famiglia. “Non devi essere la migliore” mi ripeteva.
E mia madre, tra la guerra e i fratelli da crescere non ha potuto
studiare, allora: “I libri dovranno diventare i tuoi migliori
amici”. Tutti i libri di Salgari usciti in edicola me
li ha comprati, e io ne ho ricomprati altri sulle bancarelle.
Sono cresciuta con Salgari e Madama Butterfly. La cantava mia
mamma: “Un bel dì vedremo...”. Ho la sua
stessa estensione vocale. Le chiedevo di suggerirmi le parole,
non me le ricordavo mai. Lei ascoltava la mia voce.
|
|
Il padre e la madre di Lalli in due foto d'epoca |
Ad un certo punto ti sei aperta alla vita politica.
Come ricordi questa esperienza?
Mi sono avvicinata alla politica alle superiori. Scuole sovraffollate,
i turni al pomeriggio per le lezioni. Assemblee, occupazioni.
Marea di persone in mezzo alle strade. Semplicemente un'apertura
al mondo. Compagne di scuola e ragazzi di altre scuole, manifestazioni.
Politica militante voleva dire andare ai collettivi, ai coordinamenti.
A scuola diventai un mito. Le avanguardie erano già uscite.
Ora toccava a me andare dalla bidella, prendere il megafono,
far uscire tutti gli studenti dalle aule e convogliarli in palestra.
Ad un certo punto, per la confusione esce il preside e mi si
avvicina. All'improvviso, silenzio, disagio. “E lei di
che classe è?”, “Operaia” risposi senza
lasciarmi intimorire. Tutti si misero a ridere, e il preside
da quella volta ha cominciato a dimostrarsi meno intransigente,
insomma più comprensivo.
Poi la militanza è finita negli anni di piombo, nella
repressione. Sono stati cancellati i luoghi, gli spazi fisici,
la sede di Lotta Continua, di Corso San Maurizio. Non potevi
far gruppo, nemmeno sederti sulle panchine: arrivava la sicurezza,
chiamavano la polizia. Tutti i cinema chiusi. Un'altra perdita
per noi che ci andavamo quasi ogni giorno. Costava davvero poco,
un piatto di pasta e il cinema...
|
Lalli con Miguel Angel Acosta |
Musica e scrittura, un bell'incontro. Quali circostanze
ti hanno avvicinata?
Nel gruppo c'era sempre qualcuno che suonava la chitarra. Ho
conosciuto Stefano Giaccone. Volevamo aprire una radio libera.
Il nome c'era già: “Radio Morgana”, suona
bene, tanti i riferimenti: la fata Morgana, la Morgana di Corto
Maltese. Ma non avevamo i fondi, dovevamo andare in collina
per affittare un ripetitore. Non ci siamo riusciti. Per raccogliere
i fondi abbiamo organizzato un concerto, il mio primo concerto.
Poi abbiamo iniziato insieme l'esperienza dei “Franti”.
Il primo concerto in città, all'aperto. Non ricordo bene
dove, ma è stata la prima rivelazione anche per me. Ho
capito che era un mondo che mi si poteva aprire.
Il Cortiletto di Torino, un punto di riferimento. Era la sala
prove del quartiere, non c'era bisogno di farsi le proprie cantine.
Lì conoscevi tutto il mondo musicale, con la circoscrizione
sempre aperta. Vicino c'era il bar dove andavano gli operai
di Mirafiori. Mi piaceva molto interpretare “Voglio di
più” di Pino Daniele, “America” di
Gianna Nannini. E Stefano: “Prova a scrivere”. Così
ho composto “Le loro voci”, per i Franti. La mia
prima canzone, in una notte. Sulla strage dei campi profughi
palestinesi di Sabra e Shatila a Beirut. Era successo all'alba.
La notte ho scritto il massacro visto dalla parte di un bambino:
“poco sole, pochi giochi, i bambini guardano su ....”.
Quella notte non ho dormito, per il dolore.
Mi sono resa conto che potevo scrivere canzoni e che “Le
loro voci” ha rappresentato un testo fondamentale.
Poi “Voghera”. Era normale far parte di collettivi
femministi, spesso si avevano parenti o detenute incarcerate
a Voghera. Cercavo di capire cosa significava per i parenti.
E per i detenuti vivere in una situazione di assoluta a-sensorialità,
quando ti lasciano la luce accesa 24 ore su 24, quando non sai
se è giorno o notte, oppure stai nel silenzio senza sentire
un rumore per giorni, giorni e giorni: “pietre che cadono
sull'acciaio invisibile...”.
Mio padre era molto affezionato a “Bella ciao”.
Una notte, in sogno mi diceva molto affettuoso, sorridente:
“Canta la mia canzone”. Al mattino mi sono alzata
e ho scritto “Brigata partigiana Alphaville”, e
l'ho dedicata a mio padre.
|
Pietro Salizzoni |
Ti va di parlare dei luoghi, degli spazi che hanno connotato
la tua esperienza di donna, cantante, autrice?
Vivrei in casa, sempre. Non perché non mi piaccia il
mondo. Ma la mia dimensione è questa. È di nuovo
stare un po' indietro. Come quelli della mia famiglia, anch'io
sono così. Se devo fare, faccio. Ad esempio ho fatto
l'avanguardia a scuola, in politica, la front-man nei gruppi
musicali - sì, front-man, non front-woman, non c'è
un modo di dirlo al femminile, bisogna dirlo al maschile-. Comunque,
se devo scegliere, preferisco stare un po' più in disparte.
“Testa storta”, per la colonna sonora del film “Preferisco
il rumore del mare” del regista Mimmo Calopresti, è
la prima canzone che abbiamo scritto Pietro ed io. In casa,
senza fatica. Un'altra rivelazione, una persona con la quale
potevo scrivere tranquilla. Era proprio come essere a casa.
Un non far fatica. Di fondo, c'è casa. “Èlia”,
il titolo del cd del 2006, è il nome della nonna di Pietro.
Ed è di nuovo casa.
Mongardino, di nuovo, è un ritorno a casa. Ma oggi io
non mi sento più a casa, né a Torino né
a Mongardino. Però essere nata in un posto, quando ci
torni è sempre casa. I colori di Mongardino, il verde,
rosso, i gialli. Diversi rossi, diversi gialli. E poi si vendemmia,
in autunno, a Mongardino.
Se penso invece alla città allora è Torino, e
solo Torino. Con la sua urbanizzazione e i luoghi scomparsi.
La faccia della città cambia, Mongardino no. Oggi riconosco
pochissimi posti. Piazza Solferino, ma perché ci ho lavorato
quasi trent'anni, dove c'erano le piste per le olimpiadi. Ci
sono molto affezionata . E poi certi viali e controviali alberati
da percorrere sui marciapiedi, camminando.
|
Il calciatore Gigi Meroni. Un omaggio al cuore granata di Lalli |
Quale significato e quale posto ha la musica nel tuo sentire
personale?
La musica, l'ho capito da subito, un posto l'avrebbe avuto nella
mia vita. A tutto tondo, non limitato a un solo periodo.
A seconda delle fasi della vita, ha un posto più
o meno grande, più o meno coinvolgente.
Dopo “Tempo di vento” del '98, il mio primo disco
solista, avrei mollato, se non fosse stato per Pietro. Lui,
la sua umiltà. È un chitarrista Pietro Salizzoni,
non solo un autore. Un musicista che sa fare il proprio mestiere
a livelli eccellenti, creare arrangiamenti particolari e capace
di farli risuonare. Mi piace in particolare la musica composta
da Pietro per “Ballo lento”. Ogni tanto me la canto
dentro.
Diceva: “Lalli, i miei interessi sono altri, faccio il
Politecnico, vorrei fare l'ingegnere ambientale. Se serve imparare
a suonare il basso, il contrabbasso, il banjo per suonare con
te, lo faccio”. Una persona rara, mi potevo fidare. C'era
intesa profonda, sintonia.
E poi, la musica ti trascina su un palco, davanti a un pubblico.
“È schizofrenico”, diceva Demetrio Stratos.
Sei su un palco. Canti, senti la tua voce da dentro, ma tu non
sentirai mai quello che sentono loro. In più canti da
sola, fai finta di rivolgerti a qualcun altro che ti sta di
fronte. Ma il pubblico è una entità astratta,
un'altra forma di schizofrenia. Charlie Parker suonava di schiena,
fino alla fine della sua carriera ha suonato di spalle, ed era
Charlie Parker.
La musica fa parte di me, anche quando non tengo concerti pubblici
o non scrivo con Pietro canzoni. Io suono sempre. Io canto sempre.
Ho la testa che canta, pensa a una canzone, alle parole, alla
melodia, a come cantarla. Mi sveglio cantando.
Nulla sfugge alle regole della musica, alla sua legge, neanche
le persone, i rapporti umani, l'amore, gli affetti. In qualche
modo stanno lì dentro.
Quando hanno saputo della mia grave malattia, dalla Toscana,
mia zia Mirella e mio cugino Marco - non li vedevo da vent'anni
- mi hanno accolta in casa loro, a San Vincenzo. Salvata un'altra
volta perché da sola non potevo accudirmi. Come dire,
è un sentire comune, un'armonia, un essere nello stesso
tempo. Marco da un anno è ritornato a Torino. La vita
ti riporta ai tuoi luoghi.
Quando c'è molta sofferenza, smetto di ascoltare musica.
Come sento una nota mi si stringe la gola. Ma devo essere forte.
Allora smetto di ascoltare, anche per mesi, e mi sembra di stare
meglio.
|
Una foto di scena del film “Nemmeno il destino”,
con il regista Daniele Gaglianone |
E la tua filosofia di vita?
Sono una contadina. Stefano - siamo stati compagni per più
di sette anni - ogni tanto mi rimproverava: “Sei troppo
semplicistica, troppo contadina”. Invece io rivendico
questo mio essere contadina. Perché le cose della vita
sono semplici, magari sono difficili da raggiungere, da spiegare,
da rendere. Come la semplicità della musica è
difficile da realizzare. Dietro la semplicità c'è
un lavoro enorme. Enorme. Enorme.
Come ad un concerto, tutto bello, sì. Pensa a quello
che si è svegliato alle quattro del mattino per costruire
il palco, a quello che si presenta dopo qualche ora per allestire
le luci, a quell'altro che lavora da mesi per creare certi effetti.
Lavoro, sì tanto lavoro.
Per trovare un accordo di una canzone, magari ci si mette anche
sette, otto mesi: “No la melodia lì non va bene,
è ridondante... No no Pietro, guarda ci ho ripensato...
“.
I miei sono tempi da contadina. Ho bisogno di un bel paio di
maniche lunghe per masticare il dolore, poterci stare dentro,
sopravvivere. Maturare un abbandono, una mancanza. Devi sentirla
come vera, reale, buona. Conviverci. E poi accettare che “non
è”. E basta. Imparare la rassegnazione. Ci vuole
tempo. Per me che sono una contadina, una ribelle di natura
non è facile. Forse non la imparerò mai. Invece
essere più in pace con me stessa, quello sì, credo
di averlo imparato. Anche questa è una forma di rassegnazione.
Oggi puoi fare l'equilibrista, il cantante, il pittore dadaista,
non importa. È la legge dell'immagine ad essere dominante,
nient'altro. E a questo non ci si rassegna facilmente. Perché
poi la vita batte e quell'immagine lì va a farsi fottere.
Quando hai bisogno di una mano, a cosa serve che l'altro sappia
usare la sua mano, solo per un selfie!
A chi si rivolgono le tue parole in musica?
Da ragazze e ragazzi ho ricevuto tantissime lettere. Mi parlano
come se fossi entrata in casa loro, sapessi cosa stanno passando,
vivendo. Si mettono l'iPod e sei nelle loro orecchie, nella
loro testa. E non sai dove sei capitata. Non sai con la musica
dove puoi arrivare.
Lettere intense esprimono il bene che sembra tu abbia fatto
loro. Invece hai solo scritto una canzone. Certo, gratifica
molto. Ma si incappa anche in situazioni particolari. Innamoramenti,
crisi di gelosia. Vorrebbero mettersi con te perché ti
conoscono già prima di incontrarti, attraverso le canzoni.
Oggi, con la mia malattia, non ho il fiato per cantare. Allora
scrivo. Scrivo poesie. Ma lo dico anche in “Fuochi I”:
“nella testa la musica non si ferma mai”.
Io ho sempre la testa che pensa, suona, scrive, canta. La testa
canta. La testa sì, quella canta sempre.
Claudia Piccinelli
Brigata partigiana Alphaville
(dall'album Tempo di vento)
Scesi dall'auto a toccare il mondo
come venuti dalle stelle
ci guardavamo attorno, senza fretta.
I colletti alzati delle giacche,
erano rondini senza vento,
nella testa solo un richiamo,
rumore sordo di mare, un uragano.
Mi sorprendono gli occhi di tua madre,
mi trapassano, se ne vanno,
proprio mentre il ponte
saltava in mille scintille...
Oggi sono vecchio e stanco,
è aprile e vento, ho più paura,
così sono venuto a chiederti,
fammi questo piacere,
ti prego, questo piacere
Canta la mia canzone preferita
ti prego, canta,
cantala in questa mattina
appena appena impazzita,
cantala dove la mia mano ti potrà vedere,
cantala dove anche il mare
si può riposare
Vedi, non potevo davvero,
non potevo di certo
guardare le altre luci brillare
senza provare a toccarle,
canta la mia canzone preferita,
ti prego, canta,
cantala in questa mattina
appena appena impazzita
Mostar
(dall'album Tempo di vento)
Senti la neve, com'è calda qui
Nessun rumore e anche il cecchino si dev'essere stupito
Senti la neve? Senti la neve?
Lavoravo qui con mio padre
e un pezzo di quel ponte, sai, era anche mio,
e di un poeta che non voleva morire per i confini dei potenti
Senti la neve? senti la neve?
Solo l'odio e le cicatrici, diceva,
ci sarebbero venuti dietro per sempre con le nostre ombre
come le nostre ombre,
come le nostre orme sopra la neve
Com'è fredda qui tra le mie dita
Senti la neve? Senti la neve?
Un colpo dietro l'altro ha coperto tutto
ha coperto tutto ma non proprio tutto
adesso i miei occhi vedono tutto bianco, senza confini,
vedono tutto quello che non c'è più,
ci distinguo ancora la luna,
ma sono così stanco, adesso mi riposo un po'
qui sulla neve
Senti la neve? Senti la neve?
Aria di Buenos Aires
(dall' album Tempo di vento)
Qui non vengono più a posarsi gli arcobaleni
e le nuvole alte, così larghe
da tenersi stretto il vento sottobraccio e il sole tra i denti,
il giovedì pomeriggio in questa Piazza di Maggio,
tutte qui, mezze a Torino e mezze a Buenos Aires.
Come per magia eccole uscire dai corsi immensi,
scivolate fin qui come nebbia in novembre,
indossano foto sbiadite e nessuno sembra vederle,
eppure gridano nomi, posti e date,
ognuno una nuvola, uno sparo su Buenos Aires.
E d'improvviso è già qui un vento caldo che sa
un po' di terra
ma è quasi un tango
e batte piano così come una lingua che sa un po' di sale
ed è proprio un tango.
Dietro la porta si sente il mare,
le donne in nero le pietre portate fin qui,
addosso il dolore di un silenzio,
ma qui sotto i seni il caldo del cuore, del tempo di un'onda
in questa stanza al confine con Buenos Aires
Ballo lento
(dall'album All'improvviso, nella mia stanza)
Una nuvola di fumo
che ci scopre lentamente
corpi stretti nell'abbraccio
in un ballo senza tempo
La camicia stropicciata
sulle braccia abbandonate
il tremore della terra
E mi stringo nella testa
per non fare uscire il grido
tutto è solo e abbandonato
Sarà così, si farà da sé
parlerà per me
Sarà così
Dimmi il nome e la ragione
perché un cuore sconosciuto
lascia più vergogna e più ferite
Vorrei bastasse dirti - Guarda
porgendoti uno specchio
e il tremore delle mani
È solo un ballo lento
nell'urgenza della voce,
fra i battiti del tempo,
fra i respiri del silenzio,
nelle pieghe delle case
sulle pagine del mondo
la canzone
si scriverà
da sé
parlerà per me
Sarà così, si farà da sé
parlerà per me
Sarà così
La fiaba di Nushe
(dall'album All'improvviso, nella mia stanza)
Dal foulard le spuntava
un ricciolo scuro
come il tempo di temporale
a far buia la strada
e ombra sul viso
E Nushe non apre la mano
continua a cantare
si fa compagnia
mentre rondini pazze di inverno
da sotto il vestito
le volano via
Salta dal carro
saltale addosso
copri la bocca adesso
poi casca il mondo
casca la terra
Il foulard cade piano
un ricciolo chiaro
come l'alba dal campo
a far luce sui monti
e livido il viso
E Nushe riapre la mano
sul labbro gonfio
la vergogna e l'orrore
di portare nel ventre un seme d'offesa
che dovrebbe
esser solo d'amore
Salta dal carro
saltale addosso
copri la bocca adesso
poi casca il mondo
casca la terra
Samira piccola
(dall'album All'improvviso, nella mia stanza)
Samira piccola comincia a contare
prima le onde e sulle onde le file
Poi passa alle stelle, ma fai attenzione
perché in questa notte senza comete
sarà per noi una di vetro
a indicarci la via e l'approdo
Chiudi gli occhi, mio piccolo pane,
lasciati andare e vedrai il bosco
nell'acqua che non aspetta,
ogni gemma un grano di riso
Nel mio sogno ero in cima a un ulivo
e non potevo restare e non potevo cadere
Nonna, ho paura e il bosco che vedo
non lo riconosco
e le luci laggiù mi confondono il conto,
sono stanca e noi siamo buio
e la nostra stella suderà per trovarci
Nonna, tienimi stretta, nonna cantami un poco
Nel mio sogno tutto brillava
al suono di una musica che non sentivo,
dondolavano i rami spargendo polvere
di sabbia e d'argento sul fondo del bosco,
così finalmente potevo volare
Ora prova a dormire, mia principessa
Ma fu un'altra stella, figlia del mare,
a guidarle fino al fondo del mondo
accanto ad un nome scritto su un coccio
sepolto per sempre di là dalle mura
della terra bagnata da un altro dio
Samira piccola, così l'ho trovato
Samira piccola
Le loro voci
(dall'album dei Franti Non classificato)
Poco sole, pochi i giochi, i bambini guardano su
Una scia graffia il cielo, occhi scuri cercando un se
Inventa madre, tu che sei dolce
storie impaurite di felicità
presto il sonno ci prenderà, suoni lievi la tua voce
Quattro di mattina piove piano, me li vedo i marciapiedi
trasparenti il buio e i neon, è solo un altro giorno
Ti svegli e sei dentro un sogno,
mi dici “dormi”, guardi l'ora
una piega cancella il tuo viso,
suoni lievi la tua voce
Una mano conta i minuti, respira storie di gioia bruciata
Una mano tatuata sul palmo, è fredda è notte è
Beirut.
Sembra una notte come tante, ruba ancora aria là fuori
Occhi feroci uccidono il giorno, forse domani solo una foto.
Mani, le mie, mani su Beirut,
taglio di luce spezza il sorriso
Mani, le mie, mani, il cuscino, la fine del sonno è dentro.
Sembra una notte come tante,
quasi sento gridare qua sotto
Si, lo so, è molto lontano
anche la strada è sempre uguale
Discografia
e...
1981 – Lalli partecipa alle registrazioni del demo
dei Luna Nera (progetto precedente ai Franti): tre canzoni,
due delle quali sono presenti nel cd “Estamos en
todas partes” (ed. stella*nera, 2005).
1982 – Esce la cassetta di debutto di Franti “A/b”
(autoprodotta). Lalli è però assente, alla
voce c'è Luca Colarelli dei Deafear.
1983 – Esce la cassetta di Franti “Luna nera”
(autoprodotta). Con Lalli, troviamo Massimo d'Ambrosio,
Vanni Picciuolo, Marco Ciari, Stefano Giaccone ed altri.
1984 – Esce uno split LP autoprodotto e senza titolo
di Franti e Contrazione. A distanza breve le registrazioni
di “Luna nera” vengono ristampate su LP.
1986 – Esce l'album di Franti “Il giardino
delle 15 pietre” (LP, ed. Blu Bus / P.E.A.C.E.),
preceduto dal singolo “Acqua di luna” (ed.
Blu Bus / P.E.A.C.E.). Sul lato b del singolo sono raccolti
i contributi di Lalli, Stefano Giaccone e Vanni Picciuolo
dei Franti alla raccolta di poesie “Schizzi di sangue”
(MC, ed. Blu Bus, 1985).
1987 – I Franti raccolgono quasi tutto il materiale
pubblicato nel box “Non classificato” (ed.
Blu Bus): oltre all'album “Luna nera”, alle
registrazioni comparse nello split LP con i Contrazione
e all'album “Il giardino delle quindici pietre”,
troviamo il miniLP “Nel salto dell'ascia sul legno”
e molte registrazioni inedite. “Non classificato”
è stato ristampato più volte sia in versione
2CD (ed. Blu Bus, 1992) che 3CD (ed. stella*nera, 1999).
1988 – con Stefano Giaccone dei Franti, Lalli forma
il gruppo Environs. Esce il singolo “No man can
find the war” (ed. Inisheer).
1989 – Esce l'album degli Environs “3 luglio
1969” (LP, ed. Inisheer). Esce qualche mese dopo
l'album “Canzoni” degli Orsi Lucille (LP,
ed. Inisheer): nel gruppo insieme a Lalli anche gli altri
ex-Franti Vanni Picciuolo, Massimo d'Ambrosio e Stefano
Giaccone.
1990 – Gli Environs pubblicano l'album “Cinque
parti” (LP, ed. Inisheer). Nel 2001 una selezione
delle registrazioni degli Environs è stata raccolta
in “Un pettirosso in gabbia...” (CD, stella*nera).
Lalli e Stefano Giaccone si presentano in duo come Howth
Castle e pubblicano l'album “Rust of keys”
(LP, ed. Inisheer).
1992 – Esce l'album “Due” degli Orsi
Lucille (LP, ed. Inisheer).
1994 – Esce “Good morning, Mr. Nobody!”
degli Howth Castle (CD, ed. Blu Bus).
1995 – Lalli e Vanni Picciuolo formano il gruppo
Ishi; che pubblica l'album “Sotto la pioggia”
(CD e LP, ed. Blu Bus).
1996 – Esce “The lee tide” degli Howth
Castle (CD, ed. Inisheer).
1998 – Lalli debutta come solista con l'album Tempo
di vento” (CD, ed. il Manifesto). Oltre diecimila
copie vendute. La rivista “Il mucchio selvaggio”
lo premia come miglior opera prima.
1999 – Esce “Tra le dune di qui” (CD,
ed. On/Off) che contiene la canzone “Le donne quando
restano sole”. Lalli vince il Premio Ciampi.
2000 – La canzone “Testa storta”, scritta
da Lalli e Pietro Salizzoni, compare nella colonna sonora
del film di Mimmo Calopresti “Preferisco il rumore
del mare”. Lalli ed il cantante e chitarrista argentino
Miguel Angel Acosta propongono lo spettacolo “Vengo
a ofrecer mi corazon”, un recital / omaggio alla
musica di Leon Gieco e Violeta Parra che ottiene grande
successo e viene rappresentato anche a Londra.
2001 – Lalli partecipa a “Come fiori nel mare”,
tribute CD a Luigi Tenco, con una personalissima versione
di “Vedrai, vedrai”.
2003 – Esce “All'improvviso nella mia stanza”
(CD, ed il Manifesto) che contiene alcune perle tra cui
“Canzone del ritorno” e “Ballo lento”.
2004 – Lalli partecipa a “Mille papaveri rossi”,
tribute CD a Fabrizio de André (ed. stella*nera
/ Editrice A), con un'interpretazione struggente di “Ave
Maria”. Esordisce come attrice nel film “Nemmeno
il destino” di Daniele Gaglianone, presentato alla
Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che ottiene
numerosi riconoscimenti fra i quali i premi come Migliore
Regia e come Migliore Attrice al Sulmona Cinema Festival
e il Premio Tiger Award al Festival del Cinema di Rotterdam.
2005 – Seconda esperienza come attrice nel film
“Senza fine” del regista torinese Roberto
Cuzzillo.
2006 – Lalli e Pietro Salizzoni pubblicano l'album
“Elia” (CD, ed. il Manifesto).
2012 – Lalli e Pietro Salizzoni realizzano l'album
dal vivo “Elia in concerto” (CD, ed. Felmay).
a
cura di Marco Pandin |
Strade nel nodo della mano.
La mia collina, un dono,
un sogno davvero.
a Mongardino
Quando torno a casa,
conosco a memoria le curve,
riconosco ogni petalo sul quale salivo
per intraprendere la terra di sempre
e l'abisso di domani.
Sono ancora piccoli boschi in discesa, scarpe,
rive, fossi, capelli sudati, zappe,
che sovrastano donne e uomini,
chini,
nelle vigne,
sull'affanno dei soldi per comprarsi la vita,
sul riposo che la sera viene a riempire i piatti della cena,
e non basta mai.
E ancora, da sempre,
nel buio, canto.
C'è calma,
mentre i miei pesi salgono a spinta.
Quand'ero bambina,
la domenica pomeriggio,
preferivo stare a guardare
gli altri bambini giocare.
Non sembra vero, adesso,
sia bastata una rete a catturare il cielo.
Mi conosci,
senza luci e rumori.
Mi manca sempre la neve,
sotto il cielo di Torino.
Cammino sul ciglio,
da tanto.
Le foglie mi cadono addosso.
Imparo, ogni giorno,
piccole cose.
La musica,
la sento anche quando dormo.
Quando non ho più forze,
fiato, risorse,
riesco ancora cantare,
anche nel sonno.
Per la strada, la musica è una magia.
Per favore, non dirlo a mia madre,
altrimenti si spaventa,
esce e viene a cercarmi.
- Qualcuno ha visto la mia bambina?
Dove sono le giunchiglie della musica?
perché è lì che è andata,
ne sono certa -
Se le assi con cui sono costruiti i palchi
potessero tornare indietro nel tempo,
ecco, il bosco della musica.
Passi,
lucenti come le pratoline alla rugiada.
Se ci fosse il mare, qui,
verrebbero su svelti dalla collina,
lasciandosi alle spalle
il posto dove io so
vanno a dormire i gabbiani.
Avete
presente Nina Simone ed Edith Piaf?
Tra i molti tributi musicali dei primi anni in onore di Fabrizio,
uno che mi colpì in particolar modo, affascinandomi davvero
molto, fu una versione dell'Ave Maria interpretata da una voce
particolarissima e profonda, che mi ricordava quelle straordinarie
cantanti soul – che ho sempre tanto adorato – come
Nina Simone.
Ho poi scoperto che quella voce apparteneva a Lalli, un'artista
che prima d'allora non avevo ancora avuto occasione di ascoltare.
Il desiderio di conoscerla di persona è stato immediato
e quando finalmente ci siamo incontrate, ho scoperto che questa
enorme voce è contenuta in uno scricciolo di donna, il
che ha suscitato in me ancora più curiosità e
meraviglia.
Poco dopo ho avuto il piacere di assistere a un suo concerto,
ed è stata un'ulteriore conferma del suo temperamento
e della forza della sua arte. Una presenza scenica alla Edith
Piaf.
Credo che Lalli – come purtroppo spesso succede –
se fosse nata in un paese di respiro più internazionale,
sarebbe considerata un'artista di primo piano, pur conservando
la sua tanto rivendicata anima contadina, “in volo per
il mondo”.
Dori Ghezzi
A forza di essere Lalli
di Paolo Finzi
A spasso per il centro di Torino, tra un caffè
sabaudo e il ricordo di un corteo, una sala di registrazione,
una trattoria di compagni. Pezzi di memoria collettiva, spunti
per riflessioni individuali.
Conosco Lalli da oltre una trentina d'anni, più di metà
della sua vita, quasi metà della mia. La prima immagine,
nel buio di un centro sociale nei pressi delle colonne di San
Lorenzo, nel quartiere Ticinese, nella Milano dei primi anni
‘80, è quella di una donna magra, fragile, con
una voce della madonna, di quelle che ti fanno accapponare la
pelle, forte e sensuale (la voce), modulata e soprattutto calda,
voce solista dei Franti. E già in quell'occasione –
almeno nel ricordo che vivido conservo – c'è un
aspetto essenziale della “mia” Lalli. Antagonista,
combattiva, determinata – non a caso è la voce
e la “punta” dei tostissimi Franti – ma al
contempo dolce, sentimentale mi verrebbe voglia di dire, intima.
E sono queste le caratteristiche della compagna, della donna
con cui in una calda giornata dell'ottobre torinese mi ritrovo
a girovagare per il centro del capoluogo sabaudo. Un giro bello,
ricco di spunti, carico (a volte, mi pare, sovraccarico) di
memoria. Questa mattina Lalli se la sente, “ma sì,
andiamo in centro”, un viaggetto in tram, una sosta per
un caffè nello storico bar in piazza Castello e poi:
qui c'era la sala di registrazione, lì ci trovavamo nel
‘77 noi dei collettivi studenteschi, qui ricordo una manifestazione
con un casino di gente, poi ci furono cariche e scontri... Pezzi
di memoria, pezzi di una storia collettiva a prima vista uguale
per tanti di noi: la nostra generazione, le nostre generazioni
(io ho 5 anni più della mia anfitriona, 5 anni pesanti,
lo spartiacque tra chi è arrivato prima del ‘68
e chi dopo la perdita dell'innocenza rappresentata da piazza
Fontana e l'assassinio Pinelli).
Al punto da sembrar fragile
Decenni dopo (Tradiscono i decenni, saranno gli anni fa
cantava Amedeo Minghi) contano più le atmosfere, i sentimenti,
la loro rielaborazione da parte di una memoria selettiva che
non è più collettiva, ma individuale. La Lalli
è la Lalli, io sono io. E ognuno è se stesso.
Abbiamo fatto cose in parte analoghe, in parte diverse: storia,
una gran bella storia, ma passata.
È l'oggi di questa piccola grande donna, esile come la
sua voce al punto da sembrar fragile, ma forte di una consapevolezza
interna che è frutto di riflessioni, sofferenza, sofferenze,
comunque di un grande lavoro interiore. Voluto? Spontaneo? Non
lo so, non m'interessa. Sento solo che le sue parole mi piacciono,
non solo in sé, ma per quanto lasciano intuire, trasparire:
un percorso così diverso dal mio – altro genere
(e già questo...), altra città, altre frequentazioni
politiche, lei la musica, ovunque musica, io più sulla
parola, lo scritto, ecc..
Anche se poi, spulciando e sfogliando libri e opuscoli esposti
in piccole bancarelle di piazza Vittorio Veneto, bancarelle
spesso senza nemmeno la bancarella (un tavolino e basta e scatoloni
aperti) ritroviamo e ci segnaliamo libri e opuscoli che a volte
allora inconsapevoli abbiamo condiviso, altre volte ci segnaliamo
reciprocamente ora per la prima volta. Quella scrittrice, il
resoconto di un processo, il ricordo di un autore.
Quella religione
In altra occasione – una delle tante di comune ricordo
e riflessione – spunta un piccolo crocefisso. Ricordo
a Lalli che ben lo notai al suo collo, una volta che anni –
tanti anni – fa passò con Pietro a Milano, in redazione,
prima di un concerto al circolo Arci “Matatu” (oggi
non c'è più, come tante cose di cui parliamo).
Le chiedo, se se la sente e la mia curiosità non le risulti
invasiva, della fede. E fa capolino una sua sosta, nel corridoio
di un ospedale torinese, quando diretta a una visita oncologica
importante sente l'esigenza di fare una sosta nella cappelletta
che si affaccia sul corridoio, e di una piccola preghiera silente.
Fede? Cattolicesimo?
Non posso in poche righe “spiegare” io quel che
non conosco e che ho solo cercato di capire. Chiederò
a Lalli se le sembri opportuna, se se la sente che riferisca
in pubblico di questi suoi pezzetti di vita raccontata. Di religione,
zen buddhismo, silenzio, privilegi clericali e sterminii in
nome di dio, parliamo a lungo. Saltano fuori le mie lunghe e
per me bellissime chiacchierate di ore ed ore con don Andrea
Gallo, il mio perdurante ateismo, ma con un approccio non più
antagonistico e aggressivo con la sensibilità religiosa,
il nostro comune “anticlericalismo” (se i privilegi
e le pretese vaticane contrastare bisogna, nessun dubbio: ci
siamo). Mi colpisce un'affermazione di Lalli, che dopo tante
letture “orientali”, afferma che se comunque un
riferimento anche religioso dovesse sentire il bisogno di ritrovare,
le sembra naturale che sia alla religione in cui è stata
allevata e cresciuta, se pure per poi distaccarsene. A quel
cattolicesimo che la madre – figura cui tanto fortemente
e complessamente è legata – e la nonna e le altre
donne della sua infanzia le trasmisero.
Già la madre, questa donna che quando anni fa iniziai
ad andare a parlare con Lalli a Torino, ritrovavo accanto a
Lalli e ben ricordo. E la cui mancanza, in relazione alla Lalli
di oggi, colgo credo appieno.
Con il solito treno
Tra gli altri temi, la violenza. Il tema forse per me “per
eccellenza”, quello cui maggior tempo e sofferenza e riflessioni
ho dedicato e dedico – credo – da sempre. Con un
rifiuto sempre più radicato e convinto, che mi porta
a valorizzare l'etica e le tecniche della nonviolenza che però
non sento del tutto mia, perché troppo ho presenti le
drammatiche contraddizioni del vivere. E soprattutto non mi
piacciono le soluzioni “a tavolino”, ideologiche,
e cerco di partire e di arrivare nella concretezza delle esperienze,
dell'esperienza.
Bando alle spataffiate. Con Lalli la sintonia mi pare davvero
profonda. Nel suo racconto, comprese le risposte a mie specifiche
domande, viene fuori una Lalli che direi a disagio nel ruolo
di donna di punta di un gruppo (i Franti) e poi di esperienze
comunque vissute e apprezzate nell'area dell'antagonismo duro,
combattente. Le P38 virtuali, quelle dita delle mani a simboleggiarle,
le pesavano già allora e le sono pesate quando, molto
tempo dopo, rifecero come gruppo un concerto a Torino e i loro
(e quindi anche suoi) fan espressero così la loro lettura
del messaggio frantesco. Ma Lalli, mi dice, non ci stava allora
e tantomeno c'è stata più recentemente. C'è
stata male.
“Si vive una volta sola in questo mondo, almeno non lasciamo
pratiche e ricordi di violenza contro le persone” mi dice.
Ne parliamo complessivamente per ore. Ne parleremo ancora, di
questo come delle foglie, di Mongardino, di sua mamma, dell'anarchia
e dei sogni.
Al prossimo appuntamento, piccola grande amica. Con il solito
treno da Milano Centrale delle 7.18.
Paolo Finzi
Gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso
dall'Ave Maria
di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi
|
|