rivista anarchica
anno 45 n. 397
aprile 2015


ecologia

Tante piccole rivoluzioni quotidiane

di Giancarlo Tecchio


Sono quelle necessarie per modificare l'attuale modello di sviluppo, divenuto insostenibile. Cambiamento climatico, esaurimento delle risorse, aumento della popolazione e del consumo di energia indicano che è giunto il momento di cambiare rotta.


Nel 1968 in Italia si stava vivendo una stagione di forte fermento politico e culturale. Il riverbero di quanto accadeva in USA e, soprattutto in Francia, aveva dato l'avvio a una presa di coscienza della possibilità di modificare lo status quo. La popolazione mondiale era intorno ai 3 miliardi, lo sviluppo tecnologico stava regalando anche alle fasce di popolazione normalmente escluse dal benessere livelli di consumo che davano l'illusione di entrare a far parte di quel modello propagandato con ogni mezzo. La televisione regalava immagini e obiettivi che erano alla portata anche degli operai, la scuola offriva orizzonti di promozione per cui anche il figlio dello stradino, se si fosse impegnato, avrebbe potuto raggiungere la laurea e diventare dottore.
Naturalmente la mobilità sociale era più virtuale che reale, ma motivante e fonte di crescita culturale se non economica. In questi anni il denaro comincia ad assumere una nuova funzione. Da mezzo di trasferimento del valore per lo scambio delle merci comincia a diventare simbolo del proprio status. In questi anni la stampa del denaro diventa sempre meno controllata, si perde la corrispondenza con l'oro (1971 gli USA dichiarano la non convertibilità) per cui le valute diventano oggetto di contrattazione finanziaria e la loro quotazione è determinata da regole di mercato. Il fatto che una moneta permetta di acquistare qualcosa si lega alla fiducia che l'acquirente è disposto a investire sul simbolo che la moneta stessa rappresenta.

Denaro come mezzo di controllo

Questa nuova prospettiva ha permesso, in realtà, che non ci fosse più alcuna relazione tra i beni acquistabili e la massa monetaria circolante, ma ha anche promosso un sistema in cui il denaro diventa il mezzo di controllo sociale primario e l'idea di un sistema economico a crescita infinita. Chiunque dotato di normale capacità intellettiva, di fronte ad un modello “difettoso”, si pone degli interrogativi. L'assioma che in un sistema finito sia proposta una prospettiva di crescita infinita dovrebbe far scattare dei campanelli d'allarme, in realtà lo sviluppo delle pseudoscienze sociali ha permesso di sviluppare dei percorsi comunicativi che distolgono o camuffano la problematica e, come in tutte le truffe, affascinano la vittima fino a renderla partecipe inconsapevolmente. L'anno scorso, su Repubblica Finanza, ho trovato in un articolo che analizzava la situazione debitoria degli USA, a 4 anni dalla crisi dei subprime, che i derivati in USA erano stimati in 643 trilioni di dollari. Un trilione equivale a 1018 cioè 643.000.000.000.000.000.000 dollari. Il PIL mondiale è di 74*1012 il che equivale a 74.000.000.000.000.000. Se divido i derivati circolanti per il PIL mondiale ottengo 8.619.189. Vuol dire che solo la massa monetaria dei derivati equivale a tutto il prodotto del mondo equalizzato ad oggi per 8.500.000 di anni. Considerando che l'uomo è presente sulla terra in forma riconosciuta da circa 150.000 anni e in forma storica da meno di 10.000, e che la popolazione inizialmente era molto ridotta è difficile capire come possa esserci al mondo questa massa monetaria.
In realtà il valore economico della moneta è praticamente nullo, ma la politica mondiale è gestita attualmente attraverso il circuito finanziario per cui le risorse economiche di un paese vengono valorizzate attraverso la loro quotazione. Le banche governano il mondo o, più correttamente, 4 banche occidentali decidono della vita dei 7 miliardi di abitanti del pianeta sfruttando un'illusione collettiva basata sul nulla. Nessuna delle religioni di tutta la storia umana era riuscita a tanto. L'attuale organizzazione globale del pianeta sarebbe praticamente inattaccabile perché, come nelle religioni, il detentore del potere è privo di corporeità o di sostanza ed è di difficile individuazione. Nell'Egitto dei Faraoni o nella Roma Imperiale esisteva la figura del Sovrano che essendo umano e mortale ad un certo punto decadeva o poteva essere sconfitto.

Una nuova socialità?

Il modello sociale con la figura dominante del sovrano è rimasta praticamente immutata fino alla fine del secolo scorso quando la globalizzazione ha sempre più attenuato la figura “sovrano“ a favore del mercato, delle multinazionali, di un sistema impersonale in cui non c'è un leader visibile. Gli attuali Presidenti o Capi di Stato sono il front end di lobbies di potere che agiscono al di sopra e che possono tranquillamente orientare le scelte dei singoli paesi sottraendoli al dibattito della popolazione interna.
Il relegare le ideologie nel ripostiglio della storia come inutili orpelli del passato ha cancellato qualsiasi progettualità. Le rivendicazioni di una propria individualità, di protezione dell'ambiente e del territorio, delle proprie radici sono tacciate di nimby, di oscurantismo, di allarmismo, di complottismo. Le sedi dei partiti semplicemente non esistono più, i luoghi di aggregazione sono ormai marginali, i consigli di quartiere, le assemblee scolastiche vanno deserti.
La socialità avviene attraverso i social network che sono solo degli sfogatoi senza alcun confronto e dove emergono facilmente le facce meno presentabili, normalmente moderate dal pudore nei rapporti diretti. Come dice con grande acutezza Natalino Balasso, la vera soddisfazione non è nel possedere le cose, ma nel possederle a scapito di altri. Se qualcuno non può invidiare il mio benessere, la mia ricchezza, le mie cose è inutile essere ricchi. La vita nella nostra società si sta sempre più riducendo a mangiare, dormire, e cercare di avere cose spesso inutili per far invidia agli altri. I momenti di socialità, di progettualità, di condivisione di tutte quelle cose che ci distinguevano da una gallina ovaiola in uno stabulario, sono ormai cancellate.
A fronte di questa istantanea allegra e ottimistica mi chiedo cosa si può fare, soprattutto mi chiedo se il breve periodo biologico che la natura ci ha dato debba limitarsi a processare cibo più o meno avvelenato sperperando un po' di DNA in attesa dell'exitus.

I limiti dello sviluppo

Sulla totale idiozia del sistema ci stiamo avvicinando a passi rapidi a sperimentarne le problematiche. Nell'aprile del 1968 fu fondato il Club di Roma che pubblicò nel 1972 Rapporto sui limiti dello sviluppo. Un gruppo di dirigenti d'industria e di scienziati e premi Nobel che cominciavano a dubitare che la strada intrapresa dal mondo occidentale e soprattutto dal modello capitalista USA si sarebbe scontrato con la contraddizione intrinseca dell'ossimoro finito infinito. L'aumento della popolazione mondiale e la quindi continua richiesta di nuove risorse avrebbe portato al picco prima le fonti fossili, responsabili dell'enorme disponibilità di energia, e poi, a seguire, l'acqua e il cibo. Il concetto di picco è un po' diverso da quello di esaurimento perché le conseguenze sono molto più complesse. Se io mi svegliassi una mattina e mi accorgessi che il petrolio è finito dovrei affrontare una crisi complessa e probabilmente definitiva, nel caso dell'acqua avrei 5 giorni di una breve agonia. Il concetto di picco invece pone il problema di non superamento di una soglia. Il petrolio ha raggiunto il picco più o meno nel 2006, nel 2008 ha raggiunto il prezzo massimo e adesso sta rapidamente diminuendo perché sta diminuendo la richiesta. Infatti il picco riguarda la disponibilità massima sfruttabile. Il numero di barili estraibili al giorno, al di là delle riserve disponibili, non è più aumentabile per cui la risorsa inizialmente cresce di prezzo creando le condizioni economiche per lo sfruttamento di nuovi giacimenti, ma poi, inevitabilmente, i maggiori costi rendono competitive altre fonti alternative al petrolio che fanno diminuire la domanda e tendono a sostituirlo.

Siamo al picco

Nel caso dell'energia le fonti rinnovabili si stanno affermando come alternativa credibile e vantaggiosa e il loro sviluppo renderà sempre meno interessante la fonte fossile anche perché il problema del Climate Change non è più una possibilità ma è la prossima certezza. Per ora, anche se i segnali sono inequivocabili, l'informazione mainstream tende a sottovalutarli o ad assegnare le responsabilità a comportamenti individuali o relativi a comunità delimitate. La realtà che il V° rapporto dell'IPCC descrive con chiarezza e che dovremo considerare con necessità e urgenza è che i tempi per cercare di limitare i danni e mantenere un ambiente compatibile con la specie umana sono molto ridotti. Il picco dell'acqua e del cibo che è previsto nei prossimi anni, non possono essere risolti e quindi porranno la problematica in termini di adeguamento della popolazione alle risorse disponibili. In termini concreti siamo alla vigilia di una serie di conflitti che porteranno ad una consistente riduzione della popolazione mondiale in un contesto in cui il potere economico e, quindi, il potere, si sta concentrando sempre più in una ristrettissima cerchia di oligarchi che probabilmente sognano lo scenario del dottor Stranamore.

Basterebbero poche azioni quotidiane...

A fronte di questa situazione ci sono alcuni segnali e alcune strategie che potrebbero minare questa struttura finanziaria che è diventata egemone e che sembra inattaccabile. Come sempre le fortezze più impressionanti cercano solo di nascondere la loro intrinseca fragilità. Basterebbero poche azioni quotidiane diffuse in larghi strati della popolazione per smontare l'attuale organizzazione. Non dico che sia semplice farlo e che il sistema non si protegga attentamente da questa ipotesi, dico che la soluzione non è complessa.
Proviamo a pensare quali sono le necessità della vita umana. Acqua, cibo, affettività, socialità, energia. Oggi per soddisfare queste esigenze usiamo normalmente il denaro, quando siamo espulsi dal sistema produttivo o da un sistema di rendita e non riusciamo più a procuraci denaro praticamente andiamo verso l'exitus. Nella nostra società è bene non sottovalutare che il procurarsi denaro non è minimamente subordinato ad una prestazione di servizio utile agli altri. Un'analisi delle occupazioni necessarie a mantenere per tutti uno status ottimale e quindi comprendendo sanità, scuola, manutenzione del territorio, servizi vari non raggiunge il 10% delle persone occupate. Il 90% degli occupati svolge mansioni o totalmente inutili o fortemente inutili e dannose anche se apparentemente è impegnato e affaticato. Il fatto quindi che uno abbia un'occupazione remunerata fa parte della sua adesione al sistema e quindi della garanzia di sopravvivenza, non della sua utilità o necessarietà.
È una breve premessa che serve a disegnare uno scenario in cui la soddisfazione del fabbisogno non avviene più attraverso la mediazione del denaro, ma cerca di andare direttamente a reperire la risorsa. La nostra organizzazione sociale cerca in tutti i modi di impedire lo scambio perché lo scambio ci sottrae al controllo. Anche il denaro contante viene osteggiato con sempre maggiore e puntigliosa cura. Il fatto di poter bloccare una carta di credito o un bancomat da remoto e rendere immediatamente impotente una persona è una tentazione irrinunciabile per chi gestisce il potere. Liberarsi dal denaro è un primo granello di sabbia che può compromettere il complesso macchinario economico che gestisce le nostre vite.
In questo ambito esistono alcuni esperimenti che, seppur in fase ancora embrionale, possono rappresentare un vulnus al sistema e scardinare le certezze attuali. Il baratto, lo scambio o la prestazione gratuita non possono essere tassati. Se io scambio un servizio con un prodotto, tempo contro merce, lavoro contro beni, questi non possono essere tassati, non pagano IVA e non producono reddito, ma permettono una vita anche molto soddisfacente.
Fino al boom degli anni ‘60 il denaro era un aspetto marginale nella vita quotidiana. Ad un'analisi seppur sommaria anche le case operaie avevano un piccolo orto che garantiva buona parte del vitto. La spesa al panificio e dal droghiere spesso si faceva pagando a fine mese e il fare credito era norma, tra vicini si collaborava nelle piccole manutenzioni, spesso si condivideva il cibo. Il denaro serviva solo per le spese straordinarie: acquistare la casa o l'auto, la malattia, la morte. Quando un oggetto si rompeva lo si portava a riparare se non si era in grado di farlo da soli. Anche la manutenzione dell'auto, della lavatrice o della TV spesso era curata direttamente in casa.

Piccole rivoluzioni possibili

Oggi con l'obsolescenza programmata non esiste più la riparazione, la manutenzione richiede apparecchiature che non sono più nella disponibilità del singolo. Le riparazioni o sono state abbandonate o richiedono la presenza di un tecnico specializzato che firmi conformità. La nostra vita si muove all'interno del meccanismo finanziario dove la nostra vita è programmabile da remoto in ogni momento. Anche il peso dell'energia è diventato preponderante. Se manca la corrente elettrica la casa si ferma, spesso diventa difficile uscirene. Gli ultimi provvedimenti che permettono all'Agenzia delle Entrate di intervenire direttamente sui conti correnti ha realizzato le peggiori profezie di “1984” senza incontrare praticamente resistenze.
Gli esperimenti con le monete alternative, le banche del tempo, gli orti comuni, il fotovoltaico, il car sharing, l'open source, le cucine solidali, il recupero degli alimenti scartati dalla grande distribuzione sono iniziative che, se coordinate, possono produrre un effetto anche culturale dirompente. La smart city e le smart grid di cui si parla con maggior frequenza possono diventare un modello di organizzazione sociale veramente interessante. Le smart grid sono una rivoluzione nell'organizzazione della distribuzione dell'energia che permette a ciascuno di diventare indipendente e l'indipendenza energetica è una fattore di libertà primario.
Oggi noi consideriamo il benessere prodotto dalla climatizzazione degli edifici, dal lavaggio automatico dei capi di vestiario, delle stoviglie, della cucina, del computer e di tutti gli altri apparecchi che usiamo quotidianamente come uno standard raggiunto. Certamente sono frutto anche di un modello di consumo spesso eccessivo e inutile, ma in realtà si tratta anche di un aiuto che fin a qualche anno fa era impensabile. La nostra casa è collegata alla rete elettrica, nella configurazione minima, e può prelevare 3,3 kW di potenza. Vuol dire avere a disposizione il lavoro di 32 giovani schiavi di 80 kg. Una famiglia, spesso di 2 o 3 persone, che consuma mediamente 10 kWh al giorno è come se disponesse di uno schiavo per ciascun componente. Praticamente chi ha una connessione alla rete elettrica ha la disponibilità che fino all'inizio del secolo scorso era riservata a poche famiglie nobili. Fino a pochi anni fa era vietato prodursi l'energia ed è abbastanza evidente il potere connesso al controllo dell'energia. Tra l'altro la produzione era riservata a grandi strutture come le centrali idroelettriche, termoelettriche e nucleari. La diffusione del fotovoltaico ha un po' stravolto questo modello.
Dopo un breve iniziale sostegno agli impianti domestici che erano tollerate finché riguardavano una piccola fascia della popolazione magari un po' radical green e non minacciavano il monopolio delle grandi utility poi sono sfuggite di mano e hanno acquisito un peso reale nella produzione energetica. Chi ha il fotovoltaico può rendersi indipendente dal ricatto dell'Enel. La riduzione dei prezzi che in meno di dieci anni è stata del 70%-80% rendendo non necessari gli incentivi statali e il rapido svilupparsi delle tecnologie complementari come lo storage creano una mina all'interno del sistema. Il peso delle rinnovabili sulla produzione elettrica è passata dal 16% del 2005 al 37,3% e, se si volesse, si potrebbe puntare al 100% entro il 2030. Il fotovoltaico è la forma privilegiata per la generazione distribuita perché permette a una fascia significativa della popolazione di prodursi l'energia che consuma. In alcuni settori come l'agricoltura si può arrivare a realizzare aziende completamente autosufficienti dal punto di vista energetico senza inquinare e senza consumare territorio. L'idea della smart grid è di ottimizzare la produzione distribuita equalizzando l'uso dell'energia e di sfruttare le attuali potenzialità dell'informatica per attivare i consumi nel momento di disponibilità dell'energia.

Verso un'autonomia energetica?

Una delle obiezioni più comuni alle fonti rinnovabili aleatorie come l'eolico o il fotovoltaico è che la loro imprevedibilità non garantisce la sicurezza della rete. Di notte il fotovoltaico è spento e il vento non soffia costantemente. La nostra esperienza trova che queste obiezioni non siano infondate, ma nella realtà le cose non sempre sono come appaiono. Se la produzione non è costante neppure i consumi lo sono. In Italia il passaggio del fotovoltaico dallo 0,00003% al 8% della produzione elettrica ha diminuito le criticità della rete (il dispacciamento). Altro aspetto interessante nella produzione distribuita è che evitando la trasformazione in Alta Tensione e consumando l'energia dove viene prodotta si eliminano le perdite di rete che oggi sono circa il 9% dell'energia disponibile. Considerare quartieri che si organizzino per rendersi indipendenti dalla rete o il ritorno pubblico delle reti gestite dalla comunità sarà un primo passo.
Insieme all'energia ovviamente si pone il controllo sull'acqua che oggi è indubitabilmente un aspetto strategico per la sopravvivenza. Anche paesi come l'Italia dove la risorsa era considerata abbondante e disponibile stanno cominciando a evidenziare problemi che devono essere affrontati rapidamente e possibilmente sotto lo stretto controllo della popolazione. Il cambiamento climatico sta riducendo in modo sostanziale le riserve d'acqua nei ghiacciai e un comportamento irragionevole e dissennato ha distribuito discariche di prodotti tossico nocivi in quasi tutte le pianure con prodotti che lentamente percolano verso le falde profonde e che si sommano alla chimica usata senza valutarne l'impatto nell'agricoltura.

Ridurre il consumo di acqua

La stessa agricoltura che inseguendo la logica del mercato di aumentare la produzione e la resa per ettaro ha stravolto l'organizzazione del territorio tagliando alberate e aumentando esponenzialmente il fabbisogno di irrigazione. Il consumo pro capite in Italia è di circa 6000 litri al giorno a fronte di un fabbisogno di 4. Ogni anno un italiano consuma 2.190.000 litri di acqua dolce quando per vivere ne basterebbero 1460. Tutto il resto va in produzioni alimentari, industriali, perdite del sistema idrico, allevamento e agricoltura. Un chilo di carne costa 15.000 litri d'acqua. Se fosse acqua minerale sarebbero 6.000 euro. Un chilo di pane ne costa 1.200. La scelta vegetariana diventerà obbligatoria o alternativa alla vita umana. Anche l'uso indiscriminato dell'eternit nella realizzazione delle tubazioni degli acquedotti con l'inevitabile degrado delle tubazioni dovuto al tempo rappresenta una minaccia da non sottovalutare.
Essere coscienti che non esistono cose scontate, che l'acqua che arriva facilmente al rubinetto potrebbe non arrivare, che l'elettricità potrebbe non accendere la luce o aprire il cancello, che gli scaffali dei supermercati potrebbero non essere più così ricchi di prodotti, che la pompa di benzina potrebbe non erogare carburante è essenziale per evitare sorprese molto dolorose.

Giancarlo Tecchio