rivista anarchica
anno 45 n. 397
aprile 2015



No Expo
Primo Maggio


Il prossimo primo maggio inizia a Milano Expo 2015.
Apriamo questo numero di “A” con un doppio dossier, in due parti.
Nella prima diamo voce alle compagne e ai compagni della Rete NoExpo.
Nella seconda ci occupiamo della storia del Primo Maggio, nato a fine Ottocento come giornata di lotta dei lavoratori.
A fare da ponte tra le due parti, una presa di posizione dell'Unione Sindacale Italiana che solidarizza con chi, anche e proprio nella giornata iniziale di Expo 2015, non accetta di lavorare.
Il Primo Maggio non è in vendita, appunto.





No Expo

Attitudine No Expo

testi delle compagne e dei compagni della Rete No Expo


C'è innanzitutto il NO all'evento mediatico che per sei mesi si svolgerà a Milano, c'è la denuncia degli sprechi, delle modalità d'appalto, dei mille aspetti negativi che sono tracimati anche sui mass-media.
Ma contemporaneamente c'è il SÌ a un modello di vita e di organizzazione sociale opposto a quello veicolato dalla fantasmagorica vetrina milanese.



Riprogettare dal basso

Un modello alternativo e antagonista a quello messo in campo da Expo.
Un'opposizione radicale non solo ad un evento mediatico, ma ad un progetto di società che va ben oltre i sei mesi dell'Expo.

Se l'Esposizione universale ha una durata temporale e fisica delimitata (6 mesi, nell'area di 1 milione di metri quadri tra Rho e Pero, alla periferia nord di Milano), i meccanismi messi in moto e le sue eredità continueranno anche in futuro, segnando il futuro del territorio. Allo stesso modo le nostre assemblee hanno voluto ribadire che anche la lotta NoExpo non si pone una durata limitata, ristretta tra il periodo che ci separa dal Primo Maggio e il 31 ottobre 2015, quando Expo finirà: NoExpo si pone come percorso di lungo respiro, capace non solo di inceppare il mega-evento, ma anche di radicarsi come pratica di riprogettazione dal basso della città e del territorio.
Cosa si nasconde infatti dietro Expo2015? Il consolidamento di un'economia metropolitana fondata sugli eventi e sugli spettacoli, che prevede un'alta disoccupazione permanente e un lavoro stagionale, precario e sempre più spesso volontario. Gli accordi sindacali e lavorativi su Expo, superando i confini temporali e spaziali del mega-evento, ci raccontano di una atomizzazione radicale della forza-lavoro, sempre più privata, come degli strumenti legali per l'auto-organizzazione e la lotta sindacale: la precarietà è la vera scuola, che inizia a 16 anni per una durata, quella sì, indeterminata.
Un modello di alimentazione e utilizzo delle risorse fortemente iniquo, asservito agli interessi dei monopoli e costruito sul territorio tramite un vasto reticolo di intermediari e distributori; l'agroindustria è uno dei principali business internazionali, fondata sulle braccia di lavoratori sfruttati e sottopagati, è il motore che spinge gli interessi europei e americani su Expo, il cui vero obiettivo appare sempre più il forzare la mano sugli Ogm e sulla liberalizzazione del settore agricolo e alimentare, nei paesi (in primis l'Italia) che ancora pongono “eccessivi” vincoli. Come nel settore dell'acqua in cui multinazionali e governi al loro servizio, come il nostro, spingono sempre più verso la liberalizzazione e la privatizzazione, laddove non c'è ancora. Il fatto che la piazzetta tematica dell'acqua nel padiglione Italia sia stata appaltata alla Nestlè, tra le maggiori multinazionali responsabili della mercificazione dell'acqua, la dice lunga sul messaggio che Expo vuol dare.
Una retorica verso gli animali-cibo che fa proprie le sensibilità e le parole d'ordine degli animalisti solo per creare consenso e marketing, nascondendo le vere torture e dominazioni che, invece, continueranno a perpetuare sui più deboli senza nessun cambiamento esistenziale; un governo del territorio che fa dello stato d'emergenza e d'eccezione la normalità (giustificata da una grande crisi che ormai si rivela strutturale), che ignora la volontà popolare e il principio della trasparenza, esautora gli organismi elettivi, consegna la pianificazione urbana e territoriale al mercato: nuovi dispositivi di governo non solo legislativi, ma anche radicati nella città attraverso la spartizione legale e illegale dei diritti edificatori, che ridisegnano la geografia urbana (e l'intreccio di livelli che si porta dietro: mobilità, cultura, alimentazione, economia, formazione, lavoro).

Sovranità alimentare e sociale

La grande beffa è che tutto questo viene realizzato indebitando ulteriormente la collettività: oltre 10 miliardi di Expo e delle opere accessorie (in particolare il reticolo autostradale, realizzato per un terzo), pesante zavorra che purtroppo temiamo ci troveremo a dover subire per decenni quando la sbornia expottimista sarà finita e la città si ritroverà più povera, ingiusta, cementificata. Come rete Attitudine NoExpo e come movimenti siamo consapevoli che è arrivato il momento di unire le forze e intensificare l'azione collettiva contro il modello Expo2015, ribadendo con decisione il nostro antagonismo: la sovranità alimentare e la sovranità sociale contro il modello dell'agrobusiness; l'autorganizzazione, il diritto al reddito e la centralità dei lavoratori contro la precarietà e lo sfruttamento del lavoro ed il boicottaggio del lavoro volontario attraverso campagne di sensibilizzazione, inchieste e subvertising a partire dal mondo della formazione; la difesa della Terra e il recupero del verde pubblico e dei terreni agricoli, rivalutati in chiave di utilità sociale e collettiva; la riorganizzazione di scuole e università liberate dall'asservimento al mercato e alle aziende; una mobilità pubblica per tutte e tutti; la priorità all'emergenza sociale della casa e l'assegnazione alle famiglie senza un tetto; la crescente sperimentazione di forme di socialità non assoggettate al mercato, inclusive e capaci di riconoscere la dignità dell'Altro in ogni suo desiderio o esistenza; l'acqua diritto umano e non merce.
Per ribadire tutto questo è stato condiviso un programma delle prossime iniziative, da svolgersi in parallelo alla costituzione di un laboratorio aperto e collettivo sul diritto alla città:
30 aprile – Corteo studentesco per unire le forze di studenti medi e universitari a livello nazionale e dimostrare l'opposizione al sistema Expo: contro “Buona scuola” e lavoro gratuito.
Inizio campeggio No Expo al cui interno si svolgeranno, anche durante i giorni di mobilitazione, iniziative ludiche e incontri politici e culturali.
1 maggio - Nel giorno dell'inaugurazione istituzionale dell'Esposizione universale, May Day Internazionale contro Expo – mega eventi – grandi opere – precarietà e sfruttamento.
2 maggio - Seconda giornata di mobilitazione cittadina e territoriale nel giorno di apertura al pubblico dei cancelli di Expo.
3 maggio - Conclusione del campeggio internazionale NoExpo e appello alle prossime mobilitazioni.
È tempo di dimostrare la percorribilità di un modello sociale, di sviluppo e di civiltà alternativo, antagonista, che abbia come principio di base l'uguaglianza.



Il lavoro al tempo di Expo

I passaggi e gli accordi che hanno reso Milano e la Lombardia un laboratorio della precarietà. Come il megaevento trasforma l'economia metropolitana.

Expo2015, l'abbiamo già detto più volte, è un'occasione di accaparramento immediato e futuro di risorse comuni e laboratorio per nuove forme di governo del territorio: sul fronte della speculazione edilizia e finanziaria, su quello dello sfruttamento intensivo ed estensivo del territorio e sulla riorganizzazione della manodopera.
Come tutto nella storia di Expo2015, anche l'organizzazione del lavoro prima, durante e dopo l'evento ha cominciato a prendere forma con grande ritardo, quando in teoria tutto doveva già essere se non pronto, quasi. Vediamo brevemente una cronologia degli accordi e il loro significato:
• accordo Expo S.p.a. – sindacati confederali del 26/7/2013, relativo ai contratti di lavoro e alla regolamentazione delle attività interne e/o collegate all'evento, con la curiosità che la validità è estesa fino a novembre 2016;
• accordo Comune di Milano – RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) del 30/7/2014, valido anche per le attività collegate al semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo;
• avviso comune Regione Lombardia – sindacati confederali di estensione territoriale dell'accordo di luglio 2013;
• programmi di reclutamento “Università e scuole per Expo2015”;
• deroga al Ccnl (Contratto collettivo nazionale del lavoro) per gli operai del settore edilizia, impegnati 20 ore su 24 nei lavori del Sito Expo e nei cantieri delle opere collegate;
deregulation totale per l'indotto e alcuni settori-chiave: possibilità di muoversi al di fuori dei protocolli sindacali;
• possibilità per i paesi stranieri di non rispettare la legislazione italiana sul lavoro nei loro padiglioni.

Legislazione speciale

Tralasciando un momento l'effettiva disponibilità della popolazione a prestarsi come volontari per un evento che ha già potuto usufruire di lauti finanziamenti pubblici e di permessi speciali, questi accordi riguarderanno da un numero minimo di 18.500 lavoratori (l'esercito di volontari e precari di cui ha bisogno Expo) ad un massimo ancora difficile da calcolare, ma che potrebbe a rigor di logica aggirarsi attorno alle diverse centinaia di migliaia di persone, considerando la possibilità, per numerose aziende, fino a novembre 2016 di usufruire della legislazione speciale sul lavoro. Ad occuparsi del reclutamento di volontari e stagisti per Expo S.p.a è ManpowerGroup, azienda interinale che diviene di fatto l'unico intermediario tra il singolo lavoratore ed Expo.
[...] Non si parla di “volontari”, ma si tratta pur sempre di lavoro non retribuito, nel caso degli stagisti che verranno per forza di cose impiegati nelle strutture alberghiere o simili in prossimità di Expo2015 (o più semplicemente “in zona”): per queste società è possibile muoversi senza tener conto degli appositi protocolli sindacali, che potrebbero avere la funzione di moderare le criticità del grande evento (anche se, a ben vedere, i protocolli sin qui firmati sono al contrario documenti che legalizzano rapporti di lavoro prima impensabili e che si pongono come modello su scala nazionale).
Il lavoro in somministrazione riguarda poi anche tutto il mondo della formazione che, coerentemente con il progetto di riforma di scuola e università del governo Renzi, viene presentato come il naturale bacino di reclutamento di Expo. In particolare nel caso degli studenti universitari l'arruolamento come volontario nei propri settori di studio e specializzazione (ad esempio: comunicazione, informatica, traduzioni) comporta un mancato riconoscimento formale della professionalità personale. Un trucco legale che però, se svelato, la dice lunga sull'idea di istruzione e formazione che sta dietro il mega-evento.
L'eccezionalità del megaevento ed il “gioco di squadra” che dovrebbe convincerci a concedere il sangue in cambio della gloria appartengono alla stessa retorica della crisi e dei sacrifici necessari per uscirne. I protocolli sindacali sino a qui firmati hanno definito uno stato d'eccezione per via di Expo2015 (e del semestre di presidenza europeo), in cui la precarietà viene presentata come unico modello possibile a sostegno del momento e in cui alle deroghe richieste (ancora non concesse) rispetto al patto di stabilità seguiranno debiti futuri nella Pubblica Amministrazione: contratti non per adeguare la pianta organica, ma per pagare salari senza detrazione di solidarietà agli stipendi superiori ai 90 mila euro (aggirando così il tetto massimo per manager e a.d. pubblici); o per assumere illimitatamente personale a tempo determinato e/o Co.co.co. (cosa che qualcuno teme risulterà nel lungo periodo a scapito delle assunzioni a tempo indeterminato). Inoltre è prevista la possibilità di contrarre debito, sforando quindi il Patto di Stabilità, per attività legate ad Expo2015.
Ancora più grave è il tentativo di sospensione del diritto allo sciopero, per il semestre di presidenza europeo e per il periodo di Expo, concretizzatosi nell'invito della Commissione di Garanzia sugli Scioperi a porre una moratoria sulle agitazioni sindacali. Per indire eventuali scioperi o sospensioni dal lavoro occorreranno più passaggi (prima uno tecnico, poi uno con un membro della giunta ed infine il passaggio in prefettura, dove dietro l'angolo la moratoria minaccia la precettazione dello sciopero). Sempre su questo tema, preoccupa molto la tendenza (proveniente dai sindacati Confederali a dir la verità, come nel caso del settore trasporti della Cgil bergamasca) verso i cosiddetti “Patti Sociali per il Territorio”, ovvero un accordo bipartisan di fatto per garantire tutta una serie di servizi e attività strategiche (in primis, la mobilità e i trasporti).
Nell'ultimo anno questa eccezionalità ha conosciuto un'estensione territoriale che interessa tutta la Lombardia.

Il significato politico

Muoviamo alcune brevi considerazioni sul significato e il lascito di questa lunga legislazione speciale sul lavoro.
Anzitutto da una lettura degli accordi, risulta evidente la filosofia e i principi alla base: flessibilità estesa e generalizzata; esclusione del tempo indeterminato dall'orizzonte contrattuale; superamento, dove possibile, della stessa forma-contratto; volontariato e presunta “ragione sociale” come sostituti del lavoro salariato e retribuito. Infine, il fatto che nei padiglioni stranieri viga la normativa del paese aderente, crea di fatto delle Zone economiche speciali in miniatura per i lavoratori (che potranno venire direttamente dall'estero).
Notiamo inoltre che il modello legislativo e organizzativo proposto da Expo2015 è coerente con i processi di trasformazione urbana e con la redistribuzione di reddito in corso, che non solo Milano sta vivendo. Il default “a rallentatore”, tecnico e controllato che l'Italia (come altri paesi europei) subisce comporta e si intreccia con una serie di processi: impoverimento generalizzato dei territori, con il suo portato di gentrification, urbanistica affidata al mercato, perdita di sovranità da parte delle istituzioni locali; aumento della disoccupazione e della precarietà lavorativa, dove la ripresa economica dei paesi e delle città appare sempre più come un miraggio e nel migliore dei casi si tratta di una ripresa senza occupazione; quindi città e territori impoveriti, dove l'afflusso di risorse è slegato dalla vita concreta delle comunità, ma viene affidato a operazioni speculative, investimenti occasionali, attività a tempo e spazio determinati (eventi e/o commercializzazione di singole zone); il lavoro assume sempre meno forma di continuità e stabilità, mentre si caratterizza come occupazione stagionale, precaria, a tempo determinato, dove la tanto esaltata “scala sociale” è bloccata.
In tutto questo assistiamo all'imporsi di una riorganizzazione brutale del lavoro e dei lavoratori, come appunto avviene nel caso di Expo: la retorica dell'Esposizione esalta i valori del successo e dell'iniziativa individuale, rappresentati dal modello della micro-impresa (start-up, auto-imprenditoria, ecc); si propone un'ottica di sempre maggiore autonomia e indipendenza degli individui, ottenute solo se meritate e precedute da una fase (questa sì a tempo indeterminato) di sacrifici ed “esperienza” (leggi: lavoro gratuito). Ma quello che vediamo noi è invece una progressiva atomizzazione del lavoro: il legame tra attività lavorativa e salario, la tutela rappresentata dai diritti sociali e lavorativi, la dimensione collettiva stessa: tutti questi non vengono più considerati come elementi costitutivi del lavoro. Scorgiamo un certo paradosso nel fatto che siano stati i sindacati stessi a firmare la propria emarginazione e, di fatto, la fine della propria funzione storica e sociale.
Somministrazione, volontariato, stage, individualità del rapporto di lavoro, free jobs, deroghe speciali: la riorganizzazione del lavoro al tempo di Expo priva nel concreto i lavoratori degli strumenti legali utili alla tutela propria e di quel più ampio gruppo sociale un tempo conosciuto come “forza-lavoro”.
Fatta l'analisi è ora venuto il tempo della controffensiva. Se Expo vuole rappresentare un laboratorio di sfruttamento e precarietà, questo è allora un motivo in più per rompere e bloccare la macchina del mega-evento. Restando fedeli al principio del primo sindacato di precari, disoccupati e stagionali della storia occidentale, i wobblies dell'Iww (Industrial workers of the world): “don't mourn, organize'' [non lamentarti, organizzati].


Dietro la vetrina di Expo

Il 5 dicembre scorso, agli ingressi del cantiere di Expo 2015, è stato distribuito un volantino ai lavoratori. Ecco il testo.

Nei giorni in cui anche media e sindacati confederali cominciano a dubitare dei numeri rispetto al lavoro creato da Expo (4.185 unità a oggi contro le 70.000 sbandierate da sette anni a questa parte dagli expottimisti) abbiamo voluto incrociare le vite di chi nei cantieri di Expo ci lavora e suscitare in loro l'idea che Expo si possa scioperare, perchè dignità e diritti non stanno di casa dove si lavora gratis o a ritmi massacranti.
Expo 2015 è presentato, nella propaganda di tutti gli schieramenti politici, come il grande evento che traghetterà il paese fuori dalla crisi, innescando la tanto agognata ripresa economica. Effettivamente, Expo 2015 ha già avviato una ripresa: quella dei profitti e delle rendite, ottenuta grazie a un intensivo sfruttamento dei lavoratori e del territorio. Politici, imprenditori, faccendieri e mafiosi banchettano da anni su appalti da milioni di euro secondo un scientifico e ben oliato meccanismo di spartizione: ecco chi sono gli unici attori che beneficeranno delle tanto decantate “opportunità per il territorio”. Gli stessi che non spendono nemmeno una parola sui ritmi di lavoro, sulla sicurezza, sugli orari, sugli stipendi e sulle condizioni di lavoro di chi nei fatti sta costruendo i padiglioni e le infrastrutture di Expo. Di quanto succede nel cantiere, dietro la vetrina di Expo, non si sa niente, neanche quando avvengono gravi incidenti che passano nel silenzio.
Expo 2015 è un evento salvifico solo per chi sta sfruttando la crisi per i suoi lauti guadagni, sottraendo miliardi di risorse collettive per gli affari privati di “cupole” e centri di potere legali ed illegali. Un evento che lascerà in eredità solo debito, cemento e precarietà ai territori che attraversa. Ma Expo è anche un grande laboratorio che anticipa il paese di domani. È il caso del Jobs Act – il provvedimento adottato dal governo Renzi che istituisce la precarietà a tempo indeterminato, taglia i diritti dei lavoratori, comprime i salari e lascia mano libera alle aziende nei luoghi di lavoro – anticipato dall'accordo del luglio 2013 tra Cgil-Cisl-Uil ed Expo 2015 S.p.A., che istituisce persino il lavoro gratuito come spina dorsale dell'Esposizione Universale del 2015.
E mentre Expo ti chiede di lavorare sempre più duramente, anche di notte, per un salario da fame, che non è nulla in confronto ai loro guadagni, i sindacati confederali firmano tregue sindacali che limitano gli scioperi e accordi-truffa che ti rubano reddito e diritti. Se anche tu non vuoi più raccogliere le briciole che cadono dalle loro tavole imbandite, unisciti a noi nello scioperare l'Esposizione Universale da qui al 1 maggio del 2015 e oltre!

Le compagne e i compagni della Rete NoExpo







Unione Sindacale Italiana


Via Torricelli 19 -20136 Milano - Tel e fax 0289415932
Via Treviso 33 - 20136 Milano Tel. 0289919073 - 0289919075 - fax 0240044537
http://www.usi-ait.org


“Il Primo Maggio non è in vendita”

Renzi minaccia una precettazione ma il Primo Maggio resta la “FESTA DEI LAVORATORI”
con tutto il suo valore e la sua storia.
Istituita in Italia nel 1891 soppressa nel1925 e restituita nel 1945.
EXPO immagine da tutelare?  Bella immagine quella di EXPO inquisita per collusione con la mafia.  Ci chiedono di lavorare sacrificando la nostra festa per salvaguardare l'immagine di Milano,
dell'Italia, dell'Expo.  Sempre i lavoratori in prima linea, quei lavoratori che secondo Renzi non hanno diritto di tutele quali l'articolo 18, devono essere sempre più precari e flessibili, che non avranno diritto alla pensione, che quella sbadata della Fornero ha riformato aumentando l'età pensionabile e creando dal nulla i tristemente famosi esodati.
Adesso hanno bisogno di noi.
Il Primo Maggio non può essere usato come merce di scambio da nessuno e da nessun sindacato. 
Renzi dice di essere pronto a tutto pur di inaugurare EXPO (anche la mafia è in trepida attesa per concludere i suoi affari) il Primo Maggio alla Scala con la prima di Turandot ( che non è neanche un prodotto scaligero).
CARO RENZI AND FRIENDS LA SOLUZIONE C'È: VIA LA CRAVATTA E IMPUGNATE IL MARTELLO E INAUGURATELO VOI L'EXPO DEGLI SCANDALI MAFIOSI ALLA SCALA DI MILANO.
Io non sono in vendita e il primo maggio non lavoro.

Un lavoratore della Scala aderente all'USI – AIT


Come Unione Sindacale Italiana (USI – AIT) esprimiamo tutta la nostra piena solidarietà ai lavoratori della Scala che rivendicano il proprio diritto di non prestare la loro opera nella giornata del 1° Maggio.

Il Primo Maggio, prima ancora di essere considerato una giornata di festa irrinunciabile, è stato, e lo è tutt'ora, una giornata di lotta e di rivendicazione, costata enormi sacrifici alla classe lavoratrice. Ricordiamoci soprattutto delle sue origini: la condanna all'impiccagione a Chicago per 5 anarchici colpevoli di aver guidato la rivendicazione della giornata di 8 ore estesa a tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Renzi può sbraitare quanto vuole, minacciando rappresaglie contro quei lavoratori della Scala non disponibili a sacrificare il Primo Maggio in omaggio all'apertura dell'Expo decisa in quella giornata.
Un Expo che per noi significa, al di là delle balle che le Istituzioni raccontano, enorme spreco di denaro pubblico, devastazione ambientale, regalo alle cosche mafiose; significa essere al sevizio delle multinazionali nella loro opera di speculazione e di controllo nell'affare della distribuzione del cibo nel pianeta; significa sfruttamento della mano d'opera giovanile praticando contatti di lavoro pagati 1 euro al giorno.
Noi, contro tutto ciò, ci opporremo fermamente!

USI – AIT Sezione di Milano

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