rivista anarchica
anno 45 n. 398
maggio 2015






L'affare Gino Paoli
e la presidenza della Siae

Facciamo salva la presunzione d'innocenza. Faccio anche presente di non essere in alcun modo un giustizialista, anzi di avere in orrore i forcaioli, i “vaingalera”, i “tuttidentro”, ecc.
Faccio anche un'ulteriore impopolare distinguo: i poveri cristi, fruttaroli dei banchi del mercato coi “dieci limoni a un euro”, i musicisti che suonano per la strada o anche in piccoli circoli, minute librerie, festival di provincia, che trasportano qualche decina di copia dei loro CD autoprodotti senza alcuna bolla di accompagnamento, e anche gli osti veri sopravvissuti alla strage del Fast Food e degli apericena, con una passione sociale per il “luogo rifugio” che somiglia alla militanza: so perfettamente che tutti loro evadono - poco, molto o del tutto - le tasse. Ma fra ciò che è illegittimo e ciò che è illegale ma giusto, e forse essenziale per la sopravvivenza, trovo importante provare a fare la differenza, soprattutto per un anarchico.
Sono anni che mi occupo di musica: mi è nota l'importanza del cantautore Gino Paoli per la storia della cultura italiana. Penso anche che sia sempre stata sopravvalutata la sua effettiva forza poetica, preferisco a lui la totalità dei cantautori a lui contemporanei: Bindi, Tenco, Endrigo, Jannacci, Gaber... anche Lauzi, più fragile e limitato degli altri, ma simpatico persino nel suo essere schiettamente reazionario. Mi stupisce l'incontestabile valore di un pugno di brani come “Sassi”, “Che cosa c'è”, “Il cielo in una stanza”, qualche altra cosa che non ricordo e soprattutto “Senza fine”... mi arrendo all'evidenza che le abbia scritte questo pugile, pittore, parlamentare trasformista, burocrate capo e oggi (forse) grande evasore, in un momento di grazia che non si è mai più ripetuto.

Appropriazioni indebite

Mai più: i dischi di Paoli degli anni '70, '80, '90 (mi auguro che non ne esistano anche degli anni 2000) sono un catalogo di banalità - tranne pochissime e irrilevanti eccezioni, come il disco “La luna e il signor Hyde” del 1984 - laddove presentino materiale originale firmato da lui, in ogni caso sono arrangiati senza gusto o al limite con inserti di grandi jazzisti che risultano come posticci cerotti di musica per tenere assieme il nulla. Ci sono senz'altro sue incisioni che sono state importanti nel rendere giustizia al talento di Piero Ciampi (in modo postumo) o di Joan Manuel Serrat, da Paoli giustamente considerati per il loro valore (il che fa pensare che, quando ascolta le canzoni altrui, le orecchie le abbia). Infine il Paoli traduttore m'è sempre sembrato poco più che pessimo, talentuoso semmai nell'attribuirsi il lavoro altrui (la splendida “Albergo ad ore”, che portò al successo, era di Herbert Pagani), e il titolo “Appropriazione indebita”, che lui attribuì a un suo disco, mi pare molto meno una battuta autoironica che una confessione artistica.
Unico valore che attribuisco al Paoli della maturità è quello di aver imparato a cantare molto meglio che ai suoi esordi, con voce ruvida e profonda, con meno sprezzo dell'intonazione e con una sincera emozione, onestamente difficile da provare alla milionesima esecuzione del “Cielo in una stanza”.
Sarà che era ispirato dall'idea del cachet che percepiva in nero (per sua stessa ammissione) e del futuro viaggio in Svizzera che (forse) avrebbe fatto...
Come potete vedere se il mio giudizio su Paoli è severo ai limiti del disprezzo (avrò pur diritto ai miei gusti e soprattutto ai miei disgusti), non è però privo di riflessioni derivate dai ripetuti ascolti dei dischi e delle performance dal vivo. Se ero riuscito a tenere da parte l'irritazione che l'incredibile supponenza e arroganza che l'uomo esprimeva in ogni intervista, in ogni intervento pubblico e in ogni casuale incontro a tu per tu (me lo trovai una volta compagno di camerino e riusciva a guardarmi dall'alto in basso persino da seduto, stupito e forse un po' offeso dal dover condividere lo spazio con un'assoluta giovane nullità quale doveva considerarmi) ed ero stato colto da un vero compiaciuto stupore quando partecipò a un'iniziativa di sensibilizazione, promossa dai Têtes de Bois, sull'incredibile caso dell'attentatore di Umberto I Giovanni Passannante. Mi pare che, a suo tempo, ne diedi debito conto su questa rivista.
Mi sono perso nel 2010 il suo appoggio a un senatore del centrodestra - «Non è un mistero che appoggio Musso, unisce buonsenso e competenza» - da lui considerato il sindaco ideale di Genova, nelle prossimità del decennale dell'assassinio di Carlo Giuliani. Non mi sono invece perso nel 2013 la sua designazione a presidente della Siae, su indicazione diretta dell'allora Capo del Governo Mario Monti e del suo Consiglio dei Ministri. Pensate: un autore, anzi il decano degli autori italiani, presidente di una società molto contestata dalla base dei suoi stessi iscritti (persino io lo sono), in pratica la quasi totalità degli autori di canzoni. Poteva sembrare un buon inizio, soprattutto in considerazione dell'aura di sinistra (se non proprio libertaria) che circondava il Presidente Gino (a non conoscere la presa di posizione forzaitaliota di più sopra).
Alla Siae noi chiedevamo la trasparenza che non ha mai avuto, una vocazione ridistributiva nei confronti degli associati più poveri che si è sempre guardata bene dall'assumere, funzionando anzi da Robin Hood al contrario: rubando dal calderone dei micro concerti dei musicisti di base per arricchire ulteriormente i soci di maggioranza, quelli che già guadagnano di più. A dire il vero già allora la battaglia sulla Siae la consideravo persa in partenza: forse è la legge stessa sul diritto d'autore che va riformata per metterla al passo con le nuove tecnologie e coi tempi. Dopo di che si aprano le porte al libero associazionismo e ciascuno si regoli con la formula che lo soddisfa di più (Copyright, Copyleft, No-Copyright, ecc.).
Ma nulla di più lontano di questo da Gino Paoli che, in quanto presidente della Siae, si è comportato come il più strenuo dei difensori dei suoi peggiori vizi, annichilendo ogni dibattito e confronto. La ciliegina sulla torta fu, nel novembre del 2013, l'appello allo sgombero invocato contro i lavoratori del Teatro Valle Occupato di Roma: «Quando una cosa è illegale qualcuno dovrebbe intervenire. Perciò mi rivolgo, come presidente Siae, alle istituzioni a partire dai presidenti di Camera e Senato» arrivando a citare (in modo del tutto scorretto e distorto) il famoso incipit di Pasolini «Mi ricordano i figli di papà di Valle Giulia che, in nome del popolo, picchiavano i poliziotti, ossia i veri figli del popolo», citare questi versi è una cartina di tornasole: sono decenni che, da Ignazio La Russa in giù, tutti i fascisti se ne appropriano indebitamente... povero Pasolini!
È da quel momento che a livello pubblico non ho più fatto il nome di Paoli, non ho più cantato una sua canzone, non l'ho più citato fra i cantautori italiani, l'ho letteralmente obliterato dal mio orizzonte: ognuno fa le piccole damnatio memoriae che può. Già un artista divenuto burocrate capo mi pareva un artista disonorato, lo scivolone sbirresco nei confronti di un tentativo generoso e coraggioso di difesa di uno spazio culturale da parte dei suoi lavoratori mi è parso un imperdonabile atto d'infamia.
Oggi il “grande moralizzatore”, quello che cianciava di «illegalità totale» e di non «accettare accuse», si trova ad affrontare delle serissime accuse di evasione fiscale, con la fuga dei capitali all'estero, con un conto nella stessa Svizzera di chi fa “lavare” il denaro sporco, per un ammontare parrebbe di due milioni di euro... per ora l'auto-difesa accennata nelle poche interviste rilasciate dopo il fattaccio è stata peggio dell'accusa, e va dalla gestione dei “cachet in nero” che era “costretto” (SIC!) ad accettare alle Feste dell'Unità, alla minaccia di aggressione nei confronti di qualche eventuale interlocutore che, magari con una battuta, si sentisse nel pieno diritto di chiedere esaurienti spiegazioni al Presidente di una società di esazione e controllo, che ha accettato questa carica sapendo di non essere affatto al di sopra di ogni sospetto.
«Se qualcuno, in queste occasioni pubbliche, mi avesse fatto qualche battuta di quelle che circolano adesso, qualche sfottò, bene io l'avrei mandato all'ospedale», sembra una battuta di Al Capone nel film Gli intoccabili, e visto il motivo per cui fu condannato quest'ultimo non mi pare nemmeno di buon auspicio...

Nessun cambio di passo

Intanto il Gino si è doverosamente dimesso.
Per suo conto, passata indenne la gestione del “compagno” Paoli, la Siae è rimasta ciò che era: quella che veglierà occhiuta sul borderò di ogni mio concerto dato per sostenere una cassa di solidarietà ai disoccupati, ma che non mi garantirà mai un'indennità di malattia o una pensione (e scusate se faccio un po' di confusione con la “sorellina” di malefatte Enpals!). La Siae è sempre quella che nel 2006 multò i bambini di Chernobyl: «La Siae ha fatto una multa di 205 euro a 14 bambini di Chernobyl per violazione del diritto d'autore. I piccoli, di età compresa tra i 7 e 12 anni, avevano preparato un piccolo spettacolo per dire grazie alle famiglie da cui erano stati ospitati [...]. Le piccole casse di un computer portatile diffondevano una canzone popolare e loro, sulla base musicale, avevano iniziato a cantare le prime strofe per salutare le persone che si erano prese cura di loro per quasi un mese [...] hanno indossato abiti buffi fatti di carta igienica e piatti di plastica e dalle casse del portatile era partita la musica. Mentre i bambini cantavano “Viva la gente” [...] si è affacciato il «dottor Francesco Disanto, titolare dell'ufficio Siae di Martina Franca» perché nessuno dei bambini bielorussi aveva chiesto l'autorizzazione a esibirsi alla Società italiana degli autori e editori». (da Repubblica del 3 settembre 2006. Articolo di Paolo Russo).
Sta tranquillo (Ex)Presidente, vedrai che t'assolvono. In fondo è vero, avevi ragione tu: la vera illegalità è quella degli occupanti dei teatri, che cercavano di dare dignità al lavoro degli artisti e agli spazi cittadini.
Da noi non si paga il biglietto, perciò non avremo mai i milioni da nascondere in Svizzera. Per questo siamo i delinquenti e tu eri il presidente!
Io mi accontento di sapere che la musica è al servizio della gioia dei bambini, della solitudine dei vecchi, della danza d'amore degli adolescenti, delle speranze della folla nella piazza... io ho queste ricchezze e nessun vecchio burocrate può alzare il dito e prendermele. La mia ricchezza viaggia attraverso le frontiere senza mediazione, senza promozione, senza concussione... Se ne perde in denaro, se ne acquista in umanità. Io, come umile servo della musica, voglio essere ricordato come uno che ha tentato di essere giusto, non come uno che ha tentato di essere ricco.

Alessio Lega
alessiolegaconcerti@gmail.com