rivista anarchica
anno 45 n. 398
maggio 2015





La società de li bamboccioni


Ottorino Gangi si presentò al primo giorno di lavoro arrivando su uno strano mezzo che ricordava un passeggino rinforzato di dimensioni sproporzionate. I genitori, spingendo, lo accompagnarono a pochi metri dall'ingresso per salutarlo con tenere lacrime e augurare a se stessi un po' di relax.
Avevano dovuto sostenere per un decennio il peso economico del programma governativo per l'inserimento crescente dei giovani nel mondo del lavoro. Il loro figlio, che di anni ne aveva 35, era diventato meno giovane, ma era cresciuto poco.
All'inizio Ottorino ci aveva provato. La paghetta d'ingresso, però, non aveva potuto accettarla. Trenta euro alla settimana per un lavoro ottuso non avrebbe neppure compensato le spese per la mensa, tutte a carico del neoassunto. E così il ragazzo ci aveva fatto l'abitudine, alla rinuncia, mentre la famiglia aveva dovuto digerire per anni la censura sociale, l'oscurità di troppe giornate vissute a denti stretti, e tutto quel blaterare di fallimento e merito, di bamboccioni e responsabilità...
Era dovuto intervenire il padre per convincere Ottorino a presentarsi alle selezioni per quell'ultimo posto. E lui aveva superato la prova. Dieci ore ininterrotte a cantilenare la stessa filastrocca: <Buongiorno, la chiamo per l'ultima promozione delle tariffe telefoniche scontate del gestore... >
Ottorino scese dal super-passeggino. Si guardò attorno circospetto, con movimenti oscillatori da destra a sinistra, prima di incamminarsi verso la barriera dei tornelli aziendali presidiati dalle guardie.
<Ciao mamma, ciao papà> gridò con voce comprensibilmente infantile, agitando la mano.
I genitori ricambiarono con partecipazione, si guardarono complici e sorrisero. Poi seguirono il cammino del figlio che stava per essere inghiottito dalla generosa bocca aziendale, e iniziarono a immaginare...
I primi passi. Sei mesi senza stipendio.
I secondi passi. Sei mesi al minimo retributivo.
Altri contratti, altri piccoli passi.
Non importava. Contava andare, camminare, lavorare, come aveva già cantato un certo Piero Ciampi.
Mamma e papà stavano spingendo il passeggino ormai vuoto con una punta di malinconia, quando videro un quarantenne calvo fiondarsi verso l'ingresso e superare di scatto il loro Ottorino.
Non si lasciarono prendere dallo scoramento. Era uno che aveva fretta di arrivare primo, che sgomitava per la carriera, ma che a uno sguardo più attento tradiva già i segni della fatica, con quel ciuccio tra i denti che rendeva ardua la volata finale.

Paolo Pasi