rivista anarchica
anno 45 n. 399
giugno 2015





Time is the prison


Mi chiamo Crono, e sono prigioniero. Osservo le stelle dall'alto di una torre, perché la mia cella è ampia. Copre tutte le distanze dell'universo in espansione. Ormai ho smesso di contare gli anni, tanto i giorni scorrono lenti e prevedibili.
Tic, tac. Tic, tac.
I secondi calano dall'alto come fossero gocce che scavano vuoti nella mente. Una tortura meticolosa confonde e intacca i ricordi.
Aspetto.
Ogni giorno mi carico di fatica per addormentarmi e sognare, ma il sonno è lontano, come sempre, e la notte una compagna di cospirazione. Evadere è difficile, non impossibile. Si tratta solo di evitare le trappole. Quando ho creduto di liberarmi con la ricchezza e il potere, ho scoperto di essere ugualmente soggiogato dal mio carceriere. Ossessionato dalla paura di perdere, ho trascorso giorni paralizzanti, fermi sull'angoscia, mentre il tempo mi stringeva addosso la catena dell'invecchiamento.
Non parliamo dell'età, dunque. È la peggiore trappola in circolazione. Essere giovani è come vivere una breve parentesi di libertà condizionata. Nel momento in cui scopriamo di poter volare, i nostri piedi sono già saldamente a terra, pronti a camminare lungo il tracciato risaputo della maturità.
Vecchio, mi sembra di esserlo da sempre, ed è quindi illusorio che cerchi di colmare le rughe con sorrisi artificiali, o peggio con le lacrime del ricordo. Guardandomi allo specchio mi concentro sulle pupille. C'è ancora una vena inesplorata, lì dentro, una via di fuga. La sovversione del tempo. È qualcosa di simile a un'infanzia che deve ancora accadere, oppure l'immagine di un futuro già accaduto. Per questo sono convinto di potercela fare. Forse custodisco da sempre le chiavi che possono farmi uscire dalla cella. Basta solo che gli occhi si accendano come propulsori della fantasia, e io mi abbandoni al viaggio dentro me stesso.
Attendo.
Sto cercando di sabotare il mio orologio interiore, portandolo dalla mia parte, sospendendo la cadenza lineare e ossessiva delle lancette. Mi affaccio dall'alto della torre. Presto mi getterò dal precipizio delle cose risapute, convenienti, calcolate, meschine, perfino eroiche. Mi affiderò alle correnti inesplorate della mente. Aspetto solo che le parole arrivino, e sarò pronto a scrivere la cronaca della mia evasione.
Adesso.
Mi chiamo Crono, e il mio tempo non conosce limiti né confini. Un mistero perfino per me stesso. Posso andare avanti e indietro. Passato e futuro. Est e ovest. Luce e buio. Sono una storia scritta al passato per immaginare ciò che accadrà, oppure declinata al futuro per raccontare i ricordi.
Ecco le parole.
Respiro.
Sto scappando.

Paolo Pasi