rivista anarchica
anno 45 n. 399
giugno 2015


Mediterraneo

Il lupo e l'agnello

di Maria Matteo


A ben vedere, i due Mattei (il premier e il capo della Lega) la pensano esattamente allo stesso modo. L'indignazione e l'«umanità» del primo combaciano con il cinismo e il razzismo del secondo.
Sulla pelle dei migranti.


Il Mare di Mezzo avvolge le vite che ha inghiottito. La frontiera è una riga sulla mappa, un segno fatto di nulla nell'azzurro. Quelli che l'attraversano non possono toccarla né vederla, ma sanno che c'è e tiene in scacco le loro vite.
Nelle foto la gente che buca la frontiera sembra tutta eguale: chi non è troppo stremato sorride. Sorridevano anche i pochi che hanno scampato il naufragio del 19 aprile. Sorridevano perché avevano vinto l'ultima sfida con la morte, poche decine di salvati contro 900 affogati. Poi, nei racconti, i sorrisi si sgretolano. C'è il fratello che non sono riusciti a sorreggere ed è scivolato giù, c'è l'amico di sempre rimasto chiuso nella stiva. Nelle polverose strade intorno al CARA di Mineo, tra i braccianti di Rosarno e Saluzzo, tra i fantasmi dei cantieri, dove si consumano vite senza valore, quell'attimo di gioia fatica a durare. Qualche volta, ma non succede spesso, esplode repentina la rabbia, che blocca le strade e si scaglia contro le divise, perché in Italia l'Europa dei sogni non c'è. La frontiera, quella vera, si sposta più su. È sempre stata più su.
Ogni volta che muore tanta gente tutta insieme, media e politici mettono in scena lo spettacolo dell'indignazione, tra lacrime, fiori, commozione. Una scena che si ripete identica nel tempo.
Ma il copione vero, ovviamente, è un altro. Basta saper leggere tra le righe delle cronache del cuore che inzuppano di lacrime l'inchiostro. Nessuno alzi lo sguardo per vedere la faccia pallida della luna. Gli sguardi vengono catalizzati sui cattivi di turno, sui trafficanti d'uomini, che profittano della frontiera per fare affari.
Nel mirino entra lo scafista. Quello del 19 aprile è il mostro delle favole: maldestro, ubriaco, cannaiolo. La verità è che quei 900 morti sono stati una buona occasione per il governo per riaprire il fronte libico.
Le destre, da Salvini a Santanché, hanno fatto le consuete esibizioni di ferocia verbale, ma nei fatti i loro progetti sono fatti di carta velina. Ci ha pensato il generale Graziano a fare piazza pulita della proposta di blocco navale del segretario della Lega Nord, Matteo Salvini. Con la grazia tipica dei militari, Graziano, intervistato dal quotidiano La Stampa, ha fatto rilevare che un blocco navale di fronte alle coste libiche, fatta la tara dai problemi diplomatici, avrebbe rappresentato un incentivo alle partenze, non un deterrente. Agli scafisti basterebbe mollare i barconi in vista delle unità della marina militare e filare via, confidando nel dovere del soccorso, e il gioco sarebbe fatto. Con buona pace di Matteo Salvini, migranti e profughi arriverebbero in Italia più numerosi e più in fretta. Senza il mare a fare la selezione, la proposta di Salvini si rivelerebbe un boomerang per la propaganda xenofoba e razzista del suo partito.

L'avvento di una nuova (vecchia) destra

A quest'ultimo non interessa tanto la realizzabilità della sua idea, quanto l'effetto mediatico, che spera di capitalizzare nell'ormai prossima scadenza elettorale. I tweet e i post che esprimevano compiacimento per l'ultima strage delle frontiere dimostrano che la Lega ha imboccato la strada buona. Salvini l'ha candidata a diventare il catalizzatore della destra più estrema, costitutivamente incapace di divenire polo attrattivo per il ceto medio impoverito e spaventato della provincia lombarda o veneta, o di rappresentare il ventre molle delle vecchie clientele forziste, orfane di un Berlusconi ormai incapace dei propri funambolici recuperi. Abbandonato l'afflato indipendentista, ma non il corredo simbolico del nordismo padano, fa sua l'intuizione della Nuova Destra differenzialista e costruisce un ponte nord-sud, cementato nella paura, nella xenofobia, nel campanile crociato contro l'invasione della mezzaluna. È così riuscito a superare l'impatto delle tante inchieste per corruzione che hanno travolto svariati eminenti leghisti, sin dal padre fondatore e nume tutelare del partito, Umberto Bossi.
Altra cosa sarebbe immaginare oggi una Lega di governo, divisa tra spinte ultraliberiste e tentazioni protezioniste, per non dire della difficoltà di dare corpo reale all'infinità di orrori razzisti che urlano da manifesti e social media.
Quando Maroni era ministro dell'Interno la Libia era governata da un buon alleato come Muammar Gheddafi, che, in cambio di una buona manciata di quattrini, garantiva il blocco dei flussi migratori diretti in Italia. Nel febbraio del 2012 questa scelta criminale costò all'Italia una delle tante condanne della Corte Europea per i diritti umani. La condanna riguardava il caso “Hirsi”. 24 persone per le quali non era stato rispettato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura.
I 24 facevano parte di un gruppo di 200 profughi di guerra somali ed eritrei, intercettati in mare il 6 maggio del 2009, caricati su navi italiane e portati in Libia contro la loro volontà, senza dare loro la possibilità di fare richiesta di asilo. In Libia rimasero per mesi in prigioni dove subirono abusi di ogni genere. La loro vicenda non venne seppellita nel silenzio e nell'indifferenza per un mero caso. Intercettati in Libia da due avvocati del Cir – consiglio italiano rifugiati – fecero ricorso alla CEDU.
L'Italia pagò il risarcimento di 15.000 euro a 22 dei 24 rifugiati. Gli altri due nel frattempo erano morti in un nuovo tentativo di raggiungere l'Italia. Migliaia di uomini e donne furono torturati, stuprati e umiliati nelle prigioni libiche, o morirono di fame e di sete nel deserto perché non avevano abbastanza soldi per i mercanti d'uomini. Fu una lunga strage senza eco in un paese sordo e cieco. Una strage di Stato. Lo Stato italiano. I respingimenti collettivi in mare, le galere sulle coste e nel deserto decretarono la fine della rotta verso Lampedusa.
I migranti e profughi subsahariani intrapresero la via del Sinai, altrettanto pericolosa come quella del mare. Tutto a posto. I profughi venivano rapiti, taglieggiati e uccisi nel deserto nel tentativo di raggiungere Israele e, di lì, l'Europa; gli eritrei marcivano a Misurata, buona parte dei respinti finivano i loro giorni nel deserto libico, più nessuno aveva l'impudenza di morire nel Mare Nostrum.

Ma l'emergenza era finita?

Gli italiani “brava gente” dormivano sogni quieti. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Nessuno ripescava in mare bambini morti, nessuno vedeva lunghe file di corpi allineati sulle banchine dei porti. L'emergenza era finita.
Il lavoro sporco lo faceva quel malandrino di Gheddafi, che si esibiva per le vie di Roma appuntando sulla giacca la foto della cattura di Omar al Mukhtar ai tempi della repressione coloniale italiana. Peccato che il colonnello fattosi raiss fosse complice attivo del nuovo colonialismo, che usava i libici come guardie pretoriane del Mare di Mezzo. Vale la pena ricordare che gli accordi italo-libici per l'outsourcing della repressione dell'immigrazione clandestina, vennero sostenuti sia dai governi di destra che da quelli di sinistra.
Poi le smanie neocoloniali del governo francese, seguito a ruota da quelli inglese e statunitense, fecero saltare in aria la Libia. L'Italia, coerente con lo spirito della storia patria, mollò Gheddafi al suo destino e si unì all'alleanza occidentale per impedire ad altri di abbeverarsi ai “propri” pozzi di petrolio. Salvò il petrolio, ma perse il controllo delle frontiere libiche. I barconi ripresero a viaggiare e con loro la diplomazia italiana.
Ancora nel gennaio del 2012, il primo ministro Mario Monti stringeva un accordo con il governo libico per il contrasto dell'immigrazione clandestina. La situazione in Libia, spezzata da una guerra civile sempre più feroce, non permise mai il ritorno all'epoca d'oro del controllo totale delle frontiere. In quest'ultimo anno la situazione è ulteriormente peggiorata. Il governo italiano ha messo in campo la missione “Mare sicuro” per salvaguardare i propri interessi petroliferi. I media da settimane suonano la gran cassa della nuova, gigantesca “emergenza sbarchi” che si profila all'orizzonte dell'estate.

Renzi e Salvini stessa strategia

Il terribile naufragio di domenica 19 aprile è arrivato come il cacio sui maccheroni. Il governo italiano ha ancora una volta battuto cassa in Europa ed ha ottenuto il triplicamento della missione Frontex Triton, incaricata di pattugliare le rotte nel canale di Sicilia. La questione vera sul piatto resta la Libia, sulla quale soffiano impetuosi venti di guerra. Sebbene un intervento di terra sia al momento improbabile, Matteo Renzi vorrebbe tentare di riproporre in Libia il modello della missione europea Atalanta, sperimentato contro la pirateria tra il golfo di Aden e l'oceano indiano. L'operazione, cominciata nel 2008 sotto l'egida dell'ONU, è tuttora in corso. L'Italia vi è impegnata con proprie navi da guerra, e per un certo tempo, con uomini a bordo di navi civili. È il caso della petroliera “Enrica Lexie”, sulla quale si trovavano i due marò, che uccisero due pescatori del Kerala, scambiati per pirati.
Se per Renzi l'appoggio dell'UE incassato lo scorso 23 aprile diverrà più concreto, il governo potrebbe dare il via ad un'azione con droni e altri mezzi aerei per colpire i natanti dei trafficanti. Chi sa quale geniale software farà distinguere una barca di pescatori da un'altra barca di pescatori, trasformata in traghetto per profughi e migranti?
Una formula semplice: si affondano le navi, si bloccano a terra i rifugiati e i migranti. L'idea di Matteo Renzi è identica a quella di Matteo Salvini. Impedire le partenze: chi non parte, non muore in mare, non arriva in Italia, non intasa i centri, non pretende assistenza. Non esiste. Come non esistono le guerre, la desertificazione, lo sfruttamento delle risorse, il neocolonialismo. Non esistono le leggi razziste che impediscono a profughi e migranti di approdare in Italia usando normali traghetti ed aerei. Che muoiano a casa loro. Matteo Salvini lo predica, Matteo Renzi è determinato a renderlo possibile. L'uno fa l'agnello, l'altro il lupo.
Secondo voi, chi è il più feroce?

Maria Matteo