Perché era lì:
storia di una band non classificata
Per spiegare questo libro, Stefano Giaccone scrive (l'ha fatto
quasi un anno fa, ma è senz'altro roba buona, valida,
non scaduta) questa cosa interessante e rivelatrice. Secondo
me vale la pena leggerla. Ve la copio pari pari qui sotto, aggiustando
solo un apostrofo. “[...]A volte, avviene di incontrare
persone e eventi che ci appaiono come familiari, come lupi che
si ritrovano dopo che un lungo, rigido inverno li ha tenuti
distanti. Basta una piccola annusata, una sfumatura del manto,
una cicatrice sul muso, un ululare familiare e si riforma il
branco. Eppure, quando questo “prodigio” si avvera,
avremmo giurato di non aver mai incrociato prima quella persona,
mai attraversato quella città, mai letto quel libro o
visto quel film. Franti, il gruppo che ho contribuito a partorire
e col quale ho lavorato dall'inizio, nel 1982, fino alla sua
scomparsa/trasformazione/metamorfosi/avanzata/ritirata (cancellare
le “voci” che non interessano), ha lasciato una
traccia, una eco. Una emozione profonda presente nell'anima
e nella memoria: questa traccia residua la definirei così,
piuttosto che qualche canzone o una ristampa integrale su CD.
Ho raccolto commenti (su vari siti, sotto i video postati
in You Tube, pubblicazioni, riviste, ecc) e sono arrivato a
questa conclusione. Ne copio qui soltanto due: “...e io
sono pieno di brividi. con le lacrime agli occhi e con il sorriso
ebete stampato in faccia... tutto riaffiora e io lo custodisco...
lo spirito continua”; “...chi ha conosciuto la scena
torinese di quegli anni non la dimenticherà mai, chi
non ne ha avuto la fortuna non potrà mai immaginare l'energia
in circolazione”.
Valutare fatti e eventi dalla “quantità”
di audience, di copie vendute, di citazioni e visualizzazioni,
ecc. ecc. appartiene alla categoria della “merce e la
sua diffusione”. Senza fare differenze tra chi metteva
bacchette e chitarre là sopra il palco e chi metteva
cuore, orecchie e vita tutt'intera là sotto, il numero
di persone che ancora oggi condivide questa passione, questa
comunanza poetica/musicale/politica con Franti è piccolissimo,
una minuscola frazione. Che io sputi sopra i tabulati delle
vendite non vuol dire che questi non esistano. La storia, grande
o piccola, si fa con i fatti. I fatti sono che Franti, a dispetto
di numeri molto ridotti, ha lasciato una eco profonda, una traccia
visibile nel cielo.
A volte avviene che i lupi si ritrovino.
Un Lupo è un Cane Bastardo. Il gruppo di persone che
si ritrova attorno al blog www.canibastardi.it ha deciso di
rintracciare nel cosmo contemporaneo tracce di quella eco, di
quel Suono. Non un libro “su” Franti, ma sul suo
riflesso, la sua traccia. Per coerenza: Franti infatti era messo
“in Musica” da 6 persone che condividevano un immaginario,
una lotta, un Suono del Mondo, frutto della eco, della traccia
lasciata da mille film, mille dischi, mille cortei, mille amori
e mille Vietnam. Non un libro “su” Franti, quindi:
piuttosto un libro “da” Franti, alla moda di Franti.
L'alpinista
e esploratore George Mallory alla domanda “Perché
Lei vuole scalare l'Everest?” pare abbia risposto al giornalista:
“Perché è lì!”. Perché
un libro da Franti, allora? Ci saranno foto, video e musiche.
Storie, interviste, interferenze, ricordi. Soprattutto una bella
aria, da subito, tra i promotori del progetto. Proprio come
tra Lupi che si ritrovano dopo un lungo rigido inverno. Perché
è lì, che ci ritroviamo...”.
La prima cosa che mi viene in mente, quando devo raccontare
di Franti, è il ricordo dell'odore della cantina dove
ero andato a sentirli provare: un misto grigio di polvere e
umidità che, a me che sin da ragazzino frequentavo cantine
simili, era assai familiare. Si era nei primissimi anni Ottanta
allora, noi tutti sui vent'anni abbondanti, chi più chi
meno, “col fuoco che ci bruciava dentro e la voglia di
non arrenderci al nuovo stato delle cose” tutti molto
presi da quell'aria nuova che ci sembrava di respirare. Qualche
anno prima, Demetrio Stratos e gli Area avevano temporaneamente
smesso di sperimentare coi suoni per cantare “il mio mitra
è un contrabbasso che ti spara sulla faccia quel che
penso della vita”, e c'era voluto un po' di tempo - forse
nel 1975 eravamo davvero troppo giovani - per riuscire a comprendere
e fare nostro quel messaggio. Eravamo ciascuno intimamente convinti
di essere parte attiva di una rivoluzione rumorosa che sarebbe
passata, se non proprio per le strade giù sotto le nostre
finestre, almeno tra le pareti della nostra stanza.
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Franti. Perché era lì. Antistorie da una
band non classificata (Nautilus Autoproduzioni) |
Non era punk, non era blues, non era rock,
non era pop...
Franti era radicalmente diverso dagli altri gruppi di ragazzi
new wave belle facce, pettinati, ben vestiti in posa
sulle copertine dei giornali: un po' come il Fabrizio De Andrè
schivo e riservato degli inizi, era un qualcosa di impreciso
(per i più giovani: non c'era internet né posta
elettronica né mp3, per conoscere bisognava muoversi,
avvicinarsi, sbattersi, il tempo aveva una velocità adesso
impensabile). Non si sapeva che facce avessero: non avevano
messo in giro foto di se stessi, in giro suonavano poco e comunque
Torino era distante, si veniva a sapere di un concerto solo
tardi, spesso a concerto già finito. I loro erano volantini
veloci, senza tutti quei quintali di parole appiccicati nelle
copertine intorno ai dischi punk di allora. Nel pacchetto insieme
alla cassetta di “Luna nera” avevano messo solo
un foglietto con due righe di ringraziamento scritte a penna.
Si sarebbero concessi - solo per un paio di pagine - a Rockerilla
tramite l'amico e compagno Alberto Campo solo più avanti,
e imponendo la pubblicazione di un grafico (l'andamento dei
decessi di assuntori di stupefacenti dal 1973 al 1982) e di
alcune tabelle (i dati sulla salute in fabbrica raccolti nello
stabilimento Barilla di Pedrignano - Pr) invece che la fotografia
che gli era stata chiesta. Punk? Sì e anche no. Sì
per l'atteggiamento incompromissorio, per la pratica dell'autogestione
e di condivisione orizzontale delle scelte, per la decisione
consapevole di dove stare, da che parte stare. Ma il suono di
Franti non era affatto riconoscibile come punk, anzi erano tutt'altro
che punk: sembravano piuttosto dei Jefferson Airplane disintossicati
e con vent'anni di meno, ogni canzone un improvviso volo di
rondini, un panorama inaspettato. Non era punk ma non era neanche
rock, non era pop, non era blues, non era folk, non era jazz,
non era sperimentale: era tutto questo insieme, ed era ancora
di più. Era musica, musica e basta, musica e non solo,
era Musica con la M maiuscola, musica bellissima mai sentita
prima.
Canzoni smaniose di futuro
Erano canzoni che suonavano come certi fuochi di guerra che
rimangono a divorare ciò che rimane dopo un bombardamento,
canzoni nere di un nero senza scampo come quello che segna il
profilo di una scogliera mentre si avvicina il maltempo, canzoni
smaniose di futuro nel senso di sole senza buchi nell'ozono
e di aria pulita senza polveri sottili o radioattive. C'erano
dentro “Bob Dylan, Victor Jara e i Banshees, Robert Wyatt
e John Cale, Patti Smith e Francesco Guccini, Fabrizio De André
e i Crass”, tanto per citarsi addosso. Ogni verso un ritratto
di ragazzo che mi assomiglia, che mi guarda e che non abbassa
lo sguardo. Ad ogni ascolto una stretta al cuore.
Vi scrivo di Franti adesso che faccio finta di avere tra le
mani il libro “Perché era lì: storia di
una band non classificata” (ed. Nautilus, dovrebbe esserci
anche un DVD allegato, prezzo non indicato). Sono impreciso,
lo so. Mi spiego meglio: me n'è arrivata una copia in
formato .pdf via e-mail. Non so neanche se è la versione
definitiva (a me sembra di sì, pare già impaginata
pronta per la tipografia). Non essendo coinvolto nella realizzazione
non ho onestamente idea della data d'uscita e di altri dettagli
tecnici, ma non credo di sbagliare troppo se dico che “esce
adesso”. Quando leggerete questo articolo il libro magari
sarà già in giro, Nautilus rimane un po' sotto
l'orizzonte quindi per procurarselo bisognerà darsi da
fare.
Contatti:
Nautilus
www.nautilus-autoproduzioni.org
Cani Bastardi
www.canibastardi.it
Marco Pandin
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