rivista anarchica
anno 45 n. 399
giugno 2015


politica

Il mercato delle vacche

di Andrea Papi


La sfera della politica dei partiti è sempre più luogo di trasformismo, cambi di rotta e improbabili alleanze. La totale mancanza di etica e la perdita degli ideali hanno reso l'ambito politico un arido terreno di giochi tra lobby.
E l'interesse privato è l'unico obiettivo.


Da diverso tempo siamo costretti ad assistere quotidianamente a un degrado accentuato della politica politicante e a un decadimento progressivo della qualità sociale. Dati di fatto innegabili e imperanti. Povertà in aumento, interventi politico-burocratici sempre più invasivi, asfissianti, inefficienti e dispotico-sopraffatori, ecatombi di migranti in fuga da sicuri massacri, aumento di razzismo, cinismo sociale, xenofobia e violenze sopraffattrici, azioni e comportamenti mafiosi e omertosi in disprezzo ad ogni spirito solidale... Si potrebbe tranquillamente continuare perché l'elenco è consistente. Basta avere occhi per guardare e orecchie per sentire, senza ovviamente munirsi di auricolari e di paraocchi. Non è affatto casuale. Anzi è perfettamente conseguente agli andazzi cui è sottoposto da non pochi decenni il divenire sociale, economico e politico. Quasi una “naturale” evoluzione, o involuzione che dir si voglia (dipende dai punti di vista), cui non riesce a sottrarsi l'impostazione di fondo sulla quale si basano i contesti in auge. Per dirla con un vecchio adagio sempre attuale ed efficace: è nell'ordine naturale delle cose.
Lo spettacolo a/morale e a/politico del “politicantismo'' in auge è ormai oltre ogni supposizione spregiativa. Non ha neppure senso tentare di qualificarlo, tantomeno aggredirlo. Siamo al di là della logica del tradimento, figuriamoci dell'incoerenza. Per tradire o per non essere coerenti bisogna avere punti di riferimento saldi, chiari e identificabili. Ebbene, non è difficile constatare che nell'ambito di cui stiamo parlando ormai non c'è più neppure l'ombra di tali caratteristiche imprescindibili, che invece connotavano la politica fino a qualche decennio fa.
Ciò che in origine era “l'ambito politico” ha ormai subito una totale metamorfosi. Si è trasformato in un contesto che mi piace chiamare “politicantismo”, derivazione spuria e deforme di un campo d'intervento, ab antiquo considerato un'arte nobile di gestione della società. I “praticanti” che razzolano nei numerosi “cortili” istituzionali oggi sono sempre più presi dal mestiere di occuparsi della “cosa pubblica” attraverso il filtro, impenetrabile e inaccessibile ai più, della burocrazia dei vari “enti competenti”, al di là fra l'altro che la competenza e l'abilità che si auspicherebbe ci siano effettivamente.

Paradiso perduto

L'“arte della politica” è stata vieppiù sganciata dalla tensione ideale. Mentre in origine si supponeva che avrebbe dovuto rappresentare la ricerca e la possibile sperimentazione della “città ideale”, cioè del “luogo migliore” dove realizzare la società cui tutti aspireremmo, dove dovrebbero trovar corpo giustizia e reciprocità umana, oggi è diventata il luogo privilegiato dove si fanno gli affari, dove si applica il dettato istituzionale indipendentemente che corrisponda a ciò che i cittadini auspicano. Tutto ciò perché il suo compito riconosciuto a poco a poco ha smesso di essere quello di rappresentare il campo di ricerca e riflessione che dovrebbe ispirare atti e scelte che riguardano l'insieme dei cittadini. Oggi la politica è ridotta a mera gestione territoriale, col compito di controllare che tutto “sia in riga”, trovi conformità con le sfere d'influenza del dominio globale e sovrastatale che sovrintende e determina la qualità della vita di tutti.
In proposito è esemplare e sintomatico ciò che si è manifestato e si sta determinando nell'ambito delle campagne elettorali per le elezioni amministrative di fine maggio/inizio giugno 2015. Francesco Merlo su “La Repubblica” del 12 aprile lo definisce una specie di “superkamasutra”, riferendosi alla quantità di varianti e posizioni, perché nell'affastellata congerie del politicantismo in voga sono talmente tante che quello originale risulta insufficiente. Spensierati scambi di posizioni, passaggi da un partito o da una coalizione ad altro, fino a quello o quella ufficialmente antitetici. I vari notabili vanno là dove possono continuare, più o meno indisturbati, a coltivare i loro orticelli più o meno consistenti che garantiscono rendite di posizione e potere in loco.
C'è fantasia in questo traffico scambista. Cose difficilmente pensabili fino a qualche tempo fa per un ex sessantottino come me. “A Regalbuto, provincia di Enna, è entrato nel Pd persino il camerata Francesco Bivona... De Luca, candidato-condannato dal Pd, sarà votato anche dai forzisti fedeli al boss Cosentino... in Liguria Civati non solo appoggia il secessionista Pastorino che ha disconosciuto le primarie dopo averle perse, ma addirittura flirta con Toti, uomo senza qualità del berlusconismo'', ci sottolinea sempre Merlo. Mi fermo qui perché ho già reso l'idea e questa non vuol essere una casistica aggiornata della “malapolitica”.
Il bisogno e l'etica di appartenenza sono saltati come valore e come riferimento, perché non ha più senso appartenere a qualcosa che coincide con spinte in qualche modo ideali. Primo perché sono praticamente scomparse, secondo perché, se per caso inizialmente ci fossero, si disperderebbero e confonderebbero in breve con quel brodo “ultrasuccedaneo” che fa da supporto e sostegno per il consistente malaffare e una diffusissima corruttela, i quali avvolgono senza scampo l'insieme dei movimenti amministrativi, politici e parapolitici su cui si regge il contesto pubblico-istituzionale da cui dipendiamo.
Tutto ciò è potuto succedere perché le basi su cui si è fondata la Repubblica, al di là della retorica auto celebrativa istituzionale, si sono perlomeno dimostrate molto fragili, estremamente permeabili da chi è aduso e abile nel muoversi dentro il torbido delle gestioni. Tutto si regge su finzioni sempre meno in grado di sopportare il passo dei tempi.
La modernità occidentale ha declamato al suo sorgere che il re era decapitato e che ora è il popolo il vero e unico sovrano. Nei fatti il popolo è una non/realtà, così indefinita che comprende tutto e chiunque in modo talmente indifferenziato da non esser più in grado di identificare alcunché. Ciò che non è identificabile, ne consegue, non può neppure essere sovrano. Il “popolo” è diventato solo un alibi che nasconde la mancanza di una vera sovranità legittimabile, mentre apre varchi enormi verso auto/legittimazioni che negano nei fatti ogni volontà popolare e impongono istituzioni esautoranti e impositive.
Ci sono inoltre altri due fattori alla base del decadimento, a questo punto possiamo dire endemico: una “non/rappresentanza” di fatto e l'annichilimento dei partiti.

Come bandiere al vento

La democrazia vigente si autodefinisce rappresentativa e basa sull'istituto della rappresentanza il fondamento etico-istituzionale della sua auto-conclamata democraticità. In realtà la tecnologia applicativa l'ha deprivata di senso e di fatto. Gli elettori partecipano ad eleggere chi deciderà per loro a propria discrezione, senza nessuna forma di mandato (escluso dalla stessa Carta Costituzionale) e senza nessun controllo, tanto meno intervento, dal basso. Inoltre, com'è successo più volte, durante la legislatura gli eletti cambiano tranquillamente bandiera e passano “spensieratamente” da una forza politica all'altra. Com'è possibile considerare rappresentativo un simile “mercato delle vacche” parlamentare? Non ne ha la struttura né tantomeno la valenza etica.
Per quanto riguarda i partiti oggi sono ridotti a mera finzione. I partiti moderni, endemica evoluzione dei club sorti durante la rivoluzione francese, presero piena forma e compimento nell'ottocento. Erano concepiti come organizzazioni che dovevano rendere attuabili idee forti, visioni specifiche di società (la repubblica, il socialismo, ecc.). Praticamente erano il livello organizzativo espressione di ideologie predefinite. Oggi non solo quelle ideologie sono tramontate, ma non sono neppure state sostituite da altre. Non ci sono più visioni di società alternative, almeno nell'ambito della politica istituzionale. Di conseguenza i partiti sono decaduti e ciò che ne è rimasto non è neppure un residuo. Al loro posto ci sono lobby non dichiarate che portano avanti interessi di parte e determinano egemonie leaderistiche incentrate su personalità carismatiche, indipendentemente che queste siano portatrici di idee o semplicemente di personali utilità.

Andrea Papi