rivista anarchica
anno 45 n. 400
estate 2015


dossier Emma Goldman

Sesso, anarchia e rivoluzione

sei scritti di Emma Goldman / due interviste a Emma Goldman
un saggio di Clare Hemmings su Emma Goldman


Figura di riferimento al contempo per il movimento anarchico e per quello femminista, Emma Goldman (1869 - 1940) fu al centro di accese polemiche per le sue posizioni sessuo-libertarie, per il riferimento pubblico fatto ad aspetti della propria vita privata, per aver infine rivendicato il ruolo della sessualità nella vita sociale.

Emma Goldman nel 1886. Dagli archivi del
Resource Information for Emma Goldman

Indice del dossier

*** Intervista a Emma Goldman / Che cos’ha l’anarchia per le donne (*)
Emma Goldman Il giogo dell’istituzione matrimoniale (1897) (*)
Emma Goldman L’anarchia e la questione sessuale (1893) (*)
Emma Goldman L’inganno del libero amore (1931)
Emma Goldman Senza attendere la rivoluzione sociale (1931)
Emma Goldman Il controllo delle nascite (1916) (*)
Emma Goldman L’importanza dello scrivere di sesso (1931)
Nellie Bly Intervista di Nellie Bly a Emma Goldman / Tra pubblico e privato (1893) (*)
Clare Hemmings La potenza liberatrice della sessualità


(*) Inedito in italiano
 


Che cos'ha l'anarchia per le donne

intervista a Emma Goldman

Matrimonio, libero amore e ruolo della donna nella società in un'intervista pubblicata su una rivista popolare.

“Che cosa ha l'anarchia da proporre a me, una donna?”
“Più a una donna che a chiunque altro: tutto quello che non ha, libertà e uguaglianza.”
Con la massima franchezza Emma Goldman, la sacerdotessa dell'anarchia, esule russa, temuta dalla polizia e ora ospite degli anarchici di St. Louis,1 ha risposto alla mia domanda.
L'ho incontrata al n. 1722 di Oregon Avenue, una palazzina in mattoni di due piani, abitazione di un simpatizzante, non di un parente, come qualcuno aveva dichiarato.
Sono stata ricevuta da una signora tedesca, sorridente e corpulenta, e introdotta in una tipica sala da pranzo teutonica, tutta nitida e linda come possono renderla l'acqua e il sapone. Dopo avere spolverato con cura una sedia per me col grembiule, ha comunicato il mio nome alla piccola e fiera libera pensatrice. Ero la benvenuta. Ho trovato Emma Goldman che sorseggiava un caffè con pane e marmellata, la sua colazione mattutina. Abiti in ordine, una camicetta e una gonna di percalle, colletto e polsini bianchi, i piedi infilati in un paio di pantofole di pezza. Non ha l'aspetto tipico di una nichilista russa che verrebbe esiliata in Siberia se mai varcasse il confine della sua terra natia.
“Lei crede nel matrimonio?” le ho domandato.
“Io no,” mi ha risposto la piccola e fiera anarchica, con la stessa prontezza. “Io credo che quando due persone si amano non esista giudice, ministro, tribunale o organo popolare che abbia alcunché a che fare con questo. Sono loro le sole che decidono quali relazioni dovranno tenere tra di loro. Quando il rapporto diventa fastidioso per entrambi o per uno dei due, può tranquillamente finire come si era formato.”
La signorina Goldman ha fatto un lieve cenno con la testa per confermare le proprie parole, ed era una testa proprio graziosa, incoronata da morbidi capelli castani con una frangetta pettinata da un lato. Gli occhi erano di un limpido azzurro, l'incarnato chiaro e candido. Il naso, per quanto piuttosto largo e di tipo teutonico, era ben formato. È di bassa statura, con una figura piuttosto arrotondata. Nel complesso sembra più tedesca che russa. È molto miope, al punto che con gli occhiali distingue a fatica le parole a stampa.
Proseguì con la sua spiegazione: “Un sodalizio si dovrebbe costituire non com'è ora, per dare alla donna un sostegno e una casa, ma perché c'è amore, e una soluzione del genere è attuabile solo con una rivoluzione interiore, in una parola, con l'anarchia.”
Pronunciò queste parole in tono calmo, come se dovesse esprimere un fatto normale e scontato, ma un lampo nello sguardo mostrava le “interne rivoluzioni” già all'opera nella sua mente vivace.
“Che cosa promette alle donne, l'anarchia?”
“Offre loro ogni cosa: libertà, uguaglianza, tutto quello che oggi una donna non ha.”
“Non è libera?”
“Libera! È la schiava del marito e dei figli. Dovrebbe partecipare al mondo attivo alla stessa stregua degli uomini, dovrebbe essere uguale davanti al mondo come lo è nella realtà. È altrettanto capace, ma quando lavora viene meno retribuita. Perché? Perché porta la gonna e non i pantaloni.”

Vita domestica e maternità

“Ma che cosa diventerebbe la vita domestica ideale e tutto quello che circonda la madre, secondo la visione maschile?”
“La vita domestica ideale, già! La donna, invece di essere la regina della casa come si racconta nei libri di favole, è la serva, la mantenuta, la schiava del marito e dei figli. Smarrisce del tutto la propria individualità, non le è permesso nemmeno di conservare il suo nome. È la signora John Brown o la signora Tom Jones: questo e nient'altro. È quello che io penso di lei.”
La signorina Goldman ha un accento gradevole. Arrota le erre, scambia le “r” con le “v” e viceversa, un una pronuncia russa autentica. Gesticola parecchio. Quando si accalora, si aiuta con mani, piedi e spalle per esprimere i concetti.
“Come farebbe con i bambini in un'epoca anarchica?”
“Ai bambini si darebbero abitazioni comuni, grandi scuole a tempo pieno, dove sarebbero adeguatamente seguiti e istruiti, e in ogni caso riceverebbero cure pari e spesso migliori di quelle che oggi vengono date loro a casa. Poche madri sanno davvero come curare bene i figli, comunque. È una scienza che pochissime hanno appreso.”
“Ma se una donna che desidera una vita casalinga e vuole curare i propri figli, che ne sarebbe di lei?”
“Oh, certo, le donne che lo vogliono possono tenersi i figli a casa e confinarsi ai lavori domestici che desiderano. Ma questo farebbe nascere in loro qualche desiderio più ampio, una opportunità per arrivare a qualsiasi livello ambiscano. Senza poveri e senza capitalisti, con un portafoglio comune, questa terra permetterà il paradiso che i cristiani cercano in un'altra vita.”
Ha fissato meditabonda il fondo della tazzina vuota, come se avesse visto nella fantasia lo Stato ideale già realizzato.
Interrompendo la sua fantasticheria, le ho chiesto: “Chi si prenderà cura dei bambini?”
“Ognuno ha gusti e competenze che lo rendono idoneo a una professione. Io sono un'infermiera diplomata. Mi piace curare i malati. Così sarà per certe donne: decideranno di aver cura dei bambini e di educarli.”
“I figli non perderanno l'amore per i genitori, non sentiranno la mancanza dei propri compagni?” Mi attraversava la mente l'immagine di teneri piccini affettuosi relegati in una sorta di orfanotrofio.
“I genitori avranno le stesse possibilità che hanno ora di conquistarsi la fiducia e l'affetto dei figli. Potranno passare con loro tutto il tempo che desiderano o tenerli con loro tutte le volte che vogliono. Saranno figli dell'amore, sani e sagaci, e non, come adesso, perlopiù nati dall'odio e tra i contrasti domestici.”

La libertà di amare

“Come definisce l'amore?”
“Quando un uomo o una donna trovano una o varie qualità in una persona che ammirano e provano un desiderio irresistibile di piacere a quella persona, anche sacrificando il sentimento personale, quando esiste un che d'impalpabile che li attira, che chi ama riconosce e lo avverte fin nelle fibre più profonde del proprio essere, questo lo chiamo amore.” Finendo di parlare il suo viso era soffuso di un colore roseo.
“Si può amare più di una sola persona per volta?”
“Non vedo perché no, se si trovano le stesse amabili qualità in tante persone. Che cosa impedirebbe di amare la stessa cosa in tutte?
Se smettiamo di amare un uomo o una donna e troviamo qualcun altro, come ho detto prima, ne discutiamo insieme e cambiamo pacificamente il nostro modo di vivere. Le faccende private di una famiglia non ci sarebbe bisogno di discuterle in tribunale e di farle diventare di pubblico dominio. Nessuno può controllare i sentimenti, perciò la gelosia non dovrebbe esistere.”
Con un tono triste ha proseguito: “Pene di cuore? Oh, sì, ma non odio se lui o lei si è stancata della relazione. Gli esseri umani avranno sempre pene di cuore, finché c'è un cuore che batte nel petto.”
“La mia religione,” ha poi ripreso sorridendo. “Ero di religione ebraica da ragazza, lei sa, sono ebrea, ma ora sono atea. Nessuno è riuscito a dimostrarmi né l'ispirazione della Bibbia né l'esistenza di un Dio di mia soddisfazione. Non credo in nessun aldilà, se non quello che si trova nella materia fisica presente nel corpo umano. Penso che continui a esistere in altra forma e che niente, una volta creato, vada perduto: continua a esistere nella prima conformazione e poi in un'altra. Una cosa come l'anima non esiste: è tutto solo materia fisica.”
La signorina Goldman finisce di parlare e un delicato rossore le sale sulle guance quando le chiedo se ha intenzione di sposarsi.
“No. Non credo nel matrimonio per gli altri e certamente non predico una cosa e ne pratico un'altra.”
Si è messa comoda con le gambe accavallate. È in tutti sensi una donna con un aspetto femminile e una mente e un coraggio maschili.
Sorridendo mi ha detto che alla sua conferenza di mercoledì sera c'erano cinquanta poliziotti e ha aggiunto: “Se qualcuno avesse gettato una bomba di sicuro avrebbero dato la colpa a me.”

intervista originariamente apparsa in S. Louis Post-Dispatch Sunday Magazine, 1897, con il titolo What is there in Anarchy for women?

traduzione di Guido Lagomarsino

1. Gli otto giorni trascorsi a St. Louis da Emma Goldman, a partire dal 16 ottobre 1897 ebbero un'ampia copertura sulla stampa locale e richiamarono un forte interesse da parte delle autorità. I suoi comizi a St. Louis ebbero un tale successo che l'anno seguente la sua permanenza lì non fu mai citata sulla stampa, perché, secondo Solidarity; “i quotidiani avevano scoperto che aiutavano gli anarchici nella loro propaganda”.


Il giogo dell'istituzione matrimoniale

di Emma Goldman

Il matrimonio è alla base del sistema capitalistico e del militarismo.
Al suo interno si perpetuano divisioni di genere fondate su pregiudizi e false credenze.
Liberarsi da questa istituzione è il primo passo verso la creazione di una società libera.

Quanto dolore, quanta infelicità e umiliazione, quante lacrime e imprecazioni, quali tormenti e sofferenze ha portato agli esseri umani questa parola. A partire dalla sua nascita fino ai nostri giorni uomini e donne gemono sotto il giogo di ferro dell'istituzione matrimoniale, dalla quale sembra non esserci nessun sollievo, nessuna via di scampo.
In tutti i tempi, in ogni epoca, gli oppressi hanno agognato di spezzare le catene della schiavitù mentale e fisica. Dopo che migliaia di nobili esistenze sono state immolate sul rogo e sulla forca e altre hanno languito nelle galere o sono perite tra le mani spietate delle inquisizioni, le idee di quei coraggiosi eroi si sono realizzate. Così sono stati cancellati i dogmi religiosi, il feudalesimo, la schiavitù dei neri, e sono apparse in primo piano nuove idee più avanzate, più ampie e più chiare, e nuovamente vediamo un'umanità misera e oppressa battersi per i propri diritti e per la propria indipendenza. Ma l'istituzione più dura e tirannica, quella del matrimonio, resta salda come mai e guai a chi osa anche solo a dubitarne la sacralità. Basta solo discuterla per far infuriare non solo i cristiani e i conservatori, ma anche i liberali, i liberi pensatori e i radicali. Che cosa spinge tutte quelle persone a esaltare il matrimonio? Che cosa le induce a restare attaccate a quel pregiudizio? (Perché solo di un pregiudizio si tratta).
Sulle relazioni matrimoniali si fonda la proprietà privata, ovvero il nostro sistema disumano e crudele. Con le ricchezze e il superfluo da una parte e l'inerzia, lo sfruttamento, la povertà, la fame e la delinquenza dall'altra; perciò abolire il matrimonio significa eliminare tutte queste cose.

L'impossibilità di una riforma

Alcuni progressisti cercano di riformare e migliorare le leggi sul matrimonio. Non permettono più alla Chiesa di interferire nelle relazioni matrimoniali e altri si spingono addirittura più in là, cioè si sposano liberamente, senza il consenso della legge, ciò nonostante, però, questa forma di matrimonio è altrettanto vincolante, altrettanto “sacra”, quando quella vecchia, perché quella che conta non è la forma o il tipo di matrimonio, ma è la cosa, la cosa stessa che è condannabile, dannosa e degradante. Essa dà sempre all'uomo il diritto e il potere sulla moglie, non solo sul corpo di lei, ma anche sulle sue azioni e i suoi desideri: in concreto sulla sua intera esistenza. E come potrebbe essere altrimenti?
Dietro alle relazioni di ogni singolo uomo con ogni singola donna ci sono quelle sviluppatisi attraverso le epoche tra i due sessi in generale, che hanno portato alla differenza del ruolo e dei privilegi che esistono oggi.
Due giovani si mettono insieme, ma la loro relazione è in gran parte determinata da cause che non dipendono da loro. Sanno poco l'uno dell'altra, la società ha tenuto separati di due sessi, il ragazzo e la ragazza sono stati cresciuti secondo criteri differenti. Come dice Olive Schreiner nella sua Story of an African Farm: “Al ragazzo hanno insegnato a essere, alla ragazza ad apparire.”1 Per la precisione al ragazzo si insegna a essere intelligente, brillante, sagace, forte, atletico, indipendente e sicuro di sé, a sviluppare le proprie facoltà naturali, a seguire le proprie passioni e i propri desideri. Alla ragazza si insegna a vestirsi, a guardarsi allo specchio e ad ammirarsi, a controllare le emozioni, le passioni, i desideri, a nascondere i propri difetti mentali e a sommare quel poco di intelligenza e di capacità che possiede per un solo scopo, per trovare il modo più rapido e più efficace per acchiappare un marito, per sposarsi con il massimo profitto. Si è arrivati così al fatto che ognuno dei due sessi stenti a capire la natura dell'altro, che entrambi abbiano interessi e preoccupazioni differenti. L'opinione pubblica ne distingue rigorosamente i diritti e i doveri, l'onore e il disonore. L'argomento del sesso è una scatola ermeticamente sigillata per la ragazza, perché le hanno dato da intendere che è impuro, immorale, indecente anche solo citare la questione sessuale. Per il ragazzo è un libro le cui pagine gli hanno provocato malessere e vizi segreti e, in alcuni casi, rovina e morte.

Due classi di matrimoni

Tra le classi ricche da tempo non è più di moda innamorarsi. Gli uomini della buona società si sposano, dopo una vita di dissolutezze e stravizi, per ricostituire un fisico minato. Altri ancora hanno perso il proprio capitale nel gioco d'azzardo o in speculazioni d'affari e decidono che quello che ci vuole per loro è sposare un'ereditiera, ben sapendo che il vincolo matrimoniale non impedirà affatto di sperperare le rendite della ricca sposa. La ragazza ricca, che è stata educata a essere sensata e ragionevole, e si è abituata a vivere, respirare, mangiare, sorridere, camminare e vestirsi secondo i dettami della moda, riserva i propri milioni per un titolo o per un uomo con una buona posizione sociale. Ha una consolazione: la società permette una maggiore libertà d'azione a una donna sposata e qualora fosse delusa dal matrimonio avrebbe la possibilità di soddisfare altrimenti i propri desideri. Sappiamo che le pareti dei boudoir e dei salotti sono sorde e mute, e qualche piccolo piacere tra quelle pareti non è un reato.
Per gli uomini e le donne della classe operaia il matrimonio è una faccenda completamente diversa. L'amore non è così raro come nelle classi superiori e spesso aiuta entrambi a sopportare le delusioni e i dolori della vita, ma anche in questo caso la maggioranza delle coppie, tolto un breve periodo di tempo, è inghiottita dalla monotonia della vita quotidiana e dalla lotta per la sopravvivenza. Anche in questo caso l'uomo che lavora si sposa perché è stanco di vivere a pensione e sente il desiderio di avere un proprio focolare dove trovare conforto. Il suo scopo principale, perciò, è di trovare una ragazza che sia brava in cucina e nei lavori domestici, che si preoccupi solo della felicità del marito, del suo piacere, una che lo veda come il proprio signore e padrone, che la sappia difendere e sostenere: l'unico ideale per il quale vale la pena di vivere. Qualche altro uomo spera che la ragazza che sposerà sia capace di lavorare e contribuisca a mettere da parte qualche centesimo per i giorni difficili, ma dopo pochi mesi di cosiddetta felicità si risveglia davanti alla triste realtà: la sposa diventerà presto madre, non potrà lavorare, le spese aumenteranno e mentre prima riusciva a tirare avanti con quel magro salario che gli dava il suo “gentile” padrone, quei soldi non basteranno a sostenere una famiglia.
La ragazza che ha trascorso l'infanzia e parte della maturità in una fabbrica, sente le forze venir meno e s'immagina la paurosa situazione di dover restare per sempre un'operaia, mai sicura del proprio lavoro, e per questo è spinta a cercare un uomo, un buon marito, che vuol dire uno che sappia sostenerla, che le dia una buona casa. Tutti e due, l'uomo e la ragazza, si sposano per lo stesso scopo, se si eccettua il fatto che da lui non ci si aspetta che rinunci alla propria individualità, al nome, all'indipendenza, mentre la ragazza deve mettersi in vendita, corpo e anima, per il piacere di essere la moglie di qualcuno. Per questo i due non si trovano in pari condizioni e dove non c'è uguaglianza non può esserci armonia. La conseguenza è che, trascorsi pochi mesi o, nella migliore delle ipotesi, dopo il primo anno, entrambi arrivano a concludere che il matrimonio è un disastro.
Poiché queste condizioni non fanno che peggiorare e più aumenta il numero dei figli, più la moglie è preda dello scoraggiamento e dell'insoddisfazione, si intristisce e si indebolisce. La sua bellezza svanisce ben presto e tra il lavoro duro, le notti insonni, le preoccupazioni per i piccini, i dissapori e i litigi col marito, in poco tempo diventa fisicamente un rottame e maledice il momento che l'ha resa la moglie di un poveraccio.

Il confine tra matrimonio e prostituzione

Un'esistenza tanto squallida e triste non induce certo a conservare amore e rispetto reciproco. L'uomo può almeno dimenticare la propria tristezza in compagnia di qualche amico, può buttarsi nella politica, può annegare la propria infelicità nel boccale di birra. La donna è incatenata alla casa da mille doveri: non può godere, come il marito, di qualche svago, perché non dispone dei mezzi necessari o perché l'opinione pubblica le nega gli stessi diritti del marito. Deve portare la croce fino alla morte, perché la nostra legge sul matrimonio non conosce pietà, a meno che non voglia mettere a nudo la propria vita familiare sotto l'occhio critico di Mrs. Grundy2 e anche allora potrà spezzare le catene che la legano all'uomo che odia se prende su di sé tutto il biasimo e se ha l'energia sufficiente per reggere nel discredito davanti a tutti e per tutta la vita. Quante hanno il coraggio di farlo? Pochissime. Solo di tanto in tanto, come un lampo di luce, qualche donna, come la principessa De Chimay3 ha avuto abbastanza animo da abbattere le barriere delle convenzioni e seguire l'inclinazione del suo cuore. Ma questa eccezione era una donna ricca che non dipendeva da nessuno. La donna povera deve tenere conto dei suoi piccini, è meno fortunata della sorella ricca e tuttavia, se resta vincolata, è chiamata responsabile anche se tutta la sua vita è una lunga successione di bugie, inganni e falsità. Eppure essa osa guardare dall'alto in basso con disgusto le sue sorelle che sono state costrette dalla società a vendere il proprio fascino e il proprio sentimento per la strada. Una donna sposata, per quanto sia povera e miserabile, si riterrà sempre superiore a quella che chiama prostituta, che è una reietta, odiata e disprezzata da tutti, anche da coloro che non esitano a comprare i suoi favori, a considerare quel povero relitto un male necessario, che qualche tartufo benpensante propone addirittura di confinare in un quartiere di New York, per “purificare” le altre zone della città. Che farsa! I riformatori potrebbero benissimo pretendere che tutti gli abitanti coniugati di New York siano espulsi, perché di sicuro non hanno una posizione moralmente superiore a quella di una donna di strada. L'unica differenza tra lei e una donna sposata sta nel fatto che quest'ultima si è venduta come schiava a vita in cambio di una casa o di un titolo, mentre l'altra si vende per il lasso di tempo che desidera: ha il diritto di scegliersi l'uomo al quale concede le sue carezze, mentre la donna sposata non ha diritto alcuno; deve soggiacere all'abbraccio del suo signore, per quanto la ripugni, deve obbedire ai comandi di lui, deve fargli dei figli, anche a costo della propria salute, in poche parole si prostituisce ogni ora, ogni giorno della propria vita. Non so trovare altro nome per quella condizione orrenda, umiliante e degradante delle mie sorelle: è prostituzione del peggior genere, con la sola eccezione che è legale, mentre l'altra è illegale.4
Non posso trattare dei pochi casi eccezionali di matrimoni fondati sull'amore, la stima e il rispetto: sono eccezioni che semplicemente confermano la regola. Ma illegale o legale, la prostituzione in qualsiasi forma è innaturale, dannosa e riprovevole, e io so fin troppo bene che le condizioni non potranno cambiare finché non sarà sparito questo sistema infernale. Ma so anche che non è solo la dipendenza economica della donna che ha provocato la sua schiavitù, ma anche l'ignoranza e il pregiudizio, e so pure che molte mie sorelle potrebbero affrancarsi già ora, se non fosse per gli istituti del matrimonio che le tengono nell'ignoranza, nella stupidità e nel pregiudizio. Per questo considero che sia un mio altissimo dovere denunciare il matrimonio, non solo nella forma tradizionale, ma anche il cosiddetto matrimonio moderno, l'idea di prendersi una moglie e una domestica, l'idea del possesso privato di un sesso da parte dell'altro. Io rivendico l'indipendenza della donna: il suo diritto di sostenersi da sola, di vivere per se stessa, di amare chiunque le piace o tanti quanti le piaccia. Io rivendico la libertà per entrambi i sessi, libertà d'azione, libertà d'amore e libertà nella maternità.
Non venitemi a dire che tutto questo sia realizzabile solo con l'anarchia: è un errore. Se vogliamo realizzare l'anarchia, dobbiamo avere prima donne libere, che siano almeno economicamente indipendenti proprio come i loro fratelli, e se non abbiamo donne libere non potremo avere madri libere, e se le madri non sono libere non possiamo aspettarci che le giovani generazioni ci aiutino a raggiungere il nostro obiettivo, che è la realizzazione di una società anarchica.
A voi, liberi pensatori e liberali che avete abolito un Dio e ne avete creati tanti altri che adorate; a voi radicali e socialisti, che ancora mandate i vostri figli alle scuole domenicali, a voi tutti che fate concessioni ai criteri morali odierni, a voi dico che è la vostra mancanza di coraggio che vi fa restare attaccati al matrimonio e a sostenerlo, dico che mentre ne ammettete l'assurdità in teoria, non avete l'energia per sfidare l'opinione pubblica, a vivere in pratica la vostra stessa vita.5 Voi cianciate di uguaglianza tra i sessi in una società futura, ma ritenete un male necessario che la donna oggi debba soffrire. Voi sostenete che le donne sarebbero inferiori e più deboli, ma invece di assisterle perché si rafforzino, contribuite a mantenerla in una posizione degradata. Rivendicate un'esclusiva per voi, ma vi piace la varietà e ne godete dovunque riuscite a trovarla.
Il matrimonio, la dannazione da tanti secoli, la causa di gelosie, di suicidi e di crimini, deve essere abolito se vogliamo che la giovane generazione cresca sana, forte e libera.

Emma Goldman

originariamente apparso in Firebrand, 1897, con il titolo Marriage

traduzione di Guido Lagomarsino

Note

  1. Emma Goldman parafrasa Lyndall, la protagonista del libro di Olive Schreiner, Story of an African Farm (London, 1883) che dichiara a un interlocutore maschio: “Tutti noi entriamo nel mondo come esserini plasmabili, con tanta energia naturale, forse, ma per il resto senza niente, e il mondo ci dice come dobbiamo essere e ci plasma per fini che sono stati decisi prima di noi. A te dice: lavora, e a noi dice: Sembra!” Molte femministe americane ed europee a cavallo tra i due secoli hanno visto in Lyndall un modello di indipendenza femminile.
  2. Emma Goldman si riferisce al personaggio della commedia di Thomas Morton Speed the Plough (1798) che rappresenta i criteri di rispettabilità dell'epoca. “Mrs. Grundy” da allora è diventata simbolo di pruderie, spirito censorio e rigidità delle convenzioni sociali.
  3. La principessa Jeanne-Marie-Ignace-Theresa de Chimay (1773-1835) ai tempi della Rivoluzione Francese era soprannominata “Nostra Signora del Termidoro” per avere intercesso a favore dei condannati a morte. Divorziò da tre mariti per adulterio.
  4. Emma Goldman paragona spesso il matrimonio alla prostituzione, una tesi corrente tra gli anarchici dell'epoca, soprattutto su riviste come Firebrand, Lucifer e Liberty. Si confrontino queste frasi a quelle sul matrimonio che pronunciò nell'intervista a Nellie Bly del 1893.
  5. Michail Bakunin in Dio e lo Stato dichiara qualcosa di simile quando critica i “socialisti borghesi” che hanno respinto le assurdità della religione ma non riescono a respingere l'autorità di dio e dello stato: “Essi non hanno né la forza né il desiderio e la determinazione per seguire il proprio pensiero e sprecano tempo e fatica cercando continuamente di conciliare l'inconciliabile.”


L'anarchia e la questione sessuale

di Emma Goldman

Il bisogno economico alla base delle unioni e l'impossibilità di mettervi fine a causa dell'opinione pubblica rendono il confine tra matrimonio e prostituzione molto labile.
Perché nascano nuove relazioni sociali basate sull'uguaglianza, l'emancipazione della donna dovrà avere luogo anche all'interno della vita coniugale.

L'operaio, la cui forza e i cui muscoli sono tanto ammirati dai gracili e smorti rampolli dei ricchi, anche se il suo lavoro stenta a tenere lontano dall'uscio il lupo della fame, si sposa solo per avere una moglie e una domestica costretta a fare la schiava giorno e notte e a fare ogni sforzo possibile per contenere le spese. Ha la mente talmente stanca per il costante sforzo per far bastare a entrambi il misero salario del marito che diventa irritabile e non ce la fa più a nascondere il bisogno di affetto del proprio signore e padrone, il quale, purtroppo, finisce presto per concludere che le proprie speranze e i propri sogni sono svaniti e così si mette a pensare che il matrimonio è un fallimento.

La catena diventa sempre più pesante

Mentre le spese aumentano invece di ridursi, la moglie, che ha perso quel poco di energie che aveva quando si era maritata, si sente a sua volta tradita e dopo le nozze l'ansia e il timore continuo di patire la fame ne consumano rapidamente la sua bellezza. Si perde di coraggio, trascura i doveri domestici e non ci sono legami d'amore o di simpatia tra lei e il marito che diano a entrambi la forza di affrontare miseria e povertà: invece di stringersi l'una all'altro, diventano sempre più estranei e sempre meno sopportano i reciproci difetti.
L'uomo non può, come un milionario, andare al suo club, ma se ne va al bar e cerca di affogare l'infelicità in un bicchiere di birra o di whisky. La sfortunata compagna della sua miseria, troppo onesta per cercare l'oblio tra le braccia di un amante e troppo povera per permettersi un'occasione qualsiasi di svago o di divertimento, rimane tra le pareti squallide e mal tenute di quella che chiama casa e rimpiange amaramente la follia che l'ha resa sposa di un pover'uomo.
Eppure non c'è modo per loro di separarsi.
Per quanto sia fastidiosa la catena che hanno stretto intorno al collo dei due la legge e la Chiesa, non la possono spezzare a meno che entrambi non decidano di permettere che venga staccata. Se la legge fosse tanto misericordiosa da concedere loro la libertà, ogni dettaglio della loro vita verrebbe trascinato alla luce. La donna sarebbe condannata dall'opinione pubblica e la sua esistenza rovinata. Il timore di questa sventura spesso la fa crollare sotto il grave peso della vita coniugale senza esprimere una sola protesta contro il sistema atroce che ha distrutto lei come tante sue sorelle.
Chi è ricca resiste per evitare lo scandalo, la povera per amore dei figli e per paura dell'opinione degli altri. Le loro vite sono una lunga perpetuazione di ipocrisia e inganno. La donna che vende i propri favori ha la libertà di lasciare l'uomo che glieli compra in qualsiasi momento, “mentre la donna rispettabile” non ha la possibilità di affrancarsi da un'unione per lei sgradevole.
Tutte le unioni innaturali che non sono santificate dall'amore sono prostituzione, che siano o meno sanzionate dalla Chiesa o dalla società.

Da criticare è il sistema

Il sistema che costringe le donne a vendere la propria femminilità e la propria indipendenza al maggiore offerente è un aspetto dello stesso male che dà a pochi il diritto di vivere della ricchezza prodotta dai loro simili, il novantanove per cento dei quali deve sudare e faticare per quanto basta appena a tenere insieme anima e corpo, mentre i frutti di quella fatica sono succhiati da pochi pigri vampiri circondati da ogni costoso lusso che possono comprare.
Osserviamo per un momento due immagini di questo sistema sociale del nostro diciannovesimo secolo. Osserviamo le abitazioni dei ricchi, quei palazzi magnifici i cui pregiati arredi metterebbero in condizioni agiate migliaia di bisognosi. Osserviamo le cene eleganti di quei figli e figlie del benessere: una sola portata di quelle servirebbe a nutrire centinaia di affamati per i quali un pasto completo fatto di pane e acqua è già un lusso. Osserviamo quei patiti della moda che passano giorni a inventarsi nuove forme di divertimento egoistico: teatri, danze, concerti, yacht, correndo da un angolo all'altro del mondo nella folle ricerca di allegria e piacere. E poi volgiamo lo sguardo e guardiamo quelli che producono le ricchezze, che pagano quei divertimenti eccessivi e innaturali.
Osserviamo quelli che si radunano insieme in scantinati bui e umidi, dove non respirano un soffio di aria fresca, vestiti di stracci, trascinandosi sulle spalle il peso della miseria dalla culla alla tomba, con i figli che corrono per la strada, nudi, malnutriti senza che nessuno offra loro una parola d'affetto o una tenera carezza, mentre crescono nell'ignoranza e nella superstizione, maledicendo il giorno in cui sono nati.
Osservate questi stridenti contrasti, voi moralisti e filantropi, e ditemi chi bisogna criticare per questo! Chi è spinta a prostituirsi, legalmente o no, o chi induce le vittime a tale sconforto? La causa non è nella prostituzione, ma nella società stessa, nel sistema della disuguaglianza della proprietà privata, nello Stato e nella Chiesa. Nel sistema del furto e dell'omicidio legalizzati, nella violenza sulle donne innocenti e sui bambini inermi.
Finché il mostro non sarà annientato non ci sbarazzeremo della malattia che infetta il senato e tutte le cariche pubbliche; le abitazioni dei ricchi come le miserabili baracche dei poveri. L'umanità deve prendere coscienza della propria forza e delle proprie capacità, deve essere libera per cominciare una nuova vita, una vita migliore e più nobile.
La prostituzione non sarà mai cancellata con i mezzi impiegati dal reverendo Charles Henry Parkhurst e da altri riformatori. Esisterà finché esiste il sistema che l'alimenta.
Quando tutti questi riformatori uniranno i propri sforzi a quelli di coloro che si adoperano per abolire il sistema che genera crimini di ogni sorta e per erigerne uno fondato sulla perfetta equità (un sistema che garantisca a chiunque, uomo, donna o bambino, i frutti completi del suo lavoro e pari diritti per godere dei doni della natura e per arrivare alle più elevate conoscenze) la donna potrà sostenersi da sola ed essere indipendente. La sua salute non sarà più minata da una fatica senza fine e dalla schiavitù, non sarà più la vittima dell'uomo, mentre l'uomo non sarà più posseduto da passioni e da vizi malsani e innaturali.

Un sogno anarchico

Ognuno formerà una famiglia forte e basata sulla fiducia morale nel partner. Ognuno amerà e stimerà il partner e lo aiuterà nel lavoro non solo per il benessere di entrambi, ma essendo una coppia felice, desidererà la felicità universale del genere umano. I figli di una tale unione saranno forti e sani di mente e di corpo, onoreranno e rispetteranno i genitori, non per dovere, ma perché essi lo meritano. Saranno istruiti e seguiti dall'intera comunità e saranno liberi di seguire le proprie inclinazioni, e non ci sarà bisogno di insegnare loro il servilismo e l'arte di predare il prossimo. Lo scopo della vita non sarà di prevalere sui propri fratelli, ma di guadagnarsi il rispetto e la stima di tutti i membri della comunità.
Qualora l'unione tra un uomo e una donna si rivelasse per loro insoddisfacente e sgradevole, si separeranno in modo tranquillo e amichevole e non sviliranno le molte relazioni patrimoniali insistendo in un'unione non congeniale.
Se, invece di perseguire le vittime, i riformatori attuali uniranno il proprio impegno per sradicarne la causa, la prostituzione non affliggerà più l'umanità.
Sopprimere una classe per proteggerne un'altra è peggio che folle: è criminale. Non voltate lo sguardo, voi uomini e donne con senso morale.
Non fatevi influenzare dal pregiudizio: guardate la questione da un punto di vista non prevenuto.
Invece di impiegare inutilmente le vostre energie, stringetevi per mano e aiutate a eliminare il sistema corrotto e malato.
Se la vita coniugale non vi ha sottratto onore e rispetto per voi stessi, se provate amore per quelli che chiamate vostri figli, dovete, per il bene vostro come per quello altrui, aspirare all'emancipazione e affermare la libertà. Allora, e non prima, finiranno i mali del matrimonio.

Emma Goldman

originariamente apparso in New York World, 1893, con il titolo Anarchy and the sex question

traduzione di Guido Lagomarsino


L'inganno del libero amore

di Emma Goldman

Sono in molti a travisare il concetto di libero amore. Anche tra i compagni.

[...] A Washington fui invitata a parlare da una associazione tedesca libertaria. Dopo la conferenza, feci conoscenza con un gruppo di Reitzel Freunde (Amici di Reitzel), come si auto-proclamavano i lettori dell'Armer Teufel [una rivista anarchica americana pubblicata in tedesco, ndr]. Per la maggior parte non avevano l'aspetto di idealisti, bensì di macellai. Uno in particolare, che si vantava di essere un impiegato del Governo degli Stati Uniti, non faceva che parlare di arte e di letteratura - tutte cose per lui non adatte alla plebaglia, ignorante, naturalmente, e che solo pochi eletti potevano apprezzare. L'anarchismo non gli piaceva, perché voleva “rendere tutti uguali”. “Ad esempio, come può un manovale pretendere di avere gli stessi diritti di un uomo istruito come me?” mi chiese. Era certo che neppure io credessi veramente a un simile concetto di uguaglianza, così come non ci credevano gli altri anarchici. Lo usavano solo come esca, come specchietto per le allodole, ma non ci biasimava per questo: “Lasciamo pure che sia la feccia a pagare”.
“Da quanto tempo leggete l'Armer Teufel?”, domandai. “Fin dal primo numero”, rispose orgogliosamente. “Beh, se questo è tutto quello che ne avete ricavato, si può ben dire che il mio amico Robert Reitzel stia buttando perle ai porci”. L'uomo balzò in piedi, furibondo, e uscì accompagnato dalle risa sguaiate del resto della compagnia.
Un altro “amico” di Robert Reitzel si presentò come un birraio di Cincinnati. Mi venne vicino e cominciò a parlare di sesso. Aveva sentito dire che io ero la “portabandiera del libero amore” in quel paese ed era lieto di vedere che non ero solo intelligente, come avevo testé dimostrato, ma anche giovane e affascinante, e non un'arcigna intellettuale, come aveva immaginato che fossi. Anche lui credeva nel libero amore, anche se era convinto che la maggior parte degli uomini e delle donne non fossero ancora abbastanza maturi per un concetto del genere, e soprattutto le donne, che volevano sempre prendere l'uomo al laccio. Ma “Emma Goldman, lei sì che era diversa”. Il suo fare lascivo e affettato mi dava la nausea; gli voltai le spalle e mi ritirai in camera mia. Ero molto stanca e mi addormentai quasi subito, ma fui svegliata da un bussare insistente alla mia porta. “Chi è?” gridai. “Un amico”, fu la risposta. “Perché non apri?”. Era il birraio di Cincinnati. Balzai giù dal letto e gridai più forte che potei: “Se non ve ne andate immediatamente, sveglio tutta la casa!”. “No, per favore!”, supplicò attraverso la porta, “Non fare scene. Sono un uomo sposato, ho dei figli grandi. Pensavo che credessi nel libero amore”. Poi lo sentii allontanarsi in gran fretta.
A che servono gli ideali?, mi domandai. L'impiegato statale che osa porsi al di sopra del manovale; il rispettabile pilastro della società, per il quale il libero amore è solo un mezzo per favorire meschine avventure - entrambi lettori di Reitzel, il ribelle, il brillante idealista! Le loro menti e i loro cuori erano rimasti sterili come il deserto del Sahara. Il mondo che mi ero proposta di ridestare a nuova coscienza doveva essere pieno di gente del genere. Provai un senso di inutilità, di disperata solitudine.

Emma Goldman

originariamente apparso in Vivendo la mia vita (La Salamandra, Milano, 1980-1985)


Senza attendere la rivoluzione sociale

di Emma Goldman

Ostetrica negli ambienti proletari di New York, si confrontò col problema del controllo delle nascite.
Diffondere informazioni su metodi contraccettivi e aborto divenne uno dei suoi principali obiettivi.

[...] Una scampanellata violenta mi fece balzare in piedi. Era una chiamata per un parto. Afferrai la valigetta che avevo tenuto sempre pronta da alcune settimane a quella parte e uscii insieme all'uomo che era venuto a chiamarmi.
In un appartamento di due stanze, al sesto piano di un caseggiato popolare di Houston Street, trovai tre bambini addormentati e una donna in preda alle doglie. Non c'era fornello a gas, e dovetti scaldare l'acqua su una lampada a cherosene. Quando gli chiesi un lenzuolo, il marito impallidì. Era venerdì. Sua moglie aveva fatto il bucato lunedì, mi disse, e le lenzuola ormai si erano sporcate. Ma potevo usare la tovaglia; l'aveva messa pulita quella sera per il Sabbath. “Ci sono dei pannolini o qualcosa per il bambino?” domandai. L'uomo non sapeva. La donna mi indicò un fagotto che conteneva qualche camicia strappata, una benda e alcuni stracci. Un'incredibile povertà traspariva da ogni angolo.
Con la tovaglia e un grembiule di scorta che mi ero portata mi preparai a ricevere il nascituro. Era la mia prima visita privata [...]. Nella tarda mattinata contribuii a far nascere una nuova vita. [...]
La mia professione di ostetrica non era molto lucrosa, poiché solo gli immigrati più poveri ricorrevano ai miei servigi. Quelli che avevano fatto strada e si erano integrati nella società americana avevano perso la diffidenza dello straniero, oltre a molte caratteristiche distintive del lor paese di origine. Come le donne americane, volevano partorire solo con l'aiuto di un dottore. Il mestiere di ostetrica, dunque, non offriva in sé grandi possibilità: nei casi di emergenza ero obbligata a chiamare il medico. La tariffa massima era di dieci dollari e la maggior parte delle donne non poteva pagare neppure quella. Tuttavia, anche se il mio lavoro non mi avrebbe permesso di arricchire, costituiva pur sempre una notevole esperienza. Mi consentiva di entrare in contatto con la gente per la quale lottavo e che volevo emancipare. Mi permetteva di toccare con mano le condizioni di vita dei lavoratori, sulle quali, fino a quel momento, avevo scritto e parlato basandomi prevalentemente su conoscenze teoriche. Lo squallore degli ambienti in cui vivevano, l'atteggiamento di apatica e inerte sottomissione di cui davano mostra mi fecero capire quanto ancora ci fosse da fare per realizzare quel mutamento sociale al quale aspirava il nostro movimento.
In modo particolare mi colpì la lotta feroce, sorda e cieca che le donne più povere conducevano contro le gravidanze indesiderate e frequenti. La maggior parte di loro viveva nel continuo terrore di restare incinta.
La gran massa delle donne sposate si sottometteva con rassegnazione ai doveri coniugali e quando si scopriva gravida la paura e la preoccupazione determinavano la decisione di liberarsi del nascituro. Era incredibile a quali mezzi ricorressero nella foga della disperazione: saltavano giù dai tavoli, si rotolavano sul pavimento, si massaggiavano lo stomaco, trangugiavano nauseanti intrugli e adoperavano ferri con la punta smussata. Naturalmente, questi e altri metodi causavano un grave danno. Era spaventoso, ma comprensibile. Per chi aveva già uno stuolo di figli, a volte più di quanti la paga del marito bastasse a sfamare, ogni nuovo nato era come una maledizione, “una maledizione di Dio”, mi ripetevano continuamente le donne ebree e cattoliche. In generale uomini erano più rassegnati, ma le donne inveivano contro il Cielo, che infliggeva loro quelle sofferenze. Durante il travaglio del parto, alcune bestemmiavano Dio, ma anche gli uomini, e in particolare lanciavano maledizioni contro i mariti. “Portatelo via!”, urlava una delle mie pazienti. “Non lasciate che quel bruto mi venga vicino, sennò lo ammazzo!”. La poveretta aveva già avuto otto figli, quattro dei quali erano morti in tenera età. Gli altri erano malaticci e malnutriti, come la maggior parte dei bambini nati male, mal curati e non desiderati che mi si agitavano tra i piedi mentre aiutavano un'altra povera creatura a venire al mondo.
Dopo aver portato a termine interventi di questo genere, tornavo a casa angosciata e in preda a malessere, odiando gli uomini che si rendevano responsabili delle atroci condizioni in cui vivevano le loro mogli e i figli, ma odiando soprattutto me stessa, perché non sapevo come aiutarli. Naturalmente, avrei potuto ricorrere all'aborto. Molte donne me lo chiedevano, mi pregavano in ginocchio “per amore delle povere creature che erano già venute al mondo”. Sapevano che alcuni dottori e ostetriche facevano queste cose, ma il prezzo che chiedevano era troppo alto per loro. Io ero così comprensiva; non volevo fare qualcosa per aiutarle? Mi avrebbero pagata un po' alla volta, a rate settimanali. Cercavo di spiegare che non era questione di soldi; se esitavo, era solo perché temevo per la loro vita e per la loro salute. Raccontavo di una donna che era morta in seguito a un'operazione del genere, lasciando un figlio orfano. Ma preferivano la morte, dicevano; il Comune si sarebbe preso cura dei bambini ed essi avrebbero avuto di che mangiare.
Tuttavia non riuscivo a impormi il ricorso alla tanto agognata operazione. Nutrivo scarsa fiducia nelle mie capacità e ricordavo che il professore di Vienna ci aveva spesso mostrato le terribili conseguenze degli aborti. Sosteneva che, anche se l'operazione fosse riuscita, la salute della paziente ne sarebbe stata irrimediabilmente compromessa. Non volevo correre questo rischio. Non erano le considerazioni morali sulla sacralità della vita umana a trattenermi; una vita non desiderata e condannata alla più abietta miseria non era sacra per me. Ma i miei interessi abbracciavano tutti gli aspetti del problema sociale, e non intendevo porre a repentaglio la mia libertà per uno solo di essi. Mi rifiutavo di effettuare aborti e non conoscevo metodi contraccettivi.

Agire con urgenza

Discussi il problema con alcuni medici. Il dottor White, un conservatore, disse: “I poveri non devono dare la colpa ad altri che a se stessi; troppo spesso si lasciano andare a soddisfare le proprie voglie”. Il dottor Julius Hoffmann riteneva che i bambini fossero l'unica gioia nella vita dei poveri. Il dottor Solotaroff sperava nei grandi mutamenti sociali del prossimo futuro, quando la donna sarebbe divenuta più intelligente e indipendente. “Quando userà di più il cervello”, mi diceva, “i suoi organi riproduttivi funzioneranno meno”. La sua idea sembrava più convincente di quelle degli altri dottori, ma non era certo più confortante, né aveva alcuna utilità pratica. Ora che avevo imparato che il peso maggiore dello spietato sistema economico in cui vivevamo ricadeva sulle donne e sui bambini, mi rendevo conto che era assurdo pretendere che aspettassero la rivoluzione sociale per ottenere giustizia. Bisognava fare qualcosa subito, ma non sapevo cosa.

Emma Goldman

originariamente apparso in Vivendo la mia vita (La Salamandra, Milano, 1980-1985)


Il controllo delle nascite

di Emma Goldman

Nei primi decenni del Novecento, Goldman tenne molte conferenze sul controllo delle nascite. Ma la diffusione di informazioni sui metodi contraccettivi era vietata e venne arrestata. Ecco il testo della lettera che inviò ai giornali per spiegare il senso della sua battaglia.

Mio caro signore,
in considerazione del fatto che il tema del controllo delle nascite è ora dominante per il pubblico americano, spero che lei non permetta al suo pregiudizio nei confronti del movimento anarchico e della mia persona, in quanto esponente di questo movimento, di non tenere un atteggiamento corretto. Vivo e lavoro a New York da venticinque anni. In più di un'occasione si è presentata un'immagine distorta di me sulla stampa e l'anarchismo è descritto in modo odioso e ridicolo. Non me ne lamento, faccio solo osservare un fatto che lei, ne sono certa, conosce benissimo.

Con il sostegno di molti

Ma ora la questione che ha portato al mio arresto, avvenuto venerdì 11 febbraio [1916], e che sarà portato in giudizio lunedì 28, riguarda il controllo delle nascite, un movimento di portata mondiale, sostenuto e promosso da grandi uomini e donne in Europa e in America, come il professor August Forel, Havelock Ellis, George Bernard Shaw, H.G. Wells e il dottor Drysdale in Europa, e in America fra gli altri dal professor Jacobi e dal dottor Robinson. Un movimento che ha preso il via dalle idee di scienziati e filantropi e la cui necessità oggi è sostenuta dalla scienza, dalla sociologia e dall'economia. Certamente lei non rifiuterà un'audizione per conto di tale tematica.
Sono anni che tengo conferenze sul controllo delle nascite, in molte occasioni a New York come in altre città, davanti a un pubblico qualificato. In quasi ogni occasione erano presenti personaggi in borghese che prendevano copiosi appunti. Non era quindi un segreto che io auspicassi il controllo delle nascite e la necessità di diffondere conoscenze su un argomento così essenziale.
Venerdì 4 febbraio [1916] ho tenuto ancora una conferenza nella Forward Hall di New York, con tremila persone che si accalcavano cercando in entrare. A causa dell'interesse popolare sul controllo delle nascite, fu organizzata un'altra riunione per martedì 8 febbraio al New Star Casino. Anche in questo caso partecipò una folla interessatissima. La riunione si svolse ordinatamente e tutto procedette in modo pacifico e intelligente, come in tutte le occasioni in cui parlo, se non ci sono interferenze della polizia. Poi, l'11 febbraio, mentre stavo entrando nella Forward Hall per tenere una conferenza sull'ateismo, un tema che non ha niente a che fare con il controllo delle nascite, fui arrestata, portata in un lercio posto di polizia, poi spinta su un furgone che mi ha tradotto in fretta e furia nel carcere di Clinton Street, perquisita nel modo più volgare da una matrona dall'aspetto sinistro, alla presenza di due poliziotti, una cosa che sconvolgerebbe il criminale più incallito. Poi mi hanno rinchiuso in una cella finché il mio garante mi ha fatto uscire versando una cauzione di cinquecento dollari.
Ora, tutto questo era inutile, in quanto io sono fin troppo conosciuta nel paese per scappare via. Per giunta, chi ha sopportato vessazioni per venticinque anni in nome di un ideale, non è probabile che si dia alla macchia. Sarebbe bastato un mandato di comparizione. Ma siccome capita che io sia Emma Goldman e un'esponente del movimento anarchico, nei miei confronti si è messa in atto tutta la brutalità della polizia di New York, il che dimostra soltanto che in tutta la società ci sono progressi tranne che nel Dipartimento di Polizia. Confesso che ero abbastanza ingenua da credere che qualcosa fosse cambiato dal mio ultimo arresto a New York, che era avvenuto nel 1906, ma ho scoperto che mi sbagliavo.

La persecuzione non fermerà il progresso

Comunque non è questa la cosa essenziale, ma quello che conta, e che spero mostriate ai vostri leader, è il fatto che i metodi persecutori da parte del versante reazionario della città nei confronti di qualsiasi idea moderna sul controllo delle nascite non sono evidentemente finiti con la morte di Anthony Comstock [promotore del Comstock Act, un provvedimento legislativo approvato dal Congresso degli Stati Uniti nel 1873, che proibiva la circolazione, la pubblicazione e il possesso di informazioni su aborto e contraccezione, ndr]. Il suo successore, bisognoso di popolarità, non lascia niente d'intentato per rendere possibile qualsiasi discussione intelligente su questo tema vitale. Purtroppo egli e la polizia non sono evidentemente consapevoli del fatto che il controllo delle nascite ha raggiunto tali dimensioni che nessun intervento repressivo e nessun meschino cavillo legale può impedirne la diffusione.
È quasi superfluo rilevare come, quale che sia la legge sul controllo delle nascite, coloro come me che diffondono conoscenze sull'argomento non lo facciano per un utile personale o per un gusto per l'oscenità. Lo facciamo perché conosciamo le condizioni disperate tra le masse lavoratrici e anche tra i professionisti, quando non si riesce a fare fronte alle esigenze di una famiglia numerosa. È su questa base che ho intenzione di fare la mia battaglia in tribunale. A meno che io non sia in errore, sono sostenuta nella mia lotta dai principi fondamentali in vigore in America, che prevedono che, se una legge è superata dai tempi e dalle necessità, deve essere abrogata e l'unico modo per farlo è di risvegliare l'opinione pubblica sul fatto che tale legge è sopravvissuta ai suoi scopi, ed è appunto quello che sto facendo e che intendo fare in futuro.
Sto preparando una campagna pubblica con una grande riunione alla Carnegie Hall [New York] e con ogni altro canale che possa raggiungere l'intelligente pubblico americano, sul fatto che mentre non sono particolarmente ansiosa di finire in galera, ne sarei comunque contenta se posso così contribuire all'idea dell'importanza del controllo delle nascite e all'eliminazione della nostra legge antiquata.
Nella speranza che lei non voglia rifiutarsi di informare i suoi lettori sui fatti qui esposti.

Sinceramente sua,
Emma Goldman

Lettera di Emma Goldman alla stampa, dal titolo Birth control and the necessity of imposing knowledge on this most vital question, 1916

traduzione di Guido Lagomarsino


L'importanza dello scrivere di sesso

di Emma Goldman

Perché avvenga una rivoluzione sociale in chiave libertaria ed egualitaria, è di fondamentale importanza la conquista dell'emancipazione sessuale.
Anche tra gli anarchici c'è chi pensa al sesso come un argomento secondario, sconveniente. Compreso Pëtr Kropotkin.

[...] Alcuni dei compagni inglesi mi dissero che il clima di esaltazione per la guerra in corso era tale, che non mi sarebbe stato possibile tenere i discorsi previsti dal mio programma di conferenze. Harry Kelly era della stessa opinione. “Perché non organizziamo dei raduni di massa contro la guerra?”, proposi. Raccontai delle splendide dimostrazioni che si erano svolte in America durante la guerra contro la Spagna. Di tanto in tanto c'erano stati tentativi di interferenze, e qualche comizio aveva dovuto essere annullato o sospeso, ma nel complesso eravamo riusciti a portare a termine la campagna. Ma Harry riteneva che ciò non sarebbe stato possibile in Inghilterra. Le sue descrizioni delle aggressioni agli oratori (lo spirito nazionalista era al culmine) e dei fanatici patriottici che attaccavano la folla e la disperdevano non erano certo incoraggianti. Secondo Harry, per me che ero straniera sarebbe stato ancora più pericoloso parlare contro la guerra. Ma io ero disposta a tentare ugualmente: come avrei potuto, trovandomi in quel paese, tacere sull'argomento? “Bada”, mi avvertì Harry, “che qui non è come in America; non sono le autorità che interferiscono, ma la gente, poveri e ricchi senza distinzione”. Insistetti ancora, e alla fine Harry si arrese e promise di consultarsi con i compagni.
Un giorno ricevetti un invito dai Kropotkin, e partii con Mary Isaak alla volta di Bromley [Londra]. Questa volta c'erano anche la signora Kropotkin e Sasha, la figlioletta. Piotr e Sofia Grigorevna ci accolsero con affetto e cordialità e parlammo dell'America, delle attività del movimento in quel paese e della situazioni in Inghilterra. Piotr era venuto negli Stati Uniti nel 1898, ma a quell'epoca io ero in viaggio, sulla costa occidentale, e non avevo potuto presenziare alle sue conferenze. Sapevo, tuttavia, che avevano riscosso un notevole successo e che Piotr aveva lasciato di sé un'ottima impressione. La partecipazione del pubblico era stata notevole e gli incassi erano serviti a rimettere in sesto Solidarity [periodico anrchico, ndr] e a ridare vitalità al movimento. Piotr era particolarmente interessato al mio giro di conferenze nel Middle West e in California. “Devono essere zone eccellenti”, osservò, “se hai potuto parlare nelle stesse località per tre volte di seguito”. Confermai che lo erano e aggiunsi che gran parte del successo che avevo ottenuto era dovuto all'aiuto del gruppo di Free Society [periodico anrchico, ndr]. “Stanno facendo un ottimo lavoro, infatti”, concordò calorosamente Piotr. “Ma potrebbero fare molto di più, se solo non sprecassero tanto spazio per scrivere di sesso”. Non ero d'accordo, e ingaggiammo una infuocata discussione sull'importanza che gli anarchici dovevano attribuire al problema del sesso. Secondo Piotr, l'uguaglianza della donna con l'uomo non aveva nulla a che vedere con il sesso; era solo una questione di intelligenza e di cervello. “Quando la donna avrà un'intelligenza pari a quella dell'uomo, e ne condividerà le idee sociali, solo allora sarà ugualmente libera”.
Ci eravamo infervorati entrambi, e parlavamo in tono concitato. Sofia, che se ne stava silenziosa a cucire un vestitino per la figlia, cercò più volte di calmarci, ma invano. Percorrevamo la stanza a grandi passi, sempre più agitati e ciascuno strenuamente arroccato sulle sue posizioni. Alla fine, tagliai corto dicendo: “E va bene, caro compagno, quando avrò la tua età, forse, il problema del sesso non sarà più tanto importante per me. Ma adesso lo è, ed è enormemente importante per migliaia, addirittura milioni di giovani”. Piotr tacque di colpo, poi un sorriso divertito gli illuminò il viso dolce e buono. “è curioso davvero”, disse, “non ci avevo pensato. Dopo tutto, forse hai ragione tu”. E mi guardò con affetto, ammiccando allegramente.

Emma Goldman

originariamente apparso in Vivendo la mia vita (La Salamandra, Milano, 1980-1985)


Tra pubblico e privato

intervista di Nellie Bly a Emma Goldman

Ecco il testo della sua prima intervista su un giornale ad ampia diffusione. Emma ha 25 anni e alla giornalista un po' frivola chiarisce che....

C'è bisogno di presentare Emma Goldman? Di lei avete visto pretesi ritratti in fotografia. Avete letto che è un'agitatrice, una sobillatrice, una che vuole distruggere la proprietà, ammazzare i capitalisti. Avete in mente l'immagine di una creatura alta e ossuta, con i capelli corti e i pantaloni, una bandiera rossa in una mano e una fiaccola accesa nell'altra, con entrambi i piedi sollevati da terra e la parola “uccidere” continuamente sulle labbra.
Io me l'immaginavo così, lo ammetto1, e quando la secondina mi si presentò davanti dicendo “Ecco Emma Goldman,” ebbi un sussulto di sorpresa e poi mi misi a ridere. Una ragazzina minuta, alta appena un metro e mezzo2 con i tacchi, che non dimostra i suoi 54 chili, un naso impertinente all'insù e occhi grigio-azzurri molto espressivi, che mi fissavano in modo interrogativo attraverso occhiali cerchiati di tartaruga: era lei Emma Goldman!
Nelle manine tranquille stringeva una copia arrotolata dell'Illustrated American3. Il modesto completo blu, con una camicia stretta in vita e un foulard azzurri, non facevano proprio pensare a pantaloni, e i capelli castano chiaro, non scarmigliati, ricadevano sciolti sulla fronte ed erano raccolti in un piccolo nodo sulla nuca: il tutto le conferiva un'aria graziosa da ragazzina.
I piedini poggiavano dignitosamente a terra e quando le labbra piuttosto piene si aprirono, mettendo in mostra denti forti e bianchi, una voce gentile e gradevole, con un accento molto simpatico non disse “uccidere” ma...
“Che cosa desidera, signora?”
Glielo dissi. Mi sedetti accanto a lei e conversammo per due ore.
“Non voglio che si pubblichi niente su di me” mi disse, “perché la gente giudica male ed esagera e, poi, non penso che sia opportuno per me dire qualcosa mentre sono in prigione.”
“Ma io desidero sapere qualcosa della sua vita, di come sia diventata anarchica, quali siano le sue teorie e come intenda attuarle.”
Mi sorrise, piuttosto divertita, ma il sorriso era davvero cordiale, illuminò quel viso serio e la fece sembrare più che mai una ragazzina.
“Quanti anni ha?” le chiesi per cominciare.
“Ne ho compiuti venticinque lo scorso giugno,” mi rispose dopo una leggera esitazione.
Quale prova più sicura mi serve del fatto che lei sia una donna insolita e straordinaria?
“Ma il mese delle rose non ne ha portate molte nella mia vita,” aggiunse con un sorrisetto.

Siamo tutti egoisti

“Quando è diventata anarchica e che cosa l'ha indotta a esserlo?”
“Oh, lo sono da tutta la vita, ma non mi sono mai impegnata realmente fino a dopo la rivolta di Chicago, sette anni fa.”4
“Perché lo è? Qual è il suo scopo? Che cosa spera di ottenere?”
Sorrise di nuovo e accarezzò il libro che teneva posato sulle ginocchia.
“Siamo tutti egoisti,” rispose. “C'è qualcuno che, se gli chiedono perché è anarchico, dice: 'Per il bene del popolo.' Non è vero e non è quello che sostengo io. Sono anarchica perché sono egoista. Mi fa male vedere altri che soffrono. Non lo sopporto. Non ho mai fatto male a un uomo in tutta la vita e non credo che potrei farlo. Così, poiché altri soffrono, soffro anch'io. Sono anarchica e dedico la mia vita alla causa, perché solo con l'anarchia si potrà mettere fine a tutte le sofferenze, al bisogno e all'infelicità.
“Tutto quello che va male, i crimini, le malattie, tutto è provocato dal sistema nel quale viviamo,” ha continuato a spiegare in tono serio. “Dove non c'è denaro e quindi non ci sono capitalisti, la gente non sarebbe costretta a lavorare troppo, non patirebbe la fame, non vivrebbe in abitazioni malsane, tutte cose che fanno invecchiare anzitempo, che provocano malattie, che inducono a delinquere. Per risparmiare un dollaro i capitalisti costruiscono ferrovie scadenti e quando arriva il treno tante persone finiscono uccise. Che cosa vale la loro vita, se il loro sacrificio ha fatto risparmiare denaro? Ma quelle morti significano miseria, bisogno e delinquenza per tante e tante famiglie. Seguendo i principi anarchici noi costruiamo ferrovie migliori e così non ci saranno più incidenti. Prendiamo la tranvia di Broadway,5 per esempio: invece di far passare poche vetture a una velocità spaventosa, per evitare maggiori spese, dovremmo utilizzarne molte a bassa velocità e così non ci sarebbero incidenti.”
“Se fa a meno dei soldi e dei padroni, chi lavorerà per le sue ferrovie?”
“Quelli a cui interessa quel tipo di lavoro. Così ognuno dovrà fare quello che più preferisce e non solo una cosa che è costretto a fare per guadagnarsi il pane quotidiano.”
“Ma che farà con i pigri che non vogliono lavorare?”
“Nessuno è pigro. Ognuno cresce disperato nella miseria della propria attuale esistenza e rinuncia. Nel nostro ordine di cose, ciascun uomo farà il lavoro che gli piace e avrà quanto ha il suo vicino, così non ci potrebbero essere persone infelici e scoraggiate.”

Qualcosa su Dio e sulle prigioni

“Che cosa farà dei suoi delinquenti se tutti saranno liberi e non ci saranno prigioni?”
Sorride tristemente.
“L'argomento richiede una vita di studio,” mi rispose. “Ma noi siamo convinti che non ci saranno più delinquenti. Perché oggi ce ne sono? Perché qualcuno ha tutto e altri niente. Nel nostro sistema tutti gli uomini sarebbero uguali. 'Non rubare,' dice la Bibbia. Ora, per rubare, è indubbio che ci deve essere qualche cosa da rubare. Noi facciamo in modo che non ci sia alcunché da rubare perché tutto sarebbe gratuito.”
“Lei crede in Dio, signorina Goldman?”
“Una volta ci credevo. Fino a diciassette anni ero molto religiosa e tutti i miei lo sono ancora oggi. Ma quando ho cominciato a leggere e a studiare, ho perso la fede. Io credo nella natura e in nient'altro.”
“Dov'è nata?”
“Sono nata in Russia e poi la mia famiglia si è trasferita in Germania. Per quanto i miei fossero benestanti, io ho sempre provato simpatia per i poveri. Allora non pensavo di essere anarchica, ma cercavo sempre di trovare un modo per favorire le classi lavoratrici. Ho imparato un mestiere. Mio padre mi ha insegnato che qualunque sia la nostra condizione, dobbiamo saper fare un mestiere, così ho studiato da sarta in una scuola francese. Per qualche anno ho fatto quel lavoro, qualche volta nella mia camera, altre in uno stabilimento.”
“Le importa del suo abbigliamento?”
“Ma certo!” mi ha risposto sorridendo. “Mi piace avere un bell'aspetto, ma non amo gli abiti pretenziosi. Mi piacciono quelli semplici e non vistosi e soprattutto,” e qui ha di nuovo sorriso ricordando la tesi spesso ripetuta dell'odio degli anarchici per il sapone, “mi piace tanto fare il bagno. Devo essere pulita. Essendo tedesca, mi hanno insegnato la pulizia fin da piccola e non mi interessa quanto miseri siano la mia camera e i miei abiti, purché siano puliti.”
“Che cosa faceva dei soldi guadagnati con il lavoro di cucito?”
“Li spendevo tutti in libri,” mi ha risposto con enfasi. “Sono rimasta povera comprando libri. Ho una biblioteca di quasi trecento volumi e finché ho qualcosa da leggere non mi importa della fame e dei vestiti logori.”
Pensateci, ragazze che vi mettete addosso ogni dollaro che avete! Non potete attestare la serietà d'intenti di questa donna che sacrifica volontariamente il proprio aspetto per i libri?
La signorina Goldman parla il russo, il tedesco, il francese e l'inglese, e sa leggere e scrivere in spagnolo e in italiano.
[...]
“Lei ha fratelli o sorelle, signorina Goldman?”
“Sì, ho un fratello sposato che non si interessa di niente e legge i giornali solo quando ci trova qualcosa che mi riguarda. Anche mia sorella è sposata e, pur non essendo attivamente impegnata nella nostra causa, sta crescendo i suoi figli secondo i nostri principi. Mio padre e mia madre sono ancora in vita, abitano nel pressi di Rochester e, anche se non sono anarchici, simpatizzano per me e non interferiscono nel mio lavoro.”6

La causa è la mia missione

“Quale sarà il suo futuro?”
“Non so dire. Vivrò per far circolare e promuovere le nostre idee. Sono pronta a dare la mia libertà e la vita, se necessario, per sostenere la mia causa. È la mia missione e non avrò esitazioni.”
“Crede che l'assassinio sia destinato a favorire la vostra causa?”
Mi ha guardato seria e ha scosso lentamente il capo.
“Si tratta di un argomento che va discusso a lungo. Non credo che vinceremo con gli omicidi, ma con la guerra e l'impegno contro il capitale, masse contro classi, e questo non avverrà in venti o venticinque anni. Ma un giorno, ne sono fermamente convinta, noi vinceremo e fino ad allora io sono contenta di fare l'agitatrice e di insegnare, e chiedo soltanto giustizia e libertà di parola.”
Così ho lasciato la piccola anarchica, la moderna Giovanna d'Arco, che attendava con pazienza in carcere che i suoi amici versassero il riscatto per lei.
“Prenderò di sicuro un anno o un anno e mezzo,”7 mi ha detto andandosene, “non perché quello che ho fatto lo meriti, ma perché sono anarchica.”

Nellie Bly

originariamente apparso in New York World, 1893, con il titolo Nellie Bly again. She interviews Emma Goldman and other anarchists

traduzione di Guido Lagomarsino

Note

  1. Quella di Nellie Bly fu la prima intervista a Emma Goldman sulla stampa di ampia diffusione.
  2. Il verbale di arresto a Philadelphia indica l'altezza esatta di 4 piedi e 10 ¾ pollici.
  3. Il numero conteneva un articolo intitolato “Anarchism in New York” e riportava un ritratto ostile nei confronti di Emma Goldman, definendola agitatrice scatenata in mezzo ai disoccupati del Lower East Side. (Illustrated American del 9 settembre 1893, pp. 295-98)
  4. Gli esiti delle rivolte di Haymarket provocarono timori e sospetti verso gli anarchici ma anche, fatto interessante, un rinnovato interesse per l'anarchismo negli Stati Uniti. Emma Goldman, Alexander Berkman, Voltairine de Cleyre, Bill Haywood e altri racconteranno come l'ingiusto processo e l'impiccagione di Albert Parsons, August Spies, George Engel e Adolph Fischer avessero profondamente influenzato le loro scelte radicali. Emma Goldman scrisse nella sua autobiografia che un discorso su Haymarket fatto da un'esponente del Socialist Labour Party, Johanna Greie Cramer quando Emma Goldman abitava ancora a Rochester, l'aveva molto colpita, come pure gli articoli scritti da Johann Most sul suo giornale Freheit. Soprattutto fu l'atteggiamento di sfida di Louis Lingg durante il processo e il suo suicidio prima dell'impiccagione che lasciarono il segno in Emma Goldman come in Alexander Berkman.
  5. In completa funzione nel luglio 1893, la linea tranviaria di Broadway fu luogo di frequenti incidenti, soprattutto sulla 33a e sulla 53a strada e nel tratto lungo la 14a, soprannominato “Curva dell'uomo morto”.
  6. I genitori di Emma abitavano a Rochester, New York. Il padre aveva un piccolo negozio di mobili e la madre svolgeva un ruolo attivo nelle attività filatropiche della comunità ebraica di New York.
  7. Emma Goldman venne infatti condannata a un anno di prigione e rilasciata dopo dieci mesi per buona condotta.

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