rivista anarchica
anno 45 n. 402
novembre 2015





Nostra patria il mondo

Sto scrivendo a fine agosto questo articolo, sono in Sardegna a parlare di migrazioni e proprio ieri è sbarcata una barca carica di donne e uomini su queste coste, la tragedia ha voluto che tre di loro siano morti durante il viaggio. Aprendo i giornali mi sento male a leggere le notizie soprattutto mi innervosiscono le analisi e l'uso che viene fatto delle storie migranti. Leggo e mi convinco fermamente che in questo momento storico assume sempre più importanza essere consapevoli che tutti siamo migranti da sempre e per sempre.
Troppo spesso accendendo la televisione o leggendo un quotidiano siamo sommersi da parole quali “invasioni, clandestini, criminali” e dimentichiamo che prima di tutto questi “immigrati” sono umani come noi e dovrebbero avere la possibilità di godere dei nostri diritti. Per quale assurdo motivo “noi” occidentali possiamo aprire una pagina internet scegliere che volo prendere e partire e invece una donna nigeriana o un ragazzo egiziano no? È importante decostruire le differenze tra migranti economici e rifugiati perché tutti gli esseri umani devono avere il diritto di muoversi liberamente.
L'accoglienza è un concetto molto importante per l'essere umano, indica quel luogo che offriamo all'altro in cui confluiscono concetti molto cari a noi antropologi come: ospitalità, fraternità, umanità.
Non dobbiamo e non possiamo pensare l'umano senza accoglienza, provate a considerare un'umanità senza accoglienza. È impensabile. Dalla nascita siamo accolti in un luogo che non è il nostro, che viviamo temporaneamente come ospiti e il ventre materno non è che il nostro primo rifugio.
Ognuno di noi è migrante nel suo microcosmo di relazioni, accolto e invitato ad accogliere proprio in nome di una coabitazione con l'altro che il mondo contemporaneo rende ancor più di prima imprescindibile.
Il cosiddetto fenomeno della globalizzazione ha portato con sé diversi mutamenti, non solo sul piano economico e politico, ma anche e soprattutto per ciò che concerne l'aspetto sociale e culturale. Mutamenti che per la loro portata rendono difficile continuare ad appellarsi al ritorno di situazioni che si potrebbero definire pure, una purezza in realtà mai esistita. Le nostre società, le nostre metropoli, sono sempre più comunità ibride e meticce.
Per capire come accogliere e costruire il nostro futuro in un momento delicato come quello che stiamo vivendo oggi è necessario fare chiarezza sulle possibilità di interazione con le comunità di migranti in arrivo o già presenti in Italia. Nella società attuale l'uso, l'abuso di determinati concetti porta a diversi problemi di comprensione. Multietnico, multiculturale, meticcio, sono parole con significati complessi che troppo spesso vengono usate come sinonimi, mentre veicolano significati tra loro differenti.
Il multiculturalismo imperante nella nostra società descrive fenomeni legati alla semplice convivenza di culture diverse, in cui gruppi sociali di etnia e cultura dissimili occupano uno spazio opposto e difficilmente si incontrano e dialogano. In questo caso le culture e le identità culturali vengono considerate come date, fissate, rigide e non suscettibili di mutamento. Il ritorno in auge dell'etnicità quale fonte di identificazione collettiva e spinta alle rivendicazioni, in seno alla modernità e alla globalizzazione, ha aumentato il multiculturalismo radicale.
L'ideologia e le pratiche multiculturali, (pensando alla società come un mosaico formato da monoculture omogenee e dai confini ben definiti), hanno, di fatto, aumentato la frammentazione (e il rischio di forme di apartheid, come possiamo notare nei fatti degli ultimi anni di Tor Sapienza a Roma, via Padova a Milano, di Rosarno o di Castel Volturno) fra le componenti della società, dimostrandosi validi strumenti per la costruzione di una identità nazionale chiusa e incapace di comunicare.
In contrapposizione al modello multiculturale, per pensare a come realmente accogliere e coabitare con i migranti dovremmo costruire un modello anzi un pensiero “meticcio”, una realtà che non conosce limiti e freni: si manifesta senza regole prestabilite, fra incontri e condivisioni tra persone.
Nel “meticcio”, ovvero nel pensiero transculturale, ogni differenza non allude a privilegi né ad alcuna discriminazione. La transcultura esige che gli uomini, migranti o meno, godano delle medesime “universali” possibilità e scelgano privi di vincoli comunitari, dove, come e quando vivere. Ogni persona ha il diritto di essere valorizzata nella sua unicità e irrepetibilità, nella sua continua trasformazione, nella sua continua negazione di purezza originaria.
Immagino un mondo che sappia accogliere, ascoltare e capire le differenze e che tali differenze siano la ricchezza della società. Non si deve assolutizzare l'identità culturale, ma fare in modo che le diverse espressioni identitarie siano filtrate alla luce della libertà e dell'autonomia propria e di ogni altro essere umano. Quindi un mondo aperto, senza muri e pregiudizi, pronto al mescolamento culturale per un divenire trasnazionale, “un'ecumene globale” con al suo interno una miriade di culture differenti pronte al cambiamento, all'ascolto e all'incontro.
Per accogliere i migranti, e vivere meglio la contemporaneità, dobbiamo creare una relazione sociale tesa a soddisfare un'esigenza, un interesse, dove sia importante accettare di trasformarsi nell'interazione egualitaria con gli altri.
Per accogliere e trovare una casa per tutta l'umanità dobbiamo impegnarci a costruire un mondo di eguali per diritti, ma differenti per culture, una società di donne e uomini liberi di creare la loro specificità culturale, non parlo di un programma politico ma di un atto di autodeterminazione sociale. La cultura non è mai una conclusione, ma una dinamica costante alla ricerca di domande inedite, di possibilità nuove, che non domina, ma si mette in relazione, che non saccheggia, ma scambia, che rispetta. Un pensiero meticcio come rifiuto del falso universalismo e della purezza, un processo dinamico di scambi reciproci, di accettazioni e di rifiuti, di rinunce e di appropriazioni.
Dobbiamo smettere di pensarci chiusi nella nostra fortezza, aprire le porte e costruire un futuro migliore dove gli unici stranieri saranno gli stati nazione.

Andrea Staid