rivista anarchica
anno 45 n. 402
novembre 2015


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Il gioco sovversivo

reportage di Mirko Orlando


In una società in cui conta solo produrre, giocare è un atto rivoluzionario.

I bambini giocano con tutto, giocano anche a fare la guerra. Poi i grandi la fanno davvero e i bambini giocano con ciò che resta. Il gioco rappresenta l'unica vera forma di sovversione, e con questo pensiero in tasca ogni volta che vedo qualcuno giocare non posso fare a meno di fermarmi... e l'otturatore fa click.
Credo che giocare non significhi tanto il concedersi una breve e intensa spensieratezza, ma al contrario un momento di autentica emancipazione dalle logiche della produttività, e perciò credo sia giocando che si fanno le rivoluzioni. Chiaramente non parlo dell'ottuso circuito dell'entertainment in cui l'intero Occidente (ed oggi l'Occidente si espande ben oltre se stesso) è sprofondato, dacché non v'è nulla di più produttivo di questa infame caricatura del gioco, ma al contrario di quel giocare spontaneo, naif, di quella voglia irrefrenabile di sprecare energie che ci assale d'improvviso, anche e specialmente quando tutto intorno a noi richiama una certa austerità, se non anche quelle facce da lutto di chi ha preso coscienza del mondo in cui vive.

Questa energia non è addomesticabile, non può esaurirsi dentro quattro mura perché è un'energia che si nutre per strada, tra gli altri, dove le regole del gioco le fanno, di volta in volta, i giocatori. Dunque fuori, anche dove una quotidianità avversa scoraggia ogni forma d'allegria, anche dove la povertà, un lavoro sottopagato o un governo scellerato inducono gli individui a piangersi addosso. Bisognerebbe imparare a piegarsi per essere all'altezza dei bambini e non per soddisfare le voglie più basse degli adulti, sembra dirci questa forza che ci portiamo dentro.

Le sacre regole del gioco

Sotto un cavalcavia di Bangkok un gruppo di operai spende il proprio tempo libero calciando una palla al di là della rete. È soltanto un gioco, ma con le scommesse ci si può arrotondare lo stipendio, così come quell'uomo, bocce alle mano, porta la pagnotta a casa per la sua famiglia a Battambang (Cambogia). Accattoni, operai, imprenditori e uomini di borsa, giocare è un lusso di cui non si può privare nessuno. Fanculo tutto il resto!

A Vang Vieng (Laos) i fuochi d'artificio fanno più rumore delle mine antiuomo che ancora infestano un paese distrutto da una guerra a cui non ha mai partecipato, e benché sia lontano il tempo del riscatto già oggi ci si appressa ad esultare. Nulla di meno nelle baraccopoli indiane, dove a viverci per qualche tempo per lo meno s'imparano le sacre regole del Cricket (e magari qualche astuta tecnica per borseggiare i più fortunati). Non fraintendetemi: sono terre orribili, squallide e schifose non perché di fatto sporche, ma prima ancora perché profondamente ingiuste. Sono terre in cui vige la legge del più forte, e non v'è alcun diritto se non quello a sopraffare il più debole, l'indifeso, il pezzente di turno. Eppure capita che siano terre di cui ci si possa innamorare, proprio così, ce ne si innamora come si perde la testa per una grandissima stronza. È un amore folle, irragionevole, persino pericoloso.

Il cuore dei cambiamenti

Tra una partita e l'altra, un giovane indiano mi dice che alla fin fine è ottimista (la speranza è l'ultima a morire?): l'economia del suo paese è in crescita e pertanto si sente orgoglioso di appartenere ad un paese tanto determinato.
Tutte le statistiche gli danno ragione, ne sono a conoscenza, e pur tuttavia non riesco proprio a capire in che modo questo sviluppo possa in fine riguardare il mio interlocutore. Da quand'è che ci hanno rincoglionito col PIL, la crescita, e il mercato finanziario globale? Persino qui, lontano da casa, sono costretto a sentire le solite stronzate? Il solo mercato che davvero dovrebbe interessarci è quello dell'ortofrutta sotto casa, quello alla periferia della città dove dopo un'estenuante contrattazione riusciamo ancora ad ottenere qualcosa ad un prezzo ragionevole. Il mercato finanziario, le cifre spasmodiche delle borse, sono ciò che Guido Ceronetti chiama necroeconomie, mercati di morte e disperazione dove se non sarà un crack finanziario ad ucciderci sarà l'inevitabile depressione che ci accompagnerà nella lettura del suo andamento.

Il ragazzo riprende a giocare come un bambino (sembra che soltanto nelle pause ritorni cretino come un adulto). Io riparto. Lontano. Voglio raggiungere Phnom Penh. Ci arrivo e presto trovo una sistemazione: Gran View Guest house. Gran View perchè un tempo affacciava sul lago ma oggi tu vedi un bambino giocare e intorno nulla... è il nulla! Proprio qui, dalla finestra della mia squallida camera da quattro soldi tu potevi vedere un lago... l'hanno prosciugato. Hanno comprato tutto e domani ci saranno un sacco di grattacieli, alberghi, shopping center.

Qui c'era un lago, e i bambini ci si tuffavano dentro per ingannare il caldo di questi tempi ma ora ti giri e vedi il nulla, sabbia e cemento... e i bambini continuano a giocare. Quando cadono piangono, ma finisce sempre che si rialzano e riprovano ancora, fintanto hanno le forze, fintanto non ci riescono, e allora ti chiedi se davvero sapranno, demiurghi come sono, ricostruire daccapo un paese come questo. Ci vuol troppa arroganza per rispondere... io davvero non lo so se è nella logica evoluzione del bambino diventare semplicemente un uomo. Soltanto un uomo. Così tu vedi un bambino giocare e intorno nulla... ecco di che è fatta la materia della vita. Ecco perché non dovremmo mai smettere di giocare se davvero abbiamo a cuore il cuore stesso d'ogni possibile cambiamento.

Mirko Orlando