rivista anarchica
anno 45 n. 402
novembre 2015


Rudolf Rocker/2

Il rifiuto del totalitarismo

di David Bernardini


Il ruolo dell'anarchico tedesco nell'ambito della critica al mito della Rivoluzione Russa.
“Chi crede nei decreti non sa cosa significa la libertà”.


Lo Stato comunista in azione
è esattamente ciò che noi anarchici abbiamo sempre sostenuto che sarebbe stato
Bill Shatov (1897-1939)

Le catene dell'umanità torturata sono di carta di protocollo
Franz Kafka (1883-1924)

In un libro pubblicato qualche tempo fa e dedicato alla critica da parte della sinistra tedesca ai totalitarismi del novecento, balza all'occhio una strana assenza: gli anarchici sono sì presi in considerazione come una componente di questa “sinistra” intesa in senso molto ampio, ma vengono subito messi da parte. Ciò appare tanto più incomprensibile se si considera la centralità della critica agli esiti della rivoluzione d'Ottobre per la riflessione libertaria, una critica che si connette proprio al più generale problema del totalitarismo, come si manifesta chiaramente nel pensiero di Rudolf Rocker. Dato che si tratta di un autore tedesco, il breve scritto che segue vuole idealmente “tappare” il buco lasciato dal volume citato in apertura. Inoltre, analizzare la critica di Rocker nei confronti della rivoluzione russa significa scoprire un tassello tutt'altro che secondario di quell'analisi corale del totalitarismo in generale, e della realtà sovietica in particolare, che diversi esponenti del movimento libertario internazionale tentarono di intraprendere praticamente in presa diretta. Nella riflessione di Rocker al riguardo si sommano perciò suggestioni provenienti da autori come Bakunin e Kropotkin alle testimonianze di prima mano degli anarchici in fuga dalla Russia, il tutto collocato in una prospettiva di ampio respiro.

Della necessità di distinguersi

Nel marzo del 1917, Rocker era imprigionato nel campo di concentramento inglese di Alexandra Palace a causa delle sue origini tedesche. Le prime notizie della rivoluzione russa che gli giunsero suscitarono il suo entusiasmo, tanto da scrivere alla compagna Milly Witkop che “siamo alla vigilia di un nuovo capitolo nella storia d'Europa” e che “se la rivoluzione in Russia sarà forte abbastanza- e io spero che lo sarà- da sconfiggere tutti i suoi nemici, allora il suo suono presto o tardi si sentirà anche in Austria e Germania”. Nel secondo volume delle sue memorie scritte dopo la seconda guerra mondiale, l'oramai anziano anarchico tedesco rievocava l'atmosfera nel campo di concentramento al giungere di quelle novità:
“anche nel campo la notizia dei grandi avvenimenti russi produsse una reazione poderosa. Tutti erano fermamente convinti che la guerra sarebbe finita presto. Dove esisteva uno straccio rosso, se ne fecero piccole bandiere che furono legate a capo dei letti (...). Finalmente ricevetti una lettera da Milly. Da ogni rigo sgorgava l'entusiasmo per la nuova Russia, ma anche il sentimento doloroso di trovarci impotenti e di non potere essere dove si stava forgiando un mondo nuovo”.
Secondo la ricostruzione della studiosa Mirella Larizza Lolli, la notizia degli eventi rivoluzionari in Russia aveva destato quindi l'entusiasmo in un'Europa sconvolta dalla prima guerra mondiale, con milioni di persone al fronte a massacrarsi a vicenda e una pesante militarizzazione che gravava su tutta la società. Anche se i dubbi non tardarono a sopraggiungere, per molti anarchici dare un giudizio netto su quanto avveniva in Russia era una questione decisamente complessa. La scarsità delle informazioni che riuscivano a filtrare e le minacce che incombevano sulla giovane rivoluzione spingevano in secondo piano le perplessità, in nome delle difesa di ciò che c'era positivo in quanto stava accadendo. Gli aspetti più autoritari del regime tendevano a venire giustificati sulla base delle condizioni estreme della guerra civile ed era opinione diffusa che, venuta meno la situazione d'emergenza, sarebbero scomparsi anche gli eccessi del regime che si andava strutturando. Tra le poche voci critiche, in questo frangente, spiccava, secondo Larizza, quella di Rocker, “certo (tra) le più intransigenti dal punto di vista politico e le più lucide sotto il profilo dell'analisi teorica”.
L'anarchico tedesco aveva già infatti preso polemicamente posizione nel 1920 contro il tentativo bolscevico di egemonizzare il movimento sindacale internazionale. Rocker aveva scritto per la Freie Arbeiter Stimme, giornale pubblicato dagli anarchici di lingua yiddish negli Stati Uniti, un duro articolo intitolato Il Sistema dei Soviet o la dittatura del proletariato?. Al suo interno Rocker sosteneva l'incompatibilità tra la concezione dei consigli (i soviet), nata nell'ala libertaria della Prima Internazionale e “oggi (...) pietra angolare del movimento operaio internazionale” da un lato, e dall'altro quella della dittatura del proletariato, una “miserabile eredità borghese”. Questa presa di posizione si inseriva in quel percorso che porterà alla fondazione a Berlino, tra la fine del 1922 e l'inizio del 1923, dell'Associazione Internazionale del Lavoratori, solitamente conosciuta con l'acronimo AIT. Come scrisse l'anarcosindacalista Arthur Lehning, l'AIT era nata anche dalla necessità di differenziarsi dal regime bolscevico. Gli anarchici legati ai sindacati avevano in altre parole riaffermato la propria autonomia. Ciò era diventato inevitabile soprattutto dopo il 1921, proprio nell'anno in cui Rocker aveva scritto, riferendosi agli avvenimenti in Russia, “oggi non possiamo più tacere”.

“Come se lo Stato non fosse sempre il creatore di nuove classi”

Il 1921 costituì dunque uno spartiacque: con la fine della guerra civile si rese evidente che i metodi bolscevichi non erano il prodotto passeggero di condizioni straordinariamente critiche, bensì l'espressione di qualcosa di ben più profondo. La repressione di Kronstadt e della machnovcina in Ucraina, così come la persecuzione sistematica nei confronti degli anarchici (e non solo) dimostravano la fondatezza di quella critica al regime bolscevico che iniziava a diffondersi e precisarsi.
A Berlino, proprio dove molti esiliati politici avevano trovato rifugio grazie al supporto dell'organizzazione anarcosindacalista FAUD (Libera Unione dei Lavoratori tedeschi), venne pubblicato in quell'anno decisivo un opuscolo intitolato Il fallimento del Comunismo di Stato russo. Il suo autore, Rudolf Rocker, riprendeva quanto scritto l'anno precedente e rilancia: “oggi dobbiamo prendere una posizione: dobbiamo opporci al socialismo di Stato” o, meglio, a quel “capitalismo di Stato” sorto dalla rivoluzione russa.
Dopo aver ribadito l'importanza del ruolo degli anarchici negli eventi rivoluzionari, Rocker dichiarava che la società russa era “in cammino verso destra”. Ciò era stato possibile a causa di una specifica ideologia e metodologia rivoluzionaria. In primo luogo, la concezione della dittatura del proletariato, che da un lato aveva soffocato i soviet, espressione di un movimento di massa dal basso, creativo e davvero rivoluzionario, dall'altro aveva rafforzato il potere dello Stato, creando le premesse per la dominazione di una “nuova classe”, quella “commissariocrazia” tirannica ed inefficiente che si poneva in diretta continuità, in quanto a modalità di esercizio del potere, con la vecchia classe dirigente zarista. Queste erano le basi per quel “feticcio del decreto”, come lo chiamava Rocker, tipico dei bolscevichi, che a colpi di leggi avevano soffocato ogni iniziativa autonoma. Connesso a questo genere di concezione, si poneva il centralismo come metodo organizzativo, colpevole di generare solo paralisi, unità artificiale dal basso che riduceva l'individuo a mero ingranaggio di un meccanismo posto al di fuori del suo controllo. La logica dei bolscevichi era insomma quella del potere, contraddistinta dallo stesso utilizzo sistematico della calunnia e della menzogna in nome della ragion di Stato.
Contrariamente alle concezioni rivoluzionarie dei bolscevichi, Rocker ribadiva la centralità dell'aspirazione alla libertà e all'uguaglianza sociale, fondamentale per ogni movimento di rottura con il presente. In altre parole, secondo l'anarchico tedesco esisteva, a fianco della questione economica, anche una dimensione etica che non poteva essere trascurata.
La questione stava dunque nella logica stessa dei bolscevichi. Questo tema venne ripreso da Rocker in quello che è solitamente definito come il suo capolavoro, cioè Nazionalismo e Cultura. Il problema centrale del marxismo risiedeva suo parere in quella comparazione tra natura e società, o meglio tra sfera della necessità e della volontà, che portava ad una logica rigidamente deterministica, contraddistinta dalla pretesa di spiegare tutto.Il marxismo poneva al centro della sua analisi il primato del momento economico, escludendo altri fattori e diverse chiavi di lettura. Si generava così una spiegazione della realtà che si pretendeva scientifica e quindi incontestabile, in un certo senso totale. In realtà, rifletteva Rocker, il marxismo non era che l'ennesima forma di fatalismo politico che, pur presentandosi sotto una veste per l'appunto scientifica, rimaneva caratterizzato da un aspetto religioso. Ciò accadeva in quanto tutti i fatalismi erano uguali: spiegavano senza cambiare, sacrificavano il futuro al passato e generavano un tipo di narrazione che annichiliva la volontà degli individui. In sintesi, il fatalismo era nella sua stessa logica interna autoritario, e il materialismo marxista non faceva eccezione.
Nelle vicende umane, sosteneva Rocker, non esisteva il “dover-essere”, ma solo il “poter-essere”. Nel pieno degli anni Trenta, in un'epoca che sembrava sempre più dominata da regimi che cercavano di distruggere le possibilità dell'iniziativa dal basso, Rocker riaffermava la centralità dell'individuo e della sua volontà, incontrollabile e imprevedibile, sempre capace di plasmare la realtà. L'anarchico tedesco inoltre utilizzava la categoria di “totalitarismo” per leggere quelle nuove forme di dominio che stavano prendendo piede in Europa: oltre alla Russia, c'erano i regimi fascisti e quello nazista in Germania. Di questi sottolineava la loro comune radice, una tematica diffusa nella pubblicistica anarchica del tempo. Secondo Rocker, essenziale nell'affermazione del totalitarismo era stato il momento democratico dell'organizzazione dello Stato. Rousseau e i giacobini avevano infatti posto le premesse per quel mito della collettività che si incarnerà successivamente nel nazionalismo e per quella prassi rivoluzionaria, fatta propria dai bolscevichi, in base alla quale la rivoluzione si esauriva nella conquista del potere politico.
Rocker vide la prova di questa comune attitudine nella drammatica vicenda di Zensl Elfinger Mühsam, compagna del poeta anarchico Erich. Dopo aver perso il compagno in campo di concentramento, ucciso dagli aguzzini nazisti, Zensl aveva passato molti anni nelle prigioni sovietiche, arrestata per “aver abusato dell'ospitalità dell'Unione Sovietica”. Rocker scrisse un opuscolo sulla questione, un accorato appello per sapere la sorte di questa donna, “una libertaria in lotta contro i totalitarismi”.

Cosa rimane

Avevo poco più di un anno quando il muro di Berlino cadde. Da qualche mese vivo temporaneamente a Dresda, dove nei quartieri meridionali si possono ancora “ammirare” i giganteschi palazzoni tipici dell'architettura sovietica. Quel dibattito interno al movimento anarchico internazionale, di cui le riflessioni di Rocker costituiscono solo un tassello, su quanto era avvenuto in Russia dopo la rivoluzione d'Ottobre sembra come quegli edifici: vecchio, vestigia di un mondo che fu.
Eppure, mentre nello spazio lasciato libero dall'Urss si sono affermati nuovi (o forse non proprio così nuovi) domini e nuovi movimenti xenofobo-autoritari emergono (come la Pegida), del discorso di Rocker qualcosa rimane: il rifiuto di qualsiasi fatalismo che tende a far apparire l'esistente come immutabile e l'affermazione della possibilità per l'individuo di scegliere di trasformare il suo presente. Un percorso difficile e accidentato, certo, ma è tutto quello che c'è. E non sembra poco.

David Bernardini

La prima puntata di questa serie di tre articoli su Rudolf Rocker è apparsa nello scorso numero con il titolo “Aderire o sabotare”, incentrata sul dibattito sulla Prima Guerra Mondiale. La prossima puntata, conclusiva, apparirà su uno dei prossimi due numeri.



Leggere Rocker (e la rivoluzione russa)

Il volume citato in apertura è: (a cura di) Mike Schmeitzner, Totalitarismuskritik von links. Deutsche Diskurse im 20.Jahrhundert, Vandenhoeck&Ruprecht, Göttingen, 2007.
Per una panoramica sul dibattito in campo anarchico sulla rivoluzione russa si veda l'ottavo capitolo di: Mirella Larizza Lolli, Stato e potere nell'anarchismo, FrancoAngeli, Milano 2010.
Per l'argomento trattato sono interessanti anche: Paul Avrich, L'altra anima della rivoluzione. Storia del movimento anarchico russo, Edizioni Antistato, Milano 1978; Vadim Damier, Anarcho-syndicalism in the 20th Century, Black Cat Press, Alberta, 2009; Arthur Lehning, L'anarcosindacalismo scritti scelti, BFS, Pisa, 1994.
Per quanto riguarda i testi di Rudolf Rocker presi in considerazione in queste pagine, la lettera a Milly si trova in: (a cura di Pietro Di Paola) Rudolf Rocker, Sindrome da filo spinato. Rapporto di un tedesco internato a Londra (1914-1918), Edizioni Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2006. Il secondo volume delle memorie di Rocker è: Rudolf Rocker, Nella tormenta (Anni d'esilio) (1895-1918), Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli, Milano, di prossima pubblicazione. L'articolo del 1920 si trova tradotto in: Rudolf Rocker, Il sistema dei Soviet o la dittatura del proletariato?, in (a cura di) Alexander Skirda, Gli anarchici russi, i soviet e l'autogestione, C.P. editore, Firenze 1978. Infine: Rudolf Rocker, Der Bankrott des russischen Staatskommunismus, Verlag Syndikalist, Berlin 1921 (tradotto in Italiano come Bolscevismo e anarchismo, La fiaccola, Ragusa 1976); Rudolf Rocker, Nazionalismo e Cultura, edizioni Anarchismo, Catania 1977 (in due volumi, per l'argomento trattato è interessante soprattutto il primo); Rudolf Rocker, Zensl Enfinger Mühsam. Una libertaria in lotta contro i totalitarismi, Edizioni La Fiaccola, Ragusa 2003.

D.B.