rivista anarchica
anno 45 n. 402
novembre 2015


migranti/1

Per nuove “identità” non identitarie

di Andrea Papi


Di fronte al fenomeno delle migrazioni, gigantesco nelle sue dimensioni, serve un nuovo progetto di accoglienza, condivisione, autoformazione, solidarietà.


L'Europa, cioè l'Occidente, sta inseguendo i propri fantasmi. L'Occidente nacque e prese forma in Europa, creando un tipo di cultura, una logica di dominio e un modo di essere società, che si sono dilatati creando diversi rivoli e una miriade di applicazioni, sempre però all'interno dello stesso territorio di senso. Anche l'America (il nordamerica in particolare) fa parte a pieno titolo dell'Occidente. È storicamente una derivazione dell'Europa che, dopo la scoperta del 1492, la colonizzò, ne massacrò le popolazioni native aborigene e se ne impossessò facendola propria, staccandosi poi dalla “madre patria” di origine. Pure le attuali struttura territoriale e situazione politica dell'Africa sono frutto del colonialismo spietato dell'Europa, che da troppi secoli considera normale imporsi come padrona di una buona parte del mondo. Tuttora, anche se in modo più attenuato, continua a considerarsi in tal senso.
Oggi però il suo antico imperio si sta irrimediabilmente incrinando, tanto è vero che sta mostrando segni manifesti di stanchezza, inadeguatezza e crisi. La sua incapacità a resistere e assorbire l'urto delle masse di profughi e migranti che a ondate premono disperati ai suoi confini, è il segno più evidente e drammatico, con punte di inevitabile tragicità, del declino occidentale, della decadenza del suo credo, della sua arroganza millenaria, della sua inquietudine ridotta a espressione di un affanno sempre più patologico.

Un segno dei tempi

L'abbiamo ormai letto e sentito da tutte le fonti d'informazione: milioni di miserabili, angosciati da prevaricazioni inenarrabili nei loro paesi d'origine, stanno piombando alle porte d'Europa. Premono come un'incontrollabile massa critica, spinti da guerre, violenze e brutalità subite, i propri cari morti ammazzati con metodi terribilmente crudeli, fame e miseria condizioni imprescindibili. I loro viaggi di fuga verso un'agognata immaginaria salvezza sono come forche caudine, dove spietate mafie di schiavisti e negrieri contemporanei li stuprano, li torturano, li derubano di quel poco che possiedono e, per mare e per terra, li sbattono a forza su mezzi di trasporto dove in ogni istante rischiano la vita, costretti in condizioni oltre la precarietà e la mancanza d'igiene. Le loro testimonianze sono concordi: affrontano tutto questo martirio perché se tornassero sarebbe comunque peggio. Siamo al di là di ogni immaginazione di efferatezza, perché in tali attuali “gironi infernali”, effetto collaterale della modernità occidentale, non c'è nulla da invidiare alla tratta degli schiavi di settecentesca memoria
In questo “tsunami” di esseri umani infelici che fuggono dalle loro terre, rese invivibili dalla ferocia dell'ingordigia di domini efferati, personalmente vedo qualcosa di più della contingenza che spinge quelle persone a fuggire e migrare, ad accettare estremi disagi e pericoli perché comunque sono sempre più accettabili di quelle del paese natio che lasciano. Vi vedo un segno dei tempi, che si sta proponendo con una dirompenza capace di scardinare le barriere e gli schemi consolidati con cui l'Occidente s'era illuso di rinchiudersi dentro un recinto impenetrabile, nella speranza che non fosse scalfibile. Non è solo un problema europeo. Dati aggiornati di agenzie ONU informano di un fenomeno planetario che supera ampiamente il mezzo miliardo di persone migranti in tutto il mondo. Le ragioni, pur essendo ovviamente di volta in volta specifiche, sono nell'insieme molto simili dovunque: i sistemi di dominio stanno sistematicamente creando molta disperazione.
Dietro tutto questo c'è anche un prorompente bisogno di cambiare luoghi e situazioni, di sperimentare, di mettersi alla prova. La tecnologia informatica collegata alla rete globale è in grado d'informare velocemente sulle condizioni esistenti in ogni angolo del pianeta e di raccontarle, risvegliando desideri e immaginazioni, spingendo a fare progetti di vita. Sempre la tecnologia contemporanea, continuamente aggiornantesi e perfezionantesi, a sua volta offre molte possibilità di viaggio, al di là che questi disperati di fatto impieghino mesi ed anni per spostarsi senza la certezza dell'arrivo, costretti come sono da implacabili tratte schiaviste. Nulla toglie che il loro immaginario individuale si colleghi a possibilità di movimento che li fanno sognare, facendo loro accettare condizioni che altrimenti sarebbero inaccettabili. Anche senza i disastri bellici e della fame che producono la valanga umana cui stiamo assistendo, sono convinto che in modo molto più diradato ci sarebbe ugualmente una trasmigrazione endemica costante, perché è la stessa condizione tecnologica e sociale che continuamente viene prodotta a fungere da stimolatore e detonatore per migrazioni continue e costanti.

Ma il vecchio mondo sta traballando

Dal momento che i sistemi di dominio vigenti, col loro fare speculativo antiumanista, stanno determinando condizioni di massa umanamente inaccettabili, il mondo in cui viviamo è sempre più invivibile. È perciò una reazione giusta e condivisibile quella dei reietti che si stanno spostando per tentare di non subire l'imposizione di un tale destino. Purtroppo questo sacrosanto bisogno si scontra con le strutture di poteri politici obsoleti che ancora regolano le convivenze sociali. C'è una specie di contrasto involontario tra il livello del dominio e quello dell'esercizio del potere in atto. I sistemi di dominio, egemonizzati in primis dalla speculazione finanziaria con le sue oligarchie fluttuanti, sono globali e si muovono a livelli sopra statali, determinando condizioni extraterritoriali inglobanti e obbliganti. Anche la stessa economia produttiva è sempre più globale e continuamente supera o viola i confini nazionali.
La cultura e la pratica della gestione dei territori invece sono ancora all'insegna dei poteri nazionali e delle esclusività territoriali. Affrontano il problema dei movimenti migratori, che stanno diventando parte costitutiva della convivenza globale, come fosse una complicazione di controllo statuale per arginare un'invasione, con sempre maggiori tensioni e difficoltà di gestione. Il vecchio mondo, che ancora impera con le sue logiche di controllo poliziesco dei territori, con le sue visioni di appartenenze identitarie nazionalistiche e con le sue ataviche volontà di egemonie giurisdizionali, sta traballando parecchio. Corre seriamente il rischio di trovarsi disarticolato dalle tendenze egemoni sopra statali, le quali ci sovrastano snobbando e superando i luoghi natii, soprattutto determinando tendenze per cui i popoli si stanno destinando a non aver più patrie, a scomparire in quanto etnie o culture distinte e separate. È un futuro molto meno lontano di quello che si possa supporre.
Per capire come affrontare il problema delle migrazioni, invece di subirlo, bisognerebbe perciò proiettarsi immaginativamente in una dimensione che ora non ha topia, ma che con grande probabilità è tendenzialmente destinata a diventare una costante planetaria. In ogni campo in cui l'uomo agisce le nuove propensioni che ne scaturiscono tendono a travalicare, se non addirittura a frantumare, i confini politici e nazionali, determinando un superamento di fatto di quelle barriere, di quegli obblighi, di quelle visioni la cui storica espressione sono gli stati politici.

All'insegna del meticciato

Noi anarchici, unici legittimi eredi della prospettiva simboleggiata dal noto “nostra patria è il mondo intero”, teoricamente avremmo a disposizione l'armamentario/patrimonio culturale e progettuale per proporre e sperimentare qualcosa di adeguato. Purtroppo, le dimensioni e l'impatto dirompente di questi nuovi fenomeni migratori ci trovano impreparati, non all'altezza dei tempi. L'anarchismo ha nel suo stesso DNA il rifiuto del concetto di confine e della logica dei muri e dell'apartheid. Noi vorremmo che le genti riuscissero ad autogestirsi concordemente, non che venissero inglobate e asservite come sta succedendo con gli “aiuti di stato”, quando decidono di “accogliere” i nuovi reietti. Il nostro punto di vista rappresenta senz'altro un orizzonte validissimo per ricercare nuove prospettive e nuove modalità di aggregazione e convivenza.
Bisognerebbe tendere a determinare una tendenza che contenga la possibilità di dilatarsi e arricchirsi reciprocamente, secondo cui uomini e donne di ogni specie e derivazione possano e riescano a muoversi e incontrarsi senza essere obbligati, incapsulati, costretti, o coatti in nessuna maniera. Il modo comune e mutuale di rapportarsi l'un l'altro attraverso forme di reciproca autoeducazione, dovrebbe essere quello di scambiarsi idee, progetti, modalità organizzative, rendendo possibile la condivisione di beni, emozioni e qualità del vivere.
All'insegna del meticciato come nuova frontiera dovremmo essere seriamente impegnati nella ricerca di nuove planetarie “identità non più identitarie”.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it