rivista anarchica
anno 45 n. 403
dicembre 2015 - gennaio 2016


società

Il genere sovversivo

di Carlotta Pedrazzini


La chiesa e le forze conservatrici sono scatenate contro la fantomatica “ideologia del gender”. Una vera e propria crociata oscurantista, con tanto di sentinelle, neonazisti e....


C'è uno spettro che si aggira per le scuole italiane, si tratta del gender. Di lui si parla, quasi incessantemente da ormai qualche anno, sui giornali, nei salotti televisivi, sui social network, anche nelle aule della politica. Si tratta di un termine ombrello (che in italiano significa “genere”) sotto al quale, secondo alcuni, si raccoglierebbero ideologie e teorie di una portata talmente negativa da richiedere l'intervento vigile di genitori, stato e chiesa.
Il gender è uno spauracchio temutissimo, capace di far mobilitare le sentinelle in piedi, far nascere associazioni, redigere petizioni e affiggere manifesti, come quelli apparsi all'inizio di quest'anno scolastico davanti ad alcune scuole milanesi e firmati da Forza Nuova. “Difendi tuo figlio” recitavano i cartelli posti fuori da diversi istituti scolastici di Milano; i manifesti sarebbero stati affissi per “informare” i genitori della pericolosità della “teoria gender” e del presunto “omosessualismo” che, secondo i militanti dell'estrema destra, da qualche tempo si starebbero diffondendo tra i banchi delle scuole italiane, creando confusione nelle menti dei bambini.
Nonostante tutto questo insistente parlare, una domanda sorge sempre spontanea: per l'esattezza, questo gender, che cos'è?
La parola, che come già accennato significa “genere”, viene da qualche anno utilizzata in riferimento alla fantomatica ideologia del gender, un termine usato per la prima volta dal Pontificio consiglio per la famiglia1 ad indicare – in modo negativo e assolutamente falso – i vasti studi di genere.
Ciò che non piace a chiesa e conservatori è il tentativo, operato da chi si occupa di gender studies, di indagare le costruzioni sociali e culturali riguardanti le categorie uomo-donna, che hanno portato alla costruzione di una gerarchia tra i sessi. Anche le divisioni dei ruoli sociali, basate su stereotipi di genere, e le divisioni del mercato del lavoro sono messe in discussione perché fondate unicamente su caratteristiche costruite che non hanno alcuna radice nella “natura”.
Le ricerce di genere sottolineano come i concetti di mascolinità e femminilità siano dinamici, soggetti a condizionamenti di tempo, spazio, cultura e società. Indicano che esistono delle prescrizioni, basate sull'idea di maschio e di femmina, che dispongono agli individui quale condotta adottare, quali comportamenti sono consoni e quali no, creando all'interno della comunità degli specifici ruoli basati sul genere.
Nessuna delle differenziazioni che scaturiscono da queste costruzioni è naturalmente presente nel mondo, ma è solamente frutto di condizionamenti culturali e sociali. Decostruire queste caratteristiche e categorie che alcuni pensavano (e purtroppo ancora pensano) intrinseche e date, significa negare la naturalità di un ordine tra i sessi; proseguendo, se un ordine naturale non esiste, non può esserci una gerarchia, quindi non può esserci dominio.
Inutile ribadire che il significato degli studi di genere è stato ampiamente travisato e, in seguito, riposto sotto il termine gender. Inutile anche sottolineare che sembra essere stato fatto proprio apposta, vista la portata “sovversiva” di questi studi.
Dire infatti che non esiste un ordine naturale tra i sessi può portare, estendendo il concetto, a realizzare che non esista un ordine naturale tra gli esseri umani in grado di giustificare le gerarchie esistenti. Ogni tipo di gerarchia sarebbe così messa in discussione, come anche ogni tipo di dominio. Un bel casino, insomma.
Per gettare un po' di fumo negli occhi sugli argomenti quali sesso, genere, costruzioni sociali, dominio, negli ultimi anni sono state fondate associazioni, anche alcuni periodici; il loro intento è di diffondere un pensiero alterato sugli studi di genere, identificandoli con la presunta ideologia del gender, definita come espressione di una lobby gay che vorrebbe rendere il mondo omosessuale, distruggere la famiglia tradizionale, rendere i bambini sessualmente promiscui già a partire dalle scuole dell'infanzia. Naturalmente, niente di tutto questo è fondato e niente di tutto questo ha a che fare con le ricerche sul genere.
Ora, acclarato che tutto ciò che riguarda il fantomatico gender è frutto quantomeno di un fraintendimento (se non di un intenzionale depistaggio), ci si chiede: perché si continua a parlarne in questi termini? E soprattutto, perché chi ne parla continua a raccogliere consensi e proseliti, anche sul lato istituzionale?

Libri proibiti

Associazioni cattoliche e di estrema destra, forti dell'appoggio della chiesa, esercitano da tempo molte pressioni sulle istituzioni, le quali hanno non solo permesso la diffusione di una “bufala” in costante espansione, ma anche rilanciato e, in alcuni casi, fatte proprie le loro teorie.
La regione Lombardia ha recentemente organizzato un convegno dal titolo “Nutrire la famiglia per nutrire il futuro”, nel quale i relatori hanno evidenziato la pericolosità delle teorie sul genere, invitando i genitori a vigilare e le istituzioni a darsi da fare in materia.
Ed ecco fatto. Il 6 ottobre scorso il consiglio regionale lombardo ha approvato una mozione in cui si chiede di mettere fine al dilagare dell'ideologia gender nelle scuole. E il mezzo proposto è quello della censura; mettere al bando i libri che sarebbero in grado di veicolare il tanto temuto gender è la soluzione che alcuni hanno avanzato. Basta libri in cui le principesse non vogliono vestirsi di rosa e rimanere chiuse nei castelli ad aspettare il principe azzurro! Basta fiabe in cui i protagonisti possono avere anche due mamme o due papà. E che i personaggi femminili restino in cucina, per il bene della famiglia tradizionale!
Tutti i volumi che propongono percorsi di abbattimento delle discriminazioni razziali, di genere, orientamento sessuale sarebbero proibiti perché troppo pericolosi.
L'idea che ha portato a questa mozione è la stessa che ha spinto il sindaco di Venezia a stilare una lista di 49 volumi da togliere dalle scuole, tra cui alcuni dal suono veramente spaventoso come “Il bell'anatroccolo” o “A caccia dell'orso”.

Complicità istituzionale

In molti degli articoli sull'argomento che ho avuto modo di leggere in questi giorni, gli autori denunciavano questa presa di posizione delle istituzioni, dichiarandosi quantomeno sorpresi che queste avessero deciso non solo di non ostacolare la diffusione delle menzogne sugli studi di genere, ma addirittura scelto di favorirle e farle proprie.
Personalmente è stato il loro stupore a stupirmi. Cos'altro sono lo stato e la chiesa se non organismi di controllo? E in che modo la loro vicinanza di intenti e modalità dovrebbe sorprendermi?
Che la chiesa e le istituzioni cerchino di ostacolare o depotenziare chiunque si adoperi per aumentare la consapevolezza sui condizionamenti culturali e storici a cui sono sottoposte le nostre categorie sul sesso e sul genere ha una valenza politica molto forte. La presa di coscienza sull'infondatezza di un ordine gerarchico naturale e della differenziazione dei ruoli può facilmente sfuggire di mano; può infatti estendersi fino alla messa in discussione delle gerarchie sociali, del dominio e dei privilegi. Le categorizzazioni e i ruoli sociali rendono la società “ordinata” e ricettiva di ordini. Metterli in discussione significa indebolire i sistemi di controllo sociale ed è proprio questo che spaventa.
Cosa accadrebbe se si iniziasse a mettere in dubbio la categorizzazione della società in cui viviamo, la sua struttura accentrata e gerarchica? Cosa succederebbe se la domanda di più libertà individuale abbandonasse l'ambito sessuale e si dirigesse verso quello del potere?
Beh, sarebbe l'anarchia.

Carlotta Pedrazzini

  1. Sara Garbagnoli, «L'ideologia del genere»: l'irresistibile ascesa di un'invenzione retorica vaticana contro la denaturalizzazione dell'ordine sessuale, “About gender. International journal of gender studies”, 2014, vol. 3, n. 6 pp. 250-263.