rivista anarchica
anno 46 n. 405
marzo 2016






Le carceri minorili? Abolirle

Mi hanno chiesto di scrivere qualche riflessione da portare al tavolo di discussione “Minorenni autori di reati” degli Stati Generali dell'Esecuzione Penale, che si stanno svolgendo in questi mesi.

Spesso i giovani che entrano in carcere da minorenni sono ragazzi difficili. Non credo però che siano cattivi. Penso che lo diventino dopo, stando in galera. Nella stragrande maggioranza dei casi i detenuti minorenni vengono da nuclei familiari complicati. Molti di loro hanno solo sfiorato l'amore di un padre o di una madre. Molti di loro non hanno conosciuto l'amore di una famiglia. Hanno solo conosciuto la parte più cinica della società. Penso che abbiano conosciuto prima la cattiveria innocente dei bambini, poi quella dispettosa dei ragazzi e alla fine quella malvagia del carcere.
Credo che molti giovani detenuti diventeranno da adulti dei delinquenti perché in carcere si sentono soli e indifesi. E si convincono che nel mondo nessuno gli voglia bene.
La prima volta che entrai in carcere avevo sedici anni e l'impatto fu tremendo. Fu anche la prima volta che un gruppo di guardie mi massacrò di botte. A dire la verità un po', ma solo un pochino, me lo meritavo. Avevo tirato un piatto di patate in faccia al brigadiere. Non lo dovevo fare. Ma era stato più forte di me. Non riuscivo a stare zitto se offendevano mia madre. E il brigadiere mi aveva chiamato figlio di puttana perché mi ero lamentato, avevo fame, che le patate erano poche e crude. Mi ricordo che le guardie entrarono in cella e mi saltarono addosso tutte insieme. Mi riempirono di calci e pugni. Soffrii più per le parolacce che mi dissero che per le botte. Non dissi però nulla. Non gridai. E non mi lamentai come facevano gli altri ragazzi quando venivano picchiati. Non diedi alle guardie questa soddisfazione.
Loro s'incazzarono ancora di più. E mi picchiarono ancora più forte. Mi ricordo che mi rannicchiai in un angolo e mi coprii il viso e la testa con le gambe e le braccia. Il pestaggio durò dieci minuti, ma mi parve un'eternità. Quando andarono via piansi come un ragazzino, perché in fondo, anche se avevo commesso quella cazzo di rapina in un ufficio postale con una pistola giocattolo, ero solo un ragazzo. Avevo dolore dappertutto, ma quello che mi faceva più male era l'umiliazione e l'impotenza.
Mi ricordo che giurai a me stesso che da grande mi sarei vendicato di tutti e di tutto, contro la società e il carcere. E credo di esserci riuscito perché quando uscii dal carcere da maggiorenne avevo appreso la cultura e la mentalità per diventare un criminale.
Pensavo che certe cose nelle carceri minorili non accadessero più, ma un giovane detenuto pugliese, Andrea, mi ha raccontato che le cose non sono cambiate così radicalmente dai miei tempi. Adesso nelle carceri minorili le punizioni non sono più fisiche come in passato, sono molto più sottili. E spesso più che sul corpo ti picchiano sul cuore e sull'anima.
Sono convinto che le carceri minorili sono delle vere e proprie fabbriche di delinquenza, per creare i detenuti che riempiranno le carceri da adulti. Non credo che ci sia la possibilità di migliorare o riformare le carceri minorili, si può solo abolirle perché chiudere un ragazzo in una cella è un crimine ancora più brutto di quello che lui ha commesso.
Penso spesso che forse se non fossi stato in carcere da minorenne non sarei diventato il criminale che sono diventato dopo. Non ne sono però sicuro. Forse lo sarei diventato lo stesso, ma una cosa è certa: i giovani sono più influenzabili degli adulti. E durante la mia carcerazione da minorenne è cresciuto il mio odio verso lo Stato e tutte le istituzioni che lo rappresentano.

Carmelo Musumeci
www.carmelomusumeci.com



Ragazzi, fuori!
Un report sulla situazione italiana

Il processo di decarcerizzazione minorile, iniziato negli anni '50, deve essere ultimato. Ed è necessario farlo al più presto. A sostenerlo è l'associazione Antigone “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, nel suo report sugli istituti penali per minori, pubblicato lo scorso novembre; il terzo dalla sua fondazione.
Il titolo “Ragazzi fuori” fa intendere l'obiettivo auspicato dai suoi redattori; “è il momento di pensare ogni modalità affinché i ragazzi rimangano fuori” afferma Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione. Per farlo è necessario riflettere su una “accoglienza sociale capace di fare a meno di celle, cancelli e muri”, evitando la stigmatizzazione legata alla reclusione. In sostanza, concentrarsi maggiormente su attività educative in grado di scongiurare l'esclusione sociale, piuttosto che sulla punizione detentiva.
Perché il processo di decarcerizzazione possa avvenire, è necessario prima di tutto capire il fenomeno della detenzione minorile, anche da un punto di vista quantitativo. Ed è quanto si propone di fare il questo report, fornendo una fotografia dell'attuale situazione italiana, confrontandola anche con quella passata. I dati presenti nel documento sono stati raccolti attraverso osservazione diretta presso gli istituti di pena detentiva per minori presenti in Italia.
Dagli anni quaranta del novecento ad oggi il numero di ragazzi reclusi è drasticamente diminuito (si è passati da 8521 nel 1940 a 449 nel 2015), ma negli ultimi 15 anni ha smesso di decrescere, stabilizzandosi. Si tratta perlopiù di ragazzi accusati di aver commesso reati contro il patrimonio e, in misura minore, reati contro la persona o violazioni della legge sugli stupefacenti. Secondo i redattori, la progressiva riduzione del numero ha aumentato ancor più la stigmatizzazione e l'esclusione legate all'incarcerazione; proprio per questo, è necessario agire perché le cose cambino.
Secondo Antigone, perché “una diversa filosofia di intervento” venga implementata, servono dei cambiamenti sostanziali, a partire dalla configurazione architettonica delle attuali strutture per minori. L'eliminazione di sbarre, cancelli e blindati è un primo passo verso la scomparsa degli istituti detentivi in favore della creazione di spazi educativi.
Anche la vita all'interno degli istituti penali dovrebbe cambiare drasticamente, ruotando maggiormente intorno ad attività educative. Ma sono necessari i giusti strumenti. Al momento gravi carenze sono state riscontrate, sia dal punto di vista del personale (che manca) sia da quello delle strutture (considerate a volte inadeguate). E anche sotto il profilo degli obiettivi raggiunti; i redattori riportano che nel 2012, su 1066 iscritti ai corsi solo 71 hanno conseguito un titolo di studio.
I percorsi di formazione professionale risultano manchevoli anche a causa della limitatezza di risorse economiche. In proposito il report segnala una “preoccupante carenza di fondi” dedicati alla formazione professionale e una “inadeguata disponibilità di risorse finanziarie”.
A fronte di quest'analisi, il suggerimento dell'associazione Antigone per proporre dinamiche di inclusione è di ripartire dall'educazione. Ma non solo; rivedere anche la conformazione delle strutture, la natura e l'efficacia degli strumenti utilizzati. In sostanza, iniziare a ripensare il tema delle carceri minorili.
Affinché i ragazzi ne restino fuori.

Carlotta Pedrazzini

Il report è reperibile e scaricabile integralmente al sito dell'associazione Antigone