rivista anarchica
anno 46 n. 405
marzo 2016


etica

Perché siamo anarchici
(e tanti altri no?)

di Francesco Codello


Ogni cosa appare sistematicamente immutabile e inevitabile, talvolta persino scontata. È questo l'effetto di un conformismo sociale ben diffuso e non meno conosciuto. Il ruolo possibile dell'anarchismo, o meglio degli anarchici, per rompere il cerchio e liberare il sogno.


Quello che accade nel mondo oggi, quello che è accaduto ieri, quello che potrà accadere domani, induce la maggior parte delle donne e degli uomini a riflessioni spesso pessimistiche, critiche, talvolta lamentose, altre volte disperanti. Sembra però che una sorta di grande vaccino ci abbia resi immuni e insensibili di fronte a tutto ciò, ogni cosa appare sistematicamente immutabile e inevitabile, talvolta persino scontata.
Una delle più ricorrenti domande che mi capita di pormi (e sono certo veramente di non essere l'unico) è proprio sul perché uomini e donne possano accettare tutto questo, senza apparentemente, perlomeno, opporre una resistenza o attivare una ribellione, che vada al di là di una semplice protesta o di una rituale lamentazione. In altre parole sembra spesso che quello che abbiamo di fronte a noi sia o immodificabile o costituisca addirittura la struttura psicologica del nostro pensiero.
Ma il problema esiste, è davanti a noi, è sufficiente non far finta di non vedere, non chinare la testa, non scappare in un limbo di certezze messianiche, per accorgersene con tutta evidenza. Allora proviamo a suggerire qualche ipotesi.
Come spesso accade mi pare importante prima di tutto interrogare noi stessi, leggere la nostra storia, empatizzare con il nostro prossimo, immedesimarsi in una situazione, contesto, realtà. Probabilmente ciascuno di noi potrà, ripercorrendo la sua storia personale, scoprire e individuare qualche elemento di chiarezza sul perché abbiamo reagito a un sopruso o continuiamo a resistere a una modalità di relazione autoritaria. Forse potremmo capire che, a un certo punto, abbiamo rotto radicalmente con l'immaginario sociale dominante e stiamo meglio così. Non ci mancano tante delle cose che una società mostruosamente consumistica ci spiattella davanti ogni giorno, ad esempio. Oppure abbiamo il piacere di assaporare momenti e situazioni nei quali gli altri a noi vicini ci appaiono nel loro splendore e non come una minaccia. E tanto altro ancora. Ma questo non basta, non è sufficiente per spiegare o cercare di capire, abbiamo bisogno di altro ancora.
Questo tema del servilismo diffuso è stato indagato magistralmente da Etienne De La Boëtie, già alla fine del Cinquecento, nel suo straordinario e quanto mai attuale libriccino “La servitù volontaria” (se non l'avete ancora fatto, leggetelo e fatelo leggere). De La Boëtie concludeva proprio richiamandoci a una verità inossidabile: le radici del dominio stanno dentro chi lo subisce, per cui o si esce da questa logica con un atto di rottura, o si finisce sempre per giustificare l'esistente. Ma perché, ecco il problema dei problemi, ciò accade raramente e con tanta fatica? Insomma mi sono chiesto più volte perché gli uomini e le donne sono disposti a credere a tutto, ma proprio a tutto, a delle assurdità irrazionali e fideistiche, tranne che a noi? La prima risposta che mi sono dato, sulla quale ovviamente ho io per primo dubbi e insoddisfazioni, è che essere anarchici, vivere da anarchici, è difficile e faticoso. Camminare e procedere secondo l'onda della consuetudine e della sicurezza dell'abituale, offre indubbiamente a tante persone la concreta possibilità di non porsi domande, di considerarsi al riparo da ogni turbolenza, e di sentirsi parte di un mondo che è soprattutto un modo di essere. Questo lo è per chi non esce dal guscio dell'esistente e per chi ha paura di qualche cosa di diverso, probabilmente di incerto, di insicuro.

Senza il potere si sta meglio

Fatalismo e determinismo caratterizzano le nostre relazioni, monopolizzano i nostri comportamenti, occupano i nostri sogni. Il senso dell'autonomia, questo bene prezioso e indispensabile per essere liberi, appare sempre più compromesso e svuotato da risposte preconfezionate e prestabilite, verso le quali nutriamo spesso una sorta di paralizzante devozione. Insomma ci beviamo tutto, facciamo fatica a recuperare quel senso di scelta autentica e libera che solo l'autonomia (perlomeno una certa dose di essa) ci consente di praticare. Fuggiamo in questo modo dalla responsabilità, vale a dire dalla capacità di rispondere di sé e, nello stesso tempo, di rispondere agli altri. Se non siamo credibili per i più probabilmente vuol dire, anche da parte nostra, assumerci delle responsabilità, praticare delle scelte, uscire dalle fortezze consolidate, incontrare gli altri, ascoltare non solo con le orecchie ma con tutto il proprio essere. Ma significa anche non pensare di poter avere, in nome e per conto di un sistema di pensiero, una risposta a tutto, come pensano, con quali risultati abbiamo visto, le ideologie totalitarie e le fedi irrazionali.
Accettare la propria finitezza e la relatività delle proprie osservazioni e delle proprie analisi, significa assumersi la responsabilità di non sostituirsi arbitrariamente agli altri ogni qualvolta si presenta l'occasione, significa camminare assieme, non andare al posto di qualcun altro in uno spazio e un tempo, anche se diversi. Questa è la duplice responsabilità alla quale, mi sembra, siamo chiamati e alla quale rispondere. Tutto questo non significa diluire, o peggio sciogliere, il proprio anarchismo in una confusa miscellanea di sensazioni o gesti concreti. Vuol dire, piuttosto, non vendere un ennesimo prodotto (anche se ben confezionato) ma interrogare, porre domande, insinuare dubbi, scompaginare situazioni, assumere comportamenti diversi, praticare esperienze concrete e significative, insomma disturbare la quiete asfissiante che governa questo mondo. Una delle poche convinzioni solide che ho è che una volta rotto l'incantesimo del dominio, rifiutata e allontanata la brama dell'avere e del potere, si vive meglio, si sta bene almeno con se stessi. E questo non è poco, anche se non è abbastanza.
Insomma, mi pare molto sommessamente, di poter indicare che il servilismo diffuso nei comportamenti quotidiani, di tanta gente, è dovuto, almeno in parte, a questa fuga dalla responsabilità, che uomini e donne praticano perché è semplicemente più comodo e più facile, oltreché più automatico, obbedire e adeguarsi all'esistente. In fin dei conti noi proponiamo una modalità di relazionarsi che si fonda su un continuo e incessante lavoro su se stessi, su un progressivo ma significativo affrancamento da ogni dipendenza innaturale e imposta, un modello di vita basato su valori che vanno controcorrente rispetto all'andamento generale della società. Allora, lo sforzo che credo dobbiamo compiere, riguarda il fatto di proporre un anarchismo più credibile e più appetibile, se vogliamo, come io penso sia giusto, accrescere il tasso di anarchismo nella società.

Un anarchismo credibile?

Diventa pertanto importante, anche se non unico mezzo, dimostrare concretamente che le soluzioni che noi possiamo suggerire, pur nei limiti imposti da questa realtà esistente, ma in modo coerente con il nostro fine, sono più consone e più efficaci, per garantire la soluzione concreta di un determinato problema e, in generale, per aumentare la qualità della nostra esistenza. Ecco perché le sperimentazioni che possiamo realizzare, nei vari ambiti della nostra vita quotidiana, improntate a una visione alternativa a quella dominante, caratterizzate da una metodologia coerente e libertaria, possono dimostrare che non solo un certo tasso di anarchismo è possibile già ora ma, anche, illuminare, con l'esempio, possibili soluzioni, che possano migliorare la nostra coesistenza.
Una delle cose che penso sia utile sottolineare è che grazie a delle pratiche di libertà e di autonomia, non solo cresce il nostro senso di responsabilità e si espande il tasso di contaminazione verso gli altri, ma si amplia pure la nostra soddisfazione personale. Insomma, ciò che appare come impossibile, oppure perfino indesiderabile ai più, può invece dimostrarsi più soddisfacente per molti. Non scordiamoci mai che se chiediamo a persone che incontriamo quotidianamente se e cosa sanno e anche cosa pensano della parola “anarchia”, ancora oggi, nonostante noi, le risposte che potremmo ricevere sono desolanti. Ecco perché, penso, ma non è altro che un'ipotesi di lavoro, che dovremmo sforzarci di rendere il nostro anarchismo credibile, proprio nel senso che ho qui proposto e definito. Con la modestia e la disponibilità di chi è consapevole che da soli e unicamente con il nostro pensiero non potremo mai pensare di offrire una risposta a tutto.
Possiamo sicuramente ispirare però un metodo radicalmente diverso.

Francesco Codello