rivista anarchica
anno 46 n. 411
novembre 2016





Quattro luglio


Crediamo queste verità evidenti: che tutti gli uomini siano creati eguali, che il creatore li abbia resi portatori di certi diritti inalienabili e che fra questi vi siano la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Crediamo che per garantire questi diritti vengano istituiti fra gli uomini i governi, che derivano il loro giusto potere dal consenso dei governati e che, ogni volta che una forma di governo divenga distruttiva di tali fini, sia diritto del popolo modificarla o abolirla”.

(Dalla dichiarazione di indipendenza, firmata a Philadelphia il 4 luglio 1776 dai delegati di 13 colonie inglesi)

Ogni nazione ha i suoi miti fondativi, i suoi documenti sacri ed i suoi eroi nazionali che in genere sono stati uomini della loro epoca con idee, speranze, ambizioni e frustrazioni, coi loro lati buoni e quelli meno buoni, o decisamente cattivi. Ma una volta che sono diventati eroi nazionali, si sa, colpe e fallimenti cadono nell'oblio, ormai i loro volti sono scolpiti nel marmo, la loro memoria indissolubilmente legata alla storia patria. Washington, Bolivar, Garibaldi, Ataturk, Martì e tanti altri: fondatori di nazioni e nazionalismi, libertadores, eroi dei due mondi, poeti rivoluzionari, strateghi dell'indipendenza. Nessuno sfugge alla marmorizzazione.
L'Italia non è da meno, come mi ricorda ogni mattina il testone di Mazzini scolpito nel granito scuro di queste parti. Ci passo davanti andando al lavoro e guardo perplesso la scritta in italiano sul piedistallo: “Dio e il popolo”, con quell'articolo messo lì, in mezzo, a confliggere coi ricordi dei tempi della scuola. Cosa ci faccia Mazzini in un viale del Central Park è uno di quei misteri newyorchesi che non mi sono dato pena di indagare.
Gli anni che ho passato lontano dal mio paese mi hanno insegnato a guardare a certe cose con distacco. Mi sento esentato da riti che sembrano indispensabili quando vivi a casa tua: niente discussioni sulla parata del 2 giugno, niente vigilia di Natale obbligatoria o concertone del primo maggio da non perdere. Il 25 aprile me lo tengo nel cuore, beninteso, ma non devo sorbirmi la deprimente sfilata col medagliere e lo strascico di inutili polemiche. Quanto alle ricorrenze dei paesi che mi hanno ospitato, le guardo con distacco anche maggiore, non le ho assorbite col latte materno e non mi stanno a cuore: posso osservarle con lo sguardo dell'etnologo curioso che si trovi a vivere per un poco presso una tribù diversa dalla propria e ne annoti con diligenza i comportamenti.
La tribù con cui mi trovo a vivere ora è molto vasta e variegata ma, come tutte, ha i suoi miti fondativi e le sue feste nazionali. Siccome si tratta di una superpotenza mondiale la sua industria culturare arriva in tutti gli angoli del globo e certe ricorrenze le conosciamo bene tutti, grazie a film belli come “Profumo di donna” o brutti come “Indipendence Day”.

Vivere queste feste è diverso dal vederle al cinema e io, che ormai le ho passate tutte più di una volta, le posso citare a memoria: a gennaio si ricorda Martin Luther King ed è l'unica che mi piace; a febbraio si celebrano, con discorsi solenni e inutili, i presidenti USA, Commanders in Chief del passato, sommi pontefici dell'impero. A maggio è il Memorial Day, dedicato ai militari morti in battaglia, mentre la bandiera la si onora il quattordici giugno.
Il quattro luglio è la festa dell'Indipendenza, la più frizzante, con grande spreco di fuochi artificiali che sembra capodanno e persone e cani indossano stelle e strisce in ogni foggia, in un'esplosione di gioioso ottimismo americano. A ottobre si ricorda lo sbarco di Colombo con grandi parate.

New York (USA), 4 luglio 2016 - Per le strade della città
si festeggia vestiti o “spogliati” di stelle e strisce

I nativi, gli indiani americani, da tempo chiedono, inascoltati, che si smetta di celebrare l'inizio di un grande genocidio. L'undici novembre è dedicato ai veterani, quelli che noi chiamiamo reduci, che dalla guerra sono tornati, magari a pezzi, ma vivi. Poche settimane ancora e arriva la festa del Ringraziamento, dedicata alla famiglia, che è un po' come il Natale da noi e per tutto il paese si fa una grande strage di tacchini rigonfi, tranne due che il Presidente graziosamente grazia e che, disorientati ma vivi, vengono portati in parata per le grandi strade della capitale imperiale.
Ricorrenza curiosa all'occhio dello straniero: il mito ufficiale, difficile da confermare storicamente, racconta che i primi pellegrini sbarcati a Plymouth, nell'odierno Massachussets, si salvarono dalla morte per fame grazie ai tacchini selvatici. Così loro li ringraziano ancora oggi, mangiandoli. Thank you very much, strano modo di ringraziare. Che poi, a dirla tutta, a salvare i coloni della Mayflower sono stati i Wahpanoag, la tribù all'epoca insediata in quelle zone, che sfamò gli inglesi allo stremo e insegnò loro a coltivare il mais cosicché, nel 1621, la piccola comunità ebbe il primo raccolto, celebrato assieme ai nativi con una grande festa. Poi però la colonia crebbe, si espanse e cominciarono i guai fino a che, nel 1676, i Wahpanoag vennero quasi totalmente sterminati ed i maschi rimasti in vita venduti come schiavi nelle Indie Occidentali. Insomma, per quei pochi che ci sono rimasti oggi c'è ben poco da ringraziare e celebrare.
Se la festa del ringraziamento è un momento intimo di incontro e raccoglimento familiare, Il quattro luglio gli americani lo festeggiano invece per le strade. Hanno buone ragioni per celebrare questa data: ricorda la rivoluzione, la rivolta contro l'oppressione coloniale, la nascita di un programma di liberazione dalle catene dell'oppressione. L'indipendenza arrivò in realtà solo col trattato di Parigi del 3 settembre 1783, ma il seme era stato gettato con la dichiarazione firmata dai rappresentanti delle tredici colonie inglesi il 4 luglio del 1776: un documento programmatico contro la tirannide, una delle scritture sacre degli Stati Uniti di cui si conserva, come autentica reliquia, la pergamena originale.

New York (USA), 1916 - Un comizio di Emma Goldman a Union Square

New York (USA) - Union Square oggi

Il concetto di “persona”

La dichiarazione d'indipendenza elenca nel dettaglio le molte nefandezze della corona britannica, proclamando il diritto delle colonie alla rivolta. A questo documento si legano la costituzione del 1788 e il Bill of rights dell'anno successivo: dieci articoli con cui vengono sanciti i diritti fondamentali dei cittadini della nuova nazione, dalla libertà di parola, di religione e di associazione fino al problematico diritto di possedere armi.
Il 4 luglio si celebra, insomma, quella densa storia che ha portato alla nascita della nazione più potente che il mondo abbia mai conosciuto.
Ma chi avevano in mente Jefferson e gli altri quando firmarono la dichiarazione d'indipendenza? Chi erano gli uomini creati tutti uguali e tutti portatori di diritti inalienabili? E a cosa pensavano i padri fondatori quando scolpirono, nel preambolo della costituzione, quelle belle parole: Noi, popoli degli Stati Uniti d'America?
Quegli uomini avevano certo grandi ideali ma rappresentavano soprattutto gli interessi di un'aristocrazia terriera che voleva libertà d'impresa e controllo delle risorse e, nello scrollarsi di dosso la corona inglese, vedeva i benefici di una crescita economica liberata dai pesanti vincoli coloniali. Oggi sappiamo che i padri fondatori temevano una democrazia troppo estesa, tanto che, ancora oggi, il sistema elettorale risente di quella impostazione e, coi suoi complicati meccanismi, limita il diritto di voto ostacolando l'accesso alle liste elettorali ai meno abbienti e ai poco scolarizzati.
Chi erano allora gli “uomini creati tutti uguali”? Non certo i cosiddetti indiani, verso i quali gli Stati Uniti, nella loro politica di espansione verso ovest si dedicarono con determinazione allo sterminio sistematico e alle deportazioni di massa. Neanche i neri, visto che né la dichiarazione di indipendenza, né la costituzione, né il Bill of rights misero in dubbio il diritto di possedere e vendere esseri umani e ci vollero altri ottant'anni perché la schiavitù venisse abolita. Lo stesso Abramo Lincoln, del resto, cinque anni prima di proclamare l'emancipazione degli schiavi, si era espresso con vigore in favore della superiorità dei bianchi.1
Non erano uguali nemmeno gli altri popoli, la cui sovranità è stata presto minacciata: appena sessant'anni dopo l'indipendenza gli USA scatenarono la guerra contro il Messico, conquistandone i territori. Da allora non si sono più fermati: lo studioso Zoltan Grossman2 documenta ben 147 interventi e invasioni made in USA, a partire dall'attacco all'Argentina del 1890.
Il concetto di “persona” è stato oggetto di interpretazioni, dibattiti, lotte e combutte ed è mutato nel tempo seguendo il corso della storia, le vittorie e le sconfitte dei movimenti per i diritti civili. Nel 2011 Occupy ha denunciato come, nel corso di trent'anni di politiche economiche liberiste, la costituzione sia stata stravolta al punto che oggi, negli USA, alle “persone giuridiche” vengono riconosciuti maggiori diritti che a quelle vere. Le grandi società di capitali, insomma, sono oggi “persone” a tutti gli effetti, mentre i poveri lo sono sempre meno.
E non è stato forse costantemente violato il diritto alla vita solennemente sancito come inalienabile il 4 luglio 1776? La storia degli Stati Uniti, con le sue guerre e i suoi stermini, i colpi di stato e le sommosse, le bombe al napalm e quelle atomiche, è costellata di milioni di cadaveri. E quante volte è stato violato il Bill of Rights? Il diritto di riunione colpito ad ogni arresto di pacifici manifestanti, quello ad un giusto e rapido processo calpestato nelle celle di Guantanamo, il diritto ad un trattamento umano umiliato nelle torture inflitte ai prigionieri di tutte le guerre.
Le giustificazioni sono sempre le stesse, quelle che usano tutti i governi del mondo, le stesse che vanno bene anche da noi: ragion di stato, interesse supremo della nazione. Diritti e libertà barattati in cambio di un'illusoria e incerta sicurezza.
Nella dichiarazione di indipendenza, che si celebra con tanto ardore, è scolpito anche il diritto del popolo ad abolire ogni forma di governo che sia divenuta lesiva degli interessi dei governati. Ma dalla nascita di questa nazione, ogni qualvolta sia stata messa in discussione la legittimità di chi governa, la repressione è scattata. Ne sanno qualcosa gli attivisti di Occupy, che furono arrestati in gran numero e infine sgomberati. L'abolizione del governo non è più prevista, come si era invece solennemente dichiarato nel 1776 e a pensarci bene forse, il 4 luglio, non c'è rimasto più molto da festeggiare.
Emma Goldman lo aveva capito già più di un secolo fa. Eppure, quando nel 1885, appena quindicenne, era sbarcata a New York, aveva espresso ammirazione per la società americana, certo molto più libera dell'impero russo che si era lasciata alle spalle. Le sue idee però finirono pe procurarle arresti, condanne e persecuzioni e nel 1909 la sua percezione doveva essere cambiata se mise mano alla penna per scrivere una “Nuova dichiarazione di indipendenza”, in cui gli uomini, non più creati ma nati, sono davvero tutti uguali, senza distinzione di razza, colore e sesso e il governo è solo un ostacolo sulla strada della libertà.5
Proprio della libertà venne privata la Goldman: la sua campagna contro la coscrizione militare le costò due anni di carcere e l'espulsione dagli Stati Uniti, dove non avrebbe più fatto ritorno, se non per 90 giorni nel 1934.

New York (USA) - La casa nell'East Village di Manhattan, al numero 208 di East 13th Street,
dove Emma Goldman ha vissuto. La targa a lei dedicata, affissa all'esterno, recita:
“Emma Goldman (1869-1940) anarchica, oratrice e sostenitrice della libertà di parola e del
libero amore. Ha vissuto qui dal 1903 al 1913 e pubblicato la rivista radicale “Mother Earth”.
È stata deportata in Unione Sovietica nel 1919.”

Con questa storia in testa il mio personalissimo quattro luglio, quest'anno, ho voluto dedicarlo a lei e, mentre nei giardini pubblici sfrigolava la carne sui barbeque e ovunque scoppiettavano mortaretti e petardi io, ospite dalla residenza precaria, sono andato in silenzioso pellegrinaggio a visitare i luoghi che l'hanno vista protagonista. Ho meditato un poco a Union Square, dove la Goldman tenne infuocati comizi in tempi in cui le donne non avevano nemmeno diritto di parola nella sfera pubblica. Ho sostato poi davanti alla casa che l'ha lungamente ospitata, nell'East Village di Manhattan: un'abitazione modesta che divenne luogo d'incontro per libertari e rivoluzionari di New York. Lì si discutevano idee, si scrivevano piattaforme politiche e si pianificavano azioni. Sul muro accanto alla porta uno sconosciuto ammiratore ha fatto installare una targa commemorativa. Mentre mi attardavo a leggerla una voce mi ha sorpreso alle spalle facendomi trasalire: “ti sei perso il compleanno per pochi giorni”6. Il mio sguardo interrogativo ha incontrato gli occhi ridenti di un tizio d'altri tempi: barba incolta, occhiali da miope, maglietta, jeans, sorriso gentile. “Era davvero una gran donna, io ne sento ancora la presenza. Mi parla”. Superata la prima sorpresa mi sono messo a parlare col tizio, dimentico della targa al muro e della macchina fotografica appesa al collo. Per caso avevo incontrato l'odierno inquilino di quello stesso appartamento che ha visto tanta storia fra le sue mura. Chiacchierandoci ho scoperto che il tipo, di cui ho scordato il nome, ha studiato a fondo la storia e le opere della Goldman, decidendo di ripercorrerne le orme. Oggi, in quella casa, persone provenienti dai margini della società si incontrano per discutere della società americana, di politica, di libertà e di anarchia. Emma Goldman rivive fra quelle mura. La sua nuova dichiarazione d'indipendenza non vide la luce, ma questo piccolo episodio mostra come non si debba mai perdere la speranza, nemmeno il quattro luglio.

Santo Barezini



“I neri sono inferiori”,
parola di Abramo Lincoln

Non sono e mai sono stato in alcun modo favorevole all'uguaglianza sociale e politica fra la razza bianca e quella nera. Non sono e mai sono stato favorevole a che i negri3 possano diventare elettori o giurati; né credo che essi siano qualificati ad assumere incarichi pubblici o che possano sposarsi con i bianchi. Ritengo che debbano esserci nella società posizioni di inferiorità e superiorità ed io, come qualsiasi altro uomo4, sono favorevole a che la posizione di superiorità resti assegnata alla razza bianca.

Abramo Lincoln
comizio elettorale del settembre 1858
tratto da
A People's History of the United States, Howard Zinn, 1980

traduzione di Santo Barezini

Note

  1. Si veda il riquadro di pagina 46.
  2. http://academic.evergreen.edu/g/grossman/.
  3. “Negroes”, nel testo inglese.
  4. Uomo bianco, naturalmente!
  5. Sono grato a Carlotta Pedrazzini, della redazione di A, per avermi fatto conoscere questo documento, riportato per intero nel riquadro qui di seguito.
  6. La Goldman nacque in Lituania il 27 giugno 1869.

Emma Goldman, 1909/
Una nuova Dichiarazione di Indipendenza

Nel 1909 Emma Goldman fu invitata dalla redazione del giornale Boston Globe a partecipare ad un concorso per redigere una nuova Dichiarazione di Indipendenza, diversa da quella firmata dai padri fondatori nel 1776; il regolamento prevedeva che il vincitore avrebbe visto pubblicato il proprio testo sulle pagine del giornale.
Goldman partecipò e vinse la competizione, ma a poche ore dalla pubblicazione il proprietario della testata decise di eliminare dal numero quella “dannata dichiarazione anarchica”. Il numero del Boston Globe uscì quindi senza il testo di Goldman, che venne pubblicato sul periodico anarchico Mother Earth (luglio 1909).
Qui sotto è riportato il testo integrale, tradotto in italiano per la prima volta.

Quando, nel corso dello sviluppo umano, le istituzioni esistenti si dimostrano inadeguate ai bisogni dell'uomo, quando esistono esclusivamente per schiavizzare, derubare e opprimere l'umanità, il popolo ha l'eterno diritto di ribellarsi e rovesciare quelle istituzioni.
Il mero fatto che queste forze - nemiche della vita, della libertà e della ricerca della felicità - siano rese legali dagli statuti della legge, santificate da diritti divini e sostenute dal potere politico, non giustifica in alcun modo la loro esistenza.
Crediamo queste verità evidenti: che tutti gli uomini, senza distinzione di razza, colore o sesso, nascano con lo stesso diritto di compartire la mensa della vita, che per garantire questo diritto debba essere stabilita, fra gli uomini, piena libertà economica, sociale e politica. Crediamo inoltre che il governo esista solo per mantenere particolari privilegi e diritti di proprietà; che costringa gli uomini alla sottomissione e li derubi pertanto della dignità, del rispetto, della vita.
La storia dei sovrani d'America, il capitale e l'autorità, è storia di crimini ripetuti, di ingiustizia, oppressione, oltraggio e abusi, tutti tesi alla soppressione delle libertà individuali e allo sfruttamento del popolo. Un paese vasto, così ricco da poter agevolmente fornire ai suoi figli ogni possibile agio e assicurare benessere a tutti, è nelle mani di pochi, mentre milioni sono alla mercé di arraffatori di ricchezze, legislatori privi di scrupoli e politicanti corrotti. Vigorosi figli d'America sono costretti a mendicare per il paese alla vana ricerca di qualcosa da mangiare e molte sue figlie sono sospinte sulla strada, mentre migliaia di bambini vengono sacrificati sull'altare di Mammona. Il regno di questi sovrani costringe gli uomini nella schiavitù del bisogno, perpetuando povertà e malattie, mantenendo crimine e corruzione; opprime lo spirito di libertà, soffoca la voce della giustizia, degrada e opprime l'umanità. È impegnato in continue guerre e massacri che devastano il paese e distruggono le migliori e più raffinate qualità degli uomini; nutre superstizione e ignoranza, semina pregiudizio e conflitto e trasforma la famiglia umana in un accampamento di Ismaeliti.
Pertanto noi, uomini e donne che amiamo la libertà, coscienti della grande ingiustizia e brutalità di questo stato di cose, ardentemente e arditamente dichiariamo che ciascun individuo ha diritto di essere libero, di essere il padrone di se stesso e di poter godere del frutto del proprio lavoro. Affermiamo che gli uomini sono affrancati da ogni fedeltà verso questi sovrani e che ogni essere umano ha, per il solo fatto di esistere, libero accesso alla terra e a tutti i mezzi di produzione e piena libertà di disporre dei frutti dei propri sforzi. Dichiariamo che ogni individuo ha l'indiscutibile diritto di libera e volontaria associazione con altri ugualmente sovrani individui per motivi economici, politici, sociali e di altro genere e che, per poter conseguire tali obiettivi gli esseri umani debbano affrancarsi dall'idea che la proprietà privata sia sacra, dal rispetto delle leggi scritte dagli uomini, dalla paura della chiesa, dalla codardia dell'opinione pubblica, dalla stupida arroganza di ogni idea di superiorità basata su nazione, razza, religione o sesso e dal puritanesimo.
Fermamente convinti della naturale tendenza degli esseri umani a mescolarsi armoniosamente fra loro, gli amanti della libertà con gioia consacrano la loro devozione senza compromessi, le loro energie, la loro intelligenza, la loro solidarietà e le loro stesse vite al sostegno di questa Dichiarazione.

Emma Goldman

traduzione di Santo Barezini