Quattro luglio
“Crediamo queste verità evidenti: che tutti
gli uomini siano creati eguali, che il creatore li abbia resi
portatori di certi diritti inalienabili e che fra questi vi
siano la vita, la libertà e la ricerca della felicità.
Crediamo che per garantire questi diritti vengano istituiti
fra gli uomini i governi, che derivano il loro giusto potere
dal consenso dei governati e che, ogni volta che una forma di
governo divenga distruttiva di tali fini, sia diritto del popolo
modificarla o abolirla”.
(Dalla dichiarazione di indipendenza, firmata a Philadelphia
il 4 luglio 1776 dai delegati di 13 colonie inglesi)
Ogni nazione ha i suoi miti fondativi, i suoi documenti sacri
ed i suoi eroi nazionali che in genere sono stati uomini della
loro epoca con idee, speranze, ambizioni e frustrazioni, coi
loro lati buoni e quelli meno buoni, o decisamente cattivi.
Ma una volta che sono diventati eroi nazionali, si sa, colpe
e fallimenti cadono nell'oblio, ormai i loro volti sono scolpiti
nel marmo, la loro memoria indissolubilmente legata alla storia
patria. Washington, Bolivar, Garibaldi, Ataturk, Martì
e tanti altri: fondatori di nazioni e nazionalismi, libertadores,
eroi dei due mondi, poeti rivoluzionari, strateghi dell'indipendenza.
Nessuno sfugge alla marmorizzazione.
L'Italia non è da meno, come mi ricorda ogni mattina
il testone di Mazzini scolpito nel granito scuro di queste parti.
Ci passo davanti andando al lavoro e guardo perplesso la scritta
in italiano sul piedistallo: “Dio e il popolo”,
con quell'articolo messo lì, in mezzo, a confliggere
coi ricordi dei tempi della scuola. Cosa ci faccia Mazzini in
un viale del Central Park è uno di quei misteri newyorchesi
che non mi sono dato pena di indagare.
Gli anni che ho passato lontano dal mio paese mi hanno insegnato
a guardare a certe cose con distacco. Mi sento esentato da riti
che sembrano indispensabili quando vivi a casa tua: niente discussioni
sulla parata del 2 giugno, niente vigilia di Natale obbligatoria
o concertone del primo maggio da non perdere. Il 25 aprile me
lo tengo nel cuore, beninteso, ma non devo sorbirmi la deprimente
sfilata col medagliere e lo strascico di inutili polemiche.
Quanto alle ricorrenze dei paesi che mi hanno ospitato, le guardo
con distacco anche maggiore, non le ho assorbite col latte materno
e non mi stanno a cuore: posso osservarle con lo sguardo dell'etnologo
curioso che si trovi a vivere per un poco presso una tribù
diversa dalla propria e ne annoti con diligenza i comportamenti.
La tribù con cui mi trovo a vivere ora è molto
vasta e variegata ma, come tutte, ha i suoi miti fondativi e
le sue feste nazionali. Siccome si tratta di una superpotenza
mondiale la sua industria culturare arriva in tutti gli angoli
del globo e certe ricorrenze le conosciamo bene tutti, grazie
a film belli come “Profumo di donna” o brutti come
“Indipendence Day”.
Vivere queste feste è diverso dal vederle al cinema
e io, che ormai le ho passate tutte più di una volta,
le posso citare a memoria: a gennaio si ricorda Martin Luther
King ed è l'unica che mi piace; a febbraio si celebrano,
con discorsi solenni e inutili, i presidenti USA, Commanders
in Chief del passato, sommi pontefici dell'impero. A maggio
è il Memorial Day, dedicato ai militari morti in battaglia,
mentre la bandiera la si onora il quattordici giugno.
Il quattro luglio è la festa dell'Indipendenza, la più
frizzante, con grande spreco di fuochi artificiali che sembra
capodanno e persone e cani indossano stelle e strisce in ogni
foggia, in un'esplosione di gioioso ottimismo americano. A ottobre
si ricorda lo sbarco di Colombo con grandi parate.
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New
York (USA), 4 luglio 2016 - Per le strade della città
si festeggia vestiti o “spogliati” di stelle
e strisce |
I nativi, gli indiani americani, da tempo chiedono, inascoltati,
che si smetta di celebrare l'inizio di un grande genocidio.
L'undici novembre è dedicato ai veterani, quelli che
noi chiamiamo reduci, che dalla guerra sono tornati, magari
a pezzi, ma vivi. Poche settimane ancora e arriva la festa del
Ringraziamento, dedicata alla famiglia, che è un po'
come il Natale da noi e per tutto il paese si fa una grande
strage di tacchini rigonfi, tranne due che il Presidente graziosamente
grazia e che, disorientati ma vivi, vengono portati in parata
per le grandi strade della capitale imperiale.
Ricorrenza curiosa all'occhio dello straniero: il mito ufficiale,
difficile da confermare storicamente, racconta che i primi pellegrini
sbarcati a Plymouth, nell'odierno Massachussets, si salvarono
dalla morte per fame grazie ai tacchini selvatici. Così
loro li ringraziano ancora oggi, mangiandoli. Thank you very
much, strano modo di ringraziare. Che poi, a dirla tutta,
a salvare i coloni della Mayflower sono stati i Wahpanoag, la
tribù all'epoca insediata in quelle zone, che sfamò
gli inglesi allo stremo e insegnò loro a coltivare il
mais cosicché, nel 1621, la piccola comunità ebbe
il primo raccolto, celebrato assieme ai nativi con una grande
festa. Poi però la colonia crebbe, si espanse e cominciarono
i guai fino a che, nel 1676, i Wahpanoag vennero quasi totalmente
sterminati ed i maschi rimasti in vita venduti come schiavi
nelle Indie Occidentali. Insomma, per quei pochi che ci sono
rimasti oggi c'è ben poco da ringraziare e celebrare.
Se la festa del ringraziamento è un momento intimo di
incontro e raccoglimento familiare, Il quattro luglio gli americani
lo festeggiano invece per le strade. Hanno buone ragioni per
celebrare questa data: ricorda la rivoluzione, la rivolta contro
l'oppressione coloniale, la nascita di un programma di liberazione
dalle catene dell'oppressione. L'indipendenza arrivò
in realtà solo col trattato di Parigi del 3 settembre
1783, ma il seme era stato gettato con la dichiarazione firmata
dai rappresentanti delle tredici colonie inglesi il 4 luglio
del 1776: un documento programmatico contro la tirannide, una
delle scritture sacre degli Stati Uniti di cui si conserva,
come autentica reliquia, la pergamena originale.
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New York (USA), 1916 - Un comizio di Emma Goldman a Union
Square |
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New
York (USA) - Union Square oggi |
Il concetto di “persona”
La dichiarazione d'indipendenza elenca nel dettaglio le molte
nefandezze della corona britannica, proclamando il diritto delle
colonie alla rivolta. A questo documento si legano la costituzione
del 1788 e il Bill of rights dell'anno successivo: dieci
articoli con cui vengono sanciti i diritti fondamentali dei
cittadini della nuova nazione, dalla libertà di parola,
di religione e di associazione fino al problematico diritto
di possedere armi.
Il 4 luglio si celebra, insomma, quella densa storia che ha
portato alla nascita della nazione più potente che il
mondo abbia mai conosciuto.
Ma chi avevano in mente Jefferson e gli altri quando firmarono
la dichiarazione d'indipendenza? Chi erano gli uomini creati
tutti uguali e tutti portatori di diritti inalienabili? E a
cosa pensavano i padri fondatori quando scolpirono, nel preambolo
della costituzione, quelle belle parole: Noi, popoli degli
Stati Uniti d'America?
Quegli uomini avevano certo grandi ideali ma rappresentavano
soprattutto gli interessi di un'aristocrazia terriera che voleva
libertà d'impresa e controllo delle risorse e, nello
scrollarsi di dosso la corona inglese, vedeva i benefici di
una crescita economica liberata dai pesanti vincoli coloniali.
Oggi sappiamo che i padri fondatori temevano una democrazia
troppo estesa, tanto che, ancora oggi, il sistema elettorale
risente di quella impostazione e, coi suoi complicati meccanismi,
limita il diritto di voto ostacolando l'accesso alle liste elettorali
ai meno abbienti e ai poco scolarizzati.
Chi erano allora gli “uomini creati tutti uguali”?
Non certo i cosiddetti indiani, verso i quali gli Stati Uniti,
nella loro politica di espansione verso ovest si dedicarono
con determinazione allo sterminio sistematico e alle deportazioni
di massa. Neanche i neri, visto che né la dichiarazione
di indipendenza, né la costituzione, né il Bill
of rights misero in dubbio il diritto di possedere e vendere
esseri umani e ci vollero altri ottant'anni perché la
schiavitù venisse abolita. Lo stesso Abramo Lincoln,
del resto, cinque anni prima di proclamare l'emancipazione degli
schiavi, si era espresso con vigore in favore della superiorità
dei bianchi.1
Non erano uguali nemmeno gli altri popoli, la cui sovranità
è stata presto minacciata: appena sessant'anni dopo l'indipendenza
gli USA scatenarono la guerra contro il Messico, conquistandone
i territori. Da allora non si sono più fermati: lo studioso
Zoltan Grossman2 documenta ben
147 interventi e invasioni made in USA, a partire dall'attacco
all'Argentina del 1890.
Il concetto di “persona” è stato oggetto
di interpretazioni, dibattiti, lotte e combutte ed è
mutato nel tempo seguendo il corso della storia, le vittorie
e le sconfitte dei movimenti per i diritti civili. Nel 2011
Occupy ha denunciato come, nel corso di trent'anni di
politiche economiche liberiste, la costituzione sia stata stravolta
al punto che oggi, negli USA, alle “persone giuridiche”
vengono riconosciuti maggiori diritti che a quelle vere. Le
grandi società di capitali, insomma, sono oggi “persone”
a tutti gli effetti, mentre i poveri lo sono sempre meno.
E non è stato forse costantemente violato il diritto
alla vita solennemente sancito come inalienabile il 4 luglio
1776? La storia degli Stati Uniti, con le sue guerre e i suoi
stermini, i colpi di stato e le sommosse, le bombe al napalm
e quelle atomiche, è costellata di milioni di cadaveri.
E quante volte è stato violato il Bill of Rights?
Il diritto di riunione colpito ad ogni arresto di pacifici manifestanti,
quello ad un giusto e rapido processo calpestato nelle celle
di Guantanamo, il diritto ad un trattamento umano umiliato nelle
torture inflitte ai prigionieri di tutte le guerre.
Le giustificazioni sono sempre le stesse, quelle che usano tutti
i governi del mondo, le stesse che vanno bene anche da noi:
ragion di stato, interesse supremo della nazione. Diritti e
libertà barattati in cambio di un'illusoria e incerta
sicurezza.
Nella dichiarazione di indipendenza, che si celebra con tanto
ardore, è scolpito anche il diritto del popolo ad abolire
ogni forma di governo che sia divenuta lesiva degli interessi
dei governati. Ma dalla nascita di questa nazione, ogni qualvolta
sia stata messa in discussione la legittimità di chi
governa, la repressione è scattata. Ne sanno qualcosa
gli attivisti di Occupy, che furono arrestati in gran
numero e infine sgomberati. L'abolizione del governo non è
più prevista, come si era invece solennemente dichiarato
nel 1776 e a pensarci bene forse, il 4 luglio, non c'è
rimasto più molto da festeggiare.
Emma Goldman lo aveva capito già più di un secolo
fa. Eppure, quando nel 1885, appena quindicenne, era sbarcata
a New York, aveva espresso ammirazione per la società
americana, certo molto più libera dell'impero russo che
si era lasciata alle spalle. Le sue idee però finirono
pe procurarle arresti, condanne e persecuzioni e nel 1909 la
sua percezione doveva essere cambiata se mise mano alla penna
per scrivere una “Nuova dichiarazione di indipendenza”,
in cui gli uomini, non più creati ma nati, sono davvero
tutti uguali, senza distinzione di razza, colore e sesso e il
governo è solo un ostacolo sulla strada della libertà.5
Proprio della libertà venne privata la Goldman: la sua
campagna contro la coscrizione militare le costò due
anni di carcere e l'espulsione dagli Stati Uniti, dove non avrebbe
più fatto ritorno, se non per 90 giorni nel 1934.
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New
York (USA) - La casa nell'East Village di Manhattan, al
numero 208 di East 13th Street,
dove Emma Goldman ha vissuto. La targa a lei dedicata,
affissa all'esterno, recita:
“Emma Goldman (1869-1940) anarchica, oratrice e
sostenitrice della libertà di parola e del
libero amore. Ha vissuto qui dal 1903 al 1913 e pubblicato
la rivista radicale “Mother Earth”.
È stata deportata in Unione Sovietica nel 1919.” |
Con questa storia in testa il mio personalissimo quattro luglio,
quest'anno, ho voluto dedicarlo a lei e, mentre nei giardini
pubblici sfrigolava la carne sui barbeque e ovunque scoppiettavano
mortaretti e petardi io, ospite dalla residenza precaria, sono
andato in silenzioso pellegrinaggio a visitare i luoghi che
l'hanno vista protagonista. Ho meditato un poco a Union Square,
dove la Goldman tenne infuocati comizi in tempi in cui le donne
non avevano nemmeno diritto di parola nella sfera pubblica.
Ho sostato poi davanti alla casa che l'ha lungamente ospitata,
nell'East Village di Manhattan: un'abitazione modesta che divenne
luogo d'incontro per libertari e rivoluzionari di New York.
Lì si discutevano idee, si scrivevano piattaforme politiche
e si pianificavano azioni. Sul muro accanto alla porta uno sconosciuto
ammiratore ha fatto installare una targa commemorativa. Mentre
mi attardavo a leggerla una voce mi ha sorpreso alle spalle
facendomi trasalire: “ti sei perso il compleanno per pochi
giorni”6. Il mio sguardo
interrogativo ha incontrato gli occhi ridenti di un tizio d'altri
tempi: barba incolta, occhiali da miope, maglietta, jeans, sorriso
gentile. “Era davvero una gran donna, io ne sento ancora
la presenza. Mi parla”. Superata la prima sorpresa mi
sono messo a parlare col tizio, dimentico della targa al muro
e della macchina fotografica appesa al collo. Per caso avevo
incontrato l'odierno inquilino di quello stesso appartamento
che ha visto tanta storia fra le sue mura. Chiacchierandoci
ho scoperto che il tipo, di cui ho scordato il nome, ha studiato
a fondo la storia e le opere della Goldman, decidendo di ripercorrerne
le orme. Oggi, in quella casa, persone provenienti dai margini
della società si incontrano per discutere della società
americana, di politica, di libertà e di anarchia. Emma
Goldman rivive fra quelle mura. La sua nuova dichiarazione d'indipendenza
non vide la luce, ma questo piccolo episodio mostra come non
si debba mai perdere la speranza, nemmeno il quattro luglio.
Santo Barezini
“I
neri sono inferiori”,
parola di Abramo Lincoln
Non
sono e mai sono stato in alcun modo favorevole all'uguaglianza
sociale e politica fra la razza bianca e quella nera.
Non sono e mai sono stato favorevole a che i negri3
possano diventare elettori o giurati; né credo
che essi siano qualificati ad assumere incarichi pubblici
o che possano sposarsi con i bianchi. Ritengo che debbano
esserci nella società posizioni di inferiorità
e superiorità ed io, come qualsiasi altro uomo4,
sono favorevole a che la posizione di superiorità
resti assegnata alla razza bianca.
Abramo Lincoln
comizio elettorale del settembre 1858
tratto da A People's History of the United States,
Howard Zinn, 1980
traduzione di Santo Barezini |
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Note
- Si veda il riquadro di pagina 46.
- http://academic.evergreen.edu/g/grossman/.
- “Negroes”, nel testo inglese.
- Uomo bianco, naturalmente!
- Sono grato a Carlotta Pedrazzini, della redazione di A,
per avermi fatto conoscere questo documento, riportato per
intero nel riquadro qui di seguito.
- La Goldman nacque in Lituania il 27 giugno 1869.
Emma
Goldman, 1909/
Una nuova Dichiarazione di Indipendenza
Nel
1909 Emma Goldman fu invitata dalla redazione del giornale
Boston Globe a partecipare ad un concorso per redigere
una nuova Dichiarazione di Indipendenza, diversa da quella
firmata dai padri fondatori nel 1776; il regolamento prevedeva
che il vincitore avrebbe visto pubblicato il proprio testo
sulle pagine del giornale.
Goldman partecipò e vinse la competizione, ma
a poche ore dalla pubblicazione il proprietario della
testata decise di eliminare dal numero quella “dannata
dichiarazione anarchica”. Il numero del Boston Globe
uscì quindi senza il testo di Goldman, che venne
pubblicato sul periodico anarchico Mother Earth (luglio
1909).
Qui sotto è riportato il testo integrale, tradotto
in italiano per la prima volta.
Quando,
nel corso dello sviluppo umano, le istituzioni esistenti
si dimostrano inadeguate ai bisogni dell'uomo, quando
esistono esclusivamente per schiavizzare, derubare e opprimere
l'umanità, il popolo ha l'eterno diritto di ribellarsi
e rovesciare quelle istituzioni.
Il mero fatto che queste forze - nemiche della vita, della
libertà e della ricerca della felicità -
siano rese legali dagli statuti della legge, santificate
da diritti divini e sostenute dal potere politico, non
giustifica in alcun modo la loro esistenza.
Crediamo queste verità evidenti: che tutti gli
uomini, senza distinzione di razza, colore o sesso, nascano
con lo stesso diritto di compartire la mensa della vita,
che per garantire questo diritto debba essere stabilita,
fra gli uomini, piena libertà economica, sociale
e politica. Crediamo inoltre che il governo esista solo
per mantenere particolari privilegi e diritti di proprietà;
che costringa gli uomini alla sottomissione e li derubi
pertanto della dignità, del rispetto, della vita.
La storia dei sovrani d'America, il capitale e l'autorità,
è storia di crimini ripetuti, di ingiustizia, oppressione,
oltraggio e abusi, tutti tesi alla soppressione delle
libertà individuali e allo sfruttamento del popolo.
Un paese vasto, così ricco da poter agevolmente
fornire ai suoi figli ogni possibile agio e assicurare
benessere a tutti, è nelle mani di pochi, mentre
milioni sono alla mercé di arraffatori di ricchezze,
legislatori privi di scrupoli e politicanti corrotti.
Vigorosi figli d'America sono costretti a mendicare per
il paese alla vana ricerca di qualcosa da mangiare e molte
sue figlie sono sospinte sulla strada, mentre migliaia
di bambini vengono sacrificati sull'altare di Mammona.
Il regno di questi sovrani costringe gli uomini nella
schiavitù del bisogno, perpetuando povertà
e malattie, mantenendo crimine e corruzione; opprime lo
spirito di libertà, soffoca la voce della giustizia,
degrada e opprime l'umanità. È impegnato
in continue guerre e massacri che devastano il paese e
distruggono le migliori e più raffinate qualità
degli uomini; nutre superstizione e ignoranza, semina
pregiudizio e conflitto e trasforma la famiglia umana
in un accampamento di Ismaeliti.
Pertanto noi, uomini e donne che amiamo la libertà,
coscienti della grande ingiustizia e brutalità
di questo stato di cose, ardentemente e arditamente dichiariamo
che ciascun individuo ha diritto di essere libero, di
essere il padrone di se stesso e di poter godere del frutto
del proprio lavoro. Affermiamo che gli uomini sono affrancati
da ogni fedeltà verso questi sovrani e che ogni
essere umano ha, per il solo fatto di esistere, libero
accesso alla terra e a tutti i mezzi di produzione e piena
libertà di disporre dei frutti dei propri sforzi.
Dichiariamo che ogni individuo ha l'indiscutibile diritto
di libera e volontaria associazione con altri ugualmente
sovrani individui per motivi economici, politici, sociali
e di altro genere e che, per poter conseguire tali obiettivi
gli esseri umani debbano affrancarsi dall'idea che la
proprietà privata sia sacra, dal rispetto delle
leggi scritte dagli uomini, dalla paura della chiesa,
dalla codardia dell'opinione pubblica, dalla stupida arroganza
di ogni idea di superiorità basata su nazione,
razza, religione o sesso e dal puritanesimo.
Fermamente convinti della naturale tendenza degli esseri
umani a mescolarsi armoniosamente fra loro, gli amanti
della libertà con gioia consacrano la loro devozione
senza compromessi, le loro energie, la loro intelligenza,
la loro solidarietà e le loro stesse vite al sostegno
di questa Dichiarazione.
Emma Goldman
traduzione di Santo Barezini |
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