Argentina
Tra calciatori e desaparecidos
di Sergio Giuntini
Le vicende intrecciate, nel 1978, tra il mondiale di calcio e la giunta militare di Videla. Quando lo sport fu completamente al servizio del Potere.
Antropologicamente sospeso tra “dionisismo nietzschiano” e “oppio dei popoli” di marxiana memoria, l'uso politico del calcio in Sudamerica, dal Brasile all'Argentina, dall'Uruguay al Perù ecc., si è via via incarnato in molteplici modelli identitari, eventi funesti, macabre evocazioni simboliche.
Astraendo dalla sua pura contemplazione estetica offre un ricco insieme di smentite all'illusoria teoria, risalente allo stesso restauratore delle Olimpiadi moderne Pierre De Coubertin, secondo cui lo sport sarebbe un fenomeno per sua natura neutrale, apolitico. Un autentico falso facilmente smascherabile. E niente di più e meglio dei paesi compresi nell'America meridionale e centrale consentono di studiare, su un'ampia e diversificata scala, il paradigma “Calcio e dittature”: una storia, appunto, molto sudamericana. Al riguardo ha osservato Franklin Foer: “Le dittature militari sono storicamente grandi vincitrici di Mondiali: negli anni Settanta e Ottanta c'erano loro dietro le vittorie del Brasile e dell'Argentina. Sono successi facili da spiegare: le dittature militari si nutrono di uno spirito collettivo nel quale gli uomini forti sono espressione di un più vasto apparato. In un certo senso, una buona squadra di calcio è una Giunta.”
E Marc Perelman, nel suo saggio Sport barbaro, ha così descritto la funzione politica del Mundial argentino del 1978: “I mondiali di calcio in Argentina avevano permesso al regime dittatoriale e torturatore di Videla di rafforzarsi reprimendo ogni rivolta, soffocando ogni lotta, moltiplicando gli arresti e assassinando gli oppositori a soli trecento metri dallo stadio di River Plate a Buenos Aires. I clamori della folla coprirono le grida dei suppliziati. Con la coscienza mutilata dal calcio, i tifosi s'infervorarono e applaudirono la loro squadra uscita vincitrice dalla gara, consolidando ancor più la dittatura. Il calcio, questa specie di pestilenza emotiva moderna, fece la sua parte.”
Quel primo messaggio rassicurante
Proprio il caso argentino, il Mundial dei desaparecidos, offre dunque l'esempio più calzante delle pesanti strumentalizzazioni subite dal football in quel Continente: un caso di “scuola” che merita di essere sintetizzato nelle sue linee essenziali. Nell'agosto 1975 Jorge Rafael Videla fu nominato da Isabelita Peron comandante dell'esercito, e già nel mese di novembre, davanti a una conferenza dei capi di stato maggiore sudamericani, affermava senza perifrasi: “In Argentina morirà il numero di persone necessario a garantire la sicurezza del Paese”. Un monito fatto seguire, il 24 dicembre 1975, da questo ultimatum: “O il governo corregge la sua politica entro i prossimi novanta giorni o ci penseranno i militari”.
Una promessa mantenuta con il golpe scoccato, inesorabile, il 24 marzo 1976.
Nel giorno della presa del potere i generali golpisti sospesero tutte le trasmissioni televisive, sostituite con dispacci e marce marziali, tranne una. Ad essere salvaguardata, con il comunicato n. 23 della Giunta, fu la telecronaca della partita Polonia-Argentina disputata a Chorzow e vinta 3-1 dagli “albiceleste”. I militari intendevano lanciare un messaggio rasserenante e, soprattutto, far intendere che i campionati del mondo di calcio assegnati in precedenza al Paese, non sarebbe stati minimamente toccati dal nuovo ordine.
Del resto, alla FIFA questo messaggio simbolico parve subito più che sufficiente. Per accertarsi della situazione, il 28 marzo 1976 il vice-presidente tedesco della FIFA Hermann Neuberger compì un viaggio-lampo in Argentina da cui trasse questa lapidaria sentenza: “Il cambio del governo non ha niente a che vedere con il Mondiale, siamo gente di football, non politici”. L'appoggio incondizionato della FIFA non poteva però porre completamente al riparo Videla dai pericoli di una informazione internazionale obiettiva e indipendente; e questo, infatti, fu il maggior rischio immediatamente paventato e combattuto dal regime.
Da qui, per migliorare l'immagine dell'Argentina all'estero, i generali si affidarono a una nota agenzia pubblicitaria e di pubbliche relazioni di New York: la Burso-Masteller. Agenzia incaricata di redigere un rapporto (costato 1.100.000 dollari) intitolato emblematicamente “Quel che vale per i prodotti vale anche per i paesi”. Si poteva dunque vendere il prodotto “dittatura argentina” come qualunque altra merce da lanciare sul mercato. Gli americani suggerivano in primo luogo di rivolgersi a diversi obiettivi: messaggi cioè indirizzati verso i settori della cultura e dell'informazione (stampa, funzionari governativi, università), degli investimenti privati (banche, addetti al commercio internazionale, imprenditori), dei viaggi e del turismo. Rispetto alla stampa, l'elemento più critico, l'agenzia proponeva interventi su giornalisti di buon livello, elaborando un “sistema di infiltrazioni nei giornali e riviste d'avanguardia, che potesse aiutare a modificare o correggere i travisamenti”. “Abbiamo puntato preferibilmente - proseguiva il rapporto - sulla stampa commerciale, di viaggi e apolitica, includendo solo redattori politici di concezioni moderate o conservatrici”.
Per i giornalisti graditi e invitati prima del Mundial, era altresì previsto questo denso programma di intrattenimenti: fornitura abbondante di materiale propagandistico; una gita turistica ponendo l'attenzione sulle attrattive culturali del luogo; organizzazione di pranzi con imprenditori argentini da parte della Segreteria d'informazioni dello Stato; una serata al teatro Colón di Buenos Aires e in altri locali notturni alla moda; e persino “incontri personali con la gioventù argentina” in modo da offrire un “campionario della varietà di divertimenti esistenti nel Paese” e della “normalità della vita quotidiana”.
L'operazione El Barrido e i fiumi di denaro
Una “normalità” che in realtà costituiva soltanto una volgare menzogna, tanto che a vigilare su quel campionato del mondo provvidero 8000 militari, oltre alle forze ordinarie di polizia, e mediamente ogni componente (dai calciatori ai massaggiatori) delle squadre impegnate nel torneo godette sempre della sorveglianza di 7 soldati in assetto di guerra. All'interno del Paese furono inoltre tenuti vari corsi di “preparazione militare” rivolti ai civili col fine d'addestrare la popolazione a salvaguardare la propria integrità nel corso della manifestazione sportiva, e in una conferenza stampa del marzo 1978 il colonnello Aldo Maspero, dell'Ente Autarquico Mundial (EAM), lanciò una vera e propria campagna di delazione di massa, sostenendo che ogni cittadino era in grado di divenire la “principale figura dell'operazione-sicurezza, se compie la sua missione di osservare e denunciare qualsiasi anomalia tendente ad alterare la tranquillità pubblica ed il successo del campionato mondiale”. E in ogni caso, per evitare qualsiasi possibile turbamento dell'opinione pubblica estera e interna, si procedette preventivamente a degli autentici pogrom.
Come ha scritto il premio Nobel per la pace (1980) Adolfo Perez Esquivel: “Prima della Coppa del Mondo i militari portarono avanti l'operazione El Barrido, facendo irruzione negli appartamenti e facendo “scomparire” fino a 200 persone al giorno. Non volevano che i sospettati politici fossero in giro per incontrare i giornalisti stranieri. Con l'avvicinarsi del Mundial, molti prigionieri furono uccisi, per scongiurarne la scoperta, e alcuni campi segreti furono spostati in località remote, dove i giornalisti non li avrebbero scoperti, o su delle chiatte”. Ma non basta. Il Mondiale di Videla fu anche l'occasione per grandi, loschi affari, e regolamenti di conti all'interno della medesima Junta. Fiumi di denaro mobilitati dall'evento che scatenarono enormi appetiti e profonde divergenze tra forze armate per contendersi il controllo dell'EAM (con un vertice composto da 5 militari e un civile), appositamente creato nel giugno 1976 per la gestione complessiva della manifestazione. Tant'è, a primo presidente dell'EAM fu nominato il generale Omar Actis, che tuttavia, il 19 agosto 1976, cadde vittima di uno strano attentato. Una morte assai sospetta, e riconducibile a una guerra intestina fra apparati militari anziché ad un attacco terroristico portato dagli oppositori. Formalmente la poltrona di Actis venne occupata dal generale Antonio Luis Merlo, ma il vero capo dell'EAM risultava il suo vice-presidente, Carlos Alberto Lacoste, già inserito dall'agosto 1974, ancor prima del colpo di stato, nella macchina organizzativa dei mondiali.
Una volgare menzogna
Dietro la compattezza di facciata allignava insomma una forte conflittualità tra gerarchie militari. Da un lato vi erano le “forze di terra”, rappresentate da Videla e paradossalmente ritenute le più “moderate”, e dall'altro quelle di “mare”, più dure e pure, “filo-pinochetiane”, che chiedevano un ulteriore giro di vite contro i sovversivi. Con il mondiale in pieno svolgimento scomparve ad esempio Luis Delgado, direttore d'un giornale vicino al ministro “videliano” all'Economia José Alfredo Martinez de Hoz. Scomparsa che, secondo alcuni, fu decisa dagli alti vertici. Cioè dalle fazioni militari sotterraneamente ostili a Videla, il quale con il Mundial stava riscuotendo un eccessivo successo sia personale sia a scapito della Marina: la componente golpista che si riconosceva in Lacoste ed Eduardo Emilio Massera, un iscritto alla Loggia massonica P2 di Licio Gelli. Lacoste che, con buona probabilità, tramò anche contro Juan Alemann: il segretario di Stato alle Finanze sotto la cui abitazione, il 21 giugno 1978, mentre a Rosario Leopoldo Luque segnava il quarto gol argentino ai docili peruviani (la famosa marmelada peruana, che consentì all'Argentina di eliminare il Brasile per una migliore differenza reti), venne fatta esplodere una potente carica esplosiva. Un atto intimidatorio, al fine d'ammorbidirne le critiche avanzate alla gestione oltremodo allegra del mondiale.
Al riguardo, in due interventi riportati dall'agenzia France Press l'8 e il 15 febbraio 1978, Alemann aveva affermato: 1) che senza l'organizzazione del campionato del mondo l'Argentina avrebbe avuto un minor gravoso deficit, minor emissione di moneta e meno inflazione; 2) che le opere per ospitare la Coppa non avevano rendimento economico e sarebbero presto divenute dei monumenti inutili; 3) che le spese organizzative stavano notevolmente lievitando rispetto alle ipotesi iniziali. D'altronde, essendosi chiaramente impostasi la visione “politica” sugli utili del Mundial, ovvero la linea Merlo-Lacoste, su quella puramente “economica” di Alemann, l'EAM da quel momento in avanti poté agire praticamente indisturbato, al di fuori di qualunque controllo amministrativo. Un “corpo separato” dal quale Lacoste trasse anche degli ingenti profitti privati.
Nello specifico si appurò che l'alto grado della Marina, posteriormente al 1978, aveva acquistato a Punta del Este, in Uruguay, un immobile del valore di 128.000 dollari e, per allontanare da sé i dubbi sulla provenienza legale di tale grossa cifra, sostenne fosse in gran parte derivata da un generoso prestito di 90.000 dollari avuto dal miliardario Joao Havelange, il presidente brasiliano della FIFA dal 1974 al 1988, che confermò la difesa di Lacoste. Havelange che, in occasione dell'inaugurazione dell'Estadio Monumental di Buenos Aires, fu decorato da Videla, e dopo la conclusione della Coppa del Mondo, volle con sé Lacoste prima alla vice-presidenza della Confederacion Sudamerica de Fútbol e, dal 7 luglio 1980, della FIFA tout court. Lacoste e Havelange, che “andando a braccetto”, durante il Mundial trovarono pure il tempo per “beatificare” l'anticomunista viscerale - presidente del Real Madrid per un trentennio, a datare dal 1943 - Santiago Bernabeu. Il franchista Bernabeu, volontario durante la guerra civile spagnola della Divisione marocchina 150, che morto mentre era in svolgimento il Mundial fu onorato dalla FIFA con tre giorni di lutto, facendo precedere tutti gli incontri giocati in quelle 72 ore con un minuto di silenzio.
E il calcio aveva coperto tutto
Tornando per finire a Lacoste, questi fu presidente ad interim dell'Argentina dall'11 al 22 dicembre 1982 (fra Roberto Eduardo Viola e Leopoldo Fortunato Galtieri, il generale tifoso del “River Plate” che condusse la nazione alla disastrosa guerra irredentista per le Malvinas) e, anche a causa del colossale crack finanziario accumulato dall'EAM, venne inquisito dal governo di transizione democratica di Raúl Alfonsin. Processato senza peraltro scontare alcuna pena, essendosi spento da uomo libero negli Stati Uniti il 24 giugno 2004.
Questo in ultima analisi fu il vero volto di quell'Argentina che il 25 giugno 1978, come narcotizzata, in uno stato di ipnosi collettiva, festeggiò sfrenatamente la vittoria finale - ai supplementari - per 3 a 1 sull'Olanda.
Un formidabile trionfo pubblico per Videla, un bagno di nazionalismo sfrenato, cifrato dagli slogan di regime: 25 milliones de argentinos jugaremos el Mundial; Argentina contro todo el mundo; El Campeonato Mundial es Prioridad Nacional; Marcar un gol para Argentina.
Ma la verità, lo sappiamo bene, era un'altra. Quelli furono i mondiali degli “scomparsi” nel nulla, dei precipitati con i “voli della morte”. E il calcio, ancora una volta, aveva coperto tutto.
Sergio Giuntini
Per
saperne di più
A.
Cordolcini (con la collaborazione di A. Maggiolo), L'Argentina
dei generali e il Mondiale del 1978, Torino, Bradipolibri,
2011.
F. Foer, Postfazione, in AA.VV., Guida alla
Coppa del Mondo per tifosi dotati di cervello a cura
di M. Weiland, S. Wilsey, Milano, Mondadori, 2006.
S. Giuntini Calcio e dittature. Una storia sudamericana,
Milano, Sedizioni, 2014.
P. Llonto, I mondiali della vergogna. I campionati
di Argentina '78 e la dittatura, Roma, Edizioni Alegre,
2010.
M. Perelman, Sport barbaro. Critica di un flagello
mondiale, Milano, Edizioni Medusa, 2012.
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