rivista anarchica
anno 47 n. 413
febbraio 2017


gender

Il prendersi cura è anche LGBT

di Francesca Palazzi Arduini


Il pensiero omofobico esclude che le persone LGBT vogliano prendersi cura dei loro cari/famigliari. Un'ulteriore menzogna omofoba da smontare.


Ho assistito per curiosità a una delle conferenze itineranti del comitato “Difendiamo i nostri figli”, performance assemblata per mettere in guardia i genitori italiani dal pericolo di diffusione di una teoria descritta come integrale ed apologetica, il “Gender”.
Come sottolineato da tante/i1, questi materiali si rivelano nella realtà funzionali alla propaganda dell'omofobia e, non in ultimo, sono utili per eleggersi Sentinelle d'un pericolo costruito su misura, perché il “male” dal quale si ritiene di doversi/vi difendere si rivela nei fatti la visibilità delle persone LGBT ed il loro diritto a vivere come tutti relazioni familiari.
Nel calderone “Gender” si mescola con abile tocco di magia ogni programma degli istituti scolastici (pubblici s'intende) sulla differenza sessuale e il bullismo, e anche qualche maledizione all'OMS che dal 1990, finalmente, ha decretato che l'omosessualità non è una malattia: la scenografia della predestinazione di una minoranza è stata svelata, e ciò non piace agli omofobi, che si credono vittime di... Protocolli del “Gender”2.
Il movimento fondatore dei Family Day mette assieme frange della destra cattolica, sia parrocchiale che non, il Movimento per la vita e il variegato mondo neofascista3; si capisce come le differenze nel calderone non possano generare un pensiero unico, e quindi faccia comodo generarlo comunque, proiettandolo su un nemico.
Per asseverare il “Gender” con prove reali, trasformabili in diapositiva, gli “arrivano i nostri” sono sempre in cerca di casi limite, spesso di casi irrisolti di transessualità o casi infelici di poliformismo genitale o simili, di episodi di cronaca di persone sfortunate da cui poter trarre “esempi” di quello che Ratzinger avrebbe chiamato “disordine morale”, infelicità umana. Sì, perché il nodo della confusione che si tende a creare è lo scambiare la sessualità genetica ed ormonale con l'orientamento sessuale. È chiaro che, scambiando questi termini, chi afferma che i ruoli maschili e femminili non siano fissi e immutabili, ma generati da rapporti di potere e consuetudini, pare affermare che il sesso biologico delle persone si può “inventare”. Questo gioco dell'inventarsi un sesso diviene così il fantomatico “Gender”, e le terre su cui esso sventola sono sfigate tipo Trono di spade!
L'infelicità umana nella postmodernità sarebbe causata da quello che essi chiamano “indifferenzialismo” sessuale, paventando improvvisi e paranoidi cambiamenti di sesso, col capriccio di vivere senza seguire i canoni che si vorrebbero identici a quelli biblici, anzi, no... nemmeno a quelli, perché la Bibbia certo qualche predica contro l'omosessualità la sciorina, assieme però ad una sequela di uteri in affitto, longevità patriarcali e nonnetti poligami tale da far impallidire Berlusconi e Trump.

Famiglie di serie A e serie B

Della felicità umana costoro si interessano comunque solo quando si tratta di “difendere il diritto dei bambini a non essere programmati fin dal concepimento orfani di madre o di padre”. C'è una famiglia di serie A, ed è quella dipinta dalla tv, dai media, dalla pubblicità: padre, madre, un figlio maschio e una figlia femmina. Di fronte a questa anche quella evangelica pare non proprio sana, e non solo perché trattasi di profughi: infatti il padre non si atteggia a divo come quelli del succitato comitato, pare anzi starsene in disparte, quieto falegname con moglie incinta per causa sovrannaturale. La famiglia di serie A è quella dove dal modulo principale azzurro/rosa si generano poi una infinità di moduli uguali... volendo si potrebbe ironizzare su come questo modello sia certo più virale di altri. Pericolose alleate delle famiglie “Gender” sono invece quelle di serie B: le persone divorziate, le famiglie ricostituite, quelle allargate, quelle ristrette, quelle corrette al rum. Scherzo perché è ridendo che mi sono imposta la completa visione dello show del comitato Difendiamo i nostri figli.
Ho ascoltato con un una certa ilarità le boutade sulla differenza sessuale e la filosofia “indifferenzialista”, notando come a volte i toni, da spiritosi e pacati, si impennassero in dileggio, ad esempio nel voler ridicolizzare le persone che, per motivi di sterilità o di omosessualità, o altri, ricorrono a donatori di sperma, i quali, trascrivo: “si massacrano di pippe”. L'uditorio iper-cattolico non dava segni di scandalo.
Mentre lo show si dilungava, con accenni minacciosi al fatto che “gli insegnanti già è molto se sanno insegnare l'Abc” e che le altre cose si debbono insegnare in famiglia, pensavo a come anche i fondamentalisti della mezzaluna bianca sarebbero d'accordo con queste affermazioni pro “ritorno al focolare” e a come le affermazioni sul ruolo dell'uomo e della donna nella famiglia, nonostante si inveisse contro chi (il “Gender”) arriverà a “mettere a tutti una divisa”, somigliassero agli stereotipi del Ventennio (il definirsi dell'oratore come “Lupo di matrimonio” faceva pensare...). Ma alla battuta sul fatto che i maschi “di solito” non vedono nel frigo dove siano le bottiglie del latte, non mi veniva altro che ridere, pensando a come sia pericoloso per le proprie certezze di maschio trovare un giorno al volo il latte in frigo, e per una femmina saper sintonizzare una tv.
Solo una cosa non mi ha fatto per niente ridere, anzi in quell'attimo ho sentito una sorta di rivolgimento alle budella quasi che l'affabile accusatore mi avesse dato un cazzotto nello stomaco. Si è trattato dei pochi minuti utilizzati per spiegare quanto le famiglie “diverse” siano pericolose per l'assetto sociale, perché composte da irresponsabili troppo impegnati a cambiare partner, gente strana che se ne fregherà dei propri cari, soprattutto dei malati, degli anziani e dei disabili, così che lo Stato (e qui un accenno a certi Stati del nord Europa) introdurrà la “punturina” (credo si riferisse all'eutanasia).
Per provare quanto invece il conferenziere, maschio bianco eterosessuale felicemente sposato, sia pieno di amore cristiano per gli altri, ci dice che il leader del movimento ha adottato figli “con problemi” e che lui stesso, in persona, ha cambiato “il pannolone allo zio” malato. Ecco, a questo punto in me sale la nausea, una sensazione di profondo disgusto per questo rabberciare la “colpa” di essere omosessuali, o comunque diversi, con il marchio della disumanità, come se le persone con altro orientamento dal suo fossero tutte prive di pazienza, amore per il prossimo, senso di responsabilità, affetto per i propri cari. Questa è l'omofobia che fa più male, cento, mille volte dell'insulto per strada o della battuta en passant sull'abbigliamento.
Non parlo delle differenze che potrebbero esserci sulle nostre rispettive visioni della “buona morte”.
Parlo di caregiving, del prendersi cura. Le persone LGBT sono una modesta percentuale della popolazione, una minoranza, sono visibili quelle che scelgono di vivere il proprio orientamento sessuale senza mascherarlo. Ecco, già scrivo di togliersi la maschera mentre il “comitato” ci accusa di volerla mettere a tutti.

Le persone LGBT sono caregiver, ma...

Le persone LGBT sono figlie di famiglie come le altre, a volte se ne allontanano a causa della non accettazione del loro orientamento sessuale. Le persone LGBT si prendono cura degli altri esattamente come i partecipanti al Family Day o forse anche di più. Sono medici, infermieri, volontari, sono figli, nipoti, parenti, amici. Sono caregiver anche in forme più pesanti. Perché se non hanno figli hanno più tempo per dedicarsi alla cura delle persone a loro care. Alcune volte sono oggetto di pesanti costrizioni. Le loro famiglie di origine, ad esempio, sorelle e fratelli, magari già con figli grandi, danno per scontato che siano loro ad occuparsi, in tutto, dei genitori anziani. Non accade di rado che spesso siano caregiver senza avere neanche usufruito come gli altri figli del patrimonio economico e umano della famiglia, essendosene andati altrove e tornando solo per prendersi cura di chi è rimasto da solo.
Le persone LGBT sono caregiver anche di fratelli e sorelle disabili, perché spesso gli altri componenti della famiglia non hanno tempo per occuparsene. Sono caregiver anche a vicenda, perché tessono una rete di amicizia e mutuo aiuto. Una persona LGBT ha per ora il doppio delle possibilità di restare da solo da anziano e da tre a quattro volte più possibilità di non avere figli che lo accudiscano da anziano.4
Le persone LGBT hanno dimostrato anche in occasione di una delle patologie più devastanti del secolo, l'Aids, una rete di solidarietà fuori dal comune.
Parlando ad una platea italiana, e in maggior parte composta da persone senza alcuna cognizione di ciò, è stato facile per il conferenziere affermare la disumanità degli “Altri” facendosi bello della sua. Forse qualcuno più accorto, meno ingenuo, avrà colto una forzatura nel filo del suo discorso. O forse la platea era composta in maggior parte proprio da quei vicini di casa sempre disposti ad omaggiare il figlio eterosessuale con figli che va in visita ai genitori la domenica, e a guardar storto il figlio gay che invece ogni sera è lì e si prende cura di quei due anziani ai quali non ha mai chiesto niente.
Mi piacerebbe mostrare a questi italiani in cerca di qualche valore da attribuirsi, d'essere famiglia con la “EFFE” maiuscola ad esempio mentre pensavano solo di essere un'annoiata coppia davanti alla tv, mi piacerebbe dicevo mostrare come anche in Italia, pian piano stiano crescendo ad esempio i progetti per “Invecchiare insieme” a beneficio delle persone anziane LGBT5, e come in altri paesi esistano già degli sportelli di consulenza per le persone LGBT in quanto caregiver.
“Il 32 per cento dei gay e delle lesbiche di questo studio erano caregiver per qualcuno”, scrive Karen I. Fredriksen sull'Oxford Journal, “le lesbiche sono risultate caregiver in misura maggiore di bambini e anziani, i gay di persone con disabilità o malate”.6 In alcuni casi inoltre le persone LGBT non dichiarano il loro orientamento sessuale per timore di essere discriminati o offesi durante il caregiving svolto come lavoro, proprio a causa degli stereotipi sessisti e dell'omofobia.

Quanto è pesante il lavoro di cura

Gay e lesbiche, come tutti i caregiver, devono mantenere uno stato di benessere e restare in salute mentre si prendono cura di qualcuno. Sappiamo bene quanto sia pesante il lavoro di cura, e come una società fortemente patriarcale mantenga ancora sulle spalle delle donne, che siano mogli, figlie, badanti, sorelle, i lavori di cura più pesanti per la psiche e per il corpo.
Le persone LGBT oltre a ciò hanno il problema della discriminazione, accade anche quando debbono prendersi cura del proprio compagno/a o amico anziano o malato. Non essendo infatti riconosciuto in molti paesi lo status giuridico delle unioni civili, essi rischiano di venire depauperati da parenti in cerca di dote, a volte anche di essere estromessi dalle decisioni sulla salute del proprio partner.7
Queste storie sono state raccontate già, forse invece di sbirciare meticolosamente tutti i siti commerciali di vendita di sperma sarebbe più utile per Gandolfini e soci leggere o vedere i film, ancora pochi ma molto significativi, che raccontano quanto nella comunità LGBT, e dico comunità e non come essi affermano “lobby”, si fatichi portando ogni giorno sulle spalle non solo il peso della discriminazione ma anche quello della diffamazione.
A tutti gli amici e amiche LGBT che conosco, che curano e accudiscono qualcuno, facendo chilometri ogni settimana o ogni giorno, rischiando la salute, a volte soffrendo in silenzio la solitudine del caregiver a volte essendo sorretti da altri/e, senza che nessuno li paghi o li ringrazi, o invece con la riconoscenza di pazienti o parenti o amici.
A coloro che lo hanno fatto in passato e che lo faranno in futuro, un forte abbraccio.

Francesca Palazzi Arduini


  1. Tra cui Chiara Lalli nel suo libro Tutti pazzi per il Gender (Fandango, Roma, 2016).
  2. “Non esiste, infatti, una “teoria del gender”. Con questa categoria, usata in modo fecondo in tutta una serie di discipline che ormai costituiscono l'ambito dei gender studies, non si introduce tanto una teoria, una visione dell'essere uomo e dell'esseredonna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione...” Società Italiana delle Storiche, lettera al Ministro, aprile 2014.
  3. Oltre al comitato “Difendiamo i nostri figli” esiste una rete di siti web: lacrocequotidiano.it, lanuovabq.it, iltimone.org, tempi.it, culturacattolica.it, notizieprovita.it, lamanifpourtous.it, giuristiperlavita.org, nellenote.wordpress.com, cristianocattolico.it.
  4. “LGBT Caregiving Facts” (lgbtagingcenter.org).
  5. Anziani Lgbt: operatori e volontari imparano a prendersene cura, febbraio 2015 (redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/478645/Anziani-Lgbt-operatori-e-volontari-imparano-a-prendersene-cura) e anche: Sportello Lambda, Torino (www.lambdatorino.it) Per sostenere le attività di formazione allo Sportello Terza età LGBT sono state pubblicate due antologie: Over 60 Men e Over 60 Women, la cui vendita andrà a beneficio delle attività. Per info: editrice Elmi's World, elmisworld.it.
  6. Karen I. Fredriksen, Social Work, Oxford, dic. 1996 (sw.oxfordjournals.org).
  7. “Un'ulteriore difficoltà affrontata dalle persone anziane LGBTI quando si avvalgono di assistenza sanitaria è il fatto che in molti casi i partner dello stesso sesso non sono riconosciuti dagli assistenti sanitari, e sono esclusi dall'accesso all'informazione sulle condizioni di salute dei propri partner o è loro persino negato il diritto di visitare il proprio partner in ospedale”, Eguaglianza in Europa per le persone anziane lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersessuali. ILGA Europe 2012. (da www.lambdatorino.it).