rivista anarchica
anno 47 n. 413
febbraio 2017





Il boccalone scientifico, ovvero
le tre (o quattro) scimmiette in uno


1.
Nata dal “disgusto” per la “retorica rituale delle celebrazioni”, leggo una storia d'Italia sagacemente compressa dal magistrato Otello Lupacchini sotto il titolo di In pessimo stato (Koiné Nuove Edizioni, Roma 2016). Si comincia dalla notte fra il 4 e il 5 marzo del 1861 – quando, tra Palermo e Napoli, scompare l'“Ercole”, una nave capitanata da Michele Mancino avente a bordo 18 uomini dell'equipaggio e tra i 40 e i 60 passeggeri, di cui molti ufficiali garibaldini guidati dal colonnello Ippolito Nievo che portava con sé una preziosa e imbarazzante documentazione relativa ai finanziamenti occulti (riconducibili sia al Piemonte di Cavour che alla Massoneria britannica) che avevano facilitato non poco la nota “spedizione dei Mille” – e si finisce con la catastrofe del Banco Ambrosiano, nei primi anni Ottanta del secolo scorso, e con il ruolo invero poco onorevole giocato dal Vaticano in nome dei suoi interessi finanziari. In mezzo c'è di tutto – ad un ritmo incalzante che non concede un attimo di tregua: illegalità e corruzione, criminalità, ovunque e, soprattutto, nei parlamenti e nei governi che si sono succeduti nell'impoverire – economicamente ed eticamente – questo nostro disgraziato Paese.
In mezzo ce n'è a sufficienza, insomma, per renderci conto non tanto del chi è o chi può essere il Berlusconi o il Renzi di turno, quanto per renderci conto di che funzione svolge o può svolgere in rappresentanza non certo del “popolo” ma di chi, alle spalle del “popolo”, accumula ricchezze. La consapevolezza del fatto che si sia ridotti in pessimo stato non può che angosciarci circa i margini di vita che lasciamo a chi ci seguirà.

2.
Nel periodo, si angoscia pure Gilberto Corbellini constatando i Danni economici del complottismo (in “Il Domenicale del Sole 24 Ore”, 9 ottobre 2016). Diversi elementi “pseudoculturali” minerebbero, a suo avviso, “dall'interno la convivenza democratica e i sentimenti liberali” – non solo i “fanatismi religiosi”. Tra questi elementi, “le derive più rischiose, che causano sia danni e morti a persone fisiche sia costi economici, disfunzioni istituzionali e instabilità sociale, sono le credenze pseudoscientifiche e le paranoie complottiste”. Basterebbe “consultare la letteratura empirica per trovare le prove che credere alle teorie complottiste aumenta il rischio di ammalarsi o morire”. Non solo: “la diffusione del complottismo peggiora anche la trasparenza delle decisioni politiche e rafforza ideologie dominanti”.
A questo punto urgono criteri sicuri per individuarne responsabili e irresponsabili untori. E, anche qui, Corbellini ha le idee chiare: “chi coltiva credenze cospirative è meno egualitario rispetto ai diritti umani (tende ad essere più xenofobo e razzista) e più predisposto alla violenza politica”, sarebbe caratterizzato da “sfiducia nell'autorità, cinismo politico, bassi livelli di autostima, autoritarismo e credenze nel paranormale” cui si aggiunga “il rifiuto delle scoperte scientifiche”.
Fermiamoci qui per un momento. Cosa abbiamo capito? Che la democrazia e quei “sentimenti liberali” (una metafora che all'autore sarà valsa, si spera, il premio di produttività dalla Confindustria) – quella democrazia e quei “sentimenti liberali” di cui ci ha narrato la poco edificante storia Lupacchini – non sarebbero né lesi né prossimi al decesso a causa della criminalità di chi ci ha governato e ci governa, ma a causa di chi ne denuncia questa loro criminalità – senza, peraltro, che nessuno neppure si sogni di smentirla. Le istituzioni funzionerebbero molto meglio, la società pullulerebbe di pecoroni acquiescenti e stagnanti - l'economia, insomma, “tirerebbe” -, se non ci fosse chi sospetta, chi indaga e chi giunge a credere a complotti a suo danno.
Sull'etimologia di “complotto” regna il disaccordo, ma un elemento comune ineliminabile dalla parola e dalla sua storia è quello del “complex”, che oggi ci riporta al “complesso” e al “complicato”, ma che, un tempo, designava l'”avvolto assieme”. Quando Crispi, presidente del Consiglio, intorno all'ultimo decennio dell'Ottocento, ruba i soldi degli italiani dalla Banca Romana, non lo fa da solo – lo fa perché è assieme – “avvolto assieme” – a parecchi altri, tra cui il governatore della Banca stessa, Bernardo Tanlongo.
Ce n'è più che a sufficienza per parlare di “complotto”, ma, a sentire Corbellini, si dovrebbe invece parlare di “complottismo” riferendosi a chi, ribellandosi, lo denuncia. Parrebbe, allora, del tutto legittimo – anzi, doveroso – chiedersi se non sia soltanto la soreliana “violenza politica” l'unica ancora di salvezza per gli oppressi, ovvero per quei derubati che ai ladri dovrebbero sempre voler bene a patto che siano “autorità”. Sapendo quello che sa – me lo chiedo, glielo chiedo con il cuore in mano - come fa Corbellini ad averla lui (lui che, di certo, non ha un basso “livello di autostima”) questa “fiducia nell'autorità” ed a chiedere agli altri che la condividano? Già il sospetto, invece, rafforzando le “ideologie dominanti” – ovvero proprio quell'entità contro cui il sospetto è scaturito -, per lui contribuisce a far peggiorare la “trasparenza” delle decisioni politiche. Il che è come dire che il ladro di turno non ruberebbe se non si sentisse osservato che, immagino, alla mente scientifica di Corbellini dovrebbe costituire una sorta di applicazione sociale del principio di indeterminazione di Heisenberg.

3.
Chi fosse portato a ritenere che Corbellini si accontenti di esibire queste sue miserrime argomentazioni a difesa dei potenti di ogni tempo e di ogni Paese, comunque, si sbaglierebbe. Lui è uno che non rimane in superficie, ma va dritto al fondo delle cose e al fondo di questa cosa, allora, a suo avviso – e qui Corbellini riassume il soglio pontificale di Benedetto XVI -, ci sarebbe “un'epistemologia relativista” – un'epistemologia che “favorisce le credenze nei complotti” – e ciò sarebbe confermato da “alcuni studi empirici”. Sulla risibilità della “prova” stendiamo pure un velo pietoso – chissà cosa sia uno “studio empirico” -, ma sul rapporto tra “relativismo” e “denuncia dei complotti” sarà bene fare chiarezza. Cosa può opporre – in chiave positiva – Corbellini al relativismo?
Essendo intriso di filosofia è ovvio che come alternativa non abbia che il “realismo” – basta leggere i suoi libri, d'altronde, per rendersene conto. Il realismo è quella tesi – contrapposta perlopiù a quell'idealismo da cui, talis pater talis filius, nascerebbe il relativismo - autocontraddittoria in grazia della quale “qualcuno” (il filosofo? Lo scienziato? Il ministro del Culto?) coglierebbe la “realtà” così com'è in quanto tale, indipendentemente dal suo coglierla, di per sé stante. Come se potessimo parlare del risultato di una percezione senza che ci sia nessuno ad averlo ottenuto. È quella stessa forma di pensiero che, ormai da almeno due millenni e mezzo, giustifica il Potere e, per l'appunto la sua Autorità – quella di cui, sbagliando, sospetterebbe il “complottista”.

4.
Notoriamente sostenitore della psichiatria e della sua violenza, pronto a “rieducare” medicalizzando, Corbellini concede “speranze”, però, ricategorizzando i sospettosi e i ribelli come nuovi “malati”. Senza accorgersene, dall'abbraccio con la Chiesa Cattolica passa all'abbraccio con la vecchia URSS del terrore staliniano. Dalla “malattia complottista”, infatti, si può essere “curati”, “se si somministra loro del pensiero analitico”. Una terapia che se la si definisce – come fa lui – soltanto come una forma argomentativa che “fa uso di argomenti logici e basati sui fatti”, ahinoi, è destinata da un lato a rimanere piuttosto misteriosa (quando un argomento è “logico” e quando è “basato sui fatti”? E cosa sono i “fatti”? Si ritorna alla tesi realista ed alla sua autocontraddittorietà) e dall'altro, fingendo che misteriosa non sia, a dover fare i conti con quella stessa storia – quella raccontata da Lupacchini, per esempio – che si vorrebbe ignorare.
Chiudendo gli occhi, mettendosi una mano sulla bocca, tappandosi le orecchie – e il naso.

Felice Accame

Nota
Sulla passione di Corbellini per l'energia nucleare e sulle sue bizzarre arrampicate sugli specchi per sostenerne la produzione ho già riferito in “A” 384, 2013. Ivi ho anche discusso la sua autoritaria – e contraddittoria - concezione della scienza, mentre in precedenza – in “A” 339, 2008 – mi ero anche permesso di coglierlo in fallo, mentre truccava un testo per far tornare i suoi conti – e quelli di Jervis – contro le ragioni del movimento antipsichiatrico.