Bakunin
Le contraddizioni di un rivoluzionario
di Alberto Giovanni Biuso
Rivoluzionario e pensatore originale, Bakunin è stato probabilmente il primo militante del movimento anarchico. Figlio del suo tempo, porta in sè numerosi aspetti caduchi. Ma le sue intuizioni sulla dittatura del proletariato hanno prodotto un contrasto con il marxismo, che ha precorso i tempi: dal leninismo allo stalinismo. Una rottura totale.
Un rivoluzionario è anzitutto un uomo colmo di contraddizioni. Per immaginare una società giusta a cospetto della miseria millenaria della specie, è infatti necessario nascondere a se stessi molto di ciò che si vede e privilegiare tutto ciò che spinge ad avere fiducia. E tuttavia la forza delle cose è tale da far emergere sempre e per intero le difficoltà che si frappongono a ogni progetto di liberazione integrale, di compiuta giustizia.
La teoria politica di Michail Bakunin
L'onestà intellettuale e la passione rivoluzionaria
di Michail Bakunin fanno di questo intellettuale dedito all'azione
un esempio assai chiaro di tale contraddizione. Il carcere durissimo,
le persecuzioni, l'espulsione dall'Internazionale nel 1872 -
voluta a tutti i costi da Marx -, ogni sorta di difficoltà,
non piegarono in nulla il carattere di quest'uomo, la sua indomabile
volontà di rivolta. Una volontà che però
nasce dall'esplicita ammissione che gli esseri umani non sono
liberi nelle loro scelte, che l'individuo è interamente
plasmato dalle forze della natura e da quelle della società,
che l'anarchismo «fondato sulla scienza obiettiva, respinge
in modo assoluto la teoria del libero arbitrio»1
e che «gli uomini ci appaiono come esseri assolutamente
e fatalmente determinati» (89).
Bakunin apprezza Machiavelli, che ai suoi occhi ha avuto il
merito di descrivere senza finzioni, in modo franco e persino
brutale, la natura criminale del potere e degli Stati. E tuttavia
il suo pensiero si fonda su ciò che Machiavelli giudica
sterile e inevitabilmente ipocrita: l'unione di etica e politica.
La libertà è infatti per Bakunin «indivisibile;
non si può toglierne una parte senza ucciderla tutta»
(59); il che significa che per raggiungere il fine della libertà
bisogna escludere ogni mezzo che ne comprometta anche di poco
la purezza. È da questa tesi che sgorgano le convinzioni
più profonde ma anche le più evidenti contraddizioni
teoriche e pragmatiche del rivoluzionario russo.
Bakunin è giustamente critico verso l'idea roussoviana,
e in generale moderna, del contrattualismo. Si tratta infatti
di un'ipotesi del tutto astratta, che separa la libertà
dalla società e la società dallo Stato, subordinando
la prima al secondo. La società, invece, «è
il modo naturale di esistenza della collettività umana
indipendentemente da ogni contratto. Essa si governa attraverso
i costumi o le abitudini tradizionali, ma mai secondo le leggi»
(59). In qualunque modo se ne ipotizzi la nascita, lo Stato
«è la più flagrante, la più cinica,
la più completa negazione dell'umanità»
(63). Uno Stato repubblicano e democratico «basato sul
suffragio universale, potrebbe essere molto dispotico, perfino
più dispotico di uno Stato monarchico» (60). Che
sia proposto dai liberali o dai marxisti, il principio della
delega produce la «finzione di un governo pseudo-rappresentativo
[il quale] serve a dissimulare il dominio sulle masse da parte
di un pugno di individui privilegiati, un'élite eletta
da orde popolari che si ammassano senza sapere per chi o per
che cosa votano» (167). Il potere ha la caratteristica
intrinseca di corrompere chiunque lo eserciti, fossero anche
«gli uomini migliori e più intelligenti, privi
di egoismo, generosi e puri» (75). Prendete infatti «il
democratico più sincero e mettetelo su un trono qualsiasi:
se non ne discende immediatamente, diventerà immancabilmente
una canaglia» (109).
Gli Stati e il comando vanno sostituiti dalle libere federazioni
«di individui, associazioni, comuni, distretti, province
e nazioni, tra l'umanità tutta» (66), con alla
base «il comune assolutamente autonomo, rappresentato
sempre dalla maggioranza dei voti di tutti gli abitanti, uomini
e donne maggiorenni, alle stesse condizioni» (101). Mentre
liberali e marxisti separano libertà e uguaglianza sostenendo
- i primi - che un'integrale uguaglianza elimina la libertà
e - i secondi - che la libertà (l'estinzione dello Stato)
verrà dopo che si sarà realizzata l'uguaglianza
economica, Bakunin mantiene fermi e contemporanei questi due
fondamentali principi della teoria politica moderna, convinto
che «la libertà di ciascuno non si realizza
che nella uguaglianza di tutti. La realizzazione della
libertà nell'uguaglianza di fatto e di diritto è
la giustizia» (95).
Contro lo Stato socialista e “il proletariato elevato
a classe dominante”, Bakunin osserva ironico che per i
marxisti «questa minoranza sarà formata da operai.
Sì, e magari dai migliori operai, i quali non appena
divenuti i governanti della rappresentanza popolare cesserebbero
di essere operai e - dai vertici governativi dello Stato - guarderebbero
dall'alto in basso le masse operaie e non rappresenterebbero
a lungo il popolo ma solo se stessi e le loro pretese di governare
sul popolo. E chi ne dubita conosce ben poco della natura umana»
(169). Anche per questo Bakunin oppone alla rivoluzione soltanto
politica dei comunisti l'azione rivoluzionaria esercitata
dal basso: «Io sono innanzi tutto un assoluto nemico
della rivoluzione per decreto, che deriva dall'idea di Stato
rivoluzionario, cioè reazione travestita da rivoluzione.
Al sistema della rivoluzione per decreto io contrappongo l'azione
rivoluzionaria, l'unico programma coerente, vero ed efficace.
Il sistema autoritario dei decreti per imporre la libertà
e l'uguaglianza impedisce la realizzazione di entrambe. Il sistema
anarchico della concreta azione rivoluzionaria evoca naturalmente
e infallibilmente l'emergere e il fiorire della libertà
e dell'uguaglianza, senza alcun bisogno di violenza istituzionalizzata
e di autoritarismo» (186).
Il
culmine della passione libertaria di Bakunin viene raggiunto
nella coraggiosa difesa di una totale libertà di opinione,
di parola, di credenze. Una libertà coerentemente estesa
ai nemici della libertà e che dunque diventa «libertà
illimitata di svolgere ogni tipo di propaganda con le parole,
con la stampa, nelle riunioni pubbliche o private, senz'altro
freno che il naturale e salutare potere dell'opinione pubblica;
libertà assoluta di associazione, non escluse quelle
che avranno come scopo la distruzione della libertà individuale
e pubblica» (98). Bisognerebbe ricordare queste magnifiche
parole a tutti coloro che invocano e ottengono leggi che prevedono
il carcere - o peggio - per delle opinioni religiose (gli islamisti),
storiografiche (gli zelanti avversari giudiziari del negazionismo),
satiriche (quanti condannano “gli eccessi” di Charlie
Hebdo).
Alcune contraddizioni
E tuttavia neppure Bakunin ha potuto sottrarsi alla necessità
dell'autorità, del controllo, della repressione. In generale
- come osserva Berti - anche Bakunin ha teorizzato la necessità
di «una “fratellanza internazionale”, cioè
di una minoranza rivoluzionaria [...] quale nucleo di avanguardia
che, ponendosi in modo anonimo e invisibile, intende evitare
ogni forma di istituzionalizzazione e dunque ogni possibilità
di riproduzione e auto-riproduzione storica del potere. Tuttavia
tale organizzazione è effettivamente autoritaria perché
la sua struttura interna riflette la vecchia tradizione gerarchica
iniziatica tipica di tutte le società segrete dell'Ottocento
da Buonarroti in avanti» (26). In particolare, la necessità
di strumenti repressivi è esplicitamente sostenuta in
numerosi testi bakuniniani poiché «la società
non deve restare completamente disarmata contro gli individui
parassiti, malvagi e nocivi» (99). Ad esempio «tutte
le persone che avranno perso i diritti politici saranno parimenti
private del diritto di allevare e di tenere i propri figli»
(100). Nei confronti dell'individuo che non accetta di sottomettersi
«alla pena che gli sia stata comminata [la società]
avrà a sua volta il diritto di espellerlo dal suo seno
e di dichiararlo escluso dalla sua garanzia e protezione. Ricaduto
così sotto la legge naturale, per la quale vale “l'occhio
per occhio, dente per dente”, almeno sul territorio occupato
da questa società, il reietto potrà essere derubato,
maltrattato e persino ucciso senza che essa se ne curi. Ciascuno
potrà disfarsene come di una bestia nociva, mai però
asservirlo né impiegarlo come schiavo» (100).
Il lavoro è per Bakunin non soltanto una necessità
naturale ma anche e soprattutto un obbligo giuridico e sociale,
l'unico atto a garantire il godimento dei diritti individuali
e collettivi: «Dal momento che il lavoro è il solo
produttore della ricchezza, ciascuno è indubbiamente
libero sia di morire di fame che di andare a vivere nei deserti
o nelle foreste tra le bestie, ma chiunque voglia vivere nell'ambito
della società deve guadagnarsi la vita con il proprio
lavoro, se non vuol essere considerato un parassita o un ladro
che sfrutta il bene, vale a dire il lavoro altrui» (106).
Bakunin sa bene che le guerre sono sempre state e sempre saranno
lo strumento di sottomissione, controllo e sterminio di massa
che gli Stati esercitano sui loro popoli. E tuttavia il demone
bellico afferra anche lui e gli fa enunciare una apologia della
guerra civile che potrebbe essere stata scritta da un futurista,
per non dire di peggio: «Sì, ci sarà la
guerra civile. Ma perché temere la guerra civile? [...]
Essendovi stata risparmiata la guerra civile per oltre vent'anni,
non siete proprio voi, una grande nazione [la Francia], caduti
così in basso che i prussiani possono fare di voi un
solo boccone? La guerra civile, così erosiva del potere
dello Stato, è, al contrario, e proprio per questa ragione,
sempre favorevole al risveglio dell'iniziativa popolare e degli
interessi intellettuali, morali e anche materiali del popolo.
E ciò per la semplicissima ragione che la guerra civile
scuote le masse dal loro stato di pecore, condizione cara a
tutti i governi, che trasforma i popoli in greggi da utilizzare
a piacimento dei loro pastori. La guerra civile rompe l'abbruttente
monotonia della esistenza quotidiana e ferma quella meccanica
routine che priva gli uomini del pensiero creativo» (196).
La guerra dunque come occasione di risveglio creativo delle
masse. Una tesi che nel Novecento è stata sostenuta molte
volte da una posizione nazionalista e di estrema destra.
Bakunin ha rilevato con molta acutezza il legame inscindibile
di politica e teologia, «due sorelle nate dalla stessa
fonte e tese agli stessi fini sotto nomi diversi» (69),
tanto da definire lo Stato una Chiesa terrena e la Chiesa uno
Stato celeste. E tuttavia la fede assoluta da lui riposta
nella sollevazione dal basso, nelle virtù spesso
nascoste ma sempre indistruttibili del popolo, nella distinzione
e nella gerarchia di valore tra l'essere umano e gli
altri animali, tutto questo delinea anche in Bakunin un chiaro
afflato religioso. Una tendenza probabilmente inevitabile in
chi crede possibile la realizzazione nella storia di una giustizia
integrale, assoluta.
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Michail Bakunin visto da Pietro Spica |
Il limite antropocentrico
Compare dunque nelle pagine del rivoluzionario russo il fondamento
di ogni schiavitù: l'idealismo antropocentrico che fa
della specie umana la padrona e signora di ogni altra specie
e dell'intera natura. Per Bakunin, infatti, la storia «consiste
precisamente nella negazione progressiva dell'animalità
primitiva dell'uomo attraverso l'evoluzione della sua umanità.
[...] Egli è partito dalla schiavitù animale
e, attraverso la schiavitù divina, termine transitorio
tra la sua umanità e la sua umanità, cammina ora
verso la conquista e la realizzazione della libertà umana.
[...] Perché dietro di noi è la nostra animalità,
e davanti a noi la nostra umanità» (49).
La radiosa umanità qui descritta ha in realtà
a fondamento la servitù, l'arbitrio, la violenza del
più forte - l'Homo sapiens - su ogni altro vivente.
È quanto mostra con efficacia una celebre pagina di Max
Horkheimer:
“Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe
configurarsi all'incirca così: Su in alto i grandi magnati
dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però
sono in lotta tra di loro; sotto di essi i magnati minori, i
grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori
importanti; sotto di essi - suddivise in singoli strati - le
masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore,
della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli
ingegneri e dei capufficio fino alle dattilografe; ancora più
giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani,
i bottegai, i contadini e tutti quanti, poi il proletariato,
dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando
attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici,
ai vecchi e ai malati. [...]
Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra,
andrebbe poi rappresentata l'indescrivibile, inimmaginabile
sofferenza degli animali, l'inferno animale nella società
umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali.
[...] Questo edificio la cui cantina è un mattatoio
e il tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani
superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo
stellato”2.
Il limite più consistente del pensiero di Bakunin sembra
dunque risiedere in un elemento che ne fa un uomo del suo tempo.
Nonostante infatti la critica rivolta alla dialettica hegeliana
e allo scientismo positivista, Bakunin nutre una romantica fiducia
nell'azione in quanto tale - per cui «non ci saranno diritti
politici e giuridici, ma solo fatti rivoluzionari» (196)
- e soprattutto condivide la credenza nella superiorità
di valore e di natura dell'essere umano rispetto a ogni altro
ente che respira, desidera, mangia.
Un pregiudizio che comunque non impedisce a Bakunin di delineare
una densa e magnifica difesa della materia: “Gli
idealisti di tutte le scuole, aristocratici e borghesi, teologi,
metafisici, politicanti e moralisti, religiosi, filosofi e poeti
- non eccettuati gli economisti liberali, sfrenati adoratori
dell'ideale - si offendono molto allorché si dice loro
che l'uomo, con la sua meravigliosa intelligenza, le sue idee
sublimi, e le sue aspirazioni infinite non è, come del
resto tutto ciò che esiste nel mondo, che un prodotto
della vile materia.
Noi potremmo rispondere loro che la materia di cui parlano i
materialisti - materia spontaneamente ed eternamente mobile,
attiva, produttiva: materia chimicamente o organicamente determinata
e manifestata con le proprietà o forze meccaniche, fisiche,
animali e intellettuali che le sono necessariamente inerenti
- non ha niente in comune con la vile materia degli idealisti”
(41).
Una lode della materia che da sola conferma la capacità
di Bakunin di smascherare il reale, al di là delle sue
personali contraddizioni, al di là dei limiti della cultura
e del tempo di cui il suo pensiero è parte.
Alberto Giovanni Biuso
www.biuso.eu
- Michail A. Bakunin, La liberta degli uguali, a cura
di Giampietro N. Berti, elèuthera, Milano 2009, p.
127. Nell'articolo utilizzerò questa eccellente antologia
del pensiero bakuniniano, indicando i numeri di pagina tra
parentesi nel testo.
- Max Horkheimer, Il crepuscolo. Appunti presi in Germania
(1926-1931), trad. di Giorgio Backhaus, Einaudi, Torino
1977, pp. 68-70.
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