gestazione per altre/i
Riproduzione, tecnologia, capitalismo
del collettivo Femminismi
Nel vivace dibattito in corso da anni
sulle tecniche riproduttive, le modificazioni genetiche, ecc.,
l'ultimo libro di Alexis Escudero sostiene tesi “antitecnologiche”.
Al quale le donne del collettivo Femminismi contestano di ragionare
in termini generici e ideologici, invece che di diritti umani
e di visione antropologica.
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Sfertility Game è un gioco ideato dalla Favolosa Coalizione (Bologna) e disegnato da Valeria Bertolini |
La riproduzione artificiale
dell'umano di Alexis Escudero (Ortica Editrice, Aprilia
– Lt, 2016, pg. 240, € 14,00) a una lettura superficiale
appare un pamphlet arrabbiato e colorito, che da un punto di
vista ecologista radicale si scaglia contro le tecnologie riproduttive,
ma soprattutto contro il profitto privato che sta dietro alla
loro implementazione.
L'autore usa parole pesanti e a tratti offensive per tutta quella
compagine di sinistra (dai socialisti francesi agli anarchici,
passando per femministe, gruppi LGBT, comunisti e altri) che
hanno sostenuto il matrimonio omosessuale e il pari accesso
alle tecniche di riproduzione assistita (PMA) nelle recenti
vicende legislative d'oltralpe. La sua posizione – che
si autodefinisce radicale – è molto netta: le tecniche
di riproduzione assistita portano alla costruzione eugenetica
delle generazioni future, avverando il sogno dei nazisti e di
tutti i razzisti di ogni tempo, quello di avere una popolazione
geneticamente “pura”, simile nei tratti somatici,
“i biondi con gli occhi azzurri” e priva di malattie
o di vulnerabilità. Qui emerge il senso del libro che
consiste a nostro avviso in una visione complottista, misogina
e colpevolista nei confronti delle persone: lesbiche, donne
eterosessuali, coppie eterosessuali, o coppie di uomini, che
chiedono di poter accedere alle stesse condizioni alle tecniche
di riproduzione assistita, compresa la gestazione per altri.
La tesi di Escudero è quella secondo cui selezionare
e far nascere bambine e bambini senza quelle patologie genetiche
che sono tracciabili attraverso i test pre-impianto (quei test
genetici che si possono fare agli ovuli fecondati in vitro prima
di impiantarli in utero) sia una limitazione della libertà
individuale e una progettazione eugenetica delle future generazioni.
Come se far nascere bambini possibilmente sani sia di fatto
una violazione dei diritti umani di questi bambini: sarebbero
più liberi se fossero malati di patologie genetiche e
gravemente disabili per tutta la vita? Già da questa
prima argomentazione si evince come l'autore sia più
interessato a discutere in termini generici e ideologici, piuttosto
che in termini di diritti umani e di visione antropologica.
La sua paura è quella di un'umanità futura programmata
per essere invincibile alle malattie e quindi potenziata geneticamente
da scienziati al soldo delle multinazionali che limitano i miracoli
ad una classe privilegiata e ricca che dominerà il mondo1,
oppure che le nazioni possano usare tali scoperte per conquistare
le altre nazioni e per obbligare tutti a vivere secondo condizioni
geneticamente imposte.
Sfruttamento indiscriminato dell'ambiente
Lo spauracchio eugenetico viene utilizzato da Escudero, nel
capitolo “Della riproduzione del bestiame umano”,
per sostenere come la visione libertaria (secondo la quale ciascun*
dovrebbe accedere senza esclusioni a queste tecniche di riproduzione
assistita) apra le porte ad una sordida verità: la progettazione
di bambini in serie fatti su misura rispetto ai desideri di
chi poi li crescerà. Il problema per l'autore è
quindi questo: le tecnologie riproduttive sono l'altra faccia
della medaglia di un capitalismo che inquina e che rende sterili2,
che condanna le generazioni future a vivere in un ambiente malato,
pieno di rifiuti che provocano malattie e morte. Tuttavia queste
generazioni future avranno l'obbligo di nascere sane e più
intelligenti, senza libertà, ma con la condanna dell'intelligenza.
Non so voi ma noi abbiamo sempre pensato che persone intelligenti
fossero capaci di libertà e che soprattutto l'intelligenza
fosse anche frutto dell'educazione sociale e scolastica che
dovrebbe fornire strumenti e senso critico. Il ragionamento
di Escudero che sostiene un nesso tra intelligenza e schiavitù
appare determinista e fallace.
Secondo Escudero il capitalismo, con lo sfruttamento indiscriminato
dell'ambiente e la produzione di inquinanti, ci sta togliendo
il nostro bene comune, cioè la capacità di fare
figli, per poi ridarcelo con le tecniche di riproduzione assistita,
tecniche che dovremmo combattere come altra faccia del male
assoluto.
Senza girarci intorno è come dire che siccome un ambiente
inquinato è tra le concause del cancro, non si dovrebbe
fare la chemioterapia o accedere alle altre terapie che oggi
sono a disposizione contro il cancro, perché queste sarebbero
l'altra faccia della stessa medaglia, un'industria farmaceutica
che dall'altra parte produce anche fertilizzanti chimici e inquinanti
vari.
Ma il capitolo in cui emerge definitivamente la visione pseudo
radicale e totalmente in linea con il più oscuro conservatorismo
è “I crimini dell'eguaglianza”. La tesi esplicita
di Escudero è una visione distopica e fantascientifica:
dietro la lotta per i diritti di libero accesso alle tecniche
di riproduzione assistita da parte di chi ne è escluso
oggi in Francia (lesbiche, gay) – il libro è rivolto
al contesto francese – c'è “il fantasma di
un mondo di uomini e donne resi dalla tecnologia non uguali
ma identici. Un mondo di cyborg unisex e monocolore, dove manipolazioni,
selezioni genetiche e di embrioni, impianti bionici e tecnologie
convergenti cancellano le differenze e rendono uniformi i corpi
– e le menti? L'uguaglianza è la tecnologia!”
(p. 179). Qui pare di sentire gli integralisti cattolici a certe
conferenze, quelle per intenderci nelle quali si mostra come
la scienza del “Gender” consiste nel permetterci
di cambiare sesso tutte le volte che vogliamo.
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Uno dei “Fertility Fake” dall'omonima campagna lanciata su Facebook |
Acredine moralista
Tornando al libro, impreziosito dall'autore da qualche citazione
di Habermas e Jonas sul rischio dell'utilizzo di materiale genetico
per fini di profitto, l'autore cerca sponde autorevoli. Facendo
questo non si rende conto, o omette esplicitamente, che le maggiori
Convenzioni Internazionali di carattere bioetico esistono proprio
per proteggere da questo rischio, e che senza l'utilizzo di
materiale biologico umano per fini di ricerca non saremmo oggi
in grado di combattere o di contrastare – spesso efficacemente
– alcune gravi malattie che affliggono l'umanità.
Osannato dai cattolici di destra della “Manif pour tous”,
Escudero si professa un luddista, ma oggi quali macchine va
a distruggere, prendendosela con le persone che non hanno pari
diritti? Accusando noi femministe, che consideriamo la vita
del nascituro collegata in senso forte alla scelta della madre,
di essere mere “consumatrici” che si sbarazzano
di quello che non vogliono (cfr. pp. 134-135), fa il gioco di
chi vorrebbe un mondo monocolore e confessionale in cui le donne
obbediscono alle scelte del marito o del medico o dello stato,
un mondo arcaico e oscurantista in cui, si badi bene, l'aborto
è clandestino e l'eugenetica c'è lo stesso.
Quando nella post-fazione risponde al collettivo “Resistenze
al nanomondo”, Escudero si contraddice e in qualche modo
contraddice parte della struttura argomentativa del suo pamphlet,
peraltro in molti punti logicamente confusa. Dichiara, infatti,
che alcune delle sue posizioni luddiste e libertarie non saranno
mai conciliabili con quelle cattoliche o della destra nazionalista
e precisamente su: «aborto, uguaglianza uomo/donna, libertà
di scegliere e di vivere la propria sessualità, rifiuto
di subordinare le nostre scelte politiche alla religione»
(p. 218). Nella pagina successiva, però, dichiara di
essere contrario al ricorso alle tecnologie riproduttive definibili
come “scelta individuale, privata, un diritto che la società
e lo Stato devono garantire ad ognuno” (p. 219). La sua
presunta visione libertaria si coniuga con la stessa presunzione
dell'associazione antiabortista “Manif pour tous”
(che erroneamente il saggista indica come interessata a combattere
“solo” la gestazione per altri fatta a beneficio
degli omosessuali) di giudicare le scelte che donne e uomini
fanno circa la loro salute e le loro possibilità di riprodursi.
La critica più che legittima, doverosa, utile, diventa
quindi acredine moralista, mostrando una visione del mondo questo
sì “congelato”, critica che non solo non
si rende conto delle molteplici sfumature del discorso ma rischia
di lavorare criticamente solo sui “casi umani”,
spauracchio di sofferenza e sfruttamento, come in Italia il
nostro (si fa per dire) Gandolfini.
Non sono nuovi i casi in cui la critica, anche dura, a pratiche
di mercificazione, o a scelte estreme, è scaduta in paradosso
e moralismo. È successo che si arrivasse a denunciare
l'aborto come fosse diventato ovunque (?) un metodo contraccettivo,
succede anche nella critica all'unione civile omosessuale come
normalizzazione politica e sociale. Ma lo stile della critica,
e la sua credibilità ed utilità, sta nel prendere
in considerazione tutta la realtà e non solo il problema
che si vuole descrivere.
C'è poi una questione strategica e di comunicazione con
i media da un lato, e dall'altro con la collettività
politica cui si appartiene. Come nel caso del recente appello
di “50 lesbiche contro i regolamenti che introdurrebbero
la Gestazione per altri”, si finisce per essere applaudite
da Paola Binetti, che difende il diritto di dire che l'omosessualità
sia una malattia, senza far scaturire altro che reazioni di
difesa proprio da parte di chi dovrebbe essere interlocutore.
Anche in questo caso si è rischiato di confondere i diritti
delle donne all'autodeterminazione, la tutela dei minori e la
critica al capitalismo, con la condanna a quelle pratiche di
adozione, affido e gestazione in parte sempre esistite, e di
fare il gioco di chi promulga una visione della gravidanza3
come obbligatoriamente legata alla maternità.
collettivo Femminismi
Femminismi è un collettivo di donne di Fano, Pesaro e Urbino che organizza
attività culturali e gestisce da oltre 6 anni il blog femminismi.wordpress.com.
- «Per risparmiare, facciamo così. Siccome la maggior parte della gente vuole bambini bianchi, facciamo l'inseminazione negli Stati Uniti, trasportiamo gli embrioni congelati in Israele e poi li portiamo in Nepal, dove abbiamo creato una clinica. Le madri vengono quasi tutte dall'India, dove c'è grande disponibilità. I vantaggi sono i costi bassi e la maggior velocità, perché in Nepal non c'è la burocrazia contrattuale che c'è in America. Gli svantaggi sono il gap culturale e il fatto che non sia possibile mantenere una relazione con la portatrice. Ma sono aspetti più che altro psicologici». Vanity Fair, 18 marzo 2016, vanityfair.it. Lo sfruttamento a fini di lucro della gravidanza di donne di paesi in via di sviluppo è un tema che in molti/e denunciamo, ma prescinde dall'essere contrari o favorevoli alla gravidanza per altri.
- ”Le motivazioni sono molte e diverse, ma c'è un declino nella produzione di spermatozoi” denuncia Avvenire (novembre 2014), affermando però che la fecondazione eterologa non è una cura, ma un rimedio. Ovviamente il problema è religioso: non si accetta che questa tecnica possa venire impiegata perché porta fuori dal sacramento del matrimonio. Lo Stato dal canto suo, nello scorso novembre, ha lanciato una campagna di informazione per la prevenzione dell'infertilità femminile e maschile, denominata improvvidamente “Fertility Day”, scatenando una reazione virale di poster-fake sotto l'egida di Twitter e Facebook #sonoinattesadi e #fertilitymayday.
- Scrive Michela Murgia: “Non è quindi tollerabile oggi in un discorso serio sentir definire “maternità” il processo fisico della semplice gravidanza, che in sé - e lo sappiamo tutte - può escludere sia il desiderio procreativo sia la disposizione ad assumersi la responsabilità e la cura del nascituro. Di conseguenza è improprio discutere anche di maternità surrogata. Si può discutere invece di gravidanza surrogata, purché resti chiaro che si tratta di qualcosa di profondamente diverso. Operare questa distinzione è tutt'altro che ozioso, perché la legge italiana - entro i limiti che conosciamo - permette già ora a una donna che resta incinta di scindere i due processi e agire per rifiutare il ruolo indesiderato di madre, sia attraverso l'interruzione di gravidanza, sia attraverso la rinuncia permanente a curarsi del neonato.” L'Espresso, febbraio 2016.
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