rivista anarchica
anno 47 n. 414
marzo 2017


profughi

Quell'umanità ridotta a notizie

testo e foto di Renzo Sabatini


Clandestini, rifugiati, profughi o richiedenti asilo, sono tutte parole per descrivere nient'altro che esseri umani, persone come noi, né migliori né peggiori, ma con un carico aggiuntivo di drammi a noi sconosciuti.
Ricchi o poveri, onesti o malfattori, perseguitati o ex aguzzini, l'umanità che fugge è variegata, insondabile.


Zaatari (Giordania), 2014 - Rifugiati siriani

Mare Nostrum

Da bambino, nelle pigre domeniche estive trascorse al mare, guardavo incredulo strani esseri che camminavano lungo la battigia lanciando rauchi richiami. Solo quando quelle figure erano ormai vicine l'immagine sfocata dalla calura si faceva nitida e capivo che non si trattava di mostri deformi ma di uomini con le spalle cariche all'inverosimile di tappeti sotto il sole feroce d'agosto. Erano stagionali dall'Egitto e dal Maghreb, i primi migranti che ho visto in Italia, cugini dall'altra sponda del Mediterraneo.
Si cresceva allora nel mito rassicurante degli italiani brava gente, popolo tollerante e refrattario al razzismo. Poi le cose sono cambiate: la penisola si è colorata di facce nuove, il mito è morto e il mare ha cominciato a riempirsi di cadaveri.

Anziana profuga palestinese

Fuocoammare

Dei migranti che muoiono nel Mediterraneo ne ho letto fino alla nausea. I governi cambiano colore, i politici lanciano parole d'ordine, alcuni invocano accoglienza, altri vogliono schierare cannoniere; entrano nel quotidiano parole nuove e orribili come “respingimenti” (un ministro leghista si premurò di spiegarci che, tecnicamente, si tratta di cosa ben diversa dalle espulsioni), ma le barche continuano a partire e i migranti a morire: nel 2016 oltre cinquemila hanno perso la vita tentando la traversata. I titoli del giornali si ripetono e non li leggo neanche più.
Scorrere le cronache è però cosa ben diversa dal vedere coi propri occhi. Per questo Fuocoammare, il film-documentario di Gianfranco Rosi, mi ha particolarmente scosso, con le immagini di quei migranti che arrivano esausti, disidratati, malati, intossicati, e i corpi di quelli che non ce l'hanno fatta, perché magari avevano pagato meno degli altri e hanno fatto il viaggio in una stiva divenuta la loro bara; corpi contorti nel silenzio irreale di una morte atroce. A fare da contrappunto, la vita degli abitanti di Lampedusa, colti nella loro quotidianità, fermi nel tempo, come se tutto questo non accadesse davvero alle porte di casa.
Ho visto quel film in una sala affollata da un pubblico commosso nelle stesse ore in cui, in un paesino del ferrarese, si ergevano barricate per impedire l'arrivo di un piccolo gruppo di rifugiate destinate a sostare nel locale ostello. Lo raccontò con amarezza lo stesso regista, presente quella sera, e non poteva esserci contrasto più simbolico e drammatico.
Di quell'episodio ancora porto dentro un senso di vergogna: siamo un popolo di migranti che nel corso della storia ha subito tutte le umiliazioni che infliggiamo a quelli che oggi arrivano da noi. Quella storia sembra non averci insegnato nulla.

Jerash (Giordania), 2012 - Bambini

Campi profughi

Per il caso, per scelte di vita e per lavoro mi sono occupato di rifugiati per molti anni e ne ho incontrati tanti nei cosiddetti campi profughi, quei luoghi-non-luoghi che il destino li ha costretti ad abitare, a volte per pochi giorni, altre per una vita intera. Capanne di fango e paglia, scuole riadattate a rifugio, piccoli accampamenti, smisurate tendopoli, quartieri di casupole accatastate con fogne a cielo aperto, allucinanti banlieu senza legge o accampamenti guardati a vista dai militari: i campi assumono mille aspetti e forme. Sono a volte come paesetti, altre come interminabili periferie di grandi città. Oasi da poco in mezzo al niente, o luoghi in mezzo a un tutto a cui, chi li abita, non ha diritto di accesso.
Nei campi ho visto di tutto: disperazione, risate, speranza, rassegnazione, commercio, contrabbando. Ho visto epidemie passare rapide come una funesta ombra nera e medici lavorare senza sosta. Ho visto scuole, centri di incontro, persino negozi. Ho visto psicologhe prodigiose che, dopo una giornata passata ad assistere donne cento volte violentate durante la fuga, avevano loro stesse bisogno di assistenza. Ho visto principi sauditi a caccia di spose bambine per combinare matrimoni di piacere1 e altri uomini senza scrupoli alla ricerca di bambini da sfruttare. Ambulatori tristi coi macchinari ormai inservibili e le medicine finite. Improvvisate rivendite di pane e inusitati barbieri e parrucchieri.

Persone

Clandestini, rifugiati, profughi o richiedenti asilo, sono tutte parole per descrivere nient'altro che esseri umani, persone come noi, né migliori né peggiori, ma con un carico aggiuntivo di drammi a noi sconosciuti. Ricchi o poveri, onesti o malfattori, perseguitati o ex aguzzini, l'umanità che fugge è variegata, insondabile. Tutti hanno perso qualcosa: casa, lavoro, sicurezza, affetti, speranza. È passata improvvisa la guerra, la repressione, la distruzione, qualcosa è accaduto che li ha costretti o convinti a mettersi in viaggio, coi soldi messi da parte o senza una lira.
Hanno attraversato frontiere, affrontato morte, minacce, violenze e tante altre cose che non sapremo mai e un giorno sono arrivati ad una qualche destinazione, a volte dopo molti mesi. Hanno fatto quello che avremmo fatto anche noi, se un giorno le bombe avessero cominciato a distruggere le nostre case, i negozi e i campi. Come avrei fatto io, se fossi stato un ragazzo eritreo costretto dal regime al servizio militare permanente che ti ruba la giovinezza e ti trasforma in un persecutore della tua gente. Come hanno fatto tanti sotto il fascismo, durante la guerra. Come quegli italiani che, a guerra finita, usciti miracolosamente vivi dai lager, si sono ritrovati per mesi a vagare in terra straniera, non più deportati ma profughi. Basterebbe rileggersi qualche pagina de La tregua di Primo Levi per rendersene conto.
Eppure spesso sembriamo incapaci di riconoscere negli altri la nostra stessa umanità. Nemmeno la guerra in Jugoslavia, alle porte di casa, col suo carico di orrori, gli stupri, le pulizie etniche e le sue masse di profughi e sfollati; nemmeno quella ci ha fatto sentire che, sì, potrebbe capitare anche da noi, grazie magari a quei politici che giocano la carta etnica per raggranellare voti.
Solo se non riconosciamo la comune umanità è possibile alzare barricate per impedire a un gruppo di donne e bambini di trovare rifugio in mezzo a noi.

Jerash (Giordania), 2012 - Interno

Summit

Conflitti armati, cambiamento climatico, dittature feroci e folli teocrazie alimentano la disperazione e spingono molti alla partenza o alla fuga. Gli sfollati nel mondo sono più di 65 milioni, i rifugiati oltre 21 milioni.2 Una quantità impressionante di persone da accogliere, nutrire, assistere, integrare, in massima parte riversate in paesi poveri quanto quelli da cui sono partiti.
A settembre 2016 si è tenuto a New York il primo summit delle Nazioni Unite su rifugiati e migranti, conclusosi con una generica dichiarazione sull'assistenza dovuta ai rifugiati ed ai paesi che li accolgono. In un mondo normale non avrebbe dovuto essere necessario un incontro in pompa magna di ministri e presidenti, costato chissà quanto in voli di prima classe, ristoranti e alberghi d lusso, per stilare quelle ragionevoli raccomandazioni.3
Il summit, insomma, si è risolto in ben poca cosa. Sono aumentati i finanziamenti per affrontare l'emergenza rifugiati, ma nessuna nuova politica è stata varata, confermando la sensazione che la massa di persone in fuga da guerre e dittature rappresenti soprattutto un grosso affare per quell'industria della solidarietà che vive su di essi: governi, agenzie delle Nazioni Unite, aziende, grandi organizzazioni non governative specializzate nell'emergenza, costruttori di tende e container, produttori di kit sopravvivenza e alimenti specializzati e via elencando.
Il governo italiano ha fatto bella mostra di sé al summit, presentando il nostro paese come nazione di frontiera che deve far fronte a ondate migratorie dal sapore biblico, impegnato a salvare quante più vite possibile, eroico, abbandonato dal resto dell'Europa con un compito immane da assolvere. L'Italia ne è uscita con l'immagine di paese generoso che sta facendo il possibile ma ha già accolto fin troppi rifugiati, creando uno squilibrio sul territorio che giustifica l'ostilità di chi si sente circondato, minacciato dalla presenza di troppi stranieri.
L'Italia, è vero, è impegnata nel salvataggio in mare di molte vite, e ci mancherebbe che non lo fosse. Di questo impegno Fuocoammare mette in risalto soprattutto l'umanità dei soccorritori, dei volontari, di alcuni cittadini di Lampedusa. Quello che non è stato detto al vertice di New York è che questi migranti sono poi incoraggiati ad andare a cercare miglior fortuna altrove.

Jerash (Giordania), 2012 - Tetti

Invasione

Se anche mettessimo da parte l'idea che il mondo è di tutti e nessuno può essere clandestino; se decidessimo di ignorare che la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo sancisce libertà di movimento e diritto d'asilo e che la costituzione garantisce la protezione sul territorio della Repubblica allo straniero perseguitato; se decidessimo di credere che davvero sia possibile fermare le migrazioni; resterebbe ancora da chiedersi se l'Italia sia davvero vittima di un'invasione incontrollabile, come ci dicono spesso politici e mass media.
Le statistiche indicano che la risposta è negativa: dei venti milioni di rifugiati nel mondo Europa e nordmerica ne ospitano complessivamente solo il 18%. Tutti gli altri sono in Africa (30%), Medio Oriente e Maghreb (40%), Asia (12%). Nel 2015 i rifugiati reinsediati dai campi profughi in USA, Canada ed Europa sono stati appena 107.000.4
La guerra in Siria, che dal 2011 ha colpito quasi 14 milioni di siriani, fornisce dati che valgono più di molte parole: gli sfollati interni sono stimati in 6 milioni, oltre 4 milioni sono i rifugiati oltreconfine. Il paese che ne ha accolto la maggior parte è la Turchia, con 2.800.000 profughi, ma il caso estremo è il Libano, dove hanno trovato rifugio oltre un milione di siriani. Il Libano è un piccolo paese con notevoli tensioni interne e 450.000 rifugiati palestinesi che vivono da decenni in problematici e miseri campi gestiti dalle Nazioni Unite. Il paese ha una superficie equivalente a quella di Lazio e Marche e una popolazione di circa 5 milioni di individui. I profughi siriani sono quindi oggi pari al 25% della popolazione autoctona e, se si considerano anche i palestinesi, il totale dei rifugiati equivale al 30% dei libanesi. Fatte le debite proporzioni è come se l'Italia avesse accolto, nel breve volgere di pochi anni, 18 milioni di stranieri.
Eppure il Libano non ha chiuso le frontiere e, con i siriani, ha evitato la costituzione di nuovi campi, come ha invece fatto la vicina Giordania, preferendo una politica di distribuzione dei profughi nella comunità, garantendo anche servizi di base come sanità, scuola, avviamento al lavoro. L'impatto sul paese è stato fortissimo. In molti villaggi la popolazione siriana ha superato quella indigena e i servizi sono saltati: ambulatori che scoppiano, rifiuti che si accumulano, aule scolastiche brulicanti. Ovviamente non mancano gravi tensioni sociali e il Libano ha chiesto aiuti e finanziamenti alla comunità internazionale, ma non si è mai posta l'opzione di respingere i siriani in fuga.
Per contrasto l'intera popolazione di rifugiati censita in Italia ammonta a circa 120.000 individui, pari allo 0,1% della popolazione: l'impatto sul paese, ovviamente, è del tutto insignificante.
Per la maggior parte dei profughi l'Italia resta un paese di sbarco e di transito, perché le pratiche per richiedere asilo, da noi, sono complesse, i dinieghi superano i riconoscimenti e, per chi resta, le prospettive non sono rosee, per questo la penisola resta il fanalino di coda dell'Europa per numero di rifugiati. Bisognerebbe riflettere sul fatto che su oltre 37.000 eritrei sbarcati qui nel 2015, solo 475 hanno presentato domanda di asilo al governo italiano, tutti gli altri hanno proseguito il viaggio verso nord: i legami storici del nostro paese con la più antica colonia italiana non bastano a convincere gli eritrei a tentare la fortuna nella penisola.

Zaatari (Giordania), 2013 - Ospedale da campo

Fermare i migranti

Smentendo le premesse dell'impegno italiano al summit di New York, il governo ha annunciato una nuova fase di lotta ai trafficanti, riaffermando la necessità di fermare i migranti nei luoghi di imbarco. Si tratta di impedire le partenze dall'altra sponda del Mediterraneo impiegando le polizie locali come gendarmi al nostro servizio. Ciò richiama alla memoria i vergognosi accordi che governi di ogni colore hanno firmato in passato con il regime di Gheddafi. Non a caso l'Italia è stata la prima nazione a riaprire un'ambasciata a Tripoli. Ma i patti conclusi con paesi che non hanno firmato accordi di protezione dei rifugiati non salvano i migranti, semmai li espongono a rischi maggiori. È ben documentato che in Libia gli stranieri bloccati nel paese sono ricattati, incarcerati, derubati, torturati, violentati, schiavizzati o rispediti nel deserto, destinati a morire di sete. Quelli che possono si rimettono in viaggio verso altri porti di imbarco, altri trafficanti.
Quando i nostri politici andavano a stringere la mano a Gheddafi, promettendogli ricchezze e prebende in cambio di un ferreo controllo sulle partenze, firmavano la condanna per migliaia di esseri umani. Oggi la storia rischia di ripetersi.
Se Italia ed Europa volessero davvero combattere il traffico c'è altro che potrebbero fare: cambiare le regole che impediscono ai migranti, specialmente a quelli in fuga da conflitti e persecuzioni, di arrivare legalmente nel vecchio continente. Di “corridoi umanitari” si è parlato tanto, anche a New York, ma non sono mai stati istituiti. Eppure non c'è nulla da inventare, le proposte ci sono già tutte, elaborate da chi si occupa di rifugiati, suddivise in azioni che si potrebbero attivare subito ed altre che richiedono prima cambiamenti legislativi a livello europeo.5 Se queste proposte venissero messe subito in pratica, consentendo ai rifugiati di presentare domanda di asilo alle proprie frontiere, imbarcarsi su un volo diretto in Europa e arrivare da noi legalmente, si colpirebbe il traffico e si salverebbero vite perché i migranti non dovrebbero rischiare il deserto sulle rotte dei trafficanti o pagare ingenti somme per affrontare la morte nel Mediterraneo.
Le enormi risorse oggi utilizzate per pattugliare il mare e gestire il complesso sistema di detenzione ed espulsione potrebbero essere reinvestite in una seria politica di accoglienza.
L'altra cosa che Italia ed Europa potrebbero fare per arginare il fenomeno dei rifugiati è contribuire a rimuovere le cause della loro partenza, svolgendo un ruolo forte nella risoluzione dei conflitti, nel peace building, nell'isolamento di regimi feroci. Non dobbiamo mai dimenticare che le guerre sono alimentate anche dai commercianti di armamenti, dagli enormi profitti dell'industria bellica che è principalmente europea e occidentale.

Zaatari (Giordania), 2013 - Profughi in fila per la registrazione

Tiepide case

Ma conflitti, desertificazione e dittature non cesseranno per incanto, i profughi continueranno ad arrivare e si deve riaffermare senza mezzi termini che essi devono essere accolti, se necessario anche a costo di sacrifici, come hanno fatto i libanesi. Non vi possono essere limiti, mezze misure: durante la seconda guerra mondiale la Repubblica di San Marino accolse oltre centomila rifugiati italiani, sistemandoli nelle chiese, nei palazzi pubblici, nelle case e ovunque fosse possibile. Nessuno è stato rimandato indietro. Una popolazione di appena 15.000 persone, già provata dalla guerra, per lunghi mesi si occupò si sfamare quella gente, in condizioni durissime.
Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case e guardando la televisione all'ora di cena registriamo, un po' annoiati, l'arrivo dell'ennesimo barcone, dovremmo provare a immaginare noi stessi in quei natanti, perché a tutti noi potrebbe un giorno accadere di trovarci in quella stessa condizione. Non dovremmo mai accettare che quella umanità venga ridotta a notizie sul giornale, dovremmo manifestare la nostra solidarietà, protestare, lanciare campagne, chiedere a gran voce, almeno fino a quando i corridoi umanitari, di cui tanto si parla nei costosi summit, non saranno aperti per davvero.

Renzo Sabatini

  1. Il Mut'a, una forma di matrimonio temporaneo la cui durata è scritta nei patti prematrimoniali, antica istituzione preislamica rimasta in vigore fra i sunniti, che consente ai ricchi sauditi di “sposare” legalmente per pochi giorni, anche per sole ventiquattro ore, ragazzine giovanissime, approfittando della condizione di bisogno delle loro famiglie, senza quindi commettere adulterio agli occhi di Dio e del mondo.
  2. Dati UNHCR (Alto Commissariato ONU per i rifugiati) alla fine del 2016.
  3. La dichiarazione è disponibile in inglese sul sito dell'Onu.
  4. Vedi http://www.unhcr.org/figures-at-a-glance.html. Ad esempio tra il 2011 e il 2016 gli USA hanno accolto solo 15.000 rifugiati siriani (lo 0,4% del totale), dopo aver peraltro sottoposto ciascuno di essi a due anni di feroci controlli prima di ammetterli nel paese.
  5. Si vedano ad esempio le proposte del Centro Italiano Rifugiati nel link: http://www.cir-onlus.org/it/component/content/article/20-cir/1880-ponti-non-muri.