profughi
Quell'umanità ridotta a notizie
testo e foto di Renzo Sabatini
Clandestini, rifugiati, profughi o richiedenti asilo, sono tutte
parole per descrivere nient'altro che esseri umani, persone
come noi, né migliori né peggiori, ma con un carico
aggiuntivo di drammi a noi sconosciuti. Ricchi o poveri, onesti o malfattori, perseguitati o ex aguzzini,
l'umanità che fugge è variegata, insondabile.
|
Zaatari (Giordania), 2014 - Rifugiati siriani |
Mare Nostrum
Da bambino, nelle pigre domeniche estive trascorse al mare,
guardavo incredulo strani esseri che camminavano lungo la battigia
lanciando rauchi richiami. Solo quando quelle figure erano ormai
vicine l'immagine sfocata dalla calura si faceva nitida e capivo
che non si trattava di mostri deformi ma di uomini con le spalle
cariche all'inverosimile di tappeti sotto il sole feroce d'agosto.
Erano stagionali dall'Egitto e dal Maghreb, i primi migranti
che ho visto in Italia, cugini dall'altra sponda del Mediterraneo.
Si cresceva allora nel mito rassicurante degli italiani brava
gente, popolo tollerante e refrattario al razzismo. Poi le cose
sono cambiate: la penisola si è colorata di facce nuove,
il mito è morto e il mare ha cominciato a riempirsi di
cadaveri.
|
Anziana profuga palestinese |
Fuocoammare
Dei migranti che muoiono nel Mediterraneo ne ho letto fino
alla nausea. I governi cambiano colore, i politici lanciano
parole d'ordine, alcuni invocano accoglienza, altri vogliono
schierare cannoniere; entrano nel quotidiano parole nuove e
orribili come “respingimenti” (un ministro leghista
si premurò di spiegarci che, tecnicamente, si tratta
di cosa ben diversa dalle espulsioni), ma le barche continuano
a partire e i migranti a morire: nel 2016 oltre cinquemila hanno
perso la vita tentando la traversata. I titoli del giornali
si ripetono e non li leggo neanche più.
Scorrere le cronache è però cosa ben diversa dal
vedere coi propri occhi. Per questo Fuocoammare, il film-documentario
di Gianfranco Rosi, mi ha particolarmente scosso, con le immagini
di quei migranti che arrivano esausti, disidratati, malati,
intossicati, e i corpi di quelli che non ce l'hanno fatta, perché
magari avevano pagato meno degli altri e hanno fatto il viaggio
in una stiva divenuta la loro bara; corpi contorti nel silenzio
irreale di una morte atroce. A fare da contrappunto, la vita
degli abitanti di Lampedusa, colti nella loro quotidianità,
fermi nel tempo, come se tutto questo non accadesse davvero
alle porte di casa.
Ho visto quel film in una sala affollata da un pubblico commosso
nelle stesse ore in cui, in un paesino del ferrarese, si ergevano
barricate per impedire l'arrivo di un piccolo gruppo di rifugiate
destinate a sostare nel locale ostello. Lo raccontò con
amarezza lo stesso regista, presente quella sera, e non poteva
esserci contrasto più simbolico e drammatico.
Di quell'episodio ancora porto dentro un senso di vergogna:
siamo un popolo di migranti che nel corso della storia ha subito
tutte le umiliazioni che infliggiamo a quelli che oggi arrivano
da noi. Quella storia sembra non averci insegnato nulla.
|
Jerash (Giordania), 2012 - Bambini |
Campi profughi
Per il caso, per scelte di vita e per lavoro mi sono occupato
di rifugiati per molti anni e ne ho incontrati tanti nei cosiddetti
campi profughi, quei luoghi-non-luoghi che il destino li ha
costretti ad abitare, a volte per pochi giorni, altre per una
vita intera. Capanne di fango e paglia, scuole riadattate a
rifugio, piccoli accampamenti, smisurate tendopoli, quartieri
di casupole accatastate con fogne a cielo aperto, allucinanti
banlieu senza legge o accampamenti guardati a vista dai militari:
i campi assumono mille aspetti e forme. Sono a volte come paesetti,
altre come interminabili periferie di grandi città. Oasi
da poco in mezzo al niente, o luoghi in mezzo a un tutto a cui,
chi li abita, non ha diritto di accesso.
Nei campi ho visto di tutto: disperazione, risate, speranza,
rassegnazione, commercio, contrabbando. Ho visto epidemie passare
rapide come una funesta ombra nera e medici lavorare senza sosta.
Ho visto scuole, centri di incontro, persino negozi. Ho visto
psicologhe prodigiose che, dopo una giornata passata ad assistere
donne cento volte violentate durante la fuga, avevano loro stesse
bisogno di assistenza. Ho visto principi sauditi a caccia di
spose bambine per combinare matrimoni di piacere1
e altri uomini senza scrupoli alla ricerca di bambini da sfruttare.
Ambulatori tristi coi macchinari ormai inservibili e le medicine
finite. Improvvisate rivendite di pane e inusitati barbieri
e parrucchieri.
Persone
Clandestini, rifugiati, profughi o richiedenti asilo, sono
tutte parole per descrivere nient'altro che esseri umani, persone
come noi, né migliori né peggiori, ma con un carico
aggiuntivo di drammi a noi sconosciuti. Ricchi o poveri, onesti
o malfattori, perseguitati o ex aguzzini, l'umanità che
fugge è variegata, insondabile. Tutti hanno perso qualcosa:
casa, lavoro, sicurezza, affetti, speranza. È passata
improvvisa la guerra, la repressione, la distruzione, qualcosa
è accaduto che li ha costretti o convinti a mettersi
in viaggio, coi soldi messi da parte o senza una lira.
Hanno attraversato frontiere, affrontato morte, minacce, violenze
e tante altre cose che non sapremo mai e un giorno sono arrivati
ad una qualche destinazione, a volte dopo molti mesi. Hanno
fatto quello che avremmo fatto anche noi, se un giorno le bombe
avessero cominciato a distruggere le nostre case, i negozi e
i campi. Come avrei fatto io, se fossi stato un ragazzo eritreo
costretto dal regime al servizio militare permanente che ti
ruba la giovinezza e ti trasforma in un persecutore della tua
gente. Come hanno fatto tanti sotto il fascismo, durante la
guerra. Come quegli italiani che, a guerra finita, usciti miracolosamente
vivi dai lager, si sono ritrovati per mesi a vagare in terra
straniera, non più deportati ma profughi. Basterebbe
rileggersi qualche pagina de La tregua di Primo Levi
per rendersene conto.
Eppure spesso sembriamo incapaci di riconoscere negli altri
la nostra stessa umanità. Nemmeno la guerra in Jugoslavia,
alle porte di casa, col suo carico di orrori, gli stupri, le
pulizie etniche e le sue masse di profughi e sfollati; nemmeno
quella ci ha fatto sentire che, sì, potrebbe capitare
anche da noi, grazie magari a quei politici che giocano la carta
etnica per raggranellare voti.
Solo se non riconosciamo la comune umanità è possibile
alzare barricate per impedire a un gruppo di donne e bambini
di trovare rifugio in mezzo a noi.
|
Jerash
(Giordania), 2012 - Interno |
Summit
Conflitti armati, cambiamento climatico, dittature feroci e
folli teocrazie alimentano la disperazione e spingono molti
alla partenza o alla fuga. Gli sfollati nel mondo sono più
di 65 milioni, i rifugiati oltre 21 milioni.2
Una quantità impressionante di persone da accogliere,
nutrire, assistere, integrare, in massima parte riversate in
paesi poveri quanto quelli da cui sono partiti.
A settembre 2016 si è tenuto a New York il primo summit
delle Nazioni Unite su rifugiati e migranti, conclusosi con
una generica dichiarazione sull'assistenza dovuta ai rifugiati
ed ai paesi che li accolgono. In un mondo normale non avrebbe
dovuto essere necessario un incontro in pompa magna di ministri
e presidenti, costato chissà quanto in voli di prima
classe, ristoranti e alberghi d lusso, per stilare quelle ragionevoli
raccomandazioni.3
Il summit, insomma, si è risolto in ben poca cosa. Sono
aumentati i finanziamenti per affrontare l'emergenza rifugiati,
ma nessuna nuova politica è stata varata, confermando
la sensazione che la massa di persone in fuga da guerre e dittature
rappresenti soprattutto un grosso affare per quell'industria
della solidarietà che vive su di essi: governi, agenzie
delle Nazioni Unite, aziende, grandi organizzazioni non governative
specializzate nell'emergenza, costruttori di tende e container,
produttori di kit sopravvivenza e alimenti specializzati e via
elencando.
Il governo italiano ha fatto bella mostra di sé al summit,
presentando il nostro paese come nazione di frontiera che deve
far fronte a ondate migratorie dal sapore biblico, impegnato
a salvare quante più vite possibile, eroico, abbandonato
dal resto dell'Europa con un compito immane da assolvere. L'Italia
ne è uscita con l'immagine di paese generoso che sta
facendo il possibile ma ha già accolto fin troppi rifugiati,
creando uno squilibrio sul territorio che giustifica l'ostilità
di chi si sente circondato, minacciato dalla presenza di troppi
stranieri.
L'Italia, è vero, è impegnata nel salvataggio
in mare di molte vite, e ci mancherebbe che non lo fosse. Di
questo impegno Fuocoammare mette in risalto soprattutto
l'umanità dei soccorritori, dei volontari, di alcuni
cittadini di Lampedusa. Quello che non è stato detto
al vertice di New York è che questi migranti sono poi
incoraggiati ad andare a cercare miglior fortuna altrove.
|
Jerash
(Giordania), 2012 - Tetti |
Invasione
Se anche mettessimo da parte l'idea che il mondo è di
tutti e nessuno può essere clandestino; se decidessimo
di ignorare che la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
sancisce libertà di movimento e diritto d'asilo e che
la costituzione garantisce la protezione sul territorio della
Repubblica allo straniero perseguitato; se decidessimo di credere
che davvero sia possibile fermare le migrazioni; resterebbe
ancora da chiedersi se l'Italia sia davvero vittima di un'invasione
incontrollabile, come ci dicono spesso politici e mass media.
Le statistiche indicano che la risposta è negativa: dei
venti milioni di rifugiati nel mondo Europa e nordmerica ne
ospitano complessivamente solo il 18%. Tutti gli altri sono
in Africa (30%), Medio Oriente e Maghreb (40%), Asia (12%).
Nel 2015 i rifugiati reinsediati dai campi profughi in USA,
Canada ed Europa sono stati appena 107.000.4
La guerra in Siria, che dal 2011 ha colpito quasi 14 milioni
di siriani, fornisce dati che valgono più di molte parole:
gli sfollati interni sono stimati in 6 milioni, oltre 4 milioni
sono i rifugiati oltreconfine. Il paese che ne ha accolto la
maggior parte è la Turchia, con 2.800.000 profughi, ma
il caso estremo è il Libano, dove hanno trovato rifugio
oltre un milione di siriani. Il Libano è un piccolo paese
con notevoli tensioni interne e 450.000 rifugiati palestinesi
che vivono da decenni in problematici e miseri campi gestiti
dalle Nazioni Unite. Il paese ha una superficie equivalente
a quella di Lazio e Marche e una popolazione di circa 5 milioni
di individui. I profughi siriani sono quindi oggi pari al 25%
della popolazione autoctona e, se si considerano anche i palestinesi,
il totale dei rifugiati equivale al 30% dei libanesi. Fatte
le debite proporzioni è come se l'Italia avesse accolto,
nel breve volgere di pochi anni, 18 milioni di stranieri.
Eppure il Libano non ha chiuso le frontiere e, con i siriani,
ha evitato la costituzione di nuovi campi, come ha invece fatto
la vicina Giordania, preferendo una politica di distribuzione
dei profughi nella comunità, garantendo anche servizi
di base come sanità, scuola, avviamento al lavoro. L'impatto
sul paese è stato fortissimo. In molti villaggi la popolazione
siriana ha superato quella indigena e i servizi sono saltati:
ambulatori che scoppiano, rifiuti che si accumulano, aule scolastiche
brulicanti. Ovviamente non mancano gravi tensioni sociali e
il Libano ha chiesto aiuti e finanziamenti alla comunità
internazionale, ma non si è mai posta l'opzione di respingere
i siriani in fuga.
Per contrasto l'intera popolazione di rifugiati censita in Italia
ammonta a circa 120.000 individui, pari allo 0,1% della popolazione:
l'impatto sul paese, ovviamente, è del tutto insignificante.
Per la maggior parte dei profughi l'Italia resta un paese di
sbarco e di transito, perché le pratiche per richiedere
asilo, da noi, sono complesse, i dinieghi superano i riconoscimenti
e, per chi resta, le prospettive non sono rosee, per questo
la penisola resta il fanalino di coda dell'Europa per numero
di rifugiati. Bisognerebbe riflettere sul fatto che su oltre
37.000 eritrei sbarcati qui nel 2015, solo 475 hanno presentato
domanda di asilo al governo italiano, tutti gli altri hanno
proseguito il viaggio verso nord: i legami storici del nostro
paese con la più antica colonia italiana non bastano
a convincere gli eritrei a tentare la fortuna nella penisola.
|
Zaatari (Giordania), 2013 - Ospedale da campo |
Fermare i migranti
Smentendo le premesse dell'impegno italiano al summit di New
York, il governo ha annunciato una nuova fase di lotta ai trafficanti,
riaffermando la necessità di fermare i migranti nei luoghi
di imbarco. Si tratta di impedire le partenze dall'altra sponda
del Mediterraneo impiegando le polizie locali come gendarmi
al nostro servizio. Ciò richiama alla memoria i vergognosi
accordi che governi di ogni colore hanno firmato in passato
con il regime di Gheddafi. Non a caso l'Italia è stata
la prima nazione a riaprire un'ambasciata a Tripoli. Ma i patti
conclusi con paesi che non hanno firmato accordi di protezione
dei rifugiati non salvano i migranti, semmai li espongono a
rischi maggiori. È ben documentato che in Libia gli stranieri
bloccati nel paese sono ricattati, incarcerati, derubati, torturati,
violentati, schiavizzati o rispediti nel deserto, destinati
a morire di sete. Quelli che possono si rimettono in viaggio
verso altri porti di imbarco, altri trafficanti.
Quando i nostri politici andavano a stringere la mano a Gheddafi,
promettendogli ricchezze e prebende in cambio di un ferreo controllo
sulle partenze, firmavano la condanna per migliaia di esseri
umani. Oggi la storia rischia di ripetersi.
Se Italia ed Europa volessero davvero combattere il traffico
c'è altro che potrebbero fare: cambiare le regole che
impediscono ai migranti, specialmente a quelli in fuga da conflitti
e persecuzioni, di arrivare legalmente nel vecchio continente.
Di “corridoi umanitari” si è parlato tanto,
anche a New York, ma non sono mai stati istituiti. Eppure non
c'è nulla da inventare, le proposte ci sono già
tutte, elaborate da chi si occupa di rifugiati, suddivise in
azioni che si potrebbero attivare subito ed altre che richiedono
prima cambiamenti legislativi a livello europeo.5
Se queste proposte venissero messe subito in pratica, consentendo
ai rifugiati di presentare domanda di asilo alle proprie frontiere,
imbarcarsi su un volo diretto in Europa e arrivare da noi legalmente,
si colpirebbe il traffico e si salverebbero vite perché
i migranti non dovrebbero rischiare il deserto sulle rotte dei
trafficanti o pagare ingenti somme per affrontare la morte nel
Mediterraneo.
Le enormi risorse oggi utilizzate per pattugliare il mare e
gestire il complesso sistema di detenzione ed espulsione potrebbero
essere reinvestite in una seria politica di accoglienza.
L'altra cosa che Italia ed Europa potrebbero fare per arginare
il fenomeno dei rifugiati è contribuire a rimuovere le
cause della loro partenza, svolgendo un ruolo forte nella risoluzione
dei conflitti, nel peace building, nell'isolamento di regimi
feroci. Non dobbiamo mai dimenticare che le guerre sono alimentate
anche dai commercianti di armamenti, dagli enormi profitti dell'industria
bellica che è principalmente europea e occidentale.
|
Zaatari (Giordania), 2013 - Profughi in fila per la registrazione |
Tiepide case
Ma conflitti, desertificazione e dittature non cesseranno per
incanto, i profughi continueranno ad arrivare e si deve riaffermare
senza mezzi termini che essi devono essere accolti, se necessario
anche a costo di sacrifici, come hanno fatto i libanesi. Non
vi possono essere limiti, mezze misure: durante la seconda guerra
mondiale la Repubblica di San Marino accolse oltre centomila
rifugiati italiani, sistemandoli nelle chiese, nei palazzi pubblici,
nelle case e ovunque fosse possibile. Nessuno è stato
rimandato indietro. Una popolazione di appena 15.000 persone,
già provata dalla guerra, per lunghi mesi si occupò
si sfamare quella gente, in condizioni durissime.
Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case e guardando
la televisione all'ora di cena registriamo, un po' annoiati,
l'arrivo dell'ennesimo barcone, dovremmo provare a immaginare
noi stessi in quei natanti, perché a tutti noi potrebbe
un giorno accadere di trovarci in quella stessa condizione.
Non dovremmo mai accettare che quella umanità venga ridotta
a notizie sul giornale, dovremmo manifestare la nostra solidarietà,
protestare, lanciare campagne, chiedere a gran voce, almeno
fino a quando i corridoi umanitari, di cui tanto si parla nei
costosi summit, non saranno aperti per davvero.
Renzo Sabatini
- Il Mut'a, una forma di matrimonio temporaneo la cui durata
è scritta nei patti prematrimoniali, antica istituzione
preislamica rimasta in vigore fra i sunniti, che consente
ai ricchi sauditi di “sposare” legalmente per
pochi giorni, anche per sole ventiquattro ore, ragazzine giovanissime,
approfittando della condizione di bisogno delle loro famiglie,
senza quindi commettere adulterio agli occhi di Dio e del
mondo.
- Dati UNHCR (Alto Commissariato ONU per i rifugiati) alla
fine del 2016.
- La dichiarazione è disponibile in inglese sul sito
dell'Onu.
- Vedi http://www.unhcr.org/figures-at-a-glance.html.
Ad esempio tra il 2011 e il 2016 gli USA hanno accolto solo
15.000 rifugiati siriani (lo 0,4% del totale), dopo aver peraltro
sottoposto ciascuno di essi a due anni di feroci controlli
prima di ammetterli nel paese.
- Si vedano ad esempio le proposte del Centro Italiano Rifugiati
nel link: http://www.cir-onlus.org/it/component/content/article/20-cir/1880-ponti-non-muri.
|