pedagogia
Educazione libertaria e scuola istituzionale
di Andrea Papi
In un recente seminario a Imola, due insegnanti hanno affrontato il tema di un possibile ruolo libertario all'interno della scuola statale, tenendo ben presente l'esperienza della Rete per l'Educazione Libertaria (REL) e le numerose esperienze di scuole “altre” che vi fanno riferimento. Una tematica complessa, con molte sfaccettature. Un nostro collaboratore, che è stato a suo tempo il primo maschio in Italia a fare il “maestro” in un asilo nido, ne riferisce in queste pagine. E dice la sua.
Il ciclo d'incontri sull'educazione libertaria, svoltosi dal 21 ottobre al 16 dicembre e organizzato dalla Blab (Biblioteca Libertaria Armando Borghi) di Castel Bolognese, si è dimostrato importante. Tre conferenze pubbliche e due seminari: la visione pedagogica libertaria, l'esistenza di REL (Rete per l'Educazione Libertaria), sue esperienze e sue metodologie, le possibilità dei libertari nella scuola pubblica, le tensioni professionali e sindacali che hanno di fronte. Diversi aspetti affrontati, scandagliati, approfonditi. Una volta di più sono emerse la profondità, l'intensità e le valenze del pensiero e delle pratiche che si rifanno a una visione libertaria dell'educazione.
L'incontro/confronto tra individui che sentono il bisogno di discutere fuori dai contesti e dai canoni abituali, se vissuto nell'intensità della propria autenticità può risultare davvero interessante, oltre ad essere proficuo per potenziali sviluppi successivi. È ciò che ho pensato in seguito all'esperienza, vissuta direttamente, dei due seminari. Qui vorrei soffermarmi sul secondo dei due, Insegnanti di convinzione libertaria nelle scuole istituzionali (problematiche), perché ha affrontato tematiche estremamente attuali di un nervo scoperto del sistema di potere, cercando di addentrarsi all'interno dell'intricato dramma della scuola pubblica italiana. Una scuola che da diversi decenni non riesce a promuovere condizioni soddisfacenti e gratificanti, mentre insegue continuamente bisogni, esigenze, enunciazioni più o meno roboanti, senza mai riuscire a creare situazioni coerenti, soprattutto allontanandosi sempre più da una tensione autenticamente educativa.
Svoltosi, come da programma, tra il pomeriggio di sabato 26 e la domenica mattina del 27 novembre, nella sede a Imola dell'Archivio storico della Federazione anarchica italiana, stimolato dai due discorsi introduttivi di Maurizio Giannangeli e Rino Ermini, l'incontro si è sviluppato spontaneamente lungo un percorso di conoscenza e approfondimento delle situazioni che si stanno vivendo nelle scuole. L'approccio critico, senza venir banalizzato o svilito da inutili apriorismi politichesi, si è espanso alla ricerca di comprensioni e risposte a domande che sorgono quando si vivono situazioni non appaganti, in alcuni casi addirittura disturbanti.
Sensazioni e pensieri comuni hanno espresso disagi condivisi, in particolare per esser costretti a viver l'attuale fase come un acuirsi progressivo verso punte poco sopportabili di autoritarismo e controllo dall'alto. Oggi la scuola di stato si occupa sempre meno di educare, mentre sembra invariabilmente tutta sottesa a istruire, inculcare nozioni e concetti precostituiti, nel tentativo d'inquadrare all'interno di schemi con criteri molto discutibili. Con sempre più insistenza, infatti, richiede giudizi sull'andamento dei plessi attraverso l'identificazione delle competenze di apprendimento raggiunte, imponendo canoni ministeriali presentati come oggettivi, in realtà uniformanti. L'introduzione massiccia delle prove Invalsi, presentate come stimolatori oggettivi per migliorarsi e comprendere a che punto sia l'insegnamento, ne è la riprova. In realtà si tratta di strumenti di giudizio che cercano d'inquadrare sia l'insegnamento sia l'apprendimento all'interno di canoni uniformanti.
La scuola di stato: sempre meno educativa, sempre più formativa
Interessante la stigmatizzazione che ne ha dato uno dei partecipanti, convinto che la scuola oggi sia sempre di più una “riproduzione del discorso dominante”, una specie di “catena di montaggio per produrre voti”. In questa visione, condivisa unanimemente, c'è tutta la rabbia per esser costretti a subire un'impostazione che umilia l'insegnamento perché ne riduce fortemente le potenzialità di autonomia. L'impressione è che la scuola voglia pervicacemente ri/proporsi con un aumento di efficientismo, nei fatti ancora lontano da venire, che si vorrebbe capace di trasformarla gradualmente e inequivocabilmente in una specie di “scuola/azienda”. Una visione in quanto tale sempre meno educativa e sempre più tendente ad essere “formativa”, per indirizzare a muoversi agilmente all'interno delle diffuse logiche di mercato. È come se considerasse gli studenti non più futuri cittadini, ma futuri “consumatori”, possibilmente potenziali “speculatori finanziari”.
Una scuola quindi con una propensione sempre più marcatamente nemica di ogni libertarismo educativo. Un dettato pedagogico siffatto, imperante nelle scuole, non può che capovolgere in tendenza qualsiasi visione e metodologia libertaria, tendenti come sono ad essere auto/educanti e stimolatrici di individui autonomi e autonomamente consapevoli, in quanto tali predisposti alla condivisione e alla cooperazione sociale.
Non bisognerebbe più formare, ci suggerisce il libertarismo, ma aiutare ad auto/formarsi. Non più inculcare e riempire la testa di nozioni e apprendimenti precostituiti, assicurandosi poi che gli alunni apprendano effettivamente in tal senso per giudicarli su questa base. Dal punto di vista libertario bisognerebbe invece stimolare, suggerire, incoraggiare ad apprendere, facilitare percorsi di apprendimento scelti e desiderati, rendendoli gradevoli e attraenti, dal momento che l'esperienza personale di imparare ad imparare, di aumentare il proprio bagaglio di conoscenze conquistate con strumenti di apprendimento che ogni individuo si fabbrica attraverso l'esperienza diretta, è in sé bella, piacevole e affascinante. In questo modo ognuno ricerca da solo di valutare la qualità del come e del cosa ha imparato, senza bisogno di “docenti giudici” che dall'alto di una cattedra stabiliscano per lui cosa deve imparare e come impararlo. L'autovalutazione, se esercitata con consapevolezza e criteri di libertà, è uno strumento importante che aiuta e rafforza l'apprendimento.
Molto si è discusso, cercando di approfondirne il senso, sulle dilaganti prove Invalsi e su tutti i sistemi giudicanti. Le valutazioni, i voti, le pagelle in vigore nelle scuole istituzionali sembrano ormai diventati il fine da perseguire, sia per gli alunni sia per gli insegnanti. Non si studia e non si fa ricerca per imparare, per il piacere di aumentare il proprio bagaglio di conoscenze, ma per raggiungere l'agognato giudizio degli insegnanti, cui spetta il compito di promuovere o bocciare, indipendentemente dalla qualità e dall'esperienza di apprendimento effettivamente raggiunte e vissute. Tutto ciò non può che distruggere l'afflato e il significato profondo di un autentico rapporto educativo.
Come uscire da questo manto autoritario avvolgente? Come non subire tutto ciò continuando ad essere insegnanti nelle scuole? Nessuno degli operatori scolastici presenti ha dichiarato di rinnegare il proprio lavoro, mentre in ognuno si è manifestato il desiderio di riuscire ad agire sviluppando forme autonome d'intervento educativo senza dover subire dinieghi o repressioni autoritarie. Dal dibattito sono emersi due punti fondamentali: cosa fare con i voti e come curare le interrelazioni tra individui, rapporti tra alunni e rapporti alunni/insegnanti. Le esigenze scaturite in proposito sono il superamento più completo possibile di voti e valutazioni giudicanti, assieme al favorire qualità di relazioni in cui ogni individuo trovi spazio e possibilità di esprimersi.
Tutti si sono detti in qualche modo contrari ai voti come vengono richiesti dal sistema scolastico vigente. Ma se da una parte c'è l'obbligo di assegnare classificazioni numeriche, non c'è però nessuna rigida prescrizione rispetto al come farlo. Si possono per esempio attivare forme di autovalutazione attraverso discussioni approfondite tra alunni e tra alunni e insegnanti, con lo scopo di riuscire ad auto/assegnarsi valutazioni consapevoli e condivise senza subire la mannaia di imposizioni ex-catedra. Insomma, si può evitare il voto per assegnare autoritariamente competenze che in genere non corrispondono, mentre si può riuscire a stimolare momenti di ricerca e di confronto che superino la “valutazione oggettiva” della pagella, per aiutare a diventare consapevoli del proprio stato di apprendimento e di cosa si desidera apprendere e perché.
Inammissibili le regole imposte dall'alto
Personalmente insisto nell'affermare che autonomia e consapevolezza individuali sono momenti cardine, per noi irrinunciabili. Una volta erano prerogative del libertarismo, in particolare dell'aspetto educativo, sistematicamente attaccate dalla cultura del potere che invece propugnava una visione pedagogica eminentemente disciplinare.
Oggi le cose sono cambiate. Almeno sul piano teorico non c'è visione pedagogica che non consideri fondante l'autonomia nei processi educativi. Ma sul piano delle realizzazioni c'è una incoerenza profonda da parte delle logiche di potere, in quanto considerano l'autonomia come una specie di “libertà vigilata”, nel senso che tendono a indirizzare per imparare a muoversi apparentemente nel modo più autonomo possibile, all'interno però di regole già date su cui non si può intervenire. Da un punto di vista libertario ciò è inammissibile, perché il raggiungimento dell'autonomia non può essere a condizione di. Soprattutto è inammissibile che le regole vengano stabilite dall'alto, non concordemente da tutte/i coloro che ne debbono usufruire.
Un altro momento ritenuto fondante è stato la sottolineatura rispetto al favorire confronti, relazioni, rapporti di scambio, saperi ed esperienze. Aspetti che la scuola di stato tratta con pochissima rilevanza, sicuramente perché li ritiene secondari rispetto, per esempio, alla trasmissione di saperi precostituiti e alla formazione professionale. Per chi ha a cuore percorsi di apprendimento attraverso forme di auto/formazione e situazioni tendenti ad essere auto/educanti, sono invece fondamentali e diventa indispensabile favorire esperienze relazionali di scambio, di condivisione, di affinamento delle reciproche conoscenze.
L'approfondimento di queste tematiche, partendo dalle situazioni che si vivono negli ambiti lavorativi, a sua volta ha creato tra i partecipanti filiazione e condivisione, diventando stimolo per riuscire ad operare nel senso che ci si stava trasmettendo. È a questo punto che si è sentita la mancanza di momenti non episodici di confronto e scambio, proprio per arricchire le possibilità di sviluppo delle tematiche emerse e per creare continuità e diffusione ad un comune operare. Sono così scaturiti spontaneamente desiderio ed esigenza di una rete permanente di collegamento, scambio e approfondimento tra coloro che, pur operando in ambiti scolastici istituzionali, sentano il bisogno di una diversa azione educativa, ovviamente di tipo libertario. La proposta di una rete di collegamento e stimolazione verso esperienze diverse ha così trovato concordi i presenti. Aspetta soltanto di trovar la maniera di diventare corpo concreto.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
Per chi è interessato, pubblicazioni e resoconti
degli incontri del ciclo, riproduzione videoregistrata delle
tre conferenze pubbliche, oltre ad altre pubblicazioni inerenti
lo stesso tema, con una sezione apposita dedicata all'educazione
libertaria, sono pubblicate nel sito della Blab (Biblioteca
Libertaria Armando Borghi) e liberamente consultabili. L'indirizzo
web del sito è: http://bibliotecaborghi.org/wp/.
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