rivista anarchica
anno 47 n. 415
aprile 2017






Aurelio Quattroluni/
Nemmeno da ex l'ergastolo finisce

Questo mese do voce a un mio amico ergastolano, Aurelio, detenuto nel circuito di “Alta Sicurezza” del carcere di Padova, che sta passando un brutto momento perché da qualche mese ha scoperto che si deve sottoporre a un delicato intervento chirurgico.
Se i problemi di salute fanno paura alle persone libere, figuratevi per chi si deve curare in carcere. Colgo l'occasione di questa rubrica per fargli tanti in bocca al lupo: Aurelio, forza, non mollare.

Carmelo

Mi chiamo Aurelio sono nato a Catania.
Credo di essere stato fortunato per avere vissuto un'infanzia serena e gioiosa. Ho frequentato gli studi scolastici fino al conseguimento del diploma di geometra. Ricordo che da piccolo facevo di tutto per stare il più possibile con mio padre. Durante le vacanze scolastiche amavo seguirlo nel suo lavoro. Non mi ha mai fatto mancare nulla e mi accontentava in tutto, ma non mi dava solo le cose materiali. Da lui ricevevo tanto affetto e amore. Lo faceva insegnandomi i valori della vita e il rispetto verso gli altri. Mi ripeteva spesso che le cose andavano conquistate con il lavoro e con l'onestà, per moltissimi anni ho sempre mantenuto questi sani principi.
All'età di trent'anni mi sono sposato e dal matrimonio sono nati i miei due figli. Subito dopo questi due lieti eventi, stupidamente e incoscientemente, non so ancora spiegarmene il motivo, ho intrapreso delle strade sbagliate. Da un lato per mia scelta e dall'altro perché affascinato da un certo genere di vita.
Nello stesso tempo ho sempre lavorato perché all'età di ventidue anni ho avuto l'opportunità di partecipare ad un concorso indetto dalle poste e telecomunicazioni. Riuscii a superarlo e cosi venni assunto dove lavorai per anni, quattordici per la precisione, fino al giorno del mio primo arresto. Evento che risale a più di vent'anni addietro.
I primi dieci di carcerazione li trascorsi al regime del 41 bis, il cosiddetto carcere duro. Terminato questo periodo venni trasferito nel circuito di alta sicurezza, in reparto Alta Sicurezza di primo tipo (AS1). Sono un ergastolano ostativo; questo aggettivo sta ad indicare uno status giuridico nel quale non si può beneficiare di nulla per il resto della vita. Quindi di conseguenza solo la morte potrà restituirmi la libertà.
Non credo proprio che il processo dove mi è stato comminato l'ergastolo per un solo omicidio sia stato un giusto processo. Eravamo più di ottanta imputati e si trattavano diversi fatti di sangue con una miriade di collaboratori di giustizia che per accaparrarsi la libertà non hanno detto la verità fino in fondo. Malgrado tutte le loro dichiarazioni non è stata dimostrata la prova certa sulla mia colpevolezza per questa ragione ho sempre sostenuto che il mio non sia stato un giusto processo.
In questi anni di lunga carcerazione sono stato trasferito più volte in diversi istituti. Le condizioni di vivibilità erano sempre ai minimi livelli. Chiusi per venti ore al giorno e si ozia guardando la tv o il soffitto della cella. Non c'è nessuna sensibilità sugli affetti; parlo di una componente determinante per la qualità della vita di ogni detenuto.
Credo che l'ergastolo sia la peggiore delle pene, più crudele della pena di morte, dove lì basta un solo giorno e un solo istante per non soffrire tutta la vita mentre con l'ergastolo muori giorno dopo giorno accorgendoti di non essere più quello di un tempo sia dentro che fuori. Vivi un continuo eterno malessere, la tristezza diventa nemica e ti angoscia sapere di non potere mai più rimediare ai tuoi errori. Anche nei confronti della nostra società che spesso ci giudica senza immedesimarsi minimamente su ciò che pensa o come vive un ergastolano. Non tralasciando i nostri famigliari che vivono ancor più la nostra sofferenza senza averne nessuna colpa se non quella di aver condiviso il nostro ergastolo per il fatto di volerci bene.
Oggi ho cinquantasei anni e riesco ancora a sperare che l'Italia con coraggio abolisca l'ergastolo, prendendo esempio da molti paesi europei. Non saprei quantificare quale sia la pena giusta, ma vorrei poter dire che si debba rimanere in carcere fino a quando non si sia riflettuto abbastanza sugli errori commessi e preso coscienza che una volta fuori non si ricada mai più sugli stessi errori. Vedrei tutto ciò come una grossa vittoria, sul piano giuridico-riabilitativo, anche per le istituzioni, cioè poter dire di aver salvato una vita, ritenuta irrecuperabile.
Un ex-ergastolano, anche se libero, sappiate che non vivrà mai il resto della vita senza rimorsi. Finisco col dire che gli ergastolani non devono mai arrendersi ma lottare fino a che qualcosa possa cambiare. È necessario tentare fino all'ultimo, lo dobbiamo alle nostre famiglie e a quella parte della società che non crede al nostro cambiamento.

Aurelio Quattroluni
Carcere di Padova