storia
Gli anarchici romani
nella lotta contro il fascismo
di Valerio Gentili
La Resistenza anarchica ha
avuto a Roma una sua particolare presenza, ben radicata soprattutto
in alcuni quartieri, in diretta continuità con una tradizione
di presenza popolare evidenziata da alcune figure particolarmente
note e apprezzate a livello locale.
Dalla prima opposizione alla montante marea fascista nei primi
anni '20 al lungo ventennio nero fino all'occupazione nazista
(con presenza di anarchici anche alle Fosse Ardeatine), le anarchiche
e gli anarchici hanno combattuto il fascismo in gruppi specifici,
in formazioni gielline, in “Bandiera rossa” (alla
sinistra del PCI), ecc.
In coda, quattro biografie di militanti anarchici attivi a Roma.
Come in Italia anche a Roma il
socialismo nacque anarchico ma contrariamente all'indirizzo
generale, nella capitale continua ad essere tale per interi
decenni. Il sindacalismo rivoluzionario di matrice anarchica,
infatti, contende ad armi pari il primato tra i lavoratori al
socialismo parlamentare e alla sua appendice sindacale riformista.
La classe operaia capitolina appare fin da subito come soggettività
altra rispetto al disciplinato proletariato di fabbrica del
nord Italia tutto inquadrato nei gangli di partito. Un unicuum
del quale la storiografia si è assai scarsamente occupata
come testimoniato dai lunghi decenni di silenzio sull'esperienza
eterodossa degli Arditi del popolo e sul secolare ribellismo
sociale del caratteristico proletariato romano fatto di facchini,
manovali, precari d'antan e varia umanità lumpen
così lontana da quelle categorie nobilitate come rivoluzionarie
dal materialismo dialettico di matrice marxista. Espunto dai
manuali della storia mainstream, il movimento anarchico
romano, tuttavia, ha potuto godere a lungo di un seguito attivo,
numericamente consistente e ben radicato nel tessuto sociale
della città.
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Il fondatore degli Arditi del Popolo Argo Secondari, a sinistra in divisa da allievo ufficiale e famiglia |
Finita la Grande Guerra, con l'avvento dello squadrismo fascista,
il movimento fornisce un gran numero di quadri e militanti agli
Arditi del popolo. Negli anni bui del ventennio, una repressione
durissima colpisce gli anarchici capitolini, costringendo i
numerosi gruppi di quartiere allo scioglimento coatto, la Camera
del lavoro rivoluzionaria a chiudere i battenti, i militanti
migliori a lunghi, interminabili anni scanditi da confino, galera,
internamento ed ammonizioni. Pur tra mille peripezie, i superstiti
continuano la lotta stringendosi attorno ai perseguitati e consegnando
alla storia figure impavide e generose come Lucetti, Schirru
e Sbardellotto.
Dopo l'8 settembre '43, gli anarchici della capitale sono parte
attiva della Resistenza al nazifascismo. Diversamente da esperienze
affini nel Nord Italia, tuttavia, nella Roma occupata, non vi
sono formazioni partigiane combattenti di matrice esclusivamente
anarchica. Ciò ha comportato, ex post, grosse
difficoltà per quei pochi che, in sede di rielaborazione
storiografica, hanno cercato, tra mille peripezie, di ricostruire
peso, numero, qualità e quantità del contributo
fornito dagli anarchici alla lotta di Liberazione nella capitale.
Innanzitutto, va ricordato che il contributo dato dagli anarchici
romani alla Resistenza occorre misurarlo nell'azione di piccoli
gruppi e singoli contributi inquadrati in formazioni di altro
orientamento politico. Partecipi a pieno titolo nella storia
e nelle vicende del Movimento Partigiano Romano, essi hanno
militato nelle squadre di Giustizia e Libertà, nei GAP
comunisti e socialisti, in Bandiera Rossa, la principale
artefice della Resistenza nelle borgate romane. La mancanza
di una struttura autonoma combattente non deve indurre, altresì,
a sottostimare il contributo degli anarchici capitolini alla
lotta armata contro il fascismo. Un esempio: il primo caduto
della Resistenza romana è proprio un anarchico, Riziero
Fantini fucilato a Forte Bravetta il 31 dicembre 1943 e partigiano
in una formazione del partito comunista operante nel quartiere
di Montesacro. Diversi anarchici ricoprono importanti ruoli
di comando militare tra le fila partigiane, come nel caso di
Aldo Eluisi, già tra i capi – un ventennio innanzi
– degli Arditi del popolo e poi capitano delle squadre
romane di Giustizia e Libertà. Catturato a seguito di
una delazione, Eluisi cade fucilato alle Fosse Ardeatine assieme
agli anarchici Giulio Roncacci ed Egidio Renzi, anch'essi partigiani
nei ranghi azionisti ed Umberto Scattoni1,
prima collegato al Pci poi a Bandiera Rossa. Di quest'ultima
formazione, il responsabile militare per il quadrante San Lorenzo
è l'anarchico – già tra i leader degli Arditi
del popolo – Renato Gentilezza. Il responsabile militare
di Bandiera Rossa, la formazione nata dalle ceneri di
Armata Rossa dopo l'eccidio delle Ardeatine, è
l'anarchico – già Ardito – Celestino Avico.
Diversi anarchici, inoltre, vittime dei ripetuti rastrellamenti
nazifascisti nei primi giorni del gennaio 1944, sono deportati
nei campi di concentramento tedeschi senza fare ritorno. Tra
questi: Albero Di Giacomo, detto il Moro, Giovanni Gallinella,
Raffaele Lello Lotti, Gino Bianchedi, Renato Tombelli,
Giulio De Giuli, Adolfo Bianchini, Federico Umberti, Guido Cimaroli.
Lotti, Di Giacomo e Gallinella – quest'ultimi due già
membri di rilievo degli Arditi romani – sono arrestati
il 4 gennaio '44, nel corso di un'operazione di polizia avente
il fine di:
Effettuare larghi rastrellamenti di pregiudicati, sovversivi,
disoccupati ed elementi antisociali [...] In seguito al verificarsi
di gravissimi episodi di delinquenza comune e politica [...]
D'accordo con le autorità germaniche si è poi
proceduto a un accurato esame della posizione dei fermati
e gli elementi più pericolosi, sia dal punto di vista
politico che sociale, sono stati già inviati in Germania2.
Partiti dalla capitale, assieme ad altri trecento romani,
a bordo del treno 64155, dalla stazione Tiburtina con tanto
di vagone piombato e ufficialmente avviati «al servizio
di lavoro obbligatorio in Germania» giungono l'11 gennaio
a Dachau per raggiungere, poi, col trasporto n. 16 il campo
di concentramento di Mauthausen, dove trovano, tra atrocità
e sofferenze, la morte3.
Alcuni anarchici, come nel caso di Menotti Banci, scampano alla
deportazione in Germania e ad una quasi sicura morte, sottraendosi
rocambolescamente alla retata di arresti del 4 gennaio '44.
Banci, nel secondo dopoguerra animatore del gruppo anarchico
«Errico Malatesta» al Trionfale, è stato,
nel Biennio rosso, segretario della Federazione dei lavoratori
della fornace e compagno, di lavoro e lotta, di Alberto Di Giacomo4.
Come già detto, l'opera di ricostruzione storiografica
della partecipazione degli anarchici alla Resistenza romana
è resa particolarmente difficoltosa dalla scarsità
di fonti non solo coeve ma anche posteriori agli avvenimenti
presi in esame. Dall'attenta analisi della pubblicistica anarchica
nel secondo dopoguerra non emergono che radi, scarni, lacunosi
e talvolta imprecisi elenchi nominativi dei caduti partigiani.
Completamente assenti, scritti più corposi di taglio
discorsivo e memorialistico od elencazioni di azioni svolte.
Sicuramente, inoltre, sulle numerose imprecisioni nel ricordo
dei singoli, ha influito la militanza «irregolare»
dei partigiani anarchici nelle formazioni politiche altrui,
militanza non di rado, in uno slancio unitario pronto ad accantonare
le differenze ideologiche, divisa addirittura tra più
formazioni di diverso segno politico. Abbiamo già citato
il caso dell'anarchico del Trionfale Alberto di Giacomo, ex
capo squadra del battaglione rionale degli Arditi del popolo
e partigiano – molto probabilmente – sia nelle fila
gielliste, che in quelle comuniste, prima di cadere prigioniero
dei nazifascisti ed essere deportato nel lager di Mauthausen.
Ciò, infatti, spiegherebbe la duplice rivendicazione
di questo caduto partigiano avanzata sia dai comunisti dell'ANPI
che dalla FIAP azionista.
Tornando alle notizie riguardanti i caduti partigiani anarchici
nella Resistenza romana, cito qui gli elenchi nominativi pubblicati
da «Il Libertario» (Roma, n. 1 settembre 1944) e
da «L'Impulso» (periodico dei GAAP, 15 aprile 1955).
Il primo presenta diverse imprecisioni, viene, infatti, riportato
nell'elenco anche il nome del vecchio sindacalista anarchico
Spartaco Stagnetti (in realtà, morto al confino nel 1928)
e del socialista Luigi Castellani.
Risulta più preciso, invece, il secondo elenco, inoltre
più ricco di informazioni e cenni biografici rispetto
al precedente. Proprio ad alcuni dei caduti citati da «L'Impulso»,
per quanto l'estensore della lista si premuri di precisare si
tratti di «un elenco assolutamente incompleto»,
è dedicata la parte conclusiva di questo articolo, con
le loro biografie, qui ricostruite, principalmente, attraverso
i fascicoli del Casellario politico centrale e della Questura
romana.
L'elenco de «L'Impulso»: Giovanni Gallinella, Alberto
di Giacomo, Raffaele Lello Lotti (morti in data imprecisata
a Mauthausen). Giulio Roncacci, Aldo Eluisi, Umberto Scattoni
(caduti alle Fosse Ardeatine), Riziero Fantini (fucilato a Forte
Bravetta il 31 dicembre 1943).
Valerio Gentili
- Le poche e obsolete armi, fatte giungere dal generale Carboni,
per lo più moschetti modello '91 in dotazione all'esercito
regio nella prima guerra mondiale, ai partigiani romani l'8
settembre sono nascoste nella carrozzeria dei fratelli Scattoni:
Umberto ed Ugo.
- Circolare ai prefetti in ACS, MI, PS, a g e ris. 1943-45 RSI,
b.1.
- Dagli elenchi dell'ANED dei deportati italiani nei campi di
concentramento.
- In ACS, MI, PS a g e ris. B. 79.
Quattro biografie di anarchici morti contro il nazi-fascismo
Giovanni Gallinella:
di Pio e Assunta Capannini, nato a Roma il 14 marzo 1903, fabbro
residente a Trastevere in via Del Mattonato. Anarchico, aderisce
al locale battaglione degli Arditi del Popolo diventando caposquadra.
Nei giorni del congresso di fondazione del PNF, nel novembre
1921, si distingue al comando di azioni particolarmente efficaci
nel respingere gli attacchi delle squadracce sul Lungotevere.
È tra i principali organizzatori della difesa militare
del rione Trastevere durante la Marcia su Roma. Negli anni del
ventennio in quanto elemento pericoloso per l'ordine nazionale
dello stato viene ripetutamente sottoposto ai provvedimenti
di ammonizione, confino e internamento carcerario. Nel 1925
è denunciato per oltraggio e ribellione agli agenti di
forza pubblica, ammonito nel 1930, il 27 gennaio dell'anno successivo
viene condannato a tre mesi di carcere per contravvenzione all'obbligo
di ammonizione. Scontata la pena è trattenuto agli arresti
perché sono in corso le pratiche per la sua assegnazione
al confino. Il 27 aprile viene inviato nell'isola di Ponza per
una durata di tre anni. Il 3 settembre 1931 il direttore della
colonia lo denuncia per manifestazione sediziosa e contravvenzione
all'obbligo di confino. Sconta quattro mesi di carcere a Poggioreale.
Terminata la detenzione è rinviato a Ponza, fino al luglio
del 1934. Scaduti i termini fa ritorno a Roma. Ma nel dicembre
del 1936, accusato di svolgere opera di propaganda attiva contro
il regime, viene nuovamente riassegnato dalla commissione regionale
al confino per una durata di 4 anni da scontare nella colonia
di Ventotene. Qui mantiene i contatti con altri confinati antifascisti.
Da una nota del questore di Roma alla sezione prima, confino
politico, del ministero degli Interni, in data 10 gennaio 1937,
si legge che Gallinella, nonostante arresti e confino: «Insieme
con Gioacchino Gabrielli e Alfredo Simmi (entrambi avevano militato
negli Arditi del Popolo) svolge un'intensa propaganda antifascista,
i tre hanno contatti con il repubblicano Dante Giannotti, uno
dei dirigenti del gruppo Giustizia e Libertà scoperto
nella capitale nel 1932». Punito per la sua condotta,
nel 1939, Gallinella viene trasferito nella colonia delle Tremiti,
dove è internato in seguito alla sua instancabile propaganda
antifascista. Trasferito a Pisticci, vi resta fino alla fine
dell'agosto 1943, quando, revocato il provvedimento di confino
fa ritorno a Roma. Qui riprende da subito la lotta politica.
Dopo l'8 settembre partecipa alla resistenza partigiana operando,
probabilmente, in collegamento con le squadre cittadine di Giustizia
e Libertà. Il 4 gennaio 1944, nel corso di rastrellamenti
a tappeto operati dalla polizia per tutta la città, viene
nuovamente arrestato. Inviato, insieme ad altri 300 uomini,
pregiudicati politici e comuni, al servizio di lavoro obbligatorio
in Germania, con un treno piombato partito dalla stazione Tiburtina,
arriva a Mauthausen il 13 gennaio. In questo campo di concentramento
muore in data imprecisata.
Fonti: ACS, CPC,ad nomen. Archivio di Stato di Roma,
Questura di Roma A/9,ad nomen. ACS, MI, PS, a. g. e ris.
1943-1945 RSI, b.1, f.Situazione politica nelle provincie,
relazioni giornaliere, f.Elenchi di persone rastrellate
e arrestate per essere avviate al servizio del lavoro. Elenchi
ANED (Associazione nazionale ex deportati politici) degli internati
nei campi di concentramento tedeschi.
Alberto Di Giacomo
detto il moro: di Andrea e Paolina Bini, nato a Magione,
in provincia di Perugia, l'8 gennaio 1886, risiede fin da giovanissimo
a Roma, nel rione del Trionfale. Operaio alle fornaci di Valle
Aurelia, è schedato dalla questura come anarchico,
attentatore, confinato politico pericoloso. Dal 1911 al
1920 è tra gli esponenti di punta della frazione più
agguerrita nel consiglio della Lega dei fornaciai. Nel 1921
aderisce agli Arditi del Popolo, a fine luglio entra a far parte
del Direttorio cittadino dell'organizzazione, in quanto esponente
di punta del battaglione Trionfale. Nel 1923 viene arrestato
per: lesioni e ingiurie a danno di fascisti. Arrestato nuovamente
nel settembre 1926 con l'accusa di progettare un attentato contro
il regime. Nel giugno del 1931 con un'ordinanza della commissione
provinciale di Roma è assegnato al confino di polizia
per la durata di tre anni da scontare nella colonia di Lipari.
Nel novembre del 1932, in occasione del decennale della vittoria
fascista, viene prosciolto dal restante periodo di detenzione.
Tornato nella capitale, D.G. riprende da subito la lotta in
opposizione al regime subendo un nuovo provvedimento d'ammonizione
in maggio. In una nota del questore di Roma, risalente al dicembre
1934, viene definito: «Uno dei più pericolosi anarchici
residenti nella capitale per cui è stato incluso nella
I categoria dei sovversivi da arrestarsi in determinate circostanze
e viene strettamente vigilato da questo ufficio». Nel
giugno 1935 è colpito da un ulteriore provvedimento d'ammonizione.
Nel 1940 viene assegnato a un nuovo triennio di confino. Torna
a Roma dopo il 25 luglio 1943. Opera nel movimento resistenziale
cittadino in collegamento con la compagine giellista. Arrestato,
come Gallinella, il 4 gennaio 1944, viene prelevato in massima
segretezza dal carcere di Regina Coeli e deportato in Germania,
insieme ad altri trecento, col treno n. 64155. Muore a Ebensee
(Mauthausen) il 5 maggio 1945.
Fonti: ACS, CPC,ad nomen. MI, PS, a. g. e ris. 1943-1945
RSI, b.1, f.Situazione politica nelle provincie, relazioni
giornaliere, f.Elenchi di persone rastrellate e arrestate
per essere avviate al servizio del lavoro. «L'Impulso»,
organo periodico dei GAAP, 15 aprile 1955. Elenchi ANED (Associazione
nazionale ex deportati politici degli internati nei campi di
concentramento tedeschi).
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Alberto
Di Giacomo, detto er moretto,
fornaciaio anarchico, prima Ardito del
Popolo poi partigiano, deportato
nel gennaio 1944 a Mauthausen |
Aldo Eluisi:
di Romolo e Pasqua Marchetti, nasce a Venezia l'11 dicembre
1898. A tre anni lascia con la famiglia la città veneta
per stabilirsi nella capitale. Risiede nel distretto di Ponte
e lavora fin da giovanissimo come pittore edile. Dopo l'entrata
in guerra dell'Italia, partecipa al primo conflitto mondiale
nei reparti d'assalto dell'esercito regio. Nei giorni della
disfatta di Caporetto si distingue in operazioni particolarmente
audaci ricevendo dai comandi una proposta per il conferimento
di medaglia al valore. A guerra finita torna nella capitale
diventando da subito una delle figure più in vista della
locale sezione dell'associazione tra gli Arditi d'Italia. Partecipa
all'impresa fiumana. Anarchico e convinto antifascista, nell'aprile
del 1921, viene eletto consigliere all'interno del nuovo comitato
d'azione della sezione romana dell'ANAI. Pochi mesi dopo è,
insieme agli ufficiali Secondari e Pierdominici, tra i fondatori
degli Arditi del Popolo. Membro del Direttorio cittadino dell'organizzazione,
in qualità di capo della centuria del rione di Ponte,
è alla guida della resistenza militare organizzata dagli
Arditi in risposta agli attacchi squadristi, nel novembre 1921,
nell'aprile 1922, nel maggio e nell'ottobre dello stesso anno.
Arrestato una prima volta il 20 agosto del 1921, l'anno seguente
è nuovamente incarcerato: «Per aggressione a danno
di fascisti». In seguito alla vittoria mussoliniana, viene
pugnalato, nel 1923, da una squadraccia durante una rissa alla
trattoria Masseroni, in piazza Fiammetta. Arrestato nel 1928
per possesso illegale di armi da fuoco, nel 1930, in seguito
«Ad agitazione fra gli Arditi», viene diffidato
dallo svolgere attività non consentita in seno alla mussoliniana
FNAI. L'anno successivo gli viene imposto l'obbligo di munirsi
di carta d'identità. Dopo l'8 settembre 1943 partecipa
alla sfortunata difesa di Roma dall'occupazione delle divisioni
tedesche, battendosi con onore a Porta San Paolo e alla Madonna
del Riposo. Nei mesi dell'occupazione è insieme a Vincenzo
Baldazzi, incaricato dal CE del partito d'azione, in assenza
di Bauer, di dirigere il movimento resistenziale, alla testa
delle formazioni gielliste, con la qualifica di comandante equiparato
al grado di capitano. Colpito da mandato di cattura, in novembre,
sfugge a un primo tentativo d'arresto da parte delle SS tedesche
ma tradito da un delatore viene, in seguito, arrestato. Torturato
per giorni alla pensione Jaccarino dalla banda di Pietro Koch
senza cedere mai, cade fucilato nel marzo 1944 alle Fosse Ardeatine.
Il 5 marzo 1945 è commemorato al cinema Altieri per iniziativa
del Partito d'azione. Nel 1947, su proposta del comitato provinciale
dell'ANPI, gli viene conferita la medaglia d'oro al valore militare
alla memoria. La sua figura rimane una delle più belle,
delle più gloriose del movimento di resistenza romana.
Questo il suo epitaffio nel medagliere d'oro al valore militare:
Comandante di una squadra di Arditi del Popolo combatté
valorosamente a porta San Paolo e alla Madonna del riposo fugando
il nemico. Ricercato e arrestato dalla polizia nazifascista
riusciva audacemente a eludere la vigilanza e a conquistare
la libertà per riprendere il suo posto nella lotta. Tradito
da vile delatore e sorpreso durante un convegno con altri partigiani,
dopo fiera colluttazione veniva immobilizzato e, benché
ferito, trasportato nelle camere di tortura ove aveva inizio
il suo calvario. Per 18 giorni soffrì le più efferate
torture e lo scempio del corpo; tradotto alle Fosse Ardeatine
si univa nella morte agli altri eroi che hanno bagnato col loro
sangue quella terra divenuta sacra alla Patria.
Fonti: Archivio di Stato di Roma, Questura A/8ad nomen.Le
medaglie d'oro al valore militare conferite a militari ed a
civili, Roma, 1965.
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L'anarchico Aldo Eluisi, legionario fiumano,
dirigente degli Arditi del Popolo poi della Resistenza romana,
fucilato alle Fosse Ardeatine |
Riziero Fantini,
di Adolfo nato a Coppito (AQ) il 6 aprile 1892, anarchico. Domiciliato
in via Prati Fiscali, muratore. Molto attivo tra gli anarchici
capitolini, secondo la PS tiene, inoltre, una corrispondenza
epistolare con i più noti dirigenti del movimento anarchico
marchigiano. É collaboratore dei giornali: «Umanità
Nova», «La Frusta» e «Libero Accordo».
Nel biennio 1921-'22, figura come relatore in alcune conferenze
tenutesi nella capitale e nelle Marche in sostegno di Sacco
e Vanzetti (che R. aveva personalmente conosciuto nel corso
dei dieci anni passati da lavoratore immigrato a Boston). Segnalato
dalle autorità come iscritto al partito anarchico
è per questo motivo costantemente vigilato ed iscritto
nel registro delle persone da arrestare in determinate circostanze.
Attivo nella Resistenza romana tra le fila comuniste, secondo
una circolare del prefetto Caruso, in data 27 dicembre 1943,
risulta essere stato fucilato dai tedeschi (dopo l'arresto,
tortura e processo sommario) sugli spalti di Forte Bravetta
insieme ai comunisti Italo Grimaldi e Antonio Feurra in quanto
«responsabile di violenza contro quelle forze armate».
Fonti: Acs, Cpc,ad nomen, Biografie dell'ANPI.
Valerio Gentili
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