migranti
Clandestini per legge
di Renzo Sabatini
Dopo i suoi interventi pubblicati sugli scorsi due numeri, il nostro collaboratore affronta qui la questione specifica dei migranti, che hanno sempre portato con sé contraddizioni e conflitti, ma rappresentano anche il dinamismo della storia e stimolano le culture a rinnovarsi.
Argentini
Qualche anno fa accadeva spesso che mi chiedessero se non fossi per caso parente di Gabriela Sabatini, la tennista argentina che aveva conquistato fama mondiale. Oggi non mi capita più, la Sabatini se la sono dimenticata tutti quanti e gli argentini più famosi sono forse Lionel Messi e Francisco Bergoglio, uomini molto amati in patria e all'estero.
La tennista, il calciatore e il papa hanno in comune la nazionalità ma anche le origini italiane e non c'è da stupirsene: più della metà degli argentini sono discendenti dei nostri emigrati.
Contadini
Quando parliamo degli stranieri che vivono oggi in Italia e in Europa penso sia fondamentale ricordare la nostra storia di popolo migrante. Nel solo 1913 lasciarono l'Italia, per tentare la fortuna altrove, novecentomila persone, più di quante ne siano sbarcate sulle nostre coste nell'ultimo ventennio. Tra il 1860 e il 1885 emigrarono più di dieci milioni di italiani. Nei cento anni successivi all'unità furono ventitré milioni a partire: tanti quanti erano gli italiani al primo censimento fatto alla fondazione del regno. Non si partiva per scelta o per vocazione, erano i poveri a mettersi in viaggio, contadini analfabeti che, in un paese congelato nei rapporti sociali, non avevano futuro da offrire ai figli. Gli stessi governi spingevano gli italiani a partire, ansiosi di allentare le tensioni sociali e ricevere le rimesse dei migranti.
Gli italiani andarono ovunque ci fossero prospettive di lavoro, indirizzati o chiamati da familiari già all'estero. In alcuni paesi la presenza dei nostri migranti ha finito per esercitare una grossa influenza e paesi come Brasile, Stati Uniti, Argentina, Venezuela e Australia oggi riconoscono il contributo degli italiani al loro sviluppo economico e culturale.
Altri contadini
Dagli anni settanta del novecento le cose sono cambiate. L'Italia, nuova piccola potenza economica ammessa nel gotha dei paesi che contano, improvvisamente offriva prospettive, con i tanti lavori indispensabili che gli italiani non avevano più voglia di fare. La ruota della storia si è messa in moto e i contadini di altri luoghi del mondo sono arrivati da noi.
Presto sul tema dei migranti si è scatenato un dibattito infuocato che ha reso difficile ragionare serenamente. La nostra storia non è servita a nulla, anzi, le stesse comunità italiane all'estero, a volte, hanno sentito il bisogno di intervenire, esprimere preoccupazione per un'Italia che stava cambiando volto.
Persino loro, che nel corso delle generazioni avevano finito per influenzare le società che li avevano accolti, volevano un'Italia immutabile. Invece il paese si stava colorando di facce nuove, arrivavano musiche mai prima ascoltate e aleggiavano i profumi di spezie sconosciute.
Identità nazionale
Si dice che i nostri erano stati migranti-brave-persone,
che andavano a spezzarsi la schiena onestamente mentre da noi
sarebbero arrivati soprattutto migranti-delinquenti,
senza permesso, clandestini, illegali, pericolosi. Dicono anche
che i nostri andavano verso paesi senza storia e portavano ovunque
la nostra ricca cultura, le tradizioni e la cucina di cui andiamo
così orgogliosi; questi altri invece sono venuti nel
nostro paese già saturo di cultura e antiche tradizioni
e avrebbero preteso di cambiarci, imporci i loro costumi, le
loro religioni e i loro kebab, mettendo in pericolo l'identità
nazionale. Nessuno poi è stato davvero in grado di spiegare
quale sia esattamente l'identità nazionale di questa
terra allungata nel mare che nel corso dei millenni ha visto
sbarcare popoli e nazioni di ogni latitudine e ospita un miscuglio
di genti con origini greche, normanne, provenzali, arabe, turche,
spagnole, nordafricane e chi più ne ha più ne
metta. Un luogo pieno di tradizioni contrastranti dove si parlano
decine di lingue locali e dove persino la religione cattolica,
grande collante nazionale, in realtà è inculturata
e vissuta in modo molto diverso da nord a sud.
Nelle riserve
Basta una ricerca sul web per rendersi conto di quanta propaganda
volgare e violenta sia stata messa in giro su questo tema. In
un poster la Lega Nord è arrivata persino a incitare
alla tortura degli immigrati come atto di legittima difesa1
e non so quanti si siano davvero indignati. Un altro manifesto
dello stesso partito recava l'immagine di un nativo americano
e la scritta: “Loro hanno subito l'immigrazione, ora vivono
nelle riserve”, assurdo paragone tra una violenta colonizzazione
votata al genocidio di intere nazioni e l'arrivo di lavoratori
poveri nel nostro paese. Un'offesa all'intelligenza, ma in tema
di migranti è ammesso scrivere e dire di tutto, non c'è
limite all'indecenza e al razzismo. Questi messaggi sembrano
essere anzi molto efficaci: spaventano, seducono, convincono.
Lo stesso è accaduto agli emigrati italiani, basta darsi la pena di scorrere i giornali di inizio novecento negli Stati Uniti o quelli degli anni cinquanta in Australia, Svizzera, Belgio: gli italiani sono stati dipinti come subumani, arretrati, infidi, pericolosi, fannulloni, incapaci di adattarsi alla vita civile, malavitosi, sporchi, vendicativi, violenti, ostili. La religiosità dei nostri migranti è stata spesso disprezzata da cristiani di altre chiese come un arretrato guazzabuglio di superstizioni e strane credenze. Ma le loro braccia erano indispensabili nelle miniere, nelle fabbriche, nell'edilizia.
Migranti economici
L'agenda europea sull'immigrazione, entrata in vigore nel settembre 2015, divide l'umanità in viaggio in due categorie: profughi e migranti economici. Le direttive impongono che la distinzione venga fatta a poche ore dall'arrivo, vanificando il diritto internazionale in materia di asilo. I migranti vengono divisi grossolanamente, secondo il paese di provenienza e non è possibile valutare i singoli casi. Una triste selezione, sulla pelle di esseri umani che hanno speso tutto, affrontato pericoli di ogni sorta e trascorso mesi e a volte anni duri per arrivare. Per coloro che vengono schedati come migranti economici, la maggioranza, non c'è speranza. Non sono più persone ma illegali, sans-papiers, clandestini; umanità da espellere, schedata, giudicata colpevole di un crimine che in natura non esiste e nemmeno nel decalogo biblico, un “reato” inventato forse con l'istituzione delle frontiere. Ai valichi questi esseri umani vengono identificati, schedati, fotografati, le loro impronte digitali vengono immesse in una banca dati e il loro destino è così segnato. Questo è il vero compito di Frontex, il motivo degli odiosi hot-spot.
Nel mondo globalizzato delle multinazionali merci e denaro hanno un diritto prepotente, assoluto alla circolazione e chi tenta di ostacolare questo mantra, fosse anche per ragioni di sopravvivenza o di salute pubblica, viene preso d'assalto da istituzioni illiberali come l'Organizzazione Mondiale del Commercio e quasi sempre costretto a capitolare, sbranato, perché il commercio è sacro e gli affari sono affari. Gli esseri umani, invece, non hanno la stessa libertà di movimento di merci e capitali. Solo ricchi e benestanti, col conto in banca e il passaporto giusto, possono viaggiare senza problemi.
Ai poveri il visto non è concesso, non possono muoversi
o possono farlo solo nella misura in cui fanno comodo, come
forza-lavoro da sfruttare e schiavizzare, chi arriva senza permesso
è un clandestino.
Clandestini
Mi ha sempre ferito l'uso di questa parola disumanizzante per indicare i migranti stranieri, etichetta appiccicata come un marchio di infamia che diventa impossibile togliersi di dosso. Mi sono a volte domandato come potessero essere “clandestini” quei lavoratori, ben visibili, che passano dodici ore al giorno in un campo, a raccogliere pomodori sotto il sole a picco. O quelle donne che dormono in stanzette nelle nostre case e trascorrono giornate, mesi, anni a pulire la nostra sporcizia e ad assistere i nostri vecchi. Potranno al limite essere irregolari e a me pare che la colpa di quella irregolarità sia da attribuirsi alle norme sbagliate e ai datori di lavoro che sfruttano la situazione.
È la legge a creare il clandestino. Il termine però si è infiltrato come un virus nel nostro vocabolario e ci ha infettati. Ho assistito a scene paradossali come quella volta che, su un autobus, durante un banale litigio per un posto a sedere, una signora italiana chiese infuriata alla donna straniera con cui stava discutendo di mostrarle il suo permesso di soggiorno. Con gli stranieri arriviamo a sentirci poliziotti o, peggio, sceriffi.
Molti studi seri in materia concordano sul fatto che i flussi migratori tendono ad autoregolarsi: se lasciati liberi di muoversi i poveri vanno dove c'è lavoro. Chi parte per migliorare la propria condizione economica non ha interesse a fermarsi in un paese senza prospettive. Per questo negli ultimi anni in Italia i migranti economici sono diminuiti e la penisola è diventata più che altro luogo di transito, porta di ingresso verso l'Europa. Secondo studi recenti oggi, da noi, si fermano soprattutto le donne dei paesi dell'est, che lavorano come badanti. Ma ci sono anche migranti “storici”, come i filippini, che stanno lasciando il paese per andare a cercare lavoro altrove.
Ma le condizioni economiche mondiali stanno peggiorando, gli
effetti devastanti delle politiche neoliberiste e dei cambiamenti
climatici spingono milioni di nuovi disperati sulle rotte dei
migranti mentre l'Europa si presenta sempre più come
fortezza invalicabile. l'Italia sta addirittura rafforzando
le misure di contenimento e progetta di costruire nuovi centri
di detenzione, vergogna del paese e buon affare per costruttori
e gestori di prigioni. Tuttavia il Consiglio d'Europa la rimprovera
di non fare abbastanza.2
L'Italia non s'è desta
Italia, da paese di migranti a paese di migrazioni: è una storia già vecchia di quarant'anni eppure se ne parla ancora come se gli stranieri fossero appena arrivati, quasi ci fossimo svegliati al mattino sorpresi dalla loro presenza. Sulle politiche migratorie, la regolamentazione dei flussi, tutti i governi hanno fallito.
La maggioranza dei cittadini stranieri che oggi vive e lavora in Italia è stato un tempo irregolare. Dopo ogni ondata migratoria i governi hanno dovuto prendere atto della realtà e approvare sanatorie che hanno fatto emergere i lavoratori stranieri dalla clandestinità in cui la legge li aveva sospinti.
I dati del Ministero dell'Interno mostrano che gli immigrati
regolari non delinquono in misura diversa dagli italiani, mentre
i cosiddetti clandestini commettono molti reati, da ricondurre
spesso alla loro stessa condizione di irregolarità. Se
ne deduce che le sanatorie, accogliendo i migranti nella comunità,
hanno fatto molto più, in termini di sicurezza e tranquillità
sociale, di tutte le attività di repressione della polizia
e delle ridicole ronde padane. Invece la norma, iniqua e cattiva,
che ha collegato il diritto di soggiorno alla stabilità
del posto di lavoro,3 ha creato
nuova disperazione, facendo scivolare nella clandestinità
tanti stranieri che erano regolari ma che, con la crisi economica,
hanno perso il lavoro e, di conseguenza, il permesso di soggiorno.
Umanità vista solo come forza-lavoro, da scaricare quando
non ce n'è più bisogno.
Libertà di movimento
Credo che ogni essere umano abbia diritto a spostarsi liberamente, per cercare altrove protezione o anche solo migliori prospettive di vita, proprio come hanno fatto decine di milioni di italiani nel corso di tutta la storia nazionale. Questa convinzione trova conforto giuridico nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Credo anche che, a chi parte dai paesi poveri per cercare lavoro
in quelli ricchi, dovrebbe essere riconosciuto un maggior diritto
alla migrazione, perché dietro c'è una storia
che ci rende oggettivamente responsabili, anche se non vogliamo
prenderne atto, una correlazione fra la povertà dei paesi
di partenza e la ricchezza di quelli di arrivo: invasioni, spoliazioni,
colonialismo, post-colonialismo, imperialismo, neoliberismo
e globalizzazione hanno fatto sì che la ricchezza dei
paesi industrializzati sia anche frutto di rapine storiche,
sfruttamento, schiavizzazione e regole inique. La rilettura
di un classico di Eduardo Galeano: “Le vene aperte dell'America
Latina”,4 fornisce in merito
importanti spunti di riflessione.
Allora, se proprio debbono esservi delle regole, queste devono tendere a facilitare una migrazione fatta alla luce del sole piuttosto che impedirla. La fortezza europea deve abbattere i muri e aprire le porte. Su almeno quattro punti è necessaria una rivoluzione politica e culturale.
Primo, l'impianto dell'accordo di Schengen che regola gli ingressi deve essere smantellato. Chi vuole migrare in Europa alla ricerca di lavoro deve potervi entrare facilmente e legalmente.
Il secondo punto, connesso al precedente, riguarda la burocrazia dell'immigrazione, che deve essere totalmente riformata e orientata all'accoglienza, con operatori e mediatori culturali da individuare fra gli stessi stranieri. La questione migranti non deve più essere immaginata come un problema di ordine pubblico da affidare alla polizia, totalmente impreparata sul piano culturale anche dopo quarant'anni.
In terzo luogo si deve investire nelle politiche dell'accoglienza, dell'integrazione nel rispetto delle differenze, con percorsi per l'inserimento nel mercato del lavoro, facilitazioni nei ricongiungimenti familiari, rimozione degli ostacoli alla libertà di culto e alle altre manifestazioni culturali delle comunità straniere. Come è stato fatto in altri paesi con forti flussi migratori, si devono valorizzare i molti aspetti positivi di una società che diventa multiculturale. Somme enormi potrebbero essere canalizzate sulle politiche dell'accoglienza disinvestendole da quelle securitarie.
Il quarto punto riguarda la rimozione degli ostacoli all'acquisto della cittadinanza per i migranti e per i loro figli che, ancora oggi, nascono in Italia da stranieri.
Speranza
Mi fanno male e mi riempiono di angoscia e di rabbia le immagini dei migranti picchiati per le strade di Parigi, dei campi sgomberati con la violenza a Calais o a Lesbo, nell'indifferenza generale. Mi addolora la disperazione di quei giovani respinti, cacciati da un paese all'altro. Mi feriscono le carceri per stranieri in Italia, le gabbie per migranti in Ungheria. Un velo nero e triste di intolleranza si sta spandendo sull'Europa.
I migranti, certo, hanno sempre portato con sé contraddizioni e conflitti, è inevitabile, ma rappresentano anche il dinamismo della storia e stimolano le culture a rinnovarsi. Le migrazioni attraversano tutta la storia umana e nessuna politica le può davvero fermare. Oltre la semplice solidarietà, per chi non cada nella trappola di rifugiarsi dietro un'inesistente identità nazionale, i migranti rappresentano anche una speranza.
Un pensiero che mi ha riassunto un amico di vecchia data, operatore sociale in un penitenziario italiano e quindi, necessariamente, a contatto con tanti stranieri finiti nelle maglie della giustizia. Qualche tempo fa mi scrisse dal suo carcere: “nella solidarietà che esprimo nei confronti dei migranti vedo anche una speranza. Il razzismo brucerà come un fuoco di paglia mentre quelli che incontro, che parlano fitto in slavo o bengalese, che ridono e si salutano, sono vivi e forti, molto più dei pigri, viziati e demotivati italiani, stanchi ormai anche dei loro stessi stereotipi. Forse loro cambieranno l'Italia in meglio”.
Renzo Sabatini
- Il testo esatto scritto a grandi caratteri, era: “Immigrati clandestini: torturali! È legittima difesa”.
- Nel marzo 2017 Tomas Bocek, rappresentante del segretariato generale del Consiglio D'Europa per le migrazioni e i rifugiati, ha detto: “le debolezze del sistema italiano dei rimpatri volontari e delle espulsioni forzate rischia di incoraggiare l'afflusso di migranti economici irregolari”. Dovrebbero ribattezzarlo Segretariato CONTRO le migrazioni. Nello stesso periodo il Ministero dell'Interno ha annunciato che i nuovi CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione), si chiameranno CPR (Centri Permanenti di Rimpatrio). Cambiare nome alle istituzioni controverse lasciando le cose immutate è un'antica strategia che si applica da sempre anche ai servizi segreti.
- La cosiddetta Bossi-Fini del 2002.
- “Las venas abiertas de America Latina”, 1971. Nella prima edizione italiana pubblicata da Einaudi nel 1976 il titolo era: “Il saccheggio dell'America Latina”.
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