chiesa cattolica
“Il mio nome è Bergoglio, Jorge Mario Bergoglio”
“Si avvisa che in occasione
della visita pastorale del Santo Padre le linee della
metropolitana subiranno...”
Così hanno ripetuto per tuttala giornata di sabato
25 marzo i microfoni della metro milanese. Che non ci
risulta essere gestita dal Ministero dei Trasporti della
Città del Vaticano.
Un'azienda al servizio dei cittadini.
Sulle banchine c'erano sicuramente dei cattolici, forse
dei cristiani non cattolici, di sicuro almeno un ateo,
di sicuro dei musulmani (a volte l'abito fa il monaco...),
ecc.
Una piccola prevaricazione. Minima, se vogliamo. Ma indicativa
di quella più generale, strabordante, asfissiante,
quotidiana, ubiqua sovraesposizione mediatica della chiesa
cattolica e in particolare del papa, di questo papa, Francesco
come tutti lo chiamano amichevolmente.
Per noi è il signor Jorge Mario Bergoglio, Santo
Padre per chi se ne ritiene figlio a prescindere dalla
carta d'identità. E così vorremmo fosse
chiamato dai mass-media.
Leggetevi lo scritto qui di seguito di Federico Tulli,
giornalista (Left, Micromega, Critica liberale, ecc.)
e scrittore (più di duemila pagine su chiesa e
pedofilia), intervistato la scorsa estate su “A”
409 da Francesca Palazzi Arduini proprio sulla pedofilia
nella chiesa cattolica.
Una presenza invasiva e insopportabile, quella cattolica
nei media. Che avviene quotidianamente nel generale prostrarsi
di quasi tutti. A opporvisi siamo davvero in pochi.
La redazione di “A” rivista
anticlericale (e anarchica)
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Opera di street art di Maupal |
chiesa cattolica
La santa comunicazione
di Federico Tulli
Lo stile Bergoglio è unico. E ha impattato fin dall'inizio del suo papato con la comunicazione esterna della chiesa cattolica. In un mondo genuflesso ai piedi del papa “venuto dalle periferie”, non su tante riviste laiche e di sinistra si può trovare oggi uno scritto che non fa sconti a nessuno. Demistificando l'immagine di uno stregone moderno abilissimo nel giocare con i media, anche quelli new.
La nuova era della comunicazione
vaticana è iniziata il 13 marzo 2013, con poche semplici
parole: «Fratelli e sorelle... buonasera». L'argentino
Jorge Mario Bergoglio si presentò così al mondo
dei fedeli cattolici, dopo aver scelto il nome di Francesco,
lui gesuita, cosa che mai nessun papa aveva fatto prima.
L'11 febbraio, Benedetto XVI aveva improvvisamente abdicato,
piegato sotto il peso degli scandali planetari provocati dagli
intrighi interni alla Curia romana e dalla malagestione della
finanza vaticana e di decine di migliaia di casi di pedofilia.
Scandali che gli erano arrivati fino in casa avendo lambito
anche il fratello, mons. Georg Ratzinger, direttore del coro
delle piccole voci bianche della cattedrale di Ratisbona. La
Chiesa ereditata da papa Francesco scricchiolava da tutte le
parti. Durante gli otto anni del pontificato di Benedetto XVI,
decine di migliaia di fedeli nel mondo occidentale le avevano
voltato le spalle indignati e disgustati. Iniziando a devolvere
le loro offerte, a intestare i loro testamenti e così
via ai rappresentanti di altre Chiese giudicate più credibili,
affidabili e coerenti con la dottrina cristiana. Il caso più
significativo è rappresentato dall'Irlanda. In sette
anni, dal 2005 al 2012, i cittadini di fede cattolica sono diminuiti
considerevolmente, passando dal 69 al 47 per cento della popolazione.
Nonostante le scuse pubbliche pronunciate nel 2010 da papa Benedetto
XVI tramite la famosa Lettera pastorale agli irlandesi, la credibilità
e la reputazione della Chiesa di Roma era ormai profondamente
intaccata. E non solo agli occhi degli irlandesi che peraltro
erano scioccati dalle conclusioni di due inchieste governative
su oltre 30mila abusi accertati nelle parrocchie, negli oratori,
nelle scuole lungo tutto l'arco del secondo Novecento.
Questo era in estrema sintesi lo scenario in cui Bergoglio cominciò
a muovere i primi passi da pontefice. E come se nulla fosse,
nonostante i Vatileaks, tra le sue prime dichiarazioni affermò
di voler proseguire l'opera del suo predecessore nella battaglia
contro il “male”. Questa idea di continuità
non gli impedì di guadagnarsi in poco tempo l'appellativo
di “rivoluzionario”. Ottenendo specie in Italia
un'apertura di credito incondizionata anche da ambienti politici
e del mondo dell'informazione tendenti a sinistra o quanto meno
non dichiaratamente conservatori.
Ne consegue, quotidianamente, una esaltazione del personaggio
Bergoglio che non tiene conto dell'inapplicabilità di
una visione laica, che parta cioè dal rispetto dei diritti
inalienabili della persona, a un'organizzazione come quella
della Chiesa cattolica che per sua natura e cultura si oppone
a questi stessi princìpi. Ci si chiede infatti come si
può definire “rivoluzionario” un capo eletto
da una ristretta casta di soli uomini e che detiene al tempo
stesso il potere legislativo, esecutivo e giudiziario come un
qualsiasi dittatore o un monarca del '700.
La pretesa che ogni ecclesiastico ha, dal pontefice in giù
fino all'ultimo dei sacerdoti, di mostrarsi come guida morale
della società si scontra con questo, oltre che con la
storia poco edificante della religione che rappresenta. Una
storia millenaria di intolleranze verso le altre religioni e
di inaudite violenze psicofisiche soprattutto contro le donne
e i bambini. Ma ai politici e ai giornalisti italiani è
bastato sentir dire «fratelli e sorelle... buonasera»
per annullare tutto. Come è potuto accadere? Oppure,
al contrario, è vero che stiamo assistendo a una “rivoluzione”?
Proveremo a orientarci e a rispondere a queste domande, indagando
il pontificato di Bergoglio attraverso alcuni aspetti tipici
del suo linguaggio e di quello delle sue gerarchie.
Ma la chiesa interviene a tutto campo
«Prima di qualsiasi analisi sulla comunicazione vaticana, bisogna aver chiari i principi che riguardano la natura dell'emittente» osserva Tommaso Dell'Era, filosofo della politica presso l'Università della Tuscia di Viterbo. «Alcuni, ricorrenti in qualsiasi tipo di messaggio, definiscono la natura della Santa Sede. Sia nella comunicazione di tipo burocratico-amministrativo, sia negli interventi di membri delle gerarchie o del pontefice che a sua volta può parlare come capo di Stato, leader spirituale o vescovo di Roma, rivolgendosi quindi di volta in volta a pubblici differenti, un punto rimane fermo ed è la pretesa del possesso della verità».
Questo è un elemento fondamentale che si ritrova in tutti i discorsi di carattere spirituale, religioso e spesso anche di carattere politico. Per intenderci, basti pensare all'ingerenza della Conferenza episcopale italiana nelle questioni di inizio e fine vita e agli innumerevoli interventi dei suoi rappresentanti contro l'aborto e il testamento biologico, oppure a sostegno del concetto antiscientifico secondo cui l'embrione sarebbe persona umana.
«A differenza di altre confessioni cristiane e di altre religioni monoteiste - prosegue Dell'Era - la Chiesa interviene a tutto campo per due motivi: primo, perché pretende di possedere il deposito della rivelazione, quindi della verità che dio ha dato agli uomini, e di avere il dovere di conservarlo. Dietro c'è anche la convinzione di avere il compito di evangelizzare. Che nella confessione cattolica è declinato in maniera molto più sistematica di altre religioni e altri tipi di confessioni. Secondo, perché la Chiesa cattolica, oltre a quella religiosa-spirituale e istituzionale, ha una sua dimensione politica specifica, cioè lo Stato Città del Vaticano, che si qualifica come ierocrazia (sistema politico basato sul potere della classe sacerdotale, ndr). Non è infatti irrilevante l'ambiguità di una struttura in cui il papa è allo stesso tempo leader religioso di circa un miliardo di persone, e capo di Stato di qualche centinaio di cittadini. Questo ci aiuta a capire perché la Santa Sede o anche il papa, in occasioni di carattere spirituale, come l'angelus della domenica o in alcune omelie a Santa Marta, interviene su questioni generali oppure più specifiche, per esempio di carattere politico che con la spiritualità hanno poco a che fare».
Un altro elemento essenziale è il principio gerarchico. «Compare ed emerge in varie forme. Ed è sempre presente nei messaggi che vengono inviati ai fedeli mediante l'invito a sottomettersi, a sottoporre cioè la propria vita morale alle regole stabilite dalla gerarchia cattolica». Ovviamente non si tratta di un messaggio esplicito e così diretto. «Il caso classico consiste nel ricorso a metafore che sono sicuramente di natura evangelica. Per cui i sacerdoti e in particolare i vescovi e le gerarchie, vengono equiparati ai pastori e i fedeli al gregge. L'esempio massimo è la figura del papa che è pastore della Chiesa universale».
Un ulteriore principio che ritroviamo a tutti i livelli è il culto della personalità del papa. «Il pontefice - sottolinea Dell'Era - è considerato il rappresentante di dio in terra, il vicario di Cristo in terra, e a lui ci si rivolge con una serie di epiteti tra cui Sua Santità. In questo modo lo si dichiara santo ancora prima della morte. Ponendolo su un livello irraggiungibile per qualunque persona normale. E da questo punto di vista Bergoglio ha attuato una strategia personale».
Vale a dire? «Avvicinandosi alla gente sin da subito ha compiuto alcuni gesti finalizzati a rendere la sua figura più accessibile» “Fratelli e sorelle... buonasera”, appunto. Sarebbe questa la rivoluzione? «Assolutamente no. Basta guardare oltre l'immagine superficiale di papa Francesco che si fa un selfie con qualche seguace per scoprire che non ha rinunciato nella maniera più assoluta né alle sue prerogative di potere né alla sacralizzazione della sua funzione e della sua persona. A partire dal giorno della sua elezione la propaganda che si scatena ogni volta che appare in pubblico è identica a quella che si è occupata dei suoi predecessori. Essendo finalizzata a creare un'immagine apologetica e una figura che contiene in sé un'eccezionalità anche quando il papa è una persona “normale”. Lo dico tra virgolette perché normale il papa, visto il potere che detiene, non lo è mai. Si tratta di un'eccezionalità che viene riferita alla dimensione soprannaturale». Il pontefice argentino punta molto più dei suoi predecessori sull'aspetto pastorale. Da un lato appare quindi meno preoccupato del rispetto delle regole e dei dogmi e dall'altro più attento alla cura che la Chiesa deve avere nei confronti delle persone.
La dimensione comunitaria
«Sempre però partendo dalla prospettiva di pastore-pecore, quindi di chi possiede la verità ed è in contatto con dio. Lui è un sacerdote e gestisce il sacro, cosa che i comuni fedeli non possono fare, nonostante il ruolo dei laici nella Chiesa cattolica». Insomma, da questo punto di vista sono lontani i tempi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. «Il cambiamento di marcia è evidente. Con Bergoglio - spiega Dell'Era - non si tratta più solo di presentare dei principi e di insistere sulla dottrina della fede come ha fatto per decenni Ratzinger quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede agli ordini di Woytjla. E nemmeno di combattere il comunismo e di riaffermare la posizione cattolica nei confronti della sessualità.
La strategia di papa Francesco, senza rinunciare a quei principi che con Ratzinger e Woytjla erano sempre in primo piano insieme ad alcune novità fondamentali nella comunicazione del papa polacco, consiste nell'andare incontro ai fedeli cercando di sottolineare l'aspetto della dimensione comunitaria, e di evidenziare le risposte che la Chiesa può dare ai problemi concreti e reali delle persone». Questa strategia fa il paio con le azioni di propaganda che servono a spostare l'attenzione dai problemi reali della Chiesa. «Ad esempio, il sinodo avrebbe dovuto parlare principalmente degli abusi del clero, vera questione al centro della crisi, e invece si è insistito molto, tra gli altri e a livello di comunicazione, sul tema dei divorziati-risposati. Sui giornali quasi non si è parlato d'altro. Si sposta l'attenzione su questi temi più “vicini” alle persone (e meno pericolosi per l'istituzione) anche a costo di perdere qualcosa dal punto di vista dottrinale per guadagnare fedeli». In questo contesto si inserisce la creazione da parte di papa Francesco della Segreteria per la comunicazione avvenuta con motu proprio del 27 giugno 2015.
Istituita all'interno del quadro normativo della Pastor bonus che era la legge fondamentale di riforma della curia romana emanata da Giovanni Paolo II - a ulteriore riprova che finora c'è poco di rivoluzionario nella prassi di Bergoglio - la Segreteria rappresenta il nodo di tutto ciò che all'interno della Santa Sede e del Vaticano riguarda la comunicazione. «Ha una funzione di coordinamento dei diversi strumenti di comunicazione (dall'Osservatore romano, alla Radio Vaticana, ai social media, nda) e la sua creazione è dettata dalla necessità di controllare al meglio e di uniformare l'informazione, la comunicazione e i messaggi istituzionali. L'obiettivo è evitare contraddizioni, confusioni, ambiguità e così via e restituire un'immagine il più possibile positiva dell'istituzione, definita come santa nel Credo. Tra le figure apicali della Segreteria Bergoglio ha introdotto dei laici e delle donne. Siamo lontani dall'assistere a una rivoluzione copernicana ma è comunque un interessante elemento di novità da segnalare».
Tutti gli devono obbedienza, perché...
Tutto questo ovviamente non risolve i problemi strutturali della Chiesa, tanto meno quelli della Curia romana. Pertanto capita che la propaganda messa in atto dalla Santa sede possa servire anche a preservare la figura del papa dalle critiche, sia all'interno che all'esterno della Chiesa. «Il pontefice va sempre difeso e la sua aurea d'intoccabilità o infallibilità sempre tutelata» spiega Dell'Era. «La comunicazione vaticana lo fa in una maniera spesso non esplicita ma lo si riconosce dal gioco delle parti che va in scena quando la situazione è a rischio. Sono i casi in cui il pontefice sfrutta la sua prerogativa di potere assoluto per scaricare sui suoi immediati sottoposti la responsabilità di una serie di azioni che spesso dipendono da sue decisioni o dal suo ruolo». Un esempio ci viene fornito dalla comunicazione relativa agli abusi sui minori.
«A Francesco è stato attribuito sin dai primi giorni del suo pontificato il ruolo di personaggio che comunque cerca di cambiare la Chiesa. Quindi se qualcosa non funziona è perché c'è chi all'interno dell'istituzione e anche del suo entourage vuole bloccare e sabotare la sua azione riparatrice». È questa la tesi che va per la maggiore sui media italiani. «Una tesi che “dimentica” che le direttive spettano in primis a Bergoglio. Certo lui non governa tutto il mondo della Chiesa in prima persona, tuttavia è primo responsabile di quel che accade o non accade. Non è neanche questo personaggio indifeso e ingenuo attorno a cui si svolge tutta una serie di macchinazioni da parte di cospiratori malvagi». Molti sono collaboratori scelti da lui, a cominciare dal super ministro dell'economia, il cardinale Pell, nei guai in Australia per la pedofilia. Ad altri, come mons. Vallejo Balda nel caso Vatileaks II, dopo averli condannati per aver tradito la sua fiducia ha concesso la grazia.
Dopo l'analisi della natura della Santa Sede passiamo a osservare le specificità della struttura.
«La Santa Sede - ribadisce Dell'Era - è una monarchia assoluta governata da una casta maschile celibe di circa 200 cardinali. Il papa detiene il potere assoluto nella Chiesa cattolica e nella dimensione politica riassume i tre poteri nella sua persona esercitati generalmente tramite delega (legislativo, esecutivo e giudiziario).
Tutti gli devono obbedienza attraverso le vie gerarchiche. Il pontefice è colui che insieme a quella casta decide le regole morali a cui si devono attenere loro stessi, il clero e soprattutto l'enorme numero di fedeli nel mondo. La prima conseguenza di una struttura organizzata in questo modo è la mancanza di trasparenza che nell'informazione e nell'attività giudiziaria della Santa Sede raggiunge i livelli più elevati. Perché a monte c'è l'idea che il papa, cioè la Chiesa cattolica, non deve giustificarsi con nessuno di ciò che fa e dice. Delle proprie azioni e decisioni il pontefice risponde solo a Dio e a se stesso al di là della coerenza con le cosiddette sacre scritture, la tradizione e il magistero della Chiesa su cui bisognerebbe dire molto altro». Di nuovo usiamo come esempio la Lettera pastorale di Benedetto XVI ai cattolici dell'Irlanda (19 marzo 2010).
Il segreto e l'assenza di trasparenza
Annunciata a dicembre del 2009, questa Lettera doveva servire
a “riparare” mezzo secolo di violenze rilevate da
due inchieste governative - denominate Rapporto Ryan e Rapporto
Murphy - concluse tra maggio e novembre dello stesso anno. In
particolare, il cosiddetto Rapporto Ryan aveva esaminato gli
abusi avvenuti in tutta l'Irlanda nelle istituzioni gestite
dalla Chiesa cattolica (scuole, seminari e così via),
mentre il Rapporto Murphy si era occupato delle violenze all'interno
della diocesi di Dublino. In totale, si tratta di cinque volumi
e oltre 2.500 pagine che documentano le azioni criminali di
più di mille sacerdoti compiute nei confronti di circa
30.000 bambini per oltre 50 anni dal 1945 in poi. Giova ricordare
che stiamo parlando di un Paese la cui popolazione sfiora oggi
i 4,5 mln di abitanti.
La commissione guidata dal giudice Yvonne Murphy scrive nel
Rapporto che, quando gli abusi sono venuti alla luce, la Chiesa
ha dichiarato di non averli affrontati con la giusta determinazione
perché «non aveva ancora compreso l'entità
del problema». Una giustificazione ritenuta infondata
dalla Murphy. Alle autorità ecclesiastiche interessava
soprattutto «mantenere il segreto, evitare gli scandali,
proteggere la reputazione della Chiesa e conservare intatto
il suo patrimonio. Tutte le altre considerazioni, compreso il
benessere fisico e psicologico dei ragazzi e la giustizia per
le vittime, erano subordinate a queste priorità».
A ulteriore prova di quanto affermato fino a ora c'è
una lettera “strettamente confidenziale” datata
31 gennaio 1997, venuta alla luce nel 2011 nell'ambito di una
nuova indagine governativa su fatti di pedofilia accaduti nella
diocesi irlandese di Cloyne tra il 1996 e il 2009. Nella missiva
il nunzio apostolico a Dublino, cioè l'ambasciatore della
Santa Sede cardinale Luciano Storero, avvertiva i vescovi irlandesi
che il Vaticano ha «forti riserve» sulla segnalazione
obbligatoria alla polizia dei casi di abusi sessuali commessi
da esponenti del clero. E ancora, il 20 luglio 2011, addirittura
il premier irlandese, Enda Kenny, affermò in un drammatico
discorso in Parlamento davanti alla Camera Bassa, dopo la conclusione
dell'indagine governativa: «Il rapporto della commissione
Cloyne ha evidenziato il tentativo della Santa Sede di bloccare
un'inchiesta in uno Stato sovrano, non più tardi di tre
anni fa, non trent'anni fa». Per poi aggiungere: «Il
Rapporto Cloyne fa emergere la disfunzione, la disconnessione
e l'élitarismo che dominano la cultura del Vaticano.
Lo stupro e la tortura di bambini sono stati minimizzati per
sostenere, invece, il primato delle istituzioni, il suo potere
e la sua reputazione». Quanto descritto fin qui è
accaduto durante il pontificato di Benedetto XVI. Con papa Francesco
nulla è cambiato.
«Il segreto e l'assenza di trasparenza - sottolinea Dell'Era
- sono presenti anche in questioni che non rientrano in quella
particolare categoria di situazioni che normalmente i governi
definiscono segreti di Stato». Un caso tipico è
il segreto pontificio che vincola l'istruttoria, i processi
penali agli ecclesiastici accusati di abusi e le relative sentenze
emanate dalla Congregazione per la dottrina della fede.
Ma la segretezza della Santa Sede - che porta con sé
l'idea di superiorità della legge divina su quella terrena
che è ben radicata nella mentalità cattolica non
solo a livello istituzionale - è stata toccata con mano
fin anche dalle Nazioni Unite. Precisamente nel 2014, quando
gli ambasciatori di papa Francesco presso le Nazioni Unite hanno
opposto un netto rifiuto a due diversi Comitati Onu (per i Diritti
dell'infanzia e dell'adolescenza, e Contro la tortura) che chiedevano
la lista con i nomi dei circa 900 sacerdoti pedofili ridotti
allo stato laicale nel decennio precedente dopo essere stati
condannati dalla Congregazione per la dottrina della fede, ed
espulsi dalla Chiesa.
La Rai, genuflessa e complice
E qui arriviamo ad un altro fattore chiave: la tutela del clero.
«Nonostante quello che vuol far credere Bergoglio, anche la “sua” Chiesa è attraversata, intrisa, imbevuta di clericalismo. Il primo referente della comunicazione vaticana è il clero e l'obiettivo è quello di sostenerne l'immagine e il buon nome». Di qui passiamo a un altro elemento cardine che è la mentalità clericale. «Purtroppo - osserva Dell'Era - questa mentalità è penetrata profondamente anche nella comunicazione di tipo laico in Italia. Come ricordano gli studiosi, dato che per quattro secoli in età moderna e contemporanea i papi sono stati quasi tutti italiani, il nostro Paese è divenuto una terra “privilegiata” di destinazione del messaggio e di formazione della coscienza collettiva. Oggi abbiamo i principali quotidiani che quando scrivono del papa usano l'epiteto “sua santità” o analoghi, accettando acriticamente la dimensione clericale che è insita in questa terminologia».
In Italia quasi non esiste informazione sulle cose di Chiesa indipendente dalla Chiesa stessa. Tutte le notizie principali (politica, economia, finanza e scandali) che passano attraverso media e stampa generalisti sono infatti veicolate dai “vaticanisti”, giornalisti cioè accreditati e formati presso la Sala Stampa vaticana. Nonostante le chiese vuote e dismesse, il calo inesorabile dei battesimi e dei matrimoni concordatari, l'aumento dei divorzi e delle convivenze, gli esoneri crescenti dall'ora di insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, la pesante ingerenza della Santa sede e della Conferenza episcopale nella vita socio-politica rimane costante. E qualunque cosa dica (o abbia fatto in passato nel suo Paese) papa Francesco ci viene proposto in maniera acritica e senza alcun contraddittorio. Complice la politica genuflessa ma complice anche la Rai, in primis, che svilisce il ruolo di servizio pubblico di uno Stato laico ingolfando di fiction su papi e preti e di papi e preti i suoi programmi di intrattenimento e informazione. E complici i media generalisti che tranne rari casi (il Corsera ad esempio, riguardo l'affaire Ior) raccontano in maniera del tutto parziale, cioè solo dal punto di vista della Chiesa, le situazioni di criticità che riguardano tutto ciò che accade all'interno e in “prossimità” delle mura leonine. E poi ci sono i giubilei e le beatificazioni. Veri e propri strumenti di auto promozione a spese del contribuente italiano che oramai vengono utilizzati con scadenze sempre più ravvicinate.
«Non va dimenticato che oltretevere la mentalità clericale trova una delle sue massime espressioni nella confusione tra peccato e reato riguardo la vicenda degli abusi sui minori», osserva Dell'Era in conclusione. E anche qui il giornalismo italiano si lascia raramente sfuggire l'occasione di dimostrare quanto ne sia intriso. L'ultimo in ordine di tempo è Emiliano Fittipaldi con il suo libro “Lussuria” uscito di recente per Feltrinelli e considerato un atto d'accusa verso l'inefficacia della battaglia di Bergoglio contro la pedofilia clericale. Il concetto di “abuso” è il nodo centrale di questo fenomeno. Prima che una violenza efferata contro una persona «l'atto sessuale di un chierico con un minore» è ritenuto un'offesa a Dio. Se accade nell'ambito della confessione, è un'offesa al Sacramento.
Nonostante tante chiacchiere, la pedofilia è...
L'abuso in sostanza è un “atto impuro” (VI Comandamento), cioè un peccato. Seppur annoverato tra i delitti più gravi, secondo la visione degli appartenenti al clero si tratta di un crimine contro la morale. “Abuso morale” lo ha definito Benedetto XVI nel 2013 e di recente anche papa Francesco nella premessa all'autobiografia di una vittima di sacerdote pedofilo.
Una visione con cui il libro-inchiesta di Fittipaldi sembra essere in sintonia inducendo sin dal titolo a confondere peccato e reato in un pericoloso equivoco, osserva Cecilia M. Calamani, direttrice del magazine online Cronache Laiche: «Se da una parte le accuse alla Chiesa del giornalista sono durissime e senza possibilità di replica (basti pensare ai curricula di insabbiatori di abusi dei tre più fidi uomini di Bergoglio, i cardinali Pell, Maradiaga ed Errázuriz, o alle accuse, sempre rivolte a papa Francesco, di tradire nei fatti la tolleranza zero che declama a parole), dall'altra quel filo ambiguo che si evince dal titolo permane in tutto il libro, a suggerire una confusione tra peccato e reato che può trarre in inganno, in alcuni tratti, il lettore meno accorto. Il problema, sembra banale rimarcarlo, non è morale ma penale. Eppure nel testo varie ambiguità inquinano il messaggio e ribaltano la prospettiva criminale nella quale si colloca dando l'idea che la pedofilia sia un problema interno alla Chiesa perché insito nel tradimento dei suoi valori.
Torniamo, cioè, all'infrazione del VI comandamento, che pericolosamente accomuna pedofili, omosessuali e preti che nonostante il voto di castità non vogliono rinunciare ai piaceri della carne». Passaggi come «condannato a più di quattro anni da un pm italiano che ha individuato più di un centinaio di peccati capitali» o «gli investigatori stanno indagando su una sessantina di possibili atti di lussuria» o ancora definire «preti lussuriosi» pedofili o frequentatori di saune gay o ricattatori a sfondo sessuale, nota Calamani, «sono licenze che confondono il lettore portandolo a inserire nella stessa categoria etica stupratori di bambini, libertini o comuni delinquenti. Ma soprattutto, rendono labile quel confine, ben netto invece, tra codice penale e regole religiose». La Chiesa ha la sua ideologia e non è né un'istituzione laica né, come abbiamo visto, un'istituzione che fa della trasparenza dell'informazione uno dei suoi capisaldi, ma chi ne è fuori e lavora con le parole dovrebbe più di altri usare un linguaggio coerente con la realtà nella sua interezza.
E la realtà dice senza appello che la pedofilia non è un'offesa alla castità, non è un delitto contro la morale, non è il Male. Non è lussuria. L'abuso non è un rapporto sessuale tra due persone che si lasciano andare ma è pura violenza agita da un adulto nei confronti di un bambino “scelto” lucidamente dal suo violentatore. Il pedofilo non prova alcun desiderio, è totalmente anaffettivo. La vittima, in quanto in età prepuberale, non ha e non può mai avere né sessualità, né desiderio.
Pertanto, come afferma lo psichiatra Massimo Fagioli, «la pedofilia è l'annullamento della realtà umana del bambino».
Federico Tulli
Sia
fatto il tuo video
Non
è certo tanta, ma c'è gente cui non sta
bene la vera e propria invasione dei mezzi di comunicazione
da parte della Chiesa Cattolica. Tra questi, Critica
liberale (“trimestrale di sinistra liberale”)
che ogni anno dedica ampio spazio alla presentazione del
rapporto sulle confessioni religiose e tv e del rapporto
sui telegiornali. Nel numero che abbiamo in mano, quello
dell'inverno 2015, sono pubblicati i dati dei –
rispettivamente – 5° e 6° rapporto. Decine
e decine di pagine di dati e di commenti. Illuminanti.
Avremmo voluto riprodurre un po' di tabelle, elenchi,
dati, che meglio di tante chiacchiere ci parlano di questa
invasione mediatica cui corrisponde uno stordimento delle
coscienze, un vero e proprio attacco alla sopportabilità,
prima ancora alla libertà. Libertà di vivere
senza dover sapere con chi si sia incontrato oggi il papa,
che cosa abbia detto, quali progetti abbia, ecc. E via
via per li rami, il vescovo di Trapani, il monsignore
tal dei tali, ecc.
Nessuno osa pensare – orrore – a un oscuramento
del Vaticano sulle reti televisive e in genere mediatiche
italiane. Ci basterebbe che se ne parlasse più
o meno come se ne fa all'estero. Non ci riferiamo all'Indonesia
o al Ciad, ci basterebbe la dose francese o spagnola (e
ci riferiamo a paesi “cattolici”).
Qualche dato preso qua e là. Nelle trasmissioni
di informazione e attualità, solo l'1,7% è
dedicato agli scandali vaticani. Nelle puntate di “Porta
a porta” dedicate ad argomenti religiosi nel 2014-2015,
sono presenti 44 cattolici, 5 musulmani, 1 ebreo. Atei
0. Nello stesso periodo le trasmissioni dedicate ad argomenti
religiosi sono aumentate da 355 a 380 ore, e le fiction
con argomento religioso e/o con protagonisti confessionali
sono raddoppiate rispetto all'anno precedente. Raddoppiate,
in un anno.
E non sono che alcuni esempi.
È imminente l'uscita dell'edizione 2017 di questi
rapporti, dedicata al 2016. Visto che c'è stato
anche il giubileo, forse saranno riusciti a superarsi
in peggio. Verificheremo e vi faremo sapere.
Se volete, potete collegarvi direttamente a Critica
liberale: (sito: criticaliberale.it).
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Rolling Stone e Bergoglio/ Il “rock” genuflesso
Già
ci avevano colpito per la scelta di mettere in copertina
Matteo Renzi, un mese prima del referendum dello scorso
4 dicembre. Non proprio il massimo di originalità,
per una rivista che almeno nel titolo ambirebbe a rappresentare
un mondo un po' alternativo.
Ma la redazione dell'edizione italiana di Rolling Stone
ha superato se stessa quando, in occasione della visita
milanese del sig. Bergoglio, lo scorso 25 marzo, gli ha
dedicato la copertina (che riproduciamo qui accanto) e
ha contemporaneamente dato in omaggio a chi acquistava
la rivista, in 100 edicole di Milano, un numero limitato
di magliette apposite per l'occasione, con la scritta
“FRANCESCO PAPA POP” e sul retro “ROLLING
STONE”.
Un'intelligente operazione di marketing, visto che il
numero della rivista, con la maglietta in omaggio, è
stato messo in vendita lungo il percorso tra il carcere
milanese di San Vittore e Monza, dove ha avuto luogo la
messa oceanica riservata ai cattolici della Lombardia.
Far visita alla famiglie dei palazzoni popolari di
Milano Est, pranzare con i detenuti di San Vittore: è
questo lo spirito – scrive la redazione di Rolling
Stone – con cui Papa Francesco arriverà a
Milano il prossimo 25 marzo. Per farlo bisogna partire
dalle periferie, da questi palazzoni anonimi con l'intonaco
scrostato del quartiere Trecca, nella periferia di Milano
est, quasi a ridosso dell'aeroporto di Linate. Dalla periferie
est, Francesco si dirigerà nel centro più
centro della “Milan col cour in man”, che
riconosce nel Duomo e nella Madonnina dorata che svetta
sulla città il suo punto di riferimento.
Gli altri due grandi momenti, gli appuntamenti più
popolari e partecipati della visita, saranno la grande
messa per i fedeli di tutta la Lombardia, prevista nel
Parco di Monza alle tre del pomeriggio. Lungo tutto il
percorso, è possibile trovare l'ultimo numero di
Rolling Stone, la cui cover story è dedicata proprio
al pontefice, insieme a una maglietta in edizione limitata
che inneggia al Papa più alla mano di sempre.
Noi sapevamo che il rock era una cosa “contro”,
contro la morale borghese e bigotta, per i diritti, la
pace, i sogni, l'utopia, dalla parte delle donne ecc.
ecc.
Il sig. Bergoglio, a capo della sua multinazionale, ci
sembra – non fosse che per il ruolo che ricopre
– l'antitesi di tutto ciò. A capo di un'organizzazione
che schiaccia in un angolino le donne, ne contrasta l'emancipazione,
demonizza l'uso del preservativo e favorisce il flagello
dell'AIDS, ha violentato in due millenni schiere di bambine
e bambini, rende quasi impossibile l'aborto pur legge
dello stato, tende a regolare i diritti sociali anche
per chi non faccia riferimento alla propria concezione,
ottiene incostituzionali sovvenzioni per le scuole cattoliche,
e via sfruttando.
Sbattere il papa in copertina può dare i suoi frutti
economici e d'immagine, ma dimostra al contempo come allo
squallore non ci siano limiti in questa società
inginocchiata, anzi prostrata, davanti al potere temporale
dei papi. Che non si vede, forse, ma c'è. Eccome
se c'è.
In Italia più che in qualsiasi altro Paese. Per
nostra disgrazia.
Paolo Finzi |
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