Spagna
Lo sguardo fascista
intervista a Daniela Aronica di Steven Forti
Una mostra a Barcellona racconta l'intervento fascista italiano nella Guerra civile spagnola. Per capire com'è andata mettendosi dall'altra parte. A colloquio con la direttrice del Centro di studi sul cinema italiano nel capoluogo catalano: “Impariamo a difenderci dalla propaganda di regime”.
“Fu la Spagna! Lo sguardo
fascista sulla Guerra civile spagnola”. Questo è
il titolo di una mostra che da novembre a febbraio si è
potuta visitare al Museu d'Història de Catalunya a Barcellona.
E che in questi mesi approderà in diverse città
spagnole per poi sbarcare anche in Italia.
La prima occasione per visitarla nel nostro paese sarà
a novembre di quest'anno a Bolzano. La mostra, il cui catalogo
raccoglie tutte le fotografie e le immagini esposte e che si
avvale dei contributi di due grandi storici del conflitto che
insanguinò la Spagna tra il 1936 e il 1939, come Ángel
Viñas e Morten Heiberg, si inserisce all'interno di un
progetto di ampio respiro, che prevede, oltre che un congresso
internazionale e vari cicli di conferenze, anche la proiezione
di tutti i documentari prodotti dall'Italia di Mussolini sulla
Guerra di Spagna. Si tratta di uno sguardo diverso a proposito
di un conflitto su cui tanto si è scritto, non solo in
sede storiografica. Si pensi alle poesie di Stephen Spenders
o all'indimenticabile Omaggio alla Catalogna di George
Orwell. Ma anche ai film, a partire da Terrà e libertà
di Ken Loach.
Ne parliamo con Daniela Aronica, direttrice del Centro di studi
sul cinema italiano e organizzatrice e curatrice del progetto
“Immagini per la Memoria. Iconografia fascista e guerra
civile spagnola (2016-2019)”, di cui la mostra “Fu
la Spagna! Lo sguardo fascista sulla guerra civile spagnola”,
curata insieme ad Andrea Di Michele, fa parte.
Della Guerra civile spagnola si è scritto molto,
ma sono poche, soprattutto in Italia, le ricerche storiografiche
dedicate all'intervento fascista italiano. Come ti sei avvicinata
a questa tematica?
Sono partita dalla constatazione di questo vuoto storiografico.
Una constatazione che viene da lontano, fin dai miei studi a
metà degli anni Ottanta su cinema e propaganda nella
Spagna di Franco e sulle relazioni tra le due dittature. Più
tardi ritrovai le sceneggiature di L'assedio dell'Alcazar
di Augusto Genina, un film “mutante”, girato in
coproduzione nel 1940. Il film uscì in due versioni,
una per il mercato spagnolo e una per quello italiano, che presentano
- anche rispetto alle sceneggiature rispettive - differenze
rilevanti e rivelatrici di un background non così pacifico
come ci si potrebbe aspettare da due alleati. Ma sulla presenza
dei fascisti italiani in Spagna c'era poco. Soprattutto nella
storiografia italiana. Cominciai quindi a occuparmene in maniera
continuativa proprio allora.
Un intervento sottovalutato (anche dal regime fascista)
La storiografia spagnola invece ha affrontato di più
questa questione, da Ismael Saz a Javier Rodrigo, passando per
Ángel Viñas. E poi c'è il danese Morten
Heiberg. Perché in Italia c'è quasi il vuoto su
una guerra che ha mobilitato circa 80 mila italiani?
Soprattutto per il contesto in cui si sviluppa la ricerca storiografica
seria. Ci fu, comprensibilmente, la valorizzazione immediata
dell'esperienza dei circa tremila italiani delle Brigate Internazionali,
considerati avanguardia nobile della Resistenza del 1943-45.
Dell'intervento fascista italiano invece si è parlato
pochissimo. Persino sotto il regime, che naturalmente ne fece
un uso propagandistico, il racconto di quella guerra non è
stato lineare. Anche perché fu una guerra strana: non
era una guerra di difesa, né di conquista, né
coloniale. Per molti mesi il sostegno a Franco non poté
essere apertamente sfruttato sul piano della propaganda ed era
difficile mobilitare l'opinione pubblica interna facendo leva
solo sulle parole d'ordine della crociata anticomunista. Non
a caso, mentre in Spagna si parla ancora oggi di guerra civile,
in Italia si cominciò presto a chiamare quel conflitto
Guerra di Spagna. Successe quando finalmente Mussolini ottenne
a Santander la vendetta ossessivamente perseguita dopo la sconfitta
di Guadalajara: a quel punto la sordina sull'intervento fu tolta
e l'Italia si ritrovò ufficialmente in prima linea.
Nel dopoguerra gli storici hanno sottovalutato l'importanza
reale di questa guerra all'interno della traiettoria del fascismo.
Stretto tra la Guerra d'Etiopia e la Seconda Guerra Mondiale,
il conflitto spagnolo non insegnò nulla né sul
piano militare né su quello politico. Conoscerlo è
invece fondamentale per comprendere il fascismo. Quanto alla
politica, chi lo doveva rivendicare questo intervento? I nostalgici.
E così è stato in parte, soprattutto in ambito
neofascista. Altra cosa è la memoria privata, dei familiari.
Ma su questo fronte il panorama è quanto mai vario e
ancora tutto da esplorare.
“Fu la Spagna!”. Perché questo titolo?
È il titolo delle memorie di Roberto Cantalupo, il primo
ambasciatore italiano nella Spagna di Franco, la cui esperienza
durò poco perché ritenuto troppo poco fascista.
È un titolo che evoca molte cose. Qualcosa come: “E
venne l'ora della Spagna”.
Il sottotitolo è invece “Lo sguardo fascista
sulla guerra civile spagnola”. Quale fu questo sguardo?
In realtà, non ci fu un solo sguardo. E la mostra è
organizzata proprio per questo sull'incrocio di molti sguardi.
Il primo è lo sguardo della stampa fascista dell'epoca,
nella mostra rappresentato dalle riviste illustrate come La
Domenica del Corriere o L'Illustrazione Italiana.
Il secondo è quello dei legionari, ed è uno sguardo
privato. O meglio, tanti sguardi privati: uno per ogni legionario-fotografo.
E il terzo livello?
È quello delle foto ufficiali, prevalentemente militari.
E anche qui non è un unico sguardo perché ad essere
impegnate nel conflitto sono le tre forze armate: Marina, Aviazione
ed Esercito. E perché il CTV (Corpo Truppe Volontarie)
si appoggia ai fotografi dell'Istituto Luce, reclutati dall'Ufficio
Stampa e Propaganda italiano con sede nella Salamanca franchista.
Dunque, in questo caso, ci troviamo di fronte alle foto scattate
per uso interno dai militari, ma anche alle cronache che della
guerra fecero i fotografi del Luce con un occhio più
da fotoreporter.
Il caso di Maiorca
Cosa c'è di nuovo in questa mostra?
La prima grossa novità è che nessuno aveva mai
tentato un lavoro di sintesi di quello che era stato l'intervento
militare italiano in Spagna dal punto di vista della fotografia.
Per quanto riguarda i materiali, li abbiamo trovati in archivi
e biblioteche (Aeronautica, Esercito, Marina, Archivio Centrale
dello Stato, Farnesina, Istituto Gramsci di Bologna, Biblioteca
di Storia Moderna e Contemporanea di Roma). I fondi privati
dei legionari, tranne uno, sono invece conservati a Trento,
Bolzano e Rovereto. Ma abbiamo dovuto fare un grosso lavoro
di selezione: di oltre 20 mila fotografie ne sono esposte 300.
Cosa ti ha sorpreso in queste immagini?
Lo spiegamento di uomini e mezzi da parte del regime sul terreno
per documentare e raccontare l'intervento italiano. Mussolini
ha investito moltissimo in Spagna, anche in termini di propaganda.
E nelle fotografie private dei legionari?
Sono simili alle foto private di tutte le guerre, più
libere, più spontanee delle altre. Talvolta folgoranti.
Che cosa fotografano i legionari? Riempiono i vuoti, possiamo
dire, tra una battaglia e l'altra, con temi decisamente ricorrenti:
i funerali dei compagni caduti, molte messe, momenti di riposo,
balli campestri tra commilitoni, esercitazioni fisiche. In alcune
foto emerge anche la sorpresa di trovarsi in luoghi sconosciuti,
che vengono ripresi come in una sorta di turismo di guerra.
Le foto della mostra, attraverso l'incrocio di questi
tre sguardi, opportunamente contraddistinti dai colori della
bandiera italiana, seguono cronologicamente tutto il conflitto,
nei teatri in cui la presenza italiana è stata più
determinante: dai primi aiuti di Mussolini nel 1936 fino alla
conclusione della guerra nel marzo del 1939 e al successivo
ritorno “trionfale” dei volontari fascisti in Italia.
Uno dei momenti meno conosciuti è quello dei primi mesi
e della presenza italiana a Maiorca, dove ebbe un ruolo importante
un personaggio piuttosto oscuro, Arconovaldo Bonacorsi.
Ricordiamo che a Maiorca il colpo di stato ebbe successo, al
contrario di Barcellona, Madrid o Valencia. Il “Conde
Rossi”, questo il soprannome di Bonacorsi, fu la longa
manus del duce nelle Baleari. Mussolini se ne servì
sapendo che avrebbe potuto scaricarlo in qualsiasi momento,
se le cose non fossero andate per il verso giusto. Fu un personaggio
sinistro, con un passato di violenze squadriste, che riuscì
ad attirare su di sé tutta l'attenzione, permettendo
alla Marina e all'Aviazione italiane di fare il lavoro di sostanza.
Completamente ignorato in Italia, Bonacorsi riempiva invece
le prime pagine dei giornali maiorchini.
Ovviamente la brutale repressione che ebbe luogo a Maiorca non
è imputabile solo a lui. Ma la “leggenda nera”
costruita intorno alla sua figura, e rilanciata anche da Bernanos,
servì allo scopo. Ancora oggi molti insistono su Bonacorsi,
trascurando il lavoro della Marina e dell'Aviazione cui invece
si deve il fatto che Maiorca diventò una base aeronavale
italiana de facto. Una base strategica per le mire di
Mussolini nel Mediterraneo, ma soprattutto una spina nel fianco
per la Repubblica spagnola durante tutta la guerra.
E poi Malaga, Guadalajara, il Fronte Nord dai Paesi Baschi
alle Asturie, l'Ebro, il Levante, la Catalogna. Quest'ultimo
fu uno dei momenti cruciali.
La campagna di Catalogna, iniziata nel dicembre del 1938 e conclusa
nel febbraio successivo, fu lanciata proprio per iniziativa
di Gambara, comandante del CTV (Corpo Truppe Volontarie), che
capì che era giunto il momento di premere sull'acceleratore
e di chiudere una guerra di fatto già vinta, che però
Franco continuava a prolungare per ragioni politiche.
L'utilità della mostra? Capire i meccanismi della propaganda
La mostra fa parte di un progetto molto più ampio,
che comprende anche le proiezioni di tutti i documentari prodotti
dall'Italia fascista sulla guerra di Spagna.
Sì, sono tutti ovviamente documentari di propaganda. All'inizio ne aveva l'esclusiva l'Istituto Luce, poi dal 1938 intervennero anche la Incom e l'Editoriale Aeronautica, quest'ultima con riprese aeree di grande effetto, che costituivano una novità quasi assoluta all'epoca. La linea editoriale della Incom, invece, obbediva a una logica diversa: rendere meno monotona e ripetitiva la propaganda del Luce. E con film come España, una, grande y libre fa quella che oggi chiameremmo una docu-fiction: drammatizzare il soggetto perché risulti più persuasivo nei confronti del destinatario.
Tra i documentari anche una prima mondiale, I
legionari italiani in Catalogna, che hai presentato alla
Filmoteca de Catalunya di Barcellona e che riguarda proprio
la campagna di Catalogna.
È un documento unico, girato dalla Cineteca dello Stato Maggiore dell'Esercito e mai proiettato, nemmeno in Italia. L'unica copia si trovava al BAFA a Berlino e nessuno finora l'aveva mai vista e studiata.
Perché a Berlino?
Probabilmente per fini politico-militari. Siamo nella primavera del 1939, a pochi mesi dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. L'Italia e la Germania erano alleate, ma forse Mussolini aveva bisogno di dimostrare qualcosa a Hitler...
A cosa può servire una mostra come questa?
Innanzitutto a conoscere un capitolo ignorato della storia italiana recente. E poi a capire i meccanismi della propaganda per difendersene. Ce n'è sempre bisogno.
Steven Forti
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