approfondimenti
Gli anarchici e l'Europa
di Ruth Kinna
Un'anarchica britannica analizza posizioni storiche e attuali degli anarchici sul possibile ruolo del Vecchio Continente. A partire dall'europeismo di Mikhail Bakunin...
Che cosa hanno da dire gli anarchici riguardo all'Europa? La risposta si riferisce difficilmente ai dibattiti recenti, noiosi e dolorosamente auto-centrati riguardo all'Unione Europea e ai pro e i contro del farne parte, ma ci dice tantissimo riguardo alle questioni che hanno animato i conflitti in corso: commercio, democrazia, movimenti di popolazioni, nazionalità, principi di giustizia e di benessere.
Siamo in presenza di tre linee di pensiero prevalenti, che si muovono da una critica dello Stato europeo e che insieme sostengono una visione alternativa di organizzazione. La prima riguarda l'anarchia e gli Stati Uniti d'Europa. La seconda tratta dell'imperialismo europeo. La terza dell'europeizzazione.
Gli Stati Uniti d'Europa
Alle luce delle critiche di Noam Chomsky sulla corruzione delle
idee repubblicane sotto l'influenza del capitale finanziario,
sembra strano scoprire che un anarchico – Bakunin, nientedimeno
– si fosse espresso calorosamente in favore degli Stati
Uniti d'America e della prospettiva degli Stati Uniti d'Europa.
Che cosa mai intendeva?
Bakunin propose l'America come modello di un'Europa federale.
Il sistema federale americano, sosteneva, rispecchiava il desiderio
di autogoverno del popolo. Dopo aver combattuto una guerra rivoluzionaria,
i cittadini americani aspiravano a garantirsi dalla tirannia
di un potere monarchico e coloniale. La decisione di unirsi
come unità federate fu un'espressione della loro aspirazione
alla libertà.
Bakunin non si faceva nessuna illusione riguardo al carattere
del desiderio di rivoluzione degli americani o all'interesse
che prevalse al momento di decidere dell'assetto istituzionale.
Non fu un caso che la difesa del federalismo fosse più
pronunciata nel Sud rispetto al Nord e che la spinta a liberarsi
dalla tirannia fosse misurata in base all'ampiezza con cui gli
individui potevano godere di una proprietà su altri:
il federalismo era totalmente compatibile con lo schiavismo
e, come più tardi aggiunsero gli anarchici, con la violenza
ai danni delle popolazioni indigene. Il federalismo forniva
inoltre un fondamento alla normalizzazione della schiavitù
salariata, sebbene Bakunin ritenesse che le divisioni di classe,
evidenti in Europa, fossero meno pronunciate nell'America del
1860.
Per compensare alle carenze del modello americano, Bakunin immaginò
che gli Stati Uniti d'Europa avrebbero socializzato la proprietà
e avrebbero realizzato una forma di governo secondo il modello
anarchico. La concezione di un sistema federale alimentò
le ambizioni rivoluzionarie che alla fine trovarono espressione
nel 1871 nella Comune di Parigi. Anche se fu brutalmente soffocata,
la Comune aveva messo in luce la differenza tra l'idea degli
Stati Uniti d'Europa e la realtà degli Stati Uniti d'America.
Questi erano semplicemente uno Stato federale: un sistema che
coniugava unità sovrane territoriali e ne limitava la
sfera d'azione mediante l'imposizione di una costituzione tutelata
da un'autorità centrale. Un compagno di Bakunin, James
Guillaume, osservò che in uno Stato federale alle singole
unità era vietato lasciare la federazione e perfino vietato
suddividersi per formare nuove unità separate. Vietato
sì, ma non impossibile e comunque illegale, e così
fissato e sancito da una legge costituzionale (o un trattato).
Estendendo i principi rivoluzionari dell'autogoverno, i popoli
degli Stati Uniti d'Europa avrebbero non solo abbandonato i
diritti di proprietà individuale, ma avrebbero anche
perseguito i principi proudhoniani di libero accordo, per deterritorializzare
gli organi decisionali e attaccare lo Stato. Il potere del sovrano,
sia all'interno delle unità costitutive sia tra queste,
sarebbe stato eliminato. Ognuna si sarebbe affidata solo al
potere collettivo che sorge dalla loro federazione, per tutelare
i principi costituzionali e la propria organizzazione.
L'Europa e l'imperialismo
Come gran parte dei socialisti, gli anarchici criticarono le avventure imperialiste nel mondo extraeuropeo e l'appropriazione di ampi territori di quel mondo. Poiché gli anarchici non condividevano le tesi di un progresso storico, erano anche ampiamente immuni dall'idea secondo la quale il colonialismo rappresentasse una strada verso il crollo del capitalismo e quindi un costo giustificabile per il progresso umano, come ritenevano alcuni marxisti. La colonizzazione era un dominio motivato dallo sfruttamento e sostenuto dalla presunzione di una superiorità culturale.
Gli anarchici, mentre osservavano le modalità con cui si esercitava il dominio europeo, guardavano anche alle dinamiche della formazione degli Stati europei. La tesi era che tutti gli Stati funzionavano nella stessa maniera. Le élite si assicuravano il controllo delle popolazioni locali coniugando la forza con l'inganno e costruendo lo Stato attraverso processi di colonizzazione e di monopolio. Tali processi di formazione, però, non erano identici e gli Stati seguivano quello che gli storici della società definiscono percorsi più o meno coercitivi e a maggiore o minore intensità di capitale. All'estremità assolutista dello spettro, le élite si servivano di tecniche apertamente repressive per sottrarre risorse a una popolazione in maggioranza rurale e costringevano al servizio militare con la costrizione obbligatoria. All'opposta estremità liberale, si affidavano ad accordi con i proprietari immobiliari e alla legge, per ottenere gli stessi risultati su una popolazione sempre più urbanizzata. Lo sviluppo ineguale degli Stati europei spiegava il carattere concorrenziale del sistema e le politiche sempre più nazionaliste a verticistiche seguite dagli Stati nei loro conflitti.
Alla fine dell'Ottocento, la potenza dominante in Europa era la Gran Bretagna, ma la Francia e la Germania erano in costante gara per il primato sul continente. La rivalità era emersa nel 1870 con la guerra franco-prussiana e nuovamente nel 1914, malgrado i migliori sforzi della Seconda Internazionale socialista per favorire trattati di pace e per costruire un'unione europea.
Secondo questa analisi, i primi progetti di unità europea che portarono alla CEE/UE hanno alla base una tensione di fondo. Mentre “un'unione sempre più grande“ normalizzava le relazioni capitalistiche, estendeva i sistemi liberali di governo rappresentativo e interrompeva le ostilità tra i principali Stati europei, riaffermava anche il primato degli Stati e lasciava intatti i meccanismi europei di sfruttamento e di dominio. Mettendo insieme gli ex rivali mediante un accordo tra le élite, questi Stati Uniti d'Europa non hanno un potere collettivo come lo intendeva Guillaume, ma attirano ancora l'ostilità di nazionalisti e patrioti che si sentono colpiti dall'apparente perdita di sovranità e di ruolo nazionale.
L'Unione riafferma il valore particolare della civiltà europea collegandola agli ideali di pace, di libertà civili, di pluralismo e democrazia, rafforzando nel contempo i legami politici e culturali con gli Stati extraeuropei che più le assomigliano e inaugurando percorsi di collaborazione dal basso e di condivisione sul continente e anche oltre. Non riesce però a superare le forze centripete attive all'interno degli Stati che parlano con nostalgia della maestà delle tradizioni nazionali, lamentano il dissolvimento del carattere nazionale e la presenza di catene imposte dall'Unione al perseguimento di interessi puramente egoistici.
Europeizzazione
Nell'Ottocento gli anarchici non parlavano di globalizzazione per riferirsi all'estensione dell'egemonia europea sul mondo, ma elaborarono un approccio a quella che fu chiamata internazionalizzazione, per ragionare sul ruolo che gli Europei avevano svolto nello sviluppo di interconnessioni globali.
Come è stato con la globalizzazione, l'internazionalizzazione fu un termine utilizzato dai non anarchici per sostenere argomenti normativi a favore dell'estensione del libero commercio in tutto il mondo, in termini che favorivano gli Stati industriali e manifatturieri. I fautori dell'internazionalizzazione discutevano della portata e della scelta delle attività commerciali che potevano o dovevano essere soggette a regole ai fini del benessere generale, ma erano tutti d'accordo che i processi prevalenti non dovessero subire modifiche. Naturalmente gli anarchici criticavano questa posizione e proponevano alternative basate sull'estensione in tutto il mondo del principio federale. La loro visione era genuinamente internazionalista in quanto era contro allo Stato e a sostegno della solidarietà dalla base tra diversi gruppo etnici, religiosi e linguistici.
Gli anarchici sostenevano che l'europeizzazione dovesse procedere accanto all'internazionalizzazione e che si trattava di un processo circolare e degenerativo, e non lineare e progressivo, come affermavano i paladini del nazionalismo culturale. L'Europa era una potenza egemone, diceva Elisée Reclus. Con una forza ben superiore al suo peso in termini di controllo delle risorse mondiali su tutta la superficie terrestre (nelle due Americhe, in Australia e in Nuova Zelanda) era la potenza al centro del globo, ben più estesa di quanto non fossero state in passato la Grecia e Roma. Ma più che limitarsi ad estendere la propria influenza sugli altri continenti, gli Europei si appropriavano delle idee delle regioni che esploravano, classificavano, colonizzavano e conquistavano, per riproporle come propri prodotti culturali. Nel far questo, impararono tantissimo.
In Egitto, in Medio Oriente e in India, scrisse Reclus, la figlia riscopriva la madre. Ma l'europeizzazione scalfiva le possibilità di facilitare la condivisione del sapere in tutto il mondo. Infatti, sostenendo l'internazionalizzazione attraverso l'europeizzazione, gli Europei contaminavano e corrompevano i valori condivisi e sovrapposti, che essi riconfezionavano e cercavano di rendere universali. Il risultato finale è stato la creazione di barriere culturali e l'erezione di confini politici e commerciali destinati a proteggere le conquiste, il talento e l'ingegno di chi sta dentro al continente e l'esclusione dei popoli che ne stanno fuori, pericolosi e incivili (a meno che, ovviamente, questi non riescano a dimostrare di saper soddisfare certi scopi particolari e dimostrare il proprio rispetto per i valori anglo-franco-europei). Camillo Berneri e Colin Ward indicarono il principio del federalismo decentrato quale una delle idee specifiche emerse dall'anarchismo storico e sostennero che questo principio di organizzazione orizzontale era un utile supporto per un'ampia critica dello Stato.
La proposta anarchica si basava su un'originale interpretazione dell'essenziale instabilità del sistema statale, delle sue disuguaglianze strutturali e delle spinte dei movimenti di massa che provocava. In questo contesto è possibile vedere che la proposta di Bakunin di Stati Uniti d'Europa non fosse affatto profetica, ma delineasse certe possibilità per una trasformazione dell'Europa.
Ruth Kinna
traduzione di Guido Lagomarsino
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