rivista anarchica
anno 47 n. 417
giugno 2017


mafia

L'edera sul tronco dello Stato

intervista di Orsetta Bellani ad Antonio Cardella


Così descrive l'onorata società un anziano militante anarchico palermitano, con decenni di attività politica e giornalistica alle spalle, da “Il Mondo” di Pannunzio ad “A” e “Umanità Nova”. La mafia, certo, ma anche la mentalità mafiosa che inquina il vivere sociale. E poi l'opposizione alla mafia, il sacco di Palermo, ecc.


Orsetta Bellani - Quando nasce la mafia in Sicilia?
Antonio Cardella - Nasce in ambito feudale, nel tardo '700, ed è una mafia agricola. Nasce perché il feudatario ha bisogno di qualcuno che amministri una giustizia sommaria a suo vantaggio e faccia da intermediario tra lui e i contadini; il compito veniva svolto dai campieri, che erano le guardie armate del feudo e nello stesso tempo i regolatori della vita delle famiglie contadine, ruolo che – con le dovute differenze del caso – la mafia ha esercitato fino agli anni '60 del Novecento.
Gli interessi dello Stato non coincidevano con gli interessi del feudo, per questo lo Stato non ha mai avuto il controllo della Sicilia.

Il regime fascista provò a combattere la mafia
Il fascismo, essendo una dittatura, aspirava al controllo assoluto del territorio, e la mafia era un ostacolo. Pertanto Mussolini, al fine di combatterla, mandò in Sicilia il prefetto Cesare Mori, che arrivò con pieni poteri e utilizzò i classici metodi fascisti (torture, vessazioni, omicidi) per debellare la manovalanza mafiosa. Quando si trattò invece di colpire “in alto”, di identificare le collusioni tra rappresentanti delle istituzioni e boss mafiosi, la sua inchiesta fu fatta arenare e il prefetto fu trasferito dalla Sicilia a Roma.
Ora, se durante il fascismo, con l'abolizione delle elezioni, l'influenza del potere mafioso risultò indebolita, una ripresa della capacità della mafia siciliana di gestire nuove situazioni si ebbe nei primi anni Quaranta: decisivi furono gli stretti contatti con il gangsterismo statunitense per favorire lo sbarco alleato in Sicilia del 1943.

Cosa succede a Cosa Nostra con la caduta del fascismo, la fine della guerra e l'inizio della Repubblica?
Tra gli anni '50 e '60 si conclude la parabola discendente del feudo. In quasi tutto il Sud si svuotano le campagne e masse di braccianti emigrano verso le città industriali del Nord. È il momento in cui si allarga la forbice tra le popolazioni meridionali e la borghesia del Nord. Nell'Italia settentrionale fiorisce, oltre al grande sforzo industriale, un'agricoltura all'avanguardia che si avvale delle tecniche più moderne; nascono i grandi consorzi, che consolidano i rapporti tra i lavoratori della terra, mentre si registra il boom dei prodotti industriali di media durata. Il Sud trova il suo misero reddito nel terziario, senza riuscire a progettare e realizzare un modello di sviluppo al passo coi tempi.
A questo punto la mafia cambia veste e obiettivi. Capisce che quella del feudo è ormai una stagione passata, e cerca in tutti i modi di mettere a frutto la sua influenza sulle istituzioni pubbliche, soprattutto siciliane: la Regione Sicilia si presenta come un territorio da utilizzare per ampliare la sfera di influenza del potere mafioso.
Si crea a quel punto un legame stretto tra mafia e politica: alcuni esponenti (in particolare della DC) divennero organici a Cosa Nostra (Salvo Lima, Giovanni Gioia, Vito Ciancimino); altri erano fiancheggiatori, perché la mafia era una grande procacciatrice di voti, in una certa misura, era l'arbitra dei risultati elettorali in Sicilia. In quegli anni nasce un connubio più integrale tra mafia e Stato. La mafia è l'edera sul tronco dello Stato, la mafia esiste in quanto esiste lo Stato.
Proprio in virtù dell'intreccio tra mafia e potere politico (e con l'ingresso nel traffico della droga) il potere mafioso si estende sempre di più. Verso la fine degli anni '70, quasi in preda ad un delirio di onnipotenza, con una lunga catena di delitti la mafia uccide giudici, carabinieri, poliziotti, uomini politici, giornalisti, donne e bambini. Nulla però si sa degli eventuali mandanti di tali delitti.

Perché e in che modo la mafia siciliana cambia all'inizio degli anni '80?
Dagli anni '80 cambiano i rapporti di forza: il sistema economico/finanziario prevale su quello politico. Il processo era iniziato già a partire dalla fine degli anni '60 e segna la trasformazione dello Stato in mero esecutore degli interessi del capitalismo economico/finanziario; analogamente, la mafia diventa “mafia imprenditrice”. Iniziato in sordina, il processo raggiunge il suo apice negli anni '80 e '90. Berlusconi è il tipico rappresentante di un'economia senza regole che favorisce la mafia, perché la libera da una serie importante di lacci che tentavano di imbrigliarne l'avanzata. Con il “liberi tutti” berlusconiano il potere della mafia cresce dal punto di vista imprenditoriale. E nasce l'occultamento della mafia: la sua parte più provveduta si trasferisce a Londra, entra in rapporti sovranazionali e a far parte di un processo che investe tutto il mondo. I figli dei mafiosi ora studiano, diventano avvocati, medici, ingegneri, imprenditori, manager, esponenti dello Stato.
Se guardiamo alla trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra all'inizio degli anni '90, vediamo come per la prima volta sia la politica ad avvicinarsi alla mafia, mentre prima era la mafia che cercava il contatto con il potere politico e lo Stato.

Qual è la presenza mafiosa oggi?
La presenza mafiosa è difficilmente distinguibile da quella statale e da quella dei grossi interessi capitalistici. Tutti e tre questi poteri tendono al controllo del territorio e delle persone. Per questo la struttura mafiosa ha un'avversione istintiva verso la cultura, nella misura in cui la cultura rende la gente più capace di ragionare. La cultura è un ostacolo profondo per la mafia, che ha bisogno di gente che serva, non di gente che pensi. Non è un caso che, negli anni del Sacco di Palermo, un'amministrazione profondamente inquinata dalla mafia ha seppellito in poche settimane sotto le ruspe un patrimonio liberty inestimabile.
C'è poi da parlare anche di un altro elemento: la mentalità mafiosa di chi non appartiene direttamente all'organizzazione malavitosa. Tentiamo una spiegazione del meccanismo che ha indotto molti siciliani a introiettare modalità proprie di una mentalità mafiosa: prevaricazione, omertà, un istintivo rifiuto delle regole, ecc.
Abbandonato dallo Stato e vessato dal potere mafioso, il popolo siciliano tende ad arretrare verso un individualismo esasperato e opportunistico, che lo spinge a venire a patti con il potere mafioso pur di coltivare il proprio orticello; la mafia, in concomitanza con uno Stato assente o complice, genera clientele parassitarie e può godere dell'omertà di tanti cittadini, poco interessati a svelare le magagne altrui quanto piuttosto ad occultare le proprie.

Ad ogni modo, dove c'è mafia c'è anche un movimento che le resiste, già ai tempi dei fasci siciliani.
Sull'opposizione al potere mafioso, la mia opinione è che si tratti di un movimento carsico che talvolta emerge altre volte si occulta. Emerge sotto la spinta di eventi di particolare gravità (vedi la strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui muore Giovanni Falcone con la moglie e la scorta, e l'attentato di via D'Amelio del 19 luglio dello stesso anno contro Paolo Borsellino e la sua scorta), eventi in grado di spingere i cittadini onesti di Palermo a gridare la loro rabbia e indignazione contro la mafia e i rappresentanti di uno Stato incapace quando non colluso.
L'opposizione al contrario si occulta quando ad occultarsi è la stessa mafia, non più attiva a livello locale con azioni eclatanti ma impegnata a proseguire la sua scalata verso posizioni di potere economico/finanziario a livello internazionale.

In che modo la mafia si rapporta con i processi collettivistici e autonomisti che si sviluppano nei territori?
La mentalità mafiosa è un ritirarsi dal collettivo all'individuale. Il discorso mafioso limita il concetto di comunità e di confronto fra persone, e lo contrasta. Le collettività sono sempre un argine alla mafia.
L'idea anarchica è che il processo di costituzione di comunità liberi energie e liberi la gente, l'intelligenza della persone, ampliando la sfera della loro autonomia. Questo è esattamente l'inverso di quello che desidera la mafia, che vuole persone isolate e perciò regolabili e controllabili.
La mafia è contraria a qualsiasi principio di autonomia, e laddove questa esiste interviene per impossessarsene e gestirla alla sua maniera. La regione siciliana ne è un esempio.

Orsetta Bellani