mafia
L'edera sul tronco dello Stato
intervista di Orsetta Bellani ad Antonio Cardella
Così descrive l'onorata società un anziano militante anarchico palermitano, con decenni di attività politica e giornalistica alle spalle, da “Il Mondo” di Pannunzio ad “A” e “Umanità Nova”. La mafia, certo, ma anche la mentalità mafiosa che inquina il vivere sociale. E poi l'opposizione alla mafia, il sacco di Palermo, ecc.
Orsetta Bellani - Quando nasce la mafia in Sicilia?
Antonio Cardella - Nasce in ambito feudale, nel tardo
'700, ed è una mafia agricola. Nasce perché il
feudatario ha bisogno di qualcuno che amministri una giustizia
sommaria a suo vantaggio e faccia da intermediario tra lui e
i contadini; il compito veniva svolto dai campieri, che erano
le guardie armate del feudo e nello stesso tempo i regolatori
della vita delle famiglie contadine, ruolo che – con le
dovute differenze del caso – la mafia ha esercitato fino
agli anni '60 del Novecento.
Gli interessi dello Stato non coincidevano con gli interessi
del feudo, per questo lo Stato non ha mai avuto il controllo
della Sicilia.
Il regime fascista provò a combattere la mafia
Il fascismo, essendo una dittatura, aspirava al controllo assoluto
del territorio, e la mafia era un ostacolo. Pertanto Mussolini,
al fine di combatterla, mandò in Sicilia il prefetto
Cesare Mori, che arrivò con pieni poteri e utilizzò
i classici metodi fascisti (torture, vessazioni, omicidi) per
debellare la manovalanza mafiosa. Quando si trattò invece
di colpire “in alto”, di identificare le collusioni
tra rappresentanti delle istituzioni e boss mafiosi, la sua
inchiesta fu fatta arenare e il prefetto fu trasferito dalla
Sicilia a Roma.
Ora, se durante il fascismo, con l'abolizione delle elezioni,
l'influenza del potere mafioso risultò indebolita, una
ripresa della capacità della mafia siciliana di gestire
nuove situazioni si ebbe nei primi anni Quaranta: decisivi furono
gli stretti contatti con il gangsterismo statunitense per favorire
lo sbarco alleato in Sicilia del 1943.
Cosa succede a Cosa Nostra con la caduta del fascismo,
la fine della guerra e l'inizio della Repubblica?
Tra gli anni '50 e '60 si conclude la parabola discendente del
feudo. In quasi tutto il Sud si svuotano le campagne e masse
di braccianti emigrano verso le città industriali del
Nord. È il momento in cui si allarga la forbice tra le
popolazioni meridionali e la borghesia del Nord. Nell'Italia
settentrionale fiorisce, oltre al grande sforzo industriale,
un'agricoltura all'avanguardia che si avvale delle tecniche
più moderne; nascono i grandi consorzi, che consolidano
i rapporti tra i lavoratori della terra, mentre si registra
il boom dei prodotti industriali di media durata. Il Sud trova
il suo misero reddito nel terziario, senza riuscire a progettare
e realizzare un modello di sviluppo al passo coi tempi.
A questo punto la mafia cambia veste e obiettivi. Capisce che
quella del feudo è ormai una stagione passata, e cerca
in tutti i modi di mettere a frutto la sua influenza sulle istituzioni
pubbliche, soprattutto siciliane: la Regione Sicilia si presenta
come un territorio da utilizzare per ampliare la sfera di influenza
del potere mafioso.
Si crea a quel punto un legame stretto tra mafia e politica:
alcuni esponenti (in particolare della DC) divennero organici
a Cosa Nostra (Salvo Lima, Giovanni Gioia, Vito Ciancimino);
altri erano fiancheggiatori, perché la mafia era una
grande procacciatrice di voti, in una certa misura, era l'arbitra
dei risultati elettorali in Sicilia. In quegli anni nasce un
connubio più integrale tra mafia e Stato. La mafia è
l'edera sul tronco dello Stato, la mafia esiste in quanto esiste
lo Stato.
Proprio in virtù dell'intreccio tra mafia e potere politico
(e con l'ingresso nel traffico della droga) il potere mafioso
si estende sempre di più. Verso la fine degli anni '70,
quasi in preda ad un delirio di onnipotenza, con una lunga catena
di delitti la mafia uccide giudici, carabinieri, poliziotti,
uomini politici, giornalisti, donne e bambini. Nulla però
si sa degli eventuali mandanti di tali delitti.
Perché e in che modo la mafia siciliana cambia
all'inizio degli anni '80?
Dagli anni '80 cambiano i rapporti di forza: il sistema economico/finanziario
prevale su quello politico. Il processo era iniziato già
a partire dalla fine degli anni '60 e segna la trasformazione
dello Stato in mero esecutore degli interessi del capitalismo
economico/finanziario; analogamente, la mafia diventa “mafia
imprenditrice”. Iniziato in sordina, il processo raggiunge
il suo apice negli anni '80 e '90. Berlusconi è il tipico
rappresentante di un'economia senza regole che favorisce la
mafia, perché la libera da una serie importante di lacci
che tentavano di imbrigliarne l'avanzata. Con il “liberi
tutti” berlusconiano il potere della mafia cresce dal
punto di vista imprenditoriale. E nasce l'occultamento della
mafia: la sua parte più provveduta si trasferisce a Londra,
entra in rapporti sovranazionali e a far parte di un processo
che investe tutto il mondo. I figli dei mafiosi ora studiano,
diventano avvocati, medici, ingegneri, imprenditori, manager,
esponenti dello Stato.
Se guardiamo alla trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra all'inizio
degli anni '90, vediamo come per la prima volta sia la politica
ad avvicinarsi alla mafia, mentre prima era la mafia che cercava
il contatto con il potere politico e lo Stato.
Qual è la presenza mafiosa oggi?
La presenza mafiosa è difficilmente distinguibile da
quella statale e da quella dei grossi interessi capitalistici.
Tutti e tre questi poteri tendono al controllo del territorio
e delle persone. Per questo la struttura mafiosa ha un'avversione
istintiva verso la cultura, nella misura in cui la cultura rende
la gente più capace di ragionare. La cultura è
un ostacolo profondo per la mafia, che ha bisogno di gente che
serva, non di gente che pensi. Non è un caso che, negli
anni del Sacco di Palermo, un'amministrazione profondamente
inquinata dalla mafia ha seppellito in poche settimane sotto
le ruspe un patrimonio liberty inestimabile.
C'è poi da parlare anche di un altro elemento: la mentalità
mafiosa di chi non appartiene direttamente all'organizzazione
malavitosa. Tentiamo una spiegazione del meccanismo che ha indotto
molti siciliani a introiettare modalità proprie di una
mentalità mafiosa: prevaricazione, omertà, un
istintivo rifiuto delle regole, ecc.
Abbandonato dallo Stato e vessato dal potere mafioso, il popolo
siciliano tende ad arretrare verso un individualismo esasperato
e opportunistico, che lo spinge a venire a patti con il potere
mafioso pur di coltivare il proprio orticello; la mafia, in
concomitanza con uno Stato assente o complice, genera clientele
parassitarie e può godere dell'omertà di tanti
cittadini, poco interessati a svelare le magagne altrui quanto
piuttosto ad occultare le proprie.
Ad ogni modo, dove c'è mafia c'è anche un
movimento che le resiste, già ai tempi dei fasci siciliani.
Sull'opposizione al potere mafioso, la mia opinione è
che si tratti di un movimento carsico che talvolta emerge altre
volte si occulta. Emerge sotto la spinta di eventi di particolare
gravità (vedi la strage di Capaci del 23 maggio 1992,
in cui muore Giovanni Falcone con la moglie e la scorta, e l'attentato
di via D'Amelio del 19 luglio dello stesso anno contro Paolo
Borsellino e la sua scorta), eventi in grado di spingere i cittadini
onesti di Palermo a gridare la loro rabbia e indignazione contro
la mafia e i rappresentanti di uno Stato incapace quando non
colluso.
L'opposizione al contrario si occulta quando ad occultarsi è
la stessa mafia, non più attiva a livello locale con
azioni eclatanti ma impegnata a proseguire la sua scalata verso
posizioni di potere economico/finanziario a livello internazionale.
In che modo la mafia si rapporta con i processi collettivistici
e autonomisti che si sviluppano nei territori?
La mentalità mafiosa è un ritirarsi dal collettivo
all'individuale. Il discorso mafioso limita il concetto di comunità
e di confronto fra persone, e lo contrasta. Le collettività
sono sempre un argine alla mafia.
L'idea anarchica è che il processo di costituzione di
comunità liberi energie e liberi la gente, l'intelligenza
della persone, ampliando la sfera della loro autonomia. Questo
è esattamente l'inverso di quello che desidera la mafia,
che vuole persone isolate e perciò regolabili e controllabili.
La mafia è contraria a qualsiasi principio di autonomia,
e laddove questa esiste interviene per impossessarsene e gestirla
alla sua maniera. La regione siciliana ne è un esempio.
Orsetta Bellani
|