rivista anarchica
anno 47 n. 417
giugno 2017


alle lettrici, ai lettori

Anticlericalismo

È buona regola del giornalismo non ripetere gli stessi titoli, perché dà un'idea di mancanza di creatività. Ci possono però essere delle eccezioni. Per esempio, questa volta.
La nostra decisione di dedicare, sullo scorso numero, la copertina e le prime dieci pagine di “A” a una critica forte (e documentata) alla Chiesa cattolica, al suo leader Jorge Mario Bergoglio detto “papa Francesco” e alla loro invasività in campo mediatico non è piaciuta a molti. Non abbiamo, per ora, ricevuto prese di posizione o lettere da pubblicare su “A”, ma un po' di critiche a mezz'aria, come se noi non fossimo da sempre impegnati in iniziative anticlericali, contro gli attacchi vaticani ai diritti civili, dall'aborto alla laicità della scuola pubblica, dal disvelamento della marea pedofila all'imposizione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici. E, ultima ma solo per posizione, quell'invasività nel mondo mediatico, a tutti i livelli, della comunicazione vaticana – oggetto del lucido intervento di Federico Tulli sullo scorso numero.
Visto che non ci sono ancora state contestate per iscritto, ecco la sostanza delle critiche mosseci.

Succubi di una vecchia tradizione anticlericale, ormai superata dai tempi, staremmo combattendo una battaglia di retroguardia, roba da liberali, da liberi pensatori e pochi altri, contro questo papa, che invece rappresenta una bella novità. Un papa anticapitalista, in lotta con gli ambienti conservatori e reazionari della Curia romana, un papa che nello scontro con le destre anti-rom e anti-migranti ha saputo schierarsi dalla parte giusta, della solidarietà e dell'accoglienza.
Un papa che – pur con tutti i suoi inevitabili limiti – apre alle donne, ai gay, ai divorziati. Un papa che, socialmente e geograficamente, sta con le periferie del mondo. E con le loro genti.

Noi di “A”, con il nostro scomposto attacco “laicista” dello scorso numero, non avremmo compreso niente di questa nuova sensibilità, né delle grandi opportunità che essa apre nel dialogo con milioni di persone che simpatizzano con Francesco (come ormai tutti lo chiamano, come fosse un fratello maggiore).

Ecco perché abbiamo deciso di ripetere il titolo di questa nostra lettera (non pastorale) alle lettrici e ai lettori di “A” Noi non abbiamo mai voluto “dare la linea” a chicchessia. Ci sentiamo lontani dalle religioni anche perché non accettiamo dogmi e tutto vogliamo discutere: “da dio al verme” come ripeteva nell'Ottocento un popolano anarchico di cui si è perso il nome. Ma non l'arguzia.

Già una volta abbiamo ricordato che poco tempo fa abbiamo pubblicato la foto di una manifestazione, con tanto di croci portate a spalla, di cattolici pakistani vittime (in quel caso) dell'intolleranza musulmana. Sappiamo riconoscere il lato giusto, cerchiamo di dar spazio e voce alle minoranze oppresse, alle vittime delle persecuzioni delle maggioranze e degli Stati.

Tutto ciò premesso, siamo anticlericali e lo restiamo, profondamente convinti della necessità di contrastare la Chiesa, la sua strabordante presenza, i crocefissi nelle scuole e negli ospedali, lo status privilegiato degli insegnanti di religione, l'ora stessa di religione cattolica a scuola, siamo contro quel “privilegio” assurdo dell'obiezione di coscienza per il solo aborto, che ha permesso alla Chiesa di svuotare la legge 194 e di far di nuovo guadagnare i “cucchiai d'oro” (anche cattolici) che da sempre fanno aborti clandestini (ma quanto remunerativi!).

Siamo contro la Chiesa che rifiuta il preservativo e favorisce l'Aids, contro la Chiesa che esalta la Madonna e umilia la donna, contro la fabbrica di violenze (sessuali e non) ai bambini e che poi osanna il Santo Bimbo.

Dando un'occhiata all'aria che tira, siamo davvero una delle poche publicazioni non prone a quello che a noi appare come il mito di un papa “compagno” e di una Chiesa punto di riferimento positivo. Ci ritroviamo a navigare in direzione ostinata e contraria. Non è la prima volta. Non sarà l'ultima.

Spazio finito. Ne riparleremo di sicuro.

Paolo Finzi