rivista anarchica
anno 47 n. 417
giugno 2017






La forchetta intelligente

<Mangia piano che t'ingozzi...>
La voce metallica non era certo quella di sua madre, che per anni lo aveva ossessionato con quella bonaria raccomandazione da tavola. Eppure erano parole che suonavano credibili, proprio perché attingevano dalla memoria nascosta dell'infanzia e si riaffacciavano alla finestra della sua età adulta, così provvisoria, incerta, disseminata di insidie per la salute. Fortuna che c'era la tecnologia, con i suoi progressi e le sue mille risorse.
Si pulì l'angolo della bocca con il tovagliolo, per poi concentrarsi sul boccone successivo.
<Analisi qualitativa di rucola e radicchio: positiva. Ristabilita compatibilità della masticazione con reflusso gastrico>
Ancora quella voce metallica. Del resto era stato lui a volerlo. Aveva comprato un set di posate intelligenti, e adesso la forchetta guidava la sua lenta masticazione con utili indicazioni di accompagnamento.
Lentezza e cibo di qualità. Erano queste le promesse di una forchetta intelligente. Il microchip collegato a una centralina incrociava i dati sulla composizione del cibo con la cartella sanitaria del cliente, valutando i fattori di rischio.
Lui aveva passato una giornata difficile, di quelle che invogliano a sedersi a cena solo per consumare una rivincita del palato. Dopo l'insalata aveva preparato spaghetti alla carbonara e, per secondo, filetto al sangue con contorno di spinaci saltati in padella. Non era il suo menu ideale, ma ci si avvicinava. Lo considerava un compromesso gastronomico tra la gola e il cuore, ancora palpitante sebbene un po' acciaccato. Non era mai stato al riparo da se stesso, con la sua alimentazione irregolare, disordinata, al limite dell'autolesionismo. Per questo la forchetta intelligente era diventata un'alleata inevitabile.
Accantonata la pratica dell'insalata, bevve una lunga sorsata d'acqua prima di passare al resto.
<Aaah... e adesso comincia il bello...> disse ad alta voce, sapendo che quelle parole sarebbero arrivate all'udito sensibile del microchip.
Affondò la forchetta negli spaghetti, ma quando fece per portarla alla bocca, quella si bloccò a una decina di centimetri dalla faccia. Era una distanza minima eppure invalicabile, effetto del campo magnetico creato dalla posata intelligente. Eccitato dal profumo della carbonara, fece di tutto per forzare quel muro che gli impediva di dare sfogo all'appetito. Non c'era modo di avvicinare la mano. Era come se un peso massimo lo stesse tenendo per il polso con una presa granitica.
<Ma che cazz... HO FAME!!!> implorò.
<Spiacente> si giustificò la forchetta con lo stesso tono metallico. <Il contenuto di colesterolo è incompatibile con i valori rilevati nelle ultime analisi del sangue. Si ricorda che un alto livello di LDL aumenta il rischio di malattie cardiovascolari..>
<Non c'è bisogno che parli in codice. Ho capito, ho capito...> disse lui sbuffando.
Si alzò da tavola e rovesciò il contenuto del piatto nel secchio dei rifiuti umidi. Il controllore automatico della raccolta differenziata approvò con un segnale verde: <Ben fatto>
<Ma vaffanc...> biascicò lui mentre tornava alla sua cena.
Cominciava ad averne abbastanza di quella tecnologia amica che pensava al bene degli altri con supponenza. Ma l'aveva deciso lui. Questione di sopravvivenza. E poi, in fondo, gli restava il filetto al sangue. La piastra sul fuoco basso sprigionava l'aroma crepitante di quel pezzo di carne succulento. Raggiunto il minimo grado di cottura, lo sistemò sul piatto e cominciò il rituale della preparazione: un goccio di limone, una spruzzata di pepe, coltello e forchetta e...
Già, la forchetta.
<Mi spiace> disse bloccandogli nuovamente la mano.
<Che cazzo c'è stavolta?> urlò lui.
<Dall'analisi degli ultimi pasti risulta un consumo eccessivo di carni rosse. Cibo altamente sconsigliato per un soggetto che soffre di acidità di stomaco, reflusso gastrico, alti livelli di colesterolo, rischio specifico di gotta, problemi renali...>
<E basta! Non puoi pretendere che un uomo di 51 anni sia in perfetta salute. E che cazzo!>
Come se nulla fosse, la forchetta andò avanti: <Puoi scegliere di forzare il blocco, a tuo rischio e pericolo>
Dal microproiettore collegato alla centralina partì un fascio di luce che compose sulla parete un corpo umano disseminato di ulcere e piaghe.
<...ecco alcune delle conseguenze che un soggetto a rischio può patire...> spiegò la forchetta.
<Ah si? E tutto per un pezzo di carne? Vedi di farla finita, stronza!>
Non appena ebbe pronunciato queste parole, realizzò di aver toccato il suo punto di rottura, l'inequivocabile segno della follia personale e sociale. Stava insultando un pezzo di metallo che per decine di generazioni aveva onorato il suo scopo: sfamare senza aggiungere altro. Un oggetto nobile e inanimato era stato dotato di un'orrida coscienza che non tollerava il superamento dei limiti, e neppure il minimo rischio. Era così che andavano le cose. Un giorno ti sentivi libero, un altro ti costruivano addosso una gabbia di nuove paure.
Lo stomaco gli si era chiuso per la rabbia.
<Mi è passato l'appetito> disse con tono sprezzante.
<Spiacente> azzardò la forchetta. <Ti ricordo che l'apporto calorico giornaliero consigliato dall'Organizzazione mondiale della sanità...>
<Chiudi quella boccaccia!>
Scaraventò la forchetta nel cassetto, spense la centralina e si rifugiò in camera da letto con passo nervoso, senza neppure sparecchiare. Dovette prendere un sonnifero per addormentarsi, ma i pensieri agitati arrivarono a scuotere il suo sonno con brevi e ficcanti immagini: una fila di pasticceri gli offriva tante varianti di torte al cioccolato, fiumi di birra dissetavano la sua ardente sete di vendetta durante un torneo di mangiatori di porchetta. In capo a meno di due ore, l'offensiva della fame lo risvegliò del tutto. Sentiva una voragine nello stomaco gorgogliante.
Si alzò dal letto, corse in soggiorno e accese la luce per fare il punto: il filetto in tavola era in gelida attesa. Lo afferrò con entrambe le mani, strappandolo a morsi con l'avidità di un animale a digiuno. Rivoli di sangue e grasso gli colavano dalla bocca. Non importava.
<L'appetito vien mangiando> disse tra sé e sé rievocando un altro detto materno, non più metallico, carico piuttosto di ricordi.
Dopo la carne avrebbe provveduto a svuotare il frigo, e forse anche il raccoglitore dell'umido con i resti della carbonara. Avrebbe fatto giustizia della fame senza posate né tovaglioli. Per vivere occorre sporcarsi le mani, pensò compiaciuto. Poi si attaccò al collo del bottiglione di vino rosso e iniziò a tracannare, indifferente alla flebile implorazione del bicchiere parlante che continuava a dire: <Non farlo, non farlo...>

Paolo Pasi