riflessioni
Un quarto di secolo di lotte, in prospettiva
di Giordano Cotichelli
Tra crisi dei movimenti e trasformazioni sociali. Gli ultimi 25 anni di storia italiana riesaminati da un militante anarchico marchigiano, militante della FAI, attivo nel sindacalismo di base.
Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la fine della Guerra Fredda si chiude il '900, quello che verrà chiamato il secolo breve, e si apre una lunga fase di transizione, per molti aspetti ancora in corso, per altri, in particolare sul piano delle lotte e della conflittualità sindacale, del protagonismo delle masse e dell'azione politica, da valutare con occhio critico.
All'inizio degli anni '90 si può assistere ad una fervida ripresa dell'attività anarchica e libertaria, con un certo protagonismo prospettico che lascia ben sperare in sviluppi futuri sul piano della visibilità, dell'affermazione delle idee libertarie, e di una maggiore incisività politica e sindacale che sembrano rendersi disponibili oltre la lunga stagnazione post-77. Se in Italia la fine della Guerra Fredda apre lo scenario alla destrutturazione del quadro partitico conosciuto per circa mezzo secolo, nel mondo si innescano meccanismi di politica estera che riscoprono, in maniera subitanea, la politica delle cannoniere della fine del XIX secolo inaugurando la nuova era con un riaccendersi di focolai di guerra in maniera inedita. In particolare si distinguono le due guerre del Golfo, la guerra in Somalia e la destabilizzazione dei Balcani, con in prima fila le guerre nella ex-Jugoslavia. Una politica aggressiva che si traduce non solo sul piano militare, ma arriva a destrutturare l'orizzonte economico e culturale in maniera altrettanto violenta. Parallelamente periodiche “crisi” scuotono gruppi di nazioni nei vari continenti. A fine anni '90 tocca al gruppo delle cosiddette “tigri asiatiche” (Taiwan, Singapore, Corea del Sud, Hong Kong), segue nel 2001 l'Argentina, fino alla crisi – o almeno veicolata come tale – del 2007 che innesca un decennio (ancora in corso) di destabilizzazione generale all'interno dei paesi occidentali, Italia compresa, che veicola inoltre, sul piano culturale, la ripresa di idee nazionaliste, razziste e più in generale di una cultura della sopraffazione funzionale unicamente ad alimentare guerre fra poveri.
Prevalgono localismi
Il coinvolgimento dell'Italia in maniera diretta in aperti interventi militari all'estero – dalla fine del secondo conflitto mondiale – porta il ritorno di paure passate in alcuni strati della popolazione di cui una piccola espressione è il ricordo dell'incetta di prodotti alimentari ai supermercati alla vigilia dei bombardamenti su Baghdad alla scadenza dell'ultimatum USA nel gennaio del '91. In questo si riscopre un antimilitarismo che neanche nelle contestazioni contro la Guerra in Vietnam era tale in termini di denuncia politica, riallacciandosi idealmente a quello di inizio secolo. Il risultato è un manifestarsi di lotte che avvicinano numerosi giovani al movimento anarchico portando idee e energie importanti.
Alla stessa maniera qualcosa avviene a livello sindacale. A livello nazionale, di fronte alle prime tentazioni liberiste, l'arrendevolezza del quadro sindacale confederale viene messo in discussione dando vita ad un protagonismo del sindacalismo di base e libertario senza precedenti. Il panorama che si viene componendo a partire dalla contestazione in piazza dei quadri metalmeccanici nel '91 – conosciuta come la stagione dei bulloni – vede il fiorire di sigle e confederazioni sindacali in maniera tale da immaginare un ritorno ad un autunno caldo in cui riaprire una nuova stagione di conquista dei diritti. Si vengono a creare così condizioni favorevoli – nel susseguirsi delle lotte – all'intervento degli anarchici che si distingue dirigendosi in maniera prevalente lungo lo sviluppo di sindacati di base o all'allargamento e aumento delle realtà dell'anarcosindacalismo. Anche in questo caso si aprono scenari carichi di potenzialità.
Nel panorama politico, lo spazio vuoto lasciato a sinistra dall'implosione del PSI – sotto i colpi del craxismo – e della fine del PCI – trascinato nella caduta dell'Unione Sovietica – apre a speranze di rinnovamento e di attivismo politico, in particolare legato a tutta un'area antagonista cui, a fasi alterne, offre il suo sostegno, strumentalmente, il neonato Partito della Rifondazione Comunista. Altre forze della sinistra antagonista, in particolare quelle emerse durante gli anni '70 – ad esempio Autonomia Operaia – sembrano aver concluso il loro ciclo politico, mentre le realtà composite dei centri sociali, offrono spazi di sperimentazione e conflittualità in cui i libertari a volte si trovano in difficoltà di azione, mentre molto spesso riescono a sviluppare interventi e realtà di spessore.
Il ritorno della violenza fascista
Lentamente però si fanno strada le nuove parole d'ordine del pensiero unico dominante che veicolano una società liquida dove prevalgono localismi ed egoismi, paure indotte e psicosi di massa. A sinistra si plaude alla fine delle ideologie, a destra ci si prepara ad un ritorno in grande stile nelle stanze del potere, mai totalmente abbandonate. L'Italia del pensare globalmente ed agire localmente (il neologismo glocale è durato il tempo giusto di qualche inserto domenicale in riviste varie) è il primo paese che vede salire al potere – primo governo Berlusconi – un partito post-fascista (Alleanza nazionale). Anche i partiti diventano “liquidi”, non più diretti riferimenti di un sistema clientelare e di un compromesso socialdemocratico, ma ancor più bacino di faccendieri e servi omertosi del potere economico. I piani relazionali diretti, conosciuti fino ad allora, vengono a mancare e la politica si fa sempre più malessere viscerale e pulsionale invece che rivendicazione organizzata. Dalla tivù spazzatura la violenza scema nel crescere degli episodi di razzismo e sessismo.
Nel tempo, al ribellismo giovanile che ha accompagnato per decenni un certo ingrossarsi fisiologico dei gruppi antagonisti, si va sostituendo un sentore di qualunquismo e arrivismo che si diffondo fra le giovani generazioni – attraversate da una disoccupazione cronica che aumenta progressivamente i suoi numeri – e vede il ritorno dello squadrismo di destra che si mostra come alternativa ribellistica, anti-sistema in contrapposizione a quella dominante fino ad allora dei Centri sociali. Da Forza Nuova a Casa Pound, grazie anche al sostegno puntuale di settori istituzionali e politici, la violenza fascista torna ad essere provocazione e mano strumentale di settori del potere costituito.
Le notizie bruciate
Se il decennio degli anni '90 lascia comunque ben sperare per un ritorno da protagonista delle idee anarchiche, gli strumenti di diffusione di queste si riducono progressivamente. Mentre ancora all'inizio degli anni '80 diversi erano i periodici anarchici in lingua italiana, nel tempo alcuni scompaiono lasciando solo quelli storicamente “inossidabili” (Rivista A, Umanità Nova, Sicilia Libertaria, Germinal, etc.), mentre altri politicamente e sindacalmente di peso (Lotta di Classe, Collegamenti Woobly, Sindacalismo di base, Rivista storica dell'Anarchismo, Comunismo Libertario, Libertaria) vivono una inarrestabile diminuzione delle uscite in alcuni casi, fino alla definitiva chiusura in molti altri.
È una perdita che in parte viene mitigata dal farsi avanti della grande capacità di comunicazione che la rete offre con l'avvio dei vari strumenti presenti su social, blog e così via. Un discorso simile, che risente delle ricadute in generale della carta stampata, lo vivono le case editrici anarchiche e antagoniste in genere che, seppur rimanendo sulla breccia, e dandosi l'inedito appuntamento in quello dell'edizione periodica fiorentina della Fiera dell'editoria anarchica, soffrono comunque il peso economico della fase.
Nella società liquida la notizia è confezionata in modo tale da darsi e bruciarsi allo stesso tempo. Qualsiasi forma stampata o pubblicata in rete di risposta lungo il piano della controinformazione, della denuncia, dell'approfondimento, cozza contro un pubblico incapace di recepire il più piccolo stimolo alla ricerca della verità. E alla denuncia delle malefatte del potere non resta altro che perdersi in un amalgama informe che veicola una rassegnazione di fondo che si fa conscia del malgoverno, insensibile alle idee di rivolta ma reattiva nel vedere che tutto va male e quindi pronta ad auto-alimentarsi nella ricerca di un capro espiatorio da punire.
La personalizzazione della politica fornisce in questo un contributo di rilievo: la colpa è sempre più del personaggio e non del sistema, e quindi si cerca sempre più la figura onesta, brava, seria cui riferirsi, per poi abbandonarla al momento opportuno (la cosiddetta macchina del fango o la magistratura ad orologeria), dietro la spinta di guerre intestine al potere, e ricominciare da capo lasciando intatto l'apparato di dominio. La rassicurante idea dell'uomo forte o della provvidenza torna ad attecchire ad ogni livello – non solo in Italia – e veicola populismi e bonapartismi di sorta che ben si coniugano con un uso spudorato della propaganda politica e dei mezzi di informazione.
Il controllo dei media diventa così ulteriormente strumento ed emblema di potere forse senza precedenti dato che, proprio durante gli anni '90, attraverso l'uso di questi viene eletto il primo imprenditore prestato alla politica: Berlusconi, cui faranno seguito esempi simili in molti altri paesi (Menem in Argentina, Eltsin prima e Putin poi in Russia, Sarkozy in Francia e Trump in Usa, tanto per citare i più significativi).
La democraticità del sistema elettorale, la presunta partecipazione delle masse al potere e l'imparzialità della struttura statale, si riconfermano così nella loro realtà sostanziale, lungo l'asse portante dell'analisi politica dell'anarchismo, come meri strumenti di dominio, indottrinamento e controllo delle masse a favore delle élite sociali, culturali, economiche e politiche dominanti. In questo purtroppo si riafferma ulteriormente l'incapacità a livello collettivo di aver in alcun modo un minimo di controllo di fronte alle bugie del potere che cercano di dare giustificazioni apparenti al liberismo rampante e alla destrutturazione dello stato sociale e la cancellazione di diritti, servizi e garanzie sociali di ogni tipo.
Se prevale la figura del salvatore supremo, sull'altro versante si afferma ulteriormente il bisogno indotto del capro espiatorio di turno: terroristi, integralisti, untori di sorta e, non poteva essere altrimenti, anarchici, lungo una rinnovata strategia della tensione che non ha più bisogno di bombe nelle banche o nei treni, ma che miete ugualmente vittime, riduce libertà, alimenta odio e atomizzazione sociale.
Le speranze di un decennio alla fine trovano la prima vera battuta d'arresto nel 2001 con le tragiche giornate di Genova, l'attacco alle Torri gemelle, l'escalation della guerra in Afghanistan e poi in Iraq. Negli anni successivi si assisterà ad una progressiva erosione dei diritti dei lavoratori, della copertura previdenziale, sanitaria e scolastica, con l'aumentare di formazioni politiche autoritarie e dirigiste, anche quando non dichiaratamente tali (es. M5S) e il rendersi sempre più evidente di una incapacità di iniziativa politica e sindacale autonoma utile non tanto a conquistare nuove libertà, ma ad arginare la progressiva emorragia di quelle vecchie. La destrutturazione del mercato del lavoro diventa tale che il sindacalismo di base e libertario, con le potenzialità che gli sono proprie, non riescono nonostante tutto a tenere testa alla devastazione sociale che il liberismo imperante produce. I successi ottenuti in alcuni casi (Movimento No Tav) non riescono a riprodursi nella stessa intensità e riuscita nel resto del paese.
L'anarchismo del terzo millennio
Il resto è storia attuale. Il movimento operaio (inteso come conflittualità sindacale e protagonismo politico di classe) e l'antagonismo sociale non solo sembrano essere ai loro minimi storici, ma rischiano un giro di boa che li condurrà ad un punto di non ritorno verso un novello medioevo iper-liberista e tirannico dove nella migliore delle ipotesi si potranno avere «qualche assalto periodico ai forni» e qualche rivolta neo-dolciniana, mentre il quadro delle ideologie e delle utopie degli ultimi due secoli appare irrimediabilmente compromesso da livelli di paura, ignoranza e stupidità alimentati ad arte. In tutto ciò il movimento anarchico soffre una crisi di risorse umane e di idee in termini di innovazione, che forse non ha precedenti e che prima ancora di condurre verso una sua estinzione rischia di segregarlo in un limbo eterno di sopravvivenza al limite della fine: una trappola della povertà politica infinita.
E questo avviene, paradossalmente, proprio nel momento in cui le teorie anarchiche trovano, purtroppo, conferme teoriche continue nella realtà quotidiana; anche se la società liquida può permettersi questo e molto altro ancora, e l'assenza totale di contesti sociali e comunitari utili a sviluppare idee e pratiche di libertà e solidarietà, gioca a sfavore di qualsiasi conflittualità di classe e rivoluzionaria.
Il movimento anarchico, e ancor più quello dei lavoratori, degli sfruttati, di tutti coloro che lottano per un diritto civile o sindacale, per una vita degna e una giustizia sociale, sembra intrappolato in una corsa continua all'auto-riproposizione in una conflittualità a scadenza, eterodiretta, chiamata a contrastare le scelte del potere di turno nel saccheggio di un territorio, nella negazione di un diritto, nella chiusura di un'azienda o nella tratta di esseri umani.
Un lavoro che, quando va bene, produce bei momenti di piazza, energie umane e ideali che mitigano un po' il peso della militanza politica. Poi tutto riprende in una corsa affannosa, autodistruttiva, nota in termini economici con l'esempio pregnante della squirrell wheel. In questo le risorse umane, intellettuali e materiali limitate subiscono continuamente un'erosione che si ripercuote su un aumento del livello di povertà degli ambiti di intervento verso l'esterno e sul piano delle relazioni interne dove la tensione e lo scoramento, ma anche la rabbia e la determinazione rischiano il più delle volte di manifestarsi all'interno dei movimenti stessi, dei gruppi, delle federazioni. Quando non si riesce a liberare la conflittualità verso l'esterno, in maniera costruttiva, questa si dirige in maniera distruttiva verso se stessi. Lo studio continuo del passato, la riproposizione, in qualche caso al limite dell'agiografia, della conoscenza della storia libertaria conosciuta, prima ancora di essere strumento di analisi e conoscenza, termine di paragone o stimolo alla sperimentazione politica e sindacale, rischia spesso di assumere il significato di uno sguardo lenitivo ai tempi che furono, rendendo, per poco, per molto poco, meno insopportabile il presente.
Il sintetico, e sicuramente incompleto, quadro di un quarto di secolo presentato, è utile ad ogni modo a ricomporre la dimensione attuale sul piano socio-economico e politico in cui in Italia, ma non solo, si viene a trovare il Movimento anarchico, federato o meno, organizzato o individualista.
In tale situazione diventa importante riuscire ad evidenziare alcuni elementi delle risorse da sviluppare in concreti e percorribili ambiti di confronto, relazione e intervento a livello di movimento libertario e antagonista, lungo la prospettiva che ogni possibile terreno di conflittualità debba produrre radicamento sociale, ritorni solidali per i più deboli, allargamento della filiazione politica e sviluppo di una cultura libertaria e antagonista.
Riuscire a ragionare, dibattere, organizzare e progettare l'anarchismo del terzo millennio consci delle difficoltà del presente, significa già porsi lungo una prospettiva di cambiamento possibile in senso libertario della società attuale.
Giordano Cotichelli
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