Contro la mafia/ Per una politica oltre lo stato
Cara redazione,
vi mando alcune brevi osservazioni in margine al dibattito Igor
Cardella-Claudio
Venza (“A” 416, maggio 2017), che, a procedere
dalla questione mafia, chiama in gioco il ruolo politico dell'anarchia
oggi; che è questione troppo complessa, per cui mi limiterò
alla questione mafia, ma una cui comprensione strutturale può,
anche se molto parzialmente, precisare nel presente la strategia
politica d'una linea anarchica.
Una
esatta individuazione del fenomeno mafioso è nel breve
saggio di Gaetano Mosca: “Che cos'è la mafia”,
che a suo tempo riscopersi in un numero di una rivista di fine
ottocento e riproposi nei 'Millelire' di 'Stampa alternativa';
e nella cui mia breve prefazione annotavo: mafia, con pizza,
radio e maccheroni è il grande contributo linguistico
italiano al vocabolario dell'inglese internazionale contemporaneo.
Il fatto però che oggi mafia individui il fenomeno nelle
sue varianti: cinese, turca, giapponese, russa, messicana...,
non sta a indicare che il fenomeno sia stato esportato dalla
Sicilia in queste altre nazioni. Sta a significare che simili
cause: stati burocratici totalitari, anche se a volte in braghe
sedicenti democratiche, generano simili effetti: ingombrante,
radicata presenza mafiosa. E quanto più uno stato, come
oggi la Turchia, la Russia, ... l'Italia, mima una pseudodemocrazia
di altrettanto ha bisogno del fenomeno mafioso, per controllare
e dividere i ceti subalterni, soprattutto dove insorgano, come
nella Sicilia di fine '800, forti spinte popolari quali furono
'I fasci siciliani', una cui bella, amara ricostruzione è
nel romanzo di Pirandello 'I vecchi e i giovani'.
'Portella della ginestra' non è altro che la conferma
della necessità anche per lo stato repubblicano italiano
post sabaudo della funzione mafiosa; infatti alle spinte eversive
sessantottesche e post, corrisponde il potenziamento della eversione
reazionaria, tra i 'boia chi molla' e le bombe delle tante,
troppe mai chiarite piazza Fontana, mentre intanto la 'ndrangheta
e la mafia e la camorra si espandevano a nord, colonizzando
Piemonte, Liguria, Lombardia, Romagne; e il Veneto si inventata
una mafia autoctona, in un intersecarsi di servizi segreti,
magistratura, polizia e politica. Anche nella pianura padana
ben pochi sono oggi i comuni non infiltrati da una qualche variante
di mafia, come descrive lo scioglimento del comune di Brescello
per 'ndrangheta, il mitico comune di don Camillo e Peppone.
E infiltrata dalla mafia è stata ed è tutta la
cintura di Milano e Torino, fino al vergognoso fatto del prete
di Bardonecchia bruciato vivo dagli 'ndranghetisti perché
parlava contro la speculazione edilizia. E perfin più
inquietante è stato, quasi vent'anni or sono, l'omicidio
del giudice del tribunale di Torino Bruno Caccia.
Assassinato Caccia dalla 'ndrangheta perché non disposto
a vendere le sentenze; ne discende, se la logica non è
un'opinione, che gli altri giudici vend(eva)ono sentenze alla
delinquenza organizzata. Bisognava togliere di mezzo l'inciampo
Caccia, non il solo magistrato ammazzato dal crimine mafioso
per non 'aggiustare', more carnevalesco, le sentenze.
La mafia è parte dello stato, e soprattutto dello stato
democratico. E diventa tanto più necessaria agli apparati
repressivi statali, quindi più forte, quanto più
cresce la spinta democratica nelle masse, mentre al prevalere
di apparati statali totalitari: che sussumono in sé la
repressione in tutte le sue forme, come appunto furono il fascismo
e il bolscevismo, questo stato totalitari deve vendersi come
garante della giustizia, per cui usa la lotta alla mafia come
uno degli elementi propagandistici. Qui la mafia, incalzata
dai vari locali prefetti Mori, si contrae e ritrae, si riorganizza
come marginalità, in quanto la funzione antidemocratica
che svolge nelle democrazie al servizio delle componenti burocratiche
controriformiste le è stata sottratta. E allora, come
sotto Mussolini, si mimetizza, o diventa, come nei gulag descritti
da Varlam Salamov, strumento al servizio del crimine poliziesco.
E nulla descrive la necessità della funzione mafiosa
nelle democrazie liberali, dov'è vitalmente necessaria
alla componente burocratica statale reazionaria, quanto il caso
USA. Qui metodi mafiosi senza mafia italiana, esemplare il caso
Sacco e Vanzetti, furono diffusamente usati tra '700 e '800
contro gli aborigeni; e poi a controllare e selezionare e terrorizzare
le minoranze migranti. E soprattutto per reprimere il sindacalismo
libertario degli IWW, mentre ampi spazi furono sempre concessi
al crimine organizzato in funzione repressiva antidemocratica.
Una repressione transitoriamente non più necessaria per
il clima patriottardo anticomunista instaurato negli USA dalla
'guerra fredda', per cui l'eroe eponimo di quello scontro, il
presidente USA John Fitzgerald Kennedy decise di secondare la
lotta alla mafia condotta dall'FBI, e ne pagò il prezzo
con la vita. (Si veda sul punto il bel romanzo di J. Ellroy,
'American Tabloid', costruito dall'autore su una lunga ricerca
archivistica.)
Perché lo stato kennediano USA era contro la mafia? Perché
la mafia pretende di praticare, come lo stato, il prelievo fiscale.
Qui le due entità confliggono, soprattutto là
dove e quando la mafia taglieggia quel ceto borghese che è
il fondamento dello stato liberaldemocratico. E infatti è
ancora in questo spazio il terreno di scontro tra lo stato italiano
e la mafia, scontro che in Italia è diventato tanto più
aspro quanto più lo stato italiano è prossimo
alla bancarotta e affamato di imposte.
Ma parallelamente la presenza mafiosa garantisce per i gruppi
reazionari un appoggio in voti e una potente leva moltiplicatrice
dei processi corruttivi, per cui nulla quanto una analisi del
fenomeno politico mafia conferma la natura strutturalmente criminale
delle macchine statali, e quindi l'esattezza della posizione
anti statalista dell'anarchia. Circa poi come le comunità
umane possano porsi non più solo localmente ed episodicamente
contro, ma complessivamente oltre lo stato, una preziosa indicazione
è in Landauer: nella sua capitale distinzione tra forme
statali e comunali. Il comune medioevale come la polis mediterranea
sono strutture politiche non statali.
Questo bisogna capire e da questa fondamentale analisi bisogna
partire, per lo sviluppo di una politica dove il progetto anarchico
si trasformi in una forza agente sullo scacchiere di una politica
oltre lo stato.
Saluti libertari
Piero Flecchia
Torino
Dibattito vaccini.1/ Qualche dubbio (etico e scientifico)
Negli ultimi mesi la lotta tra fautori delle vaccinazioni di massa e antivaccinazionisti è rovente.
Il governo, le regioni e l'Ordine dei medici si sono mossi e si stanno muovendo verso un giro di vite nei confronti di coloro che sono restii alle vaccinazioni per i motivi più disparati. Solitamente alla fine di ogni dibattito il tutto si concentra sul concetto di “immunità di gregge”. Però, riflettendoci, alcuni aspetti della questione paiono sfuggenti e non così razionali come sembrerebbero scorrendo i vari articoli che i quotidiani e altri media sfornano quasi ogni giorno.
Proviamo a fare alcuni ragionamenti in modo molto semplice.
Se un bimbo si vaccina e accusa un danno biologico, ne tengo conto? O lo sacrifico? D'altra parte: se un bambino è vaccinato (e tutto è filato liscio) cosa c'entra l'immunità di gregge? Ossia: cosa importa a quel bimbo se lui è vaccinato e altri no? Lui, cioè, se è vaccinato non contrarrà le malattie per cui è coperto, giusto?
A proposito di “immunità di gregge”
Quindi l'immunità di gregge a cosa serve? A coprire quei bambini che sono così deboli come sistema immunitario che non possono vaccinarsi altrimenti poi si ammalano di malattie infettive, quelle malattie circolanti proprio grazie ai bimbi non vaccinati e per le quali rimarranno fortemente colpiti. Giusto? Come, del resto, sono colpiti alcuni bimbi vaccinati che reagiscono male alle vaccinazioni e rimangono lesi.
Qualcuno ha mai fatto un conto di quanti bimbi sono in una tale situazione immunitaria per cui non possono essere vaccinati? Oppure di quanti non potendo essere vaccinati hanno poi avuto problemi seri contraendo malattie infettive?
E qualcuno ha fatto un conto di quanti bimbi vaccinati hanno avuto problemi da vaccini? Ovvero: non sono tutti bambini che hanno gli stessi diritti? A chi vogliamo negarli?
Facciamo un mero calcolo aritmetico e garantiamo cinicamente o gli uni o gli altri? Facciamo il conto e lasciamo i genitori della fazione perdente ad asciugarsi le lacrime in onore della patria?
I genitori di bimbi vaccinati danneggiati possono usufruire di una legge che monetizza tristemente il loro dolore. Non possiamo farne una identica per i bimbi immunodepressi non vaccinati che contraggono malattie infettive con danni conseguenti? Così parifichiamo i due gruppi... Non è palese cioè che si tratta di una triste guerra tra poveri? Non siamo più nemmeno padroni del nostro corpo assoggettato alla legge materialista (o capitalista) del numero (e del soldo). È società umana questa? Possibile che non si possano trovare altre soluzioni? O non convengono?
Va ricordato che anche sul concetto (e la percentuale) di immunità di gregge gli stessi scienziati non sono tutti d'accordo. Basta fare qualche ricerca in Rete sui motori ufficiali di medicina accademica. Ma qualcuno ha il coraggio di dirlo? E dunque: siamo realmente in una situazione a rischio di epidemie che mettono in pericolo la salute pubblica? Da quanto pubblicato da alcuni esperti sul 'Sole 24 Ore' nelle ultime settimane non parrebbe proprio. Ci sono quindi altri motivi?
Qualcuno ha il coraggio di dire che le denunce (obbligatorie) di avvenuta reazione avversa a un vaccino non sono compilate come (e quando) si dovrebbe e che c'è una latitanza forte da parte degli operatori sanitari in tal senso? I dati ci sono. Perché l'Ordine dei medici non sanziona questi medici quando invece vuole radiare chi tra essi è cauto nel consigliare o sconsiglia del tutto le vaccinazioni?
Infine: qualcuno ha il coraggio di domandarsi come mai il numero di bambini (e di persone) che accusano problemi al sistema immunitario (o ad esempio cancro e leucemia che li comportano, che crescono dell'1,5% annuo nei bambini) è in aumento costante? È questo il mondo che pensiamo di costruire? A questo non si può provvedere in altro modo, alla fonte (prevenzione sociale, ambientale ecc.) senza ledere la libertà degli altri di gestire il proprio corpo, ma anzi aiutando tutti a rimanere in salute? Abbiamo delegato tutto, deleghiamo anche la salute? Siamo sicuri di essere in buone mani?
Un altro paradosso
C'è poi un altro problema legato all'immunità di gregge. Secondo i sostenitori di questa tesi la massa dei bambini vaccinati fungerebbe da contenimento alla circolazione di virus e batteri anche per la grande massa di adulti che o non si vaccina più o non è mai stata vaccinata e quindi torna ad essere esposta. Quindi abbassando la copertura vaccinale nella massa dei bambini si esporrebbe maggiormente anche la popolazione adulta suscettibile. E anche qui sta il paradosso: ma non è che se si fosse esposti da piccoli si sarebbe tutti tranquilli? In tal caso non si genererebbe una popolazione adulta suscettibile, che si ha soltanto se la si vaccina nell'infanzia senza più richiami (e che va quindi nel tempo perdendo l'immunità perché il vaccino solitamente dura solo pochi anni) e se le si impedisce di produrre un'immunità duratura naturale (che è per sempre). Io credo che per molte malattie infantili infettive relativamente innocue da piccoli (o per altre patologie infettive oggi curabili anche a posteriori) sarebbe la scelta migliore e il rischio minore.
Senza contare che il tetano è sì infettivo ma non contagioso e che per l'epatite B la contagiosità infantile è davvero quasi impossibile, motivi per cui decadono in questi due casi anche le motivazioni di non frequentazione di luoghi pubblici a protezione della salute collettiva.
Ci sono studi che quantificano la percentuale di complicanze nei bambini colpiti da malattia infettiva? E questa è messa a confronto con la percentuale di bambini colpiti da danno vaccinale, sia lieve che grave? Sono mai stati fatti studi di confronto in doppio cieco tra bimbi vaccinati e non vaccinati per rilevare le condizioni del sistema immunitario degli uni e degli altri e la loro reazione alle malattie? Perché non interessano questi studi? Non sarebbero fondamentali dato che i vaccini sono considerati farmaci a tutti gli effetti?
Senza contare poi che comunque è ampiamente risaputo che molte persone vaccinate sono veicolo di diffusione del virus in quanto sviluppano la malattia per cui sono state vaccinate in ogni caso e nonostante il vaccino. Ossia non sviluppano anticorpi. Quindi l'immunità di gregge che le vaccinazioni dovrebbero garantire dove va? Se i fautori dei vaccini, ovvero il 95-98% della popolazione da quello che appare, sono convinti della bonarietà delle profilassi vaccinali perché non si vaccinano tutta la vita con richiami quinquennali? Così il problema sarà solo di coloro che non si vaccinano e la libertà di scelta terapeutica sul proprio corpo sarà garantita anche a tutti gli altri. Non sembra difficile da capire.
Libertà di scelta terapeutica
Mi scuso ovviamente se ho ignorato alcuni aspetti per incompetenza e ignoranza. Credo tuttavia che alcuni dubbi sull'operato odierno di Ordine dei medici, ministero della Salute e mass media siano perlomeno ragionevoli in quanto a etica e a scientificità.
Un approccio più onesto e di dialogo sarebbe auspicabile per tutti.
La dittatura sanitaria è pur sempre una dittatura e come tale alla fin fine deleteria per la società e gli individui. I genitori anziché farsi guerra tra loro dovrebbero fare fronte comune contro gli interessi economici evidenti dominanti nel settore farmaceutico e contro la chiusura dogmatica di uno scientismo che non tiene conto dei suoi stessi profeti in patria che da tempo gridano al massacro. In tutti gli ambiti della salute. Una società in cui il PIL cresce anche in base al numero di malati e di servizi sanitari che ci sono deve far riflettere per forza. E chi ha problemi di salute non va certo poi in piazza a far valere i suoi diritti. Ha già altro cui pensare.
Riappropriamoci della nostra capacità di discernimento senza farci pilotare da remoto come un qualsiasi automa robotizzato.
Valerio Pignatta
Semproniano (Gr)
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Parigi 1878 - Il dottor Jenner vaccina suo figlio |
Dibattito vaccini.2/ Il decreto-legge Lorenzin, un'intrusione statale pesantissima
Il 19 maggio è stato varato un decreto-legge le cui misure sono state annunciate dalla Ministra della salute Lorenzin in attesa del vaglio parlamentare. I vaccini obbligatori passano da 4 (difterite, tetano, poliometite, epatite B) a 12 (pertosse, meningococco B, meningococco C, morbillo, rosolia, parotite, varicella, Haemophilus influenzae). Da zero a sei anni, in assenza di una completa copertura vaccinale, i bambini non potranno accedere ad asili nido e scuole materne statali. Dai 6 ai 16 anni, essendo costituzionalmente impossibile negare l'accesso alla scuola statale, la Asl (obbligatoriamente avvertita dalla scuola) convoca i genitori e intima loro di vaccinare. Se questi non si piegano sono previste multe fino a 7.500 euro annuali per dieci anni; quindi potenziali sanzioni per un totale di 75.000 euro a bambino da moltiplicare per i figli non vaccinati. Chi violerà l'obbligo sarà inoltre segnalato al Tribunale dei Minorenni per la sospensione della potestà genitoriale. L'Italia diventerebbe così la nazione in cui si sperimenta la più massiccia imposizione vaccinale coercitiva.
Senza entrare nei dettagli tecnici e nel dibattito scientifico, è importante, di fronte a campagne mediatiche insistenti che non hanno lasciato alcun spazio al dubbio o alla diversità di opinioni, ribadire che le vaccinazioni hanno effetto ambivalenti. L'equazione più vaccini uguale più salute è semplicistica e fuorviante. Ricordo che in quindici nazioni europee non c'è l'obbligo vaccinale, in altre è previsto per un numero limitato. Esistono numerose fonti di dubbio a cui la scienza medica istituzionale non risponde. Ne elenco solo alcune. É riconosciuto che i vaccini possono avere effetti collaterali anche gravi: sono previsti anche in Italia compensazioni per i danni da vaccino. Non si capisce perché si imponga la vaccinazione dei neonati a 3 mesi per l'epatite B trasmessa tramite sangue infetto e rapporti sessuali. Non si capisce perché malattie che venivano considerate parte del normale processo di costruzione della immunità (rosolia, varicella, morbillo) adesso diventino fonti di allarme. Su quanti e quali vaccini vadano eseguiti, come su quando ha senso farli, siamo nel campo dell'opinabile, delle politiche sanitarie non di una inequivocabile verità scientifica. La stessa giustificazione della vaccinazione forzata per proteggere chi non si può vaccinare andrebbe meglio argomentata per capire quanti sono effettivamente in questa categoria e perché vengano imposte vaccinazioni per malattie non contagiose (tetano).
Per gli anarchici, credo, i punti cruciali di questa vicenda siano due.
Primo, contrastare il ritorno della censura e ribadire il valore della diversità delle opinioni, soprattutto di quelle emarginate dalle istituzioni: in tutto il dibattito pubblico non c'è stata una voce discordante dal pensiero unico che vuole i vaccini sempre utili e necessari, quasi sempre sicuri. La forma più eclatante di epurazione delle voci scientifiche discordanti è stata l'approvazione nel luglio 2016 di una delibera della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri che prevede la radiazione per chi esprime dubbi sulla bontà dei vaccini in pubblico: le purghe sono già iniziate. In questo modo si sono silenziati molti medici dubbiosi.
Secondo, il ripudio di un autoritarismo di altri tempi espresso da misure eccezionalmente repressive che non lasciano via di fuga. Le crepe nella fiducia dei cittadini verso le istituzioni sono sempre più evidenti: molti non credono più che le istituzioni tutelino in primo luogo i cittadini (piuttosto che gli interessi delle multinazionali) ed esprimono dubbi rispetto alle certezze del progresso tecno-scientifico-produttivo, comprese quelle della medicina ministeriale. In molti campi, e tra questi quello vaccinale, stanno crollando i fondamenti ideologici che hanno generato per decenni il cittadino succube. Di fronte alla perdita di consenso, lo Stato smette di essere liberale e torna ad essere coercitivo.
Non si tratta, da anarchici, di entrare nel merito di quanti e quali siano i vaccini necessari o se le multe son troppe salate, ma di riaffermare il valore imprescindibile della libertà individuale, della autodeterminazione terapeutica, della tutela collettiva da una intrusione statale pesantissima.
Stefano Boni
Modena
Antimilitarismo/ Una filastrocca
Ho scritto questa filastrocca. Volevo condividerla con la vostra rivista che leggo sempre. Grazie.
I bambini poverini
nascon malati di libertà,
è la natura che va domata
risposero le autorità!
C'è bisogno di una divisa
e non solo a carnevale,
che gli insegni ad amar la patria
e a marciare senza fiatare.
Così da grandi saranno buoni
a servire i loro padroni,
in pace nei campi piegheran le schiene
in guerra tutti fanti a morir per chi gli conviene.
Matteo Gabrielli
Città di Castello (Pg)
Dibattito anticlericalismo/ Ma la Chiesa sta cambiando, basta puzza al naso
Cari compagni,
Tanto per incominciare con la verve polemica che gli amici mi
rimproverano spesso, vi dico subito che il numero
di maggio (“A” 416) mi sembra, nella copertina,
una reazione un po' scomposta a un concorrente decisamente più
potente, e che il vostro editoriale mi ha lasciato quanto meno
perplesso.
Il nostro pensiero anarchico è naturalmente ateo, come quello della maggioranza delle anarchiche e degli anarchici. Ma non è obbligatoriamente ateo, perché obbligatoriamente è un avverbio che mal si concilia con il pensiero anarchico e libertario. E la storia, anche recente, ha proposto delle (rare) figure di persone che in qualche modo facevano convivere religioni e filosofie di vita con l'anarchismo.
Ora, lasciatemi dire in primo luogo che mi dispiace (senza sentirmi colpevole) che la mia “militanza” si limiti nel leggere a sbafo la rivista, visto che, da brava partita IVA, gli ultimi anni non mi consentono neppure la magra cifra dell'abbonamento, e che sono sinceramente dispiaciuto di non aiutare i compagni che da anni sostengono la rivista con le loro risorse intellettuali ed economiche, ma tant'é.
Mi dispiace un po' tuttavia, da praticante di meditazione, essere invece un “anarchico di serie B” perché coltivo, fuori da ogni religione istituzionale, la convinzione (speranza?) di non essere solo un caotico ammasso di cellule che un giorno andrà semplicemente a fare humus per le generazioni a venire. Il richiamo alla maggioranza, poi, dovrebbe fare sorridere: il giorno che gli anarchici si lasciano suggestionare dal fascino di essere maggioranza sarebbe uno stimolo quasi irrefrenabile al suicidio collettivo.
Il cattolicesimo anni '50-60 (nello specifico quello torinese di “Dio-Azienda e Famiglia”, con i cappellani di fabbrica della FIAT di Valletta) l'ho vissuto sulla pelle (e non è una metafora, comprese le botte quando non dicevo le preghiere) e se qualcosa salvo di quello è proprio che tutto questo mi ha fatto diventare anarchico, quindi nessun rimpianto e nessuna concessione a santa madre chiesa, se mi passate la battuta: Dio me ne guardi.
Detto questo, non è possibile non osservare che la chiesa, per qualunque ragione lo faccia, da Woityla a Bergoglio è cambiata in maniera radicale. Su tutto un esempio: da quando si bruciavano gli omossessuali avvolti in finocchio selvatico perché l'odore della carne impura non si spandesse per l'aree alla mitica frase di Giovanni Paolo II “Dio ama tutti” (che sottintende “anche i froci di merda come voi”) al “Chi sono io per giudicare?” di Bergoglio mi sembra un salto quantico.
Va da sé che la visione cattolica su temi quali il fine vita, la sessualità o la vita di coppia è e rimane profondamente distante, e che, per esempio, la spaventosa percentuale di pedofilia oggi confessata dalle gerarchie ecclesiastiche dovrebbe fare riflettere sull'assurdità di proporre la castità per tutta la vita (che, per inciso, non ha nessun altro riscontro se non nella religione cattolica) e dovrebbe (per delle persone di onesti sentimenti, come avrebbe detto Giorgio Gaber) fare ripensare per intero il sistema educativo e la visione di “sesso sporco” che il cattolicesimo su tutti è riuscito a diffondere. Operazione questa che, secondo me, proprio per i presupposti di cui sopra, il cattolicesimo non è in grado di fare e, come per gli altri temi che ho citato, ci fa essere inevitabilmente avversari (ho detto volutamente “avversari” e non necessariamente “nemici”).
Mi preme comunque far notare che durante il pontificato del “santo” Giovanni Paolo II ai preti pedofili si faceva cambiare parrocchia in silenzio (in fondo, la stessa minestra stufa e anche un po' di carne fresca altrove non fa male, poveri sacerdoti costretti ad abusare sempre degli stessi adolescenti), e che, durante il suo viaggio in Irlanda, il medievalista reazionario Ratzinger ha retto una manifestazione dignitosa e documentata di persone che riportavano abusi, anche lui con una dignità e un coraggio che, sinceramente, non ho potuto fare a meno di ammirare. Nessuno può neppure negare che Bergoglio si stia muovendo, e non poco, su questo terreno. Rimangono i vizi di fondo, che fanno sì che non credo si possa essere anarchici e cattolici, ma tutto questo non può essere negato.
Come non si può negare che quando parla di ambiente e, soprattutto, di immigrazione, papa Francesco dica cose che ho letto solo sulla stampa anarchica: che questo posa essere fatto per “riverniciare” l'immagine di una chiesa in cui il papa ha molte meno legioni di un tempo, è possibile, va però detto che non mi pare siano troppo popolari, viste le sconfessioni e gli imbarazzati silenzi che riceve dal mondo politico.
Quando poi leggo l'articolo di un compagno su Umanità Nova in cui si dice che il terzomondismo cattolico è “pietistico e caritatevole” (cito a braccio, ma questo era il concetto), mi viene da dire che forse il compagno in questione si è risvegliato adesso dagli anni '50: al di là di figure “marginali”, scacciate o guardate con sospetto quali Eugenio Melandri o Alex Zanottelli, faccio notare che anche i missionari “mainstream” (uso un temine in voga per sentirmi una volta tanto con la maggioranza) quali i “famigerati” missionari della Consolata fanno oggi discorsi, in toni pacati, ma di contenuti estremamente radicali su temi quali l'uso delle terre d'Africa e il turismo, oltretutto con la forza e con la documentazione di chi sul campo ci vive e non è costretto, come me e probabilmente molti di voi, ad attenersi ai media per sapere che cosa succede realmente. Chi ha passato la sessantina come il sottoscritto ricorderà la frase maoista “Chi non fa inchiesta non ha diritto di parola” e loro inchiesta la fanno, noi molto meno anche per l'esiguità dei nostri ranghi.
In breve, dopo questa lunga tirata, di cui mi scuso, sono personalmente convinto che, in un'era di crisi che credo irreversibile dei partiti politici (e quindi anche dei gruppi anarchici organizzati, o di quanto ne rimane), sia più che mai necessario mantenere in vita un “pensare” anarchico, con degli effetti che sono al momento difficili da prevedere, ma che questa sia la sola via da percorrere, senza rinunciare – ripeto, me ne guardi Iddio – alla nostra specificità, al nostro essere, dichiararci anarchici ed essere maledettamente fieri di esserlo; agendo però nel mondo a 360° gradi, guardando quello che succede attorno a noi non rinunciando ad altro se non alla nostra puzza sotto il naso.
Saluti e anarchia
Marco Bonello
Torino
Dibattito/ L'onda lunga della Brexit
Un piccolo incidente rivelatore
Vivo in Inghilterra da sette anni. Uno dei tanti immigrati italiani che qui hanno trovato un'opportunità di lavoro o di studio. In sette anni non ho mai subito discriminazioni. Fino ad una domenica di aprile, quando ero sull'autobus con la mia compagna, e parlavamo in italiano. Mentre chiacchieravamo del più e del meno sentimmo un passeggero alle nostre spalle che imitava la nostra parlata ad alta voce. Pensammo si trattasse solo di un ubriaco un po' molesto. Niente di sorprendente, nonostante fosse ancora mattina. Così ci spostammo più avanti. Il passeggero allora si alzò in piedi e cominciò ad inveire contro gli stranieri e ad elogiare la Brexit “che finalmente caccerà gli immigrati. Anche a costo di pagare il doppio quando vado in vacanza in Spagna”. Nel bus tutti facevano finta di niente.
Anche se solo un piccolo incidente, questo episodio mi ha scosso
per diversi giorni. Dopo sette anni mi sentivo a casa qui. Perché
è successo? E perché dopo sette anni? Certo, potrebbe
essere solo una coincidenza. Eppure i media britannici hanno
riportato un netto aumento dei reati legati ad “odio razziale”
nei mesi successivi al referendum sull'uscita dall'Unione Europea:
14.300 tra luglio e settembre 2016, con un aumento del 50% sul
trimestre precedente.1 Quindi
non sembrerebbe un caso. Significa allora che la Brexit ha moltiplicato
i razzisti? Forse. Da mesi ormai media e politici britannici
– ma questo vale per grossa parte dei paesi occidentali
– bombardano i cittadini con messaggi allarmistici su
esodi di proporzioni bibliche. Migrazioni di massa che portano
con sé terroristi musulmani, stupratori seriali, parassiti
che prosciugano le casse dello stato. A differenza di altri
paesi, però, il Regno Unito ha conosciuto negli ultimi
anni anche un altro tipo di migrazione di massa, tutto interno
all'Unione Europea: centinaia di migliaia di rumeni, polacchi,
spagnoli, italiani. Stranieri che nell'immaginario comune hanno
causato disoccupazione, maggiori costi per il sistema sanitario
e previdenziale, aumento del crimine, e un generale peggioramento
delle condizioni di vita rispetto ad un passato mitizzato.
Le istituzioni normalizzano il razzismo
Infatti, per la maggior parte di media e politici, la colpa della crisi infinita non è del sistema neoliberista alla costante ricerca di forza lavoro da sottopagare, bensì degli stranieri. Il più antico dei capri espiatori. Com'era quella frase attribuita al ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels? “Ripetete una menzogna cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Ecco, appunto. Insomma, io non me la prendo col Brexiter che sul bus ripeteva come un pappagallo slogan xenofobi. Io me la prendo con chi quegli slogan li ha inventati e ripetuti ossessivamente. Slogan che fanno presa sulla frustrazione e paura di chi è nato e cresciuto in un sistema economico dove il principio dell'usa-e-getta si è spostato dal prodotto allo stesso lavoratore.
Un lavoratore che spesso non ha né spirito critico né gli strumenti culturali per comprendere il presente essendo figlio di una società che condiziona l'individuo a conformarsi alle istituzioni: dalla famiglia alla scuola, dallo Stato alla Chiesa, dalla polizia ai media. Io me la prendo con i vari esponenti conservatori, xenofobi, nazionalisti e fascisti, e ancor di più con i media che hanno fatto loro da megafono per mesi. Ciascuno per proprio interesse – per i voti gli uni e per vendere spazi pubblicitari gli altri – hanno fatto terrorismo psicologico e legittimato il razzismo. Ed ecco che la transizione è completa: il disoccupato, il precario, il lavoratore sfruttato diventano xenofobi, e alcuni xenofobi passano all'azione perché se i vari Trump, Salvini, Farage, Le Pen promettono di “innalzare muri” e “cacciare gli immigrati”, perché non dare seguito alle loro parole?
Dal privilegio all'intersezionalità
Tuttavia se gli episodi di odio razziale sono aumentati del
50% arrivando a 14.300, c'era già una buona base di partenza.
Le aggressioni verbali o fisiche verso gli stranieri non sono
certamente un'invenzione degli ultimi mesi. Più in generale,
ci sono sempre state aggressioni verso le minoranze, “i
diversi”, coloro che si allontanano dallo standard. Come
mai però, mi sono chiesto, non mi era mai capitato prima?
La risposta è stata facile trovarla ma più difficile
accettarla: perché faccio parte della maggioranza di
“privilegiati”: maschio, bianco, occidentale, eterosessuale
e di “ceto medio” (per istruzione più che
per portafoglio, in questi tempi di precariato). Per “privilegio”
si intende il godere di benefici che non ci si è guadagnati,
in base alla propria appartenenza ad un determinato sesso, genere,
etnia, nazionalità, religione, classe sociale. Un beneficio
che finisce per dare potere ad un gruppo a discapito di un altro.2
A quanto pare, le mie caratteristiche mi rendono tra i più
privilegiati. Per questo motivo nella mia vita non ero mai stato
veramente discriminato.
Eppure il mio essere identificato come straniero nell'Inghilterra
post-Brexit è stato sufficiente per rendere il mio “privilegio”
inferiore al “privilegio” di un altro maschio, ma
inglese. Come diceva il professor Bellavista (Luciano de Crescenzo)
al milanesissimo Cazzaniga sposato con una tedesca: “Si
è sempre i meridionali di qualcuno”. Difatti, nelle
complesse relazioni di potere che ci circondano, si è
spesso al di sopra di qualcuno ma sottomessi a qualcun altro.
Per far luce sugli intricati scenari di dominazioni sovrapposte
generati dalla complessità delle identità sociali,
la femminista nera Kimberlé Crenshaw introdusse il concetto
di intersezionalità.3
Ad esempio, una donna è solitamente più a rischio
di discriminazioni di un uomo. Ma cosa succede se la donna è
una ricca imprenditrice europea e l'uomo è un migrante
mediorentale? Le relazioni di potere agiscono su più
livelli intersecanti, come in un quadro di Escher.
Per un anarchismo intersezionale
Ecco perché credo fortemente che il movimento anarchico moderno debba definitivamente aprirsi all'intersezionalità: bisogna, a mio parere, contrastare le disuguaglianze ovunque e in qualsiasi forma si presentino, senza separare o dare una priorità predefinita alle lotte. Fondendole, anzi, all'interno di un anarchismo intersezionale in cui coesistano lotta di classe, internazionalismo, femminismo, antirazzismo, antiomofobia, antifascismo. Inoltre, per quanto possa sforzarmi ed essere empatico, io non potrò mai sapere cosa prova una donna o un soggetto LGBT o una persona di colore quando subiscono discriminazione, oppressione o dominazione. Per questo le anarchiche e gli anarchici non dovrebbero egemonizzare o sostituirsi alle categorie discriminate ma offrire solidarietà e supporto.
Potremmo imparare, a questo proposito, dai comunisti anarchici dell'Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica (ORA) che negli anni Settanta proponevano una suddivisione tra organizzazione specifica (il gruppo anarchico) e organizzazione di massa, ovvero le forme organizzative in cui si trovava il proletariato (il sindacato, l'associazione studentesca, il comitato di quartiere, eccetera). Estendendo il discorso dal proletariato a tutte le categorie intersezionali, questa suddivisone porosa permetterebbe ai militanti anarchici di mantenere una coesione identitaria, e allo stesso tempo di esprimere solidarietà attiva o partecipare direttamente alle lotte in maniera fluida.
Ci sono tanti modi di esprimere solidarietà attiva, ma il “like” su Facebook non è tra i più efficaci. A maggio c'è stato un incontro al LARC, una sorta di centro sociale londinese, sulla repressione orgranizzato da gruppi di squatter, antifascisti e anarchici dell'Anarchist Black Cross sia italiani che inglesi. In particolare si è parlato della situazione nei due paesi dopo gli scontri dell'anno scorso con fascisti e polizia a Dover, e il recente arresto dei sei compagni dell'Asilo Occupato di Torino. Per parlare di quest'ultimo punto c'è anche stato un lungo intervento bilingue via telefono della torinese Radio Blackout. Il LARC non è molto grande, ma quella sera erano presenti decine e decine di compagne e compagni di età e nazionalità diverse (sempre tutti bianchi, però), moltissimi in piedi. È stato un bel momento di solidarietà internazionale che è servito a condividere esperienze, diffondere consapevolezza, ma anche a firmare cartoline e raccogliere fondi da inviare a sostegno dei prigionieri torinesi e inglesi. Fondi ulteriormente accresciuti il giorno dopo attraverso un fundraising party (festa di finanziamento).
La solidarietà attiva come atto
rivoluzionario
Esprimere solidarietà attiva può essere fondamentale per gli individui o i gruppi di persone colpiti da repressione, oppressione e discriminazione. Quel giorno di aprile, mentre io e la mia compagna venivamo insultati sull'autobus in quanto stranieri, il resto dei passeggeri faceva finta di niente. Così come non me la prendo col razzista, non ce l'ho neanche con loro: figli dello stesso sistema che insegna il timore e l'omologazione. A maggior ragione alla luce di quanto avvenuto a Portland (Stati Uniti) poche settimane dopo, quando un “white supremacist” – un sostenitore della superiorità della “razza bianca” – ha ucciso su un treno due uomini che avevano osato difendere due donne musulmane da lui insultate. Eppure non tutti i passeggeri dell'autobus rimasero in silenzio e con lo sguardo basso. Proprio quando il Brexiter aveva confidato nella regola del silenzio-assenso per cercare l'approvazione esplicita dei presenti, un ragazzo gli rispose con calma: “Questa è la tua opinione, amico. Io non sono d'accordo.” Così, dopo un breve monologo dello xenofobo intervallato dai sempre più serafici “questa è la tua opinione” del ragazzo, il Brexiter prenotò la fermata e scese.
Un episodio doppiamente significativo. Prima di tutto perché, in questo clima di crescente odio e paura, la solidarietà attiva e il semplice dissenso sono rivoluzionari. Ma anche perché la solidarietà proveniva da un ragazzo britannico ma di origine afro-caraibica, quindi anch'egli probabilmente vittima di discriminazioni in altre situazioni. Ecco, dunque, l'importanza di un approccio solidaristico intersezionale. Perché, come la storia del movimento libertario dimostra – e più recentemente l'esempio dell'Asilo Occupato – gli anarchici non sono certo immuni dalla repressione. Per questo la solidarietà intersezionale rappresentata dal famoso discorso del teologo tedesco Martin Niemöller è oggi più attuale che mai: “Quando i nazisti presero i comunisti, io non dissi nulla perché non ero comunista. Quando rinchiusero i socialdemocratici, io non dissi nulla perché non ero socialdemocratico. Quando presero i sindacalisti, io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi presero gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”. Tuttavia non bisogna dimenticare il reazionarismo che contraddistingue l'attuale periodo storico. Dunque, per evitare di fare la fine dei 'martiri' di Portland, ci conviene accantonare particolarismi e personalismi che caratterizzano la galassia libertaria, e agire insieme. Solo partendo da collaborazioni tra quelle che l'ORA chiamava organizzazioni specifiche e di massa potremo costruire delle reti di solidarietà attiva e resistere alle incombenti ondate di regressione e repressione.
Luca Lapolla
Londra (Regno Unito)
- “'Record Hate Crimes' after EU Referendum,”
BBC News, February 15, 2017, sec. UK, http://www.bbc.co.uk/news/uk-38976087.
- Peggy McIntosh, “White Privilege and Male Privilege:
A Personal Account of Coming to See Correspondences through
Work in Women's Studies,” in Privilege: A Reader,
ed. Michael S. Kimmel and Abby L. Ferber (Boulder: Westview,
2003), 146–60.
- Kimberlé Crenshaw, “Mapping the Margins: Intersectionality,
Identity Politics, and Violence against Women of Color,”
in Critical Race Theory, ed. Kimberlé Crenshaw
et al. (New York: The new press, 1995), 357–83.
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
Antonio Cecchi (Pisa) 10,00; a/m Danilo Sidari, i
Sydney Realists ricordando Jack “the Anarchist”
Grancharoff, 220,28; Mirella (Gorgonzola – Mi)
ricordando Gianfranco Aresi, 100,00; Pina Mecozzi
(Grottammare – Ap) 10,00; Gianpaolo Casarin
(San Donato Milanese – Mi) 6,00; Pietro Spica
(Milano) 10,00; Carlo Grado (Milano) 6,00; Peter Sheldon
(Sydney – Australia) 300,00; Monica Giorgi (Bellinzona
– Svizzera) 18,40; Giulia Bianchi (Casorezzo
– Mi) ricordando il caro Gianni Bertolo, 20,00;
Silvio Gori (Bergamo) 100,00; Marco Pandin (Montegrotto
Terme – Pd) 50,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando
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Vescovo (Alessandria) 25,00; Gaetano Ricciardo (Vigevano
-Pv) 15,00; Roberto Corsi (Colle Val d'Elsa –
Si) 100,00; Angelo Tirrito (Palermo) 50,00; Gavino
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