arte
Le bandiere nere della natura
intervista ad Andrea Andreco di Franco Buncuga
“Le idee di libertà hanno spesso influenzato il mio lavoro” dice questo artista/performer video, impegnato soprattutto in ambito ecologico. E saltano fuori Camillo Berneri, Pëtr Kropotkin, Elisée Reclus, David Graeber... E poi le sue bandiere nere, anzi non-bandiere, anti identitarie.
Incontro con un artista decisamente originale.
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Leuca (Le) - “Parata per il paesaggio” di Andrea Andreco. Performance collettiva prodotta da RaMdom e Progetto GAP (foto di Andreco e Yacine Benseddik) |
Ho incontrato Andrea
Andreco a Brescia, davanti al muro esterno dell'Istituto Razzetti
dove stava realizzando un dipinto murale su invito dell'associazione
culturale In fact and in fiction, un progetto di arte urbana,
con la partecipazione dei ragazzi dei centri di aggregazione
giovanile Istituto Vittoria Razzetti Onlus, Carmen Street e
del CFP Educo.
Il suo intervento prevedeva anche la realizzazione di un
murale interno all'istituto con la collaborazione dei ragazzi
ospitati e come evento di chiusura presso lo spazio Contemporanea
una mostra antologica (retrospettiva) dell'artista, soprattutto
video delle principali performance di Andreco ed alcune opere
grafiche. Un'ottima occasione per intervistare un artista che
avevo conosciuto ai margini della mia stesura dell'articolo
sulle bandiere nell'arte uscito su questa rivista (su
“A” 414, marzo 2017) di cui solo in seguito
avevo scoperto le profonde radici libertarie.
Franco Bunuga - Sono venuto in contatto con la tua opera
facendo un articolo sulle bandiere nell'arte su questa rivista.
Non avevo idea del tuo rapporto con il pensiero anarchico. Inizialmente
ho molto apprezzato soprattutto la tua opera grafica. Le performance
con le bandiere le ho apprezzate in seguito e capite pienamente
solo ieri quando me le hai spiegate alla mostra e mi hai reso
evidente il rapporto tra il tuo lavoro e le tue letture teoriche
anarchiche. Ad un certo momento per chiarire il tuo rapporto
con il pensiero anarchico hai citato Camillo Berneri.
Andrea Andreco - Mi sono interessato molto al pensiero
libertario e anarchico a livello filosofico. Di Berneri ho trovato
molto interessante la sua critica agli approcci “assolutisti”
e la volontà di una continua innovazione nel pensiero.
Una “anarchia senza dogmi”1,che
non si basa su un decalogo prestabilito, ma cerca di ragionare
caso per caso in maniera ontologica. (Un approccio ed un ruolo
per certi versi simile a quello che ha avuto Gramsci per il
pensiero Marxista). In generale le idee di libertà hanno
spesso influenzato il mio lavoro artistico.
Tu sei ingegnere e artista contemporaneamente. Come riesci
a coniugare le due cose e come contamini i tuoi diversi saperi?
Dimmi qualcosa sul tuo percorso culturale.
Per molti anni ho avuto una doppia vita, quando studiavo ingegneria
ambientale all'Università, dipingere era una valvola
di sfogo.
Poi invece piano piano le due strade si sono incontrate, le
mie ricerche di bio-ingegneria scientifiche e quella artistica
si sono incrociate. Oggi realizzo opere d'arte che traggono
ispirazione dalle ultime ricerche contemporanee nell'ambito
della sostenibilità ambientale, dei cambiamenti climatici,
sull'uso sostenibile delle risorse naturali. Mi interesso al
rapporto tra uomo e natura in tutte le sue declinazioni.
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Verona - Installazione di Andreco per la mostra “Back to the Land”. Courtesy Studio la Città (foto di Pelicula snc di Sereni Michele Alberto e Barbuio Beatrice) |
Per rendere omaggio alla natura
Cosa sono i solidi neri che rappresenti nelle tue opere?
Sembrano delle amigdale, delle rocce scheggiate a cui spesso
accosti formule chimiche. Tornano in tutte le tue opere, nelle
bandiere, nei disegni, qual è l'archetipo di questo elemento?
In generale sono interessato ad un disegno che non sia né
astratto né figurativo, ma racchiuda un significato intrinseco
e simbolico. All'inizio per una decina d'anni pensavo a come
rappresentare la sfera umana, la più esistenziale.
Avevo trovato un modo per riassumere questo concetto: la rappresentazione
degli organi interni, elementi che ho iniziato a dipingere a
partire dagli anni '90. Poi ho abbandonato la rappresentazione
della sfera umana e mi sono dedicato in prevalenza al paesaggio
e alla natura. E per riassumere i concetti ambientali, della
geologia, la rappresentazione della terra e il rapporto con
la natura, ho iniziato a pensare a queste forme che possono
acquistare significati diversi a seconda del contesto. Per me
i disegni hanno un significato aperto che si completa in chi
li osserva e spesso possono suggerire trasformazioni.
Ho realizzato molte serie di disegni su immaginari passaggi
di stato della materia, traslazioni da solido a gas, da uovo
a minerale, da nuvola a macigno o a cespuglio. Nel tempo questi
elementi sono diventati parte di un personale linguaggio simbolico.
Un linguaggio che utilizzo per rendere omaggio alla natura.
Qual è nel tuo lavoro l'importanza dell'elemento
naturale?
Tutte le mie opere contengono una qualche forma di omaggio alla
natura. Cerco di mettere da parte l'egocentrismo ed il mio ruolo
di artista, per dare spazio alla natura stessa. Questo atto
centrale del metodo con cui lavoro lo chiamo nature as art,
natura come arte. Ad esempio a Bologna ho appeso in una galleria
un tiglio, che, secondo uno studio del Cnr, è tra gli
alberi locali che assorbe più CO2. È un modo per
rendere evidente un processo naturale e farlo diventare opera.
Spostare il punto di vista è un'operazione che faccio
spessissimo, ad esempio nello spettacolo The Rockslide and
the Woods ho portato gli attori e gli spettatori del festival
di arti performative Drodesera nella natura per fargli vedere
un grosso ammasso di macigni (la frana delle Marocche) e intervenire
per rendere quei macigni opera. Questo è uno degli spettacoli
che ho realizzato anche su influenza dei testi di Elisée
Reclus, in questo caso di Storia di una montagna.
Sento una profonda affinità anche umana con Reclus, che
era un uomo di scienza, un geografo e contemporaneamente durante
le sue dissertazioni scientifiche in parallelo trattava argomenti
di critica sociale. L'idea di concepire il paesaggio senza confini,
il suo innamoramento per gli elementi della natura, per la geomorfologia
delle montagne, dei ruscelli è una cosa che spesso torna
nei miei lavori e influenza soprattutto le mie opere di performance
nel paesaggio.
Il rapporto tra scienza e critica sociale era evidente
in pensatori come Kropotkin, Reclus e tanti altri. Tu cerchi
anche oggi di praticare questa via. Ma oggi è praticabile?
Forse attraverso l'arte?
La mia ricerca tra arte e scienza si è definitivamente
unita in un unico progetto quando ho realizzato Climate.
Prima c'erano delle contaminazioni quasi inconsce, irrazionali
tra le mie due identità. In generale credo che oggi sia
fondamentale un ragionamento critico che porti ad un uso sostenibile
e non speculativo delle risorse ambientali. Limitare le emissioni
generate dall'attività antropica nell'ecosistema in cui
viviamo è una priorità. Credo che questo sia un
tema centrale, che non deve essere lasciato solo ad un ambito,
ma debba essere affrontato in maniera multidisciplinare, con
ogni mezzo necessario.
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Parigi
- Dettaglio di “Climate 01”, dipinto murale di Andreco prodotto da Pigment Workroom e GFR |
Confine naturale contro confine politico
Nei tuoi lavori spesso usi bandiere nelle quali ritroviamo
ancora una volta molti dei tuoi simboli, nelle tue performance
e nei video si intuiscono elementi della tua ritualità
personale. E spesso domina il nero, nei teli, nei vestiti degli
attori e delle ballerine, sulle bandiere. Qual è l'origine
di questo apparato simbolico?
Le mie sono bandiere “contro le bandiere”, sono
bandiere non identitarie molto spesso usate in modo strumentale
per decostruire il concetto di bandiera, ogni volta hanno un
significato diverso a seconda della performance. Ho realizzato
due opere sul tema del confine, ispirate ai testi di Reclus,
uno è Parata per il paesaggio fatta a Santa Maria
di Leuca con l'associazione RaMdom, progetto Gap e con la partecipazione
di abitanti locali: abbiamo fatto una parata che celebrava la
scogliera come confine naturale in contrapposizione con il confine
politico, l'ultima punta estrema del tacco della penisola.
Dopo un anno ho realizzato un secondo progetto che si chiamava
ONE and ONLY per il progetto walking, arte in cammino
curato da Michela Lupieri e Giuseppe Favi. Mi è stato
chiesto di lavorare sulla frontiera tra Italia e Austria, dalla
guerra di confine del primo conflitto mondiale ad oggi. Anche
questa volta in modo analogo ho celebrato la montagna come confine
naturale in contrapposizione col confine politico. Durante la
prima guerra mondiale in quei luoghi sono morte migliaia di
persone per piantare una bandiera sulla cima. Dove, per il controllo
del territorio, erano stati immolati tutti quei soldati, esattamente
tra le due trincee, ho voluto piantare una bandiera della montagna
che in contrapposizione alle bandiere nazionali fosse una bandiera
che unisce.
Un'altra azione che ho realizzato con l'utilizzo di bandiere
è stata L'erba cattiva, la parata che ho fatto
con la collaborazione del gruppo Motus per il Festival Santarcangelo
dei Teatri. Al centro della performance è la pianta di
biancospino, pianta considerata illegale perché potenziale
portatrice di un battere dannoso per le coltivazioni e bandita
per legge dalle zone agricole. Si tratta di una drammaturgia
basata su l'Orestea di Eschilo, in particolare sulle Erinni,
che rappresentavano le furie legate alla natura selvaggia.
Non sono argomenti da ingegnere. Tu lavori spesso con
gruppi teatrali e spesso su temi classici. Come sei finito in
mezzo a queste tipo di esperienze, il teatro, l'arte pubblica,
le tue “parate”?
Ho avuto queste influenze frequentando il mondo del teatro.
Sono approdato alla performance dall'arte pubblica. La prima
volta che ho realizzato un evento di questo tipo è stato
ad Ancona quasi dieci anni fa. Al Museo della città,
in piazza dei Papi, veniva presentato The Last Great Whale
un mio murale realizzato nel porto dei pescatori.
Mi sembrava paradossale presentare un lavoro realizzato in periferia
in un palazzo storico al centro della città, allora,
grazie all'aiuto di un gruppo di percussionisti locali e della
mia amica Allegra Corbo, ho unito tramite una parata i due momenti,
traghettando il pubblico dal palazzo sino al porto dei pescatori.
Una sorta di “deriva” per mettere in contatto due
luoghi, uno centrale e legato in qualche modo al potere con
uno in periferia. Non nascondo l'influenza dei metodi usati
dall'Internazionale Situazionista, e l'interesse per Constant
e per Urbanismo unitario. Nel caso dell'erba cattiva
l'allora direttrice di Sant'Arcangelo dei Teatri, Silvia Bottiroli,
mi ha proposto di collaborare con una compagnia di teatro.
Abbiamo realizzato così uno spettacolo con una drammaturgia
più classica con parti performative più ragionate.
Il tutto poi terminava con una azione in cui si bruciava una
bandiera recitando una frase di Pasolini contro ogni tipo di
certezza. Ancora una vota per rimarcare l'idea di una bandiera
non identitaria, una bandiera che si è anche disposti
a bruciare.
Sono disposto a bruciare un mio disegno, una mia opera d'arte
e la mia stessa bandiera pur di ribadire con forza che non esistono
certezze e lasciare aperto il significato dell'opera. Un gesto
che rimarca anche una libertà che l'arte deve avere in
termini di indipendenza e libertà d'espressione.
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Confine Austria/Italia - “One and Only” di Andreco, Walking, Arte in Cammino |
L'influenza dell'alchimia
Un luogo dove mi è sembrato confluire la tua esperienza
di artista e quella di ingegnere è stata la tua azione
in Marocco, nelle oasi ai confini con l'Algeria nelle quali
nell'ambito della cooperazione internazionale eri stato a studiare
i sistemi di canalizzazione.
Ero responsabile di un progetto di approvvigionamento idrico e depurazione delle acque a scopo potabile. Avevo analizzato una serie di pozzi, nei quali avevo trovato acque inquinate da arsenico naturale e con alte concentrazioni di sali. Ho realizzato un workshop per la distillazione solare per ottenere acqua potabile e poi successivamente insieme a due amici, l'artista Ericailcane e Manuel Moruzzi, abbiamo fatto dei disegni sui muri e My Tribe, un progetto performativo con la popolazione locale in un'oasi abbandonata. Ancora non avevo la coscienza di voler fare un progetto unico nei miei lavori.
Ma è con Climate, il progetto itinerante d'arte pubblica sulle conseguenze dei cambiamenti climatici, nato a Parigi nel 2015 in concomitanza con la conferenza sul clima COP21, che esplicitamente scelgo di fondere i miei percorsi di arte e scienza. L'azione comprendeva un dipinto murale e un'installazione che ho realizzato insieme a un gruppo che realizzava orti urbani sui vacant lots, gli spazi temporaneamente abbandonati, che lì chiamano le friches, elemento caro a Giles Clement il teorico del Terzo paesaggio.
A Parigi ho tenuto anche alcune conferenze in cui ho spiegato le tematiche del mio progetto sia in una scuola elementare che all'università della Sorbona. Climate è un progetto itinerante e ogni tappa è composta da un murale un'installazione e una conferenza di divulgazione delle tematiche affrontate dalle opere.
Vorrei tornare sulla cosa che mi ha colpito di più
di te, i tuoi disegni: le tue pietre nere simbolo. C'è
qualcosa di più di un organo interno della terra, di
un'amigdala, di un qualcosa, sono schegge vive in qualche modo,
e il loro nero si impone, ci interroga.
Alla fine la mia paletta di colori è molto ristretta. Sono colori simbolici, c'è molto nero, c'è un po' di rosso, un po' d'oro e del turchese.
Non ha a che fare con l'alchimia? Albedo, rubedo, nigredo
e oro?
Anche l'alchimia è stata una delle influenze che ho avuto, soprattutto all'inizio del mio percorso, e adesso ritorna. In fondo l'alchimia era la chimica prima del metodo scientifico. Gli alchimisti erano così affascinanti perché mettevano insieme la scienza, il simbolismo, la mistica e l'arte visiva. Basta pensare alla bellezza di composizione delle tavole alchemiche. Mi interessano gli approcci multidisciplinari, inoltre cerco di declinare il mio lavoro d'artista con i più disparati mezzi espressivi.
Trovo interessanti anche le tradizioni ed i rituali dei popoli antichi. La ricerca contemporanea in ambito scientifico sulle Tecnologie Appropriate spesso si è trovata a rivalutare alcuni metodi tradizionali. Dalla rivoluzione industriale in poi, nel Capitalocene, nell'era capitalista, si è creduto che chi riesce a sfruttare più intensamente le risorse ottiene più progresso e più ricchezza. Poi si è visto che in realtà le risorse si esauriscono ed è necessaria una gestione più ponderata se non si vogliono incontrare gravi ripercussioni.
Fa riflettere accorgersi che oggi sia necessario un rispetto
delle risorse simile a quello dei popoli antichi nelle ere ancestrali,
sentimento che ancora sopravvive nelle tribù descritte
da David Greber2 e da molti altri
nei testi di antropologia anarchica. Queste popolazioni hanno
un rapporto con la natura di rispetto e di maggiore sinergia
e da questo punto di vista funzionano meglio della nostra. Elisée
Reclus aveva già questa consapevolezza quando affermava:
“L'uomo è la natura che prende coscienza di se
stessa”3.
Franco Buncuga
- P. Adamo, La morte di Berneri e le responsabilità di Togliatti; Anarchia senza dogmi, «MicroMega», n. 1 (2001)
- Frammenti di Antropologia Anarchica, Elèuthera
- L'Homme et la Terre. Elisée Reclus
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