Venezuela/
Crisi di Stato
Vi propongo una lettura di ciò che sta succedendo in Venezuela, frutto di varie ma brevi permanenze, tra il 2007 e il 2014 per un totale di un anno, in una città dell'Oriente del paese, Cumaná. Cerco di andare oltre la visione ortodossa che ci spinge a schierarci tra il crescente coro di indignazione per la pesante alterazione delle regole democratiche da parte dell'attuale presidente, il chavista Maduro, e la difesa ad oltranza dell'attuale regime, sempre più dogmatica e cieca, da parte di alcuni gruppi marxisti.
Mostro come, al di là del clamore coreografico e mediatico, le perverse dinamiche che osserviamo oggi fanno parte di logiche condivise di strategia politica, legate al controllo sullo Stato, sui suoi poteri e sulle sue risorse. In Venezuela oltre ad una crisi del socialismo è in corso l'ennesimo fallimento dello Stato.
Rendita estrattiva
Il Venezuela va avanti ormai da quasi un secolo sulla rendita petrolifera, potenzialmente tra le più ricche al mondo. La dipendenza della società dalla redistribuzione pubblica (sussidi personalizzati, servizi sponsorizzati dal pubblico, sostegno alle imprese fedeli, sovvenzioni statali su beni di consumo) è aumentata nel corso dei decenni. L'economia “socialista” non ha modificato la tendenza; al contrario, grazie a prezzi del petrolio straordinariamente alti nel periodo chavista, ha aumentato le elargizioni, concentrandole soprattutto sui quartieri più poveri.
L'effetto dell'assistenzialismo generalizzato è stato un aumento della dipendenza innanzitutto economica, con il paese che importava quasi tutti i prodotti industriali e le derrate alimentari. La piccola imprenditoria indipendente è stata fatta crollare dalla competizione con prodotti pesantemente sussidiati. La nazionalizzazione di fabbriche e imprese ha dato quasi sempre risultati scarsi quando non catastrofici. La creazione di cittadini dipendenti dallo Stato è una prima costante della politica venezuelana, accentuata dai governi in tinta socialista.
Corruzione
Il processo di accentramento statale della rendita petrolifera
e di redistribuzione pubblica è stato occulto, ed è
continuato ad esserlo sotto Chávez: la distribuzione
dei fondi governativi, gli investimenti pubblici sono stati
pensati e realizzati in modo da beneficiare gli alti e medi
funzionari di governo.
Le politiche redistributive si sono prestate a innumerevoli
casi di corruzione, grande e piccola, a scapito della trasparenza
e dell'equità. I militanti di base si sono spesso lamentati
che il chavismo ha fatto affari e accolto nelle sue fila affaristi
e trafficanti senza scrupoli, in maniera del tutto simile ai
governi che lo hanno preceduto.
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Caracas (Venezuela) - Una delle tante manifestazioni contro il governo di Maduro |
Clientelismo
La redistribuzione è stata legata sotto tutti i governi ad un esplicito clientelismo elettorale, dinamica amplificata nell'ultimo decennio. L'elargizione, per lo meno di certi benefici pubblici, è stata vincolata a impegni sul voto del beneficiario e la sua cerchia. Il “lavoro elettorale” del PSUV si è strutturato su catene dette del 1x10, ovvero un capo unità che garantisce per dieci elettori di cui fornisce nome e contatti; i capi unità sono a loro volta inseriti in 1x10 di livello superiore. Nel 2012 tale sistema ha permesso di registrare otto milioni di elettori, circa la metà del corpo elettorale. Il giorno del voto, gli elettori registrati passavano presso un gazebo collocato nei pressi di ogni seggio dove confermavano ai funzionari di base del partito la loro fedeltà elettorale. Le clientele hanno funzionato fino al crollo del prezzo del petrolio, iniziato nel giugno 2014, da oltre 100 $ al barile ai 30/60 $ degli ultimi tre anni. Il chavismo muore non con Chávez, ma quando interrompe le elargizioni clientelari. Gli effetti elettorali sono stati immediati: nel 2015 perde il controllo del parlamento.
Violenza
L'intreccio tra violenza e politica in Venezuela è di estrema attualità, con i recenti assassinii (condotti da soldati ma anche da gruppi paramilitari vicini al governo e all'opposizione) nelle manifestazioni di strada, ma ha una storia consolidata. La Guerra Federal (1859-1863) ha decimato la popolazione in un confronto tra esercito regolare e guerriglie razziatrici, composte dagli strati più poveri.
Nel Novecento la resistenza popolare di sinistra, clandestina e armata, si scontra con i regimi dittatoriali ma non accenna a smorzarsi con il passaggio alla democrazia parlamentare nel 1956. Gli anni Sessanta e Settanta sono segnati dalla guerriglia guevariana che negli anni Ottanta e Novanta viene sostituita da una lotta armata urbana. La storia politica recente rimane caratterizzata da mobilitazioni armate quali i tentativi di colpo di stato di Chávez e per deporre Chávez (1992 e 2002) in cui sono stati coinvolti alcuni degli attuali “perseguitati politici”. La violenza viene vista dai diversi pretendenti al controllo del governo come strumento disponibile, non alternativo alla politica democratica, ma piuttosto come un suo completamento.
Lo Stato ammorba la popolazione con le sue logiche, i suoi conflitti, i suoi vizi. Non sarà un cambio di governo o di presidente a liberare la cittadinanza da violenze strutturali, dalla iniquità nella distribuzione delle risorse, da dipendenze consolidate. Ciò appare evidente anche a molti militanti di base venezuelani che credono nella democrazia dal basso, sedotti dal chavismo per poi esserne disillusi. Per uscire dalle logiche che producono continue delusioni, si deve riconoscere che gli errori non sono frutto della personalità del presidente o di contingenze storiche, ma che fanno parte delle dinamiche proprie dello Stato.
L'augurio quindi è non solo che cada il chavismo, ma che le forze popolari non si rassegnino a vederlo sostituire con un suo clone dai colori apparentemente diversi.
Stefano Boni
Per approfondire
“Venezuela: chavismo, ma duro...”, su www.radiocane.info
www.nodo50.org
(rivista el Libertario)
R. Uzcátegui 2010, Venezuela: La Revolución como espectáculo. Una crítica anarquista al gobierno bolivariano, Caracas, El Libertario.
S. Boni 2017, Il Poder Popular nel Venezuela del ventunesimo secolo. Politici, mediatori, assemblee, cittadini, Firenze, editpress, in corso di stampa.
Sotto copertura/
Polizia, “compagni”, servizi segreti e...
Rob Evans è un giornalista del quotidiano britannico The Guardian. Insieme ad un altro giornalista, Paul Lewis, negli ultimi anni ha portato avanti un'indagine sui poliziotti sotto copertura infiltrati nei movimenti di sinistra della Gran Bretagna, e non solo. Qualche anno fa ne era uscito anche un libro: Undercover: The true story of Britain's secret police, di Rob Evans e Paul Lewis (Faber & Faber, Londra, 2013, pp. 352). Lo abbiamo intervistato.
Che i governi utilizzino agenti sotto copertura è cosa nota e vecchia, ma l'inchiesta che hai condotto con Paul Lewis lo conferma e aggiunge anche nuovi retroscena.
Puoi dirci di cosa vi siete occupati? Di quali movimenti nello specifico? Quali sono i risultati della vostra indagine?
Alcune inchieste fatte da giornalisti e attivisti hanno rivelato un uso diffuso di poliziotti sotto copertura impiegati per spiare, a partire dal 1968, più di 1000 gruppi politici.
Le spie hanno sviluppato delle false identità, passando in genere cinque anni a fingere di essere attivisti, riportando ai propri capi le informazioni su ciò che facevano e pianificavano i militanti. I gruppi infiltrati erano anarchici, socialisti, ambientalisti, animalisti, ma anche neo-nazisti.
È stato svelato che le spie hanno indotto alcune donne a creare relazioni personali e intime a lungo termine; hanno anche rubato l'identità a bambini deceduti, raccolto informazioni sui parenti in lutto e nascosto le prove durante i processi.
Per quanto riguarda l'Italia, cos'è emerso dalla vostra inchiesta? Solo il caso della spia Rod Richardson, comprovato agente provocatore infiltrato in un gruppo britannico e venuto in italia per il G8 di Genova del 2001?
È stato chiarito che spie della polizia britannica sono state inviate in altri paesi europei per infiltrarsi in alcuni gruppi politici. Non sappiamo molto sul perché e su come sia accaduto. Comunque sappiamo che una spia della polizia, con la falsa identità di Rod Richardson, si è infiltrato fra degli attivisti che hanno partecipato alle proteste per il G8 di Genova nel 2001. C'è una fotografia che lo ritrae durante la manifestazione, con la faccia nascosta da una maschera antigas (la foto è stata pubblicata sul sito del Guardian). Era infiltrato in gruppi anarchici e ambientalisti.
Nella vostra inchiesta avete trovato prove del fatto che esista un'operazione di cooperazione tra le polizie di vari governi per reprimere i movimenti di sinistra in tutto il mondo?
Per molti anni, le forze di polizia di tutta Europa si sono scambiate informazioni sugli attivisti. E in alcuni casi hanno mandato delle loro spie in altri paesi per infiltrarsi tra loro. Per esempio, come scritto in un articolo pubblicato sul Guardian il 20 febbraio 2011, la polizia tedesca ha inviato cinque agenti sotto copertura per spiare le proteste organizzate in Scozia contro il G8 del 2005.
Siete a conoscenza di altre inchieste analoghe fatte altrove che portano a medesime conclusioni, non relative alla Gran Bretagna, ma ad altri paesi?
Lo studio più dettagliato che ho avuto modo di leggere è quello di Matthias Monroy, pubblicato sulla rivista Statewatch (“L'uso di documenti falsi contro gli anarchici europei: lo scambio anglo-tedesco di poliziotti sotto copertura mette in luce controverse operazioni di polizia”, vol. 21, no. 2, aprile-giugno 2011).
Avete avuto modo di capire tramite la vostra inchiesta se, oltre a un'attività di classico spionaggio, queste persone infiltrate abbiamo influenzato le scelte dei movimenti nei quali si sono infiltrati?
Le spie influenzavano la direzione e le azioni dei gruppi nei quali erano infiltrati. E questo avveniva in diversi modi. Gli infiltrati riferivano ai propri superiori dettagli sulle manifestazioni prima che queste avvenissero e ciò poteva rendere le proteste meno efficaci rispetto a quanto inizialmente pianificato. Poteva scoraggiare gli attivisti, rendendoli meno attivi. Ci sono state anche delle accuse riguardo al fatto che le spie si siano comportate da agenti provocatori, nonostante ufficialmente gli sia proibito.
Storia/
Fisiognomica di Errico Malatesta
Compagni!
Malatesta muore! Con questo titolo in prima pagina
Umanità Nova il 23 marzo 1921 annunciava
che lo sciopero della fame intrapreso, alcuni giorni prima,
nel carcere di San Vittore a Milano da Errico Malatesta,
da Armando Borghi e Corrado Quaglino, minava il fisico
dell'anziano e debilitato anarchico. Incarcerati nell'ottobre
dell'anno precedente senza un'accusa specifica, nonostante
questo il governo non intendeva far liberare gli arrestati.
Nello stesso giorno dell'appello a Milano, al teatro Diana,
scoppiava una bomba posta da anarchici, uccidendo 21 persone
e ferendone 172. La bomba fu piazzata con l'intenzione
di uccidere il commissario Giovanni Gasti, indicato come
responsabile della incarcerazione e della detenzione arbitraria
degli anarchici.
Le vicende dello sciopero della fame di Malatesta e dell'attentato
al Diana fu seguito dai giornali dell'epoca, anche dalla
rivista Numero1,
diretta da Eugenio Colmo (Torino 1885-1967) caricaturista
ed illustratore con il nome d'arte di Golia, che nel fascicolo
n. 302 del 10 aprile 1921 dal titolo “Mal a testa”,
dedicato alla vicenda, dileggia sinistramente lo sciopero
della fame di Malatesta con la vignetta in cui il vecchio
anarchico viene ritratto con (fig.1) “la mascella
inferiore enorme, quadrata e sporgente”2,
la bocca ferina nella quale ingurgita le vittime del Diana
(Malatesta condannò il gesto e sospese lo sciopero
della fame) in questo aiutato da un omino con berretto
frigio e camicia nera (sic).
Vignette stupidamente polemiche, pubblicate sulla rivista
Numero,
sullo sciopero della fame di Malatesta e sull'attentato
del Diana
“Anche
quando la caricatura morde maggiormente, anche quando
la deformazione è violenta, addirittura brutale,
Golia non perde il suo garbo Torinese (sic), non affonda
il pennino nel cupo veleno dell'odio... conserva (al personaggio)
una sua pure grottesca privacy, gli regala, sia pure distorti
dal gioco dell'ironia, tratti di se stesso”.3
Seguono altre vignette, non di Golia, in cui si “ironizza”
sullo sciopero della fame di Malatesta (fig.2). Non è
satira né umorismo la vignetta in cui si dà
“il consiglio... per quale sarebbe l'operazione
migliore per liberare l'Italia dal Malatesta”, come
recita la didascalia. (fig.3)
I fascisti non aspettarono le vignette del Numero per
assaltare immediatamente la redazione milanese di Umanità
Nova dopo l'attentato al Diana.
Carlo Ottone
- Numero – Settimanale umoristico illustrato.
Fondato a Torino nel 1914, svolse una vivace campagna
interventista e poi di sostegno alla prima guerra mondiale,
cessa le pubblicazione nel 1922.
- Cesare Lombroso. Gli anarchici. II edizione.
F.lli Bocca, Torino 1895. Pag. 42.
- Golia. Cento anni di illustratori. A cura di
Paola Pallottino. Introduzione di Alfredo Barberis,
Cappelli editore. Bologna, 1979, p. 6.
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Ryanair/
Il prezzo del “low cost”
“Volare, oh, oh, cantare, oh, oh, oh,
oh
nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù”.
(“Nel blu dipinto di blu”, Domenico Modugno)
A 60 anni di distanza rimane uno dei brani più intonati e amati nel
mondo. Eppure, stando alle recenti vicissitudini della compagnia
irlandese guidata dall'inflessibile Michael O'Leary, sembrerebbe
sia venuta meno la voglia di volare e cantare: 2000 voli cancellati
e perdite stimate in 25 milioni di euro.
Sembrerebbe, appunto. Perché parliamo di briciole per
il vettore diventato leader in Europa e che si appresta a chiudere
l'anno con utili record di 1,3 miliardi di euro, grazie ai suoi
120 milioni di clienti.
Superata l'indignazione di facciata delle istituzioni e dei
media ufficiali invocanti il sacro rispetto della tutela dei
consumatori, trattasi di una piccola noia per Mr. O'Leary. Famoso
per le sue sprezzanti dichiarazioni (dal “come mantenere
i dipendenti motivati e felici? Con la paura”, agli “impiegati
pigri bastardi che hanno bisogno di calci in culo”), in
questi giorni è stato costretto ad apparire meno arrogante
del solito, ma senza snaturarsi eccessivamente: “mai i
sindacati, ghiaccerà prima l'inferno”. Con un patrimonio
personale di 1,1 miliardi di euro e con la certezza che il suo
potere economico-politico lo metterà al riparo da qualsiasi
noia, domani, statene certi, ricomincerà a cantare.
Viviamo in un sistema economico che premia la violenza del più
forte. E lui sta dalla parte dei forti. Punto.
Semmai è il personale di volo a non essere “felice
di stare lassù”. Come dargli torto? Stipendi all'osso
e assenza di tutele tipiche da “lavoretto”: paga
a cottimo in base alle ore volate, ferie, malattie e maternità
non pagate, sindacati vietati, costi (corso, divise, trasferimenti,
acqua e cibo sull'aereo) a totale carico del dipendente... Cos'hanno
in comune una hostess Ryanair e un “rider” di Deliveroo?
Subiscono lo stesso sfruttamento legalizzato.
Il modello “low cost” (o “no frills”,
ovvero senza fronzoli) è un prodotto made in USA,
adottato dalla compagnia texana Southwest nel lontano 1971.
Poi, nel 1991, con O'Leary alla guida di Ryanair, la magia del
“prezzo basso” è approdata in Europa (soprattutto
in Italia, dove operano un terzo dei suoi voli).
Da allora, per la compagnia irlandese, è stato un susseguirsi
di sportellate alle legislazioni dei vari Paesi per guadagnare
spazio e... finanziamenti pubblici, recitando la parte del Don
Chisciotte che sfida i perfidi colossi dei cieli, a tutto vantaggio...
dei consumatori! Certo, perché Michael O'Leary ha “democratizzato”
i cieli, ha donato anche ai meno abbienti la possibilità
di spiccare il volo, sottraendo l'odiosa esclusiva ai soli ricchi.
Che bello, quasi commovente.
Ma, c'è un ma... qual è il vero prezzo da pagare?
- 13.000 lavoratori senza diritti e con salari minimi (cabin crew 900-1400 €/mese), compresi i 4000 di loro che ricoprono il delicato ruolo di pilota (“La gente chiede come possiamo avere tariffe così basse? Io dico loro che i nostri piloti volano per niente” e che “se non sono felici sono liberi di andarsene altrove”. O'Leary);
- 150 milioni di euro/anno (stimati, in quanto i contratti stipulati sono “top secret”...) di finanziamenti pubblici versati dagli aeroporti italiani, facendo così diventare – solo per loro, ben inteso – l'intervento pubblico un bene e non più un male da combattere;
- costante ricatto economico e ingerenza politica (piegando leggi e regolamenti al loro volere), con la conseguente “elusione fiscale a norma di legge” e agevolazioni governative (vedere il mancato aumento della tassa municipale di € 2,50 a passeggero del 2016, per uno “sconto” statale stimato di 165 milioni di euro);
- drenaggio famelico di commissioni da ogni attività commerciale (hotel, negozi, ristoranti, autonoleggi, ecc..) che graviti intorno al big business dei passeggeri gettati loro in pasto dal vettore irlandese;
- espansione del “modello Ryanair” che costringerà la concorrenza a imitarlo in un gioco al massacro a spese dei soliti noti: lavoratori e fornitori (ovvero noi!).
In breve, un mostro che cresce, cresce, cresce... amplificando i nefasti effetti fin qui brevemente citati.
In questa società dove l'unico orizzonte è il mercato, si parla sempre e solo di noi in quanto consumatori, omettendo che siamo anche (e soprattutto) lavoratori e (ancora prima) esseri umani.
Come detto, sono pronto a scommettere che da domani nessuno si ricorderà più di questo inciampo, con buona pace di chi oggi crede al danno d'immagine. Tutto ritornerà “come prima, più di prima”, per citare un'altra famosa canzone.
A noi invece non resta che rimetterci a: “Volare senza pensieri”... come ci ricorda lo slogan della compagnia irlandese. A pensar troppo si è oramai fuori moda.
Simone Maze
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