rivista anarchica
anno 47 n. 421
dicembre 2017/gennaio 2018





Riflessioni su anarchismo e taoismo

Taoismo e anarchia due visioni del mondo che solo per un lettore superficiale possono essere considerate distanti, soprattutto per chi è appassionato di alterità culturale più che di identità rigide e monolitiche. Un tema che i lettori della rubrica “Antropologia e pensiero libertario” troveranno ricco di spunti e connessioni.
Finalmente anche in Italia qualcuno si è deciso ad affrontare le possibili connessioni tra tao e anarchia; Giuseppe Aiello è riuscito ad approcciarsi alla tematica con serietà ma senza abbandonare la sua estrema simpatia (più volte sono scoppiato felicemente a ridere durate la lettura) e capacità malatestiana di parlarci di temi profondi ma con fantastica chiarezza (Taoismo e anarchia. Le radici di un futuro senza Stato, La Fiaccola-Candilita, 2017).
Ho deciso di fargli qualche domanda su questa sua nuova pubblicazione, una conversazione tra un antropologo appassionato di taoismo e culture asiatiche e un militante libertario, scrittore e spacciatore di libri.

Caro Peppe, sono sincero, quando mi è arrivata la tua mail che annunciava l'uscita del libro sono stato felicissimo, prima di tutto perché ti stimo e anche i tuoi scritti che sono usciti prima di questo mi sono piaciuti molto, ma in questo caso centravi proprio un mio pallino, anarchia e taoismo. Si tratta di due tematiche sulle quali, se si vogliono approfondire le possibili connessioni, difficilmente si trova della buona letteratura in lingua italiana e il tuo libro inizia a colmare questo vuoto editoriale. Questo vuoto mi ha sempre colpito perché in realtà le assonanze sono moltissime e fuori dal nostro piccolo paese sono in molti ad averne scritto. Basta pensare ai nomi dei capitoli di uno dei principali testi Taoisti, lo Zhuangzi o Chuang Tzu, titoli come Sull'uguaglianza di tutte le cose, Vagabondaggi liberi e senza meta, direi che punti di incontro ne possiamo trovare tanti anche solo banalmente dai nomi dei capitoli...
Ma partiamo dall'inizio come ti è nata la voglia di scrivere questo testo e perché hai scelto di non considerare il taoismo come una religione ma come una visione del mondo profondamente libertaria?

Premetto che mi dichiaro non colpevole dell'aver distinto taoismo religioso e taoismo filosofico. Innanzitutto perché la distinzione non l'ho fatta io ma illustri studiosi del pensiero cinese, in secondo luogo perché non so neanche bene se Daojia e Daojiao siano davvero nettamente distinguibili. In ogni caso se prendiamo per buona l'idea che il taoismo filosofico preceda quello religioso di 5-800 anni è evidente che stiamo parlando di una cultura molto antica che ha dei connotati evidentemente libertari.
Nota bene che non mi sogno affatto di dire che l'intero pensiero taoista sia libertario, ma che ci sono alcuni aspetti che, opponendosi ad una concezione rigidamente statalista e gerarchica, interpretano il mondo secondo criteri del tutto differenti, ritenendo necessario per il raggiungimento dell'armonia universale un percorso (“Tao”) metodologico che diffidi dell'etica – che era una roccaforte ideologica confuciana – e incontri, interpreti e assecondi invece il perpetuo movimento della natura.

Spiega brevemente chi è Laozi, l'uomo dai tanti volti e nomi...
Neanche se mi paghi. Non si sa neppure se sia una figura storica o un modo per personificare una tradizione antichissima, se vogliamo azzardare un paragone improprio mi viene in mente il caso di Omero. Solo che non mi pare che Omero sia mai stato santificato invece Laozi è diventato una delle figure divinizzate della religione taoista, cosa che ai razionalisti può non piacere ma che ha comportato la possibilità, a mio avviso, di tutelare il Daodejing dalla censura e dal bando durante i millenni successivi. Io direi che se uno vuol sapere qualcosa di Laozi ha come unica possibilità quella di leggere il suo scritto, che come sai consta di poche migliaia di caratteri, e farsi confondere le idee dai suoi versi, a volte limpidi e a volte oscuri. Tanto che le interpretazioni sono disparate e non credo che qualcuno potrà mai dire una parola definitiva sul pensiero di Lao, a meno che non lo si contatti via seduta spiritica per chiarimenti.

Una lettura ottimista (e a me piace)

Puoi parlarci dei concetti chiave del Taoismo wu wei e ziran? Cosa c'entrano con l'anarchismo?
Anche qui, fior di luminari e di accademici sapienti hanno scritto saggi in merito e non vorrei banalizzare. Le traduzioni più frequenti dei due concetti sono “non agire” e “spontaneità, naturalezza”. Sono i due concetti cardine della condotta taoista e danno in qualche modo una chiara indicazione sulla giusta relazione tra individuo e mondo, in ogni suo aspetto, incluse società e natura.
Non so se sia corretto affermare che il wu wei abbia di per sé dei connotati libertari, ma se connesso con la ziran, che è una particolare declinazione della nostra idea di libertà, può diventare una pratica, quella di non entrare in conflitto con l'universo in quanto ostile, di non voler piegare la natura alle esigenze umane, ma armonizzarsi, entrare in sintonia, con il minimo sforzo possibile.
Governare è voler costringere umani e natura in un ordine a loro estraneo e dunque i taoisti sono tendenzialmente ostili al governo. Questo non è esattamente anarchismo, ma molti anarchici potranno ritrovare qui una parte delle loro idee. Altri no.

Molti lettori potrebbero dire che il non agire è un buon modo per disertare la lotta, il conflitto... sempre Laozi in un passaggio scrive: “Nulla al mondo è più debole e tenero dell'acqua, eppure nell'erodere ciò che è duro e forte niente la supera”. Ti va di interpretare questo piccolo aforisma?
Difficile in poche righe, su questo dovremmo parlare un'ora, anche perché mi coinvolge come paleontologo.
Tu mi hai qualificato come “militante”, ma hai sorvolato sul fatto che io non sono affatto un anarchico militante, sono casomai un evoluzionista militante. La questione delle microvariazioni che se perpetuate nel tempo provocano enormi cambiamenti oppure la lettura delle trasformazioni come dovute a potenti scossoni a me richiama le dispute tra sostenitori di Cuvier e i tifosi di Hutton-Lyell, non le diatribe tra anarchici gradualisti e insurrezionalisti, delle quali nulla mi frega.
Ecco, a questo punto potrei inoltrarmi in un prolisso distinguo tra darwinismo classico ed evoluzionismo moderno tipo teoria degli equilibri punteggiati, ma te lo risparmio se no è la volta buona che ti radiano dalla rivista. Una possibile interpretazione di quei versi è che anche quando ci sembra di non poter fare nulla, quando pare che il nostro operare sia irrilevante, non dobbiamo arrenderci alla rassegnazione, perché i nostri minimi contributi, se opportunamente direzionati, potranno dare immensi risultati. Diciamo che è una lettura ottimista, non l'unica, e a me piace.

Nel libro ti spingi con forti assonanze tra i due pensieri, addirittura spesso metti a confronto pensatori Tao ai “grandi” nomi dell'anarchismo, per esempio quando parli di violenza trovi un parallelismo tra Errico Malatesta e Laozi, avevi bevuto troppo come Tao Yuanming oppure esistono veramente connessioni tra le due visioni?
Purtroppo vista l'età non posso bere più come quando avevo l'età tua e mi devo assumere appieno la responsabilità dell'accostamento tra due tizi, Lao e Malatesta, di grande buonsenso. Entrambi sostengono che è molto meglio non operare atti di violenza, evitare l'uso delle armi, ma sanno benissimo che ci sono molti casi in cui se non si è disposti a reagire si soccombe.
Ti confesso che quando avevo vent'anni, a causa della fascinazione che esercitavano su di me Crass e compagnia, per circa un quarto d'ora quasi fui tentato di considerarmi nonviolento, ma mi resi presto conto che si tratta di una posizione sostenibile solo quando hai un po' di garanzie, altrimenti si tratta di vocazione al martirio.

Non posso non chiederti di parlarci di Zhuang Zhou che rinomini l'anarchico, dal mio punto di vista è anche un antropologo ante litteram perché ho trovato meravigliosa la sua teoria sull'impossibilità di una visione unica e oggettiva di un universo che cambia incessantemente, un precursore della teoria della mutazione culturale perennemente in transito. Forse il primo ad accorgersi della pericolosità delle idee di quest'uomo non sei stato tu ma Oscar Wilde... nel tuo testo lo metti in connessione con Proudhon...
Parlare di Zhuang l'anarchico è una piccola provocazione che mi sono permesso nei confronti degli storici ortodossi che tracciano una specie di pedigree da Godwin a Berneri manco l'anarchismo fosse un volpino di Pomerania. Wilde, che fu uno dei primi recensori della traduzione inglese dello Zhuangzi, capì perfettamente le implicazioni politiche del testo. Mi innervosisce un po' il fatto che ci sia arrivato prima di me, ma d'altronde io ho il vantaggio di essere ancora vivo mentre lui è morto e non può scrivere altri libri.
L'idea della non definibilità, dell'impossibilità di conoscere la realtà ultima delle cose è una delle componenti fondamentali del taoismo originario, tu lo vedi come approccio antropologico io forse ne vedo maggiormente la valenza epistemologica ma questo è dovuto al fatto che io a casa ho l'altarino di Feyerabend e tu i lumini li accendi a Malinowski. Viceversa, la netta ostilità al governo per la quale ho tirato in ballo Proudhon è una posizione di quelli che ho chiamato anarcotaoisti che non può essere estesa al taoismo in generale.
Se è vero che Zhuang scrisse solo sette capitoli del libro (e anche questo è opinabile) è verosimile che le posizioni più radicali siano dovute a una o più persone che ebbero la possibilità di apportare delle aggiunte e farle tramandare nel tempo come parte integrante del testo. Cosa che d'altronde sembra essere successa anche con capitoli di segno assai differente, quasi di marca confuciana, per cui lo Zhuangzi a una lettura frettolosa sembra davvero imbordellato. Poi uno lo rilegge tre o quattro volte e si rende conto che effettivamente sì, è un gran casino. Però è bellissimo.

Con una sonora risata o un ghigno sommesso

Solo per motivi di spazio e anche perché su queste pagine ne ho parlato fin troppo non ti chiedo di approfondire un'altra tematica importante del tuo libro ovvero la critica al primitivismo zerziano e l'approccio dell'antropologia culturale di Harris o quella dell'ornitologo Diamond e del matematico anti-civilizzatore Kaczynski. Ma legato a questi signori vorrei chiederti di parlarci delle connessioni tra “anarchismo verde” e pensiero taoista ovvero la critica necessaria al progresso senza fine e alla tecnologia, per farla finita con il pensiero libertario che crede ancora nel progresso della tecnica che ci libererà da ogni male. Come ci possono aiutare i pensatori taoisti?
Tra le convergenze individuate tra testi taoisti e anarchismo questo è l'aspetto più impressionante, perché si vede che pensavano praticamente le stesse cose degli ecologisti anarchici di oggi. Solo che lo facevano in tempi in cui non esisteva neanche un barlume di industrializzazione ed è palese come avessero individuato il meccanismo della formazione dell'autorità e si fossero resi conto che la tecnologia non era dominabile, pericolosamente direzionata all'aggressione della natura, non all'ottenimento di un equilibrio naturale. Guardando alla desertificazione tecnologica messa oggi in atto a ritmi ormai insostenibili, sembra quasi di vedere su una nuvoletta Lao e Zhuang che ci insolentiscono in stile Statler e Waldorf del Muppet Show berciando: “Imbecilli, sono più di duemila anni che ve lo diciamo!”
Il taoismo ci può aiutare ad affrontare un contesto dove ti trovi da una parte l'ottusa ferocia di Daesh e dall'altra gli anarchici a favore di ogni vaccinazione perché “se lo dice la Scienza allora deve essere vero”, un'ottusità ancora più grave. A un mondo che vuole imporci di scegliere tra visioni del mondo apparentemente contrapposte ma parimenti autoritarie il taoismo originario risponde da un paio di millenni con una sonora risata o un ghigno sommesso, tesori inestimabili.

Cosa succede quando il taoismo incontra lo sciamanesimo asiatico?
Non ho studiato abbastanza approfonditamente l'argomento, poi tieni presente che le fonti sono scarse e la storia della Cina lunga e complessa. Andando con l'accetta possiamo dire che l'arrivo del buddismo da ovest costringe la religiosità autoctona a definirsi come non aveva mai fatto.
Nessuno mette seriamente in dubbio il fatto che la religione che oggi chiamiamo taoismo abbia preso forma contrapponendosi al buddismo, ma anche imitandolo. In qualche modo i culti tradizionali, con una forte componente sciamanistica, adottano la cosiddetta filosofia taoista per contrastare la colonizzazione buddista che aveva già i suoi testi codificati e il suo clero. Il Laozi diventa un testo sacro, Lao un dio, o almeno un santo. Da notare che molti dei movimenti insurrezionali taoisti medioevali avranno a capo dei potenti e carismatici guaritori, cosa che penso indichi quanto fosse rilevante quella forma di cultura popolare.

Perché ci parli di una sorta di colonna Durruti pre-medioevale?
Per fare dispetto ai miei amici che studiano con rigore e metodo la rivoluzione spagnola del '36. Visto che il pirata Zhang Bolu pare non facesse altro che assaltare uffici governativi, ammazzare funzionari devoti all'impero e svuotare carceri, sono sicuro che Ascaso e Machno avrebbero aderito al suo progetto. Qualcuno può dimostrare che non è cosi?

Qualche parola sull'insurrezione del Movimento delle Cinque staia di riso?
Questa fu la seconda delle rivolte taoiste del 184. Quella dei Turbanti gialli fu sconfitta e ciononostante portò al crollo della dinastia Han, quella delle Cinque staia di riso riuscì a conquistarsi un territorio montuoso nel Sichuan e avere un proprio stato per tre decenni. Per alcuni storici si trattò di un normale insediamento di un capo politico-militare in una situazione di estrema debolezza del potere centrale, ma questa lettura mi sembra riduttiva.
Furono movimenti guidati, manco a dirlo, da guaritori, certamente trasversali ma con una componente contadina molto estesa. Erano religiosi ma tendenzialmente egualitaristi, difendevano le terribili condizioni dei lavoratori semischiavizzati dal potere centrale e da quelli locali. Forse è noioso da specificare ma va detto che i rivoltosi mettevano insieme elementi diversi, erano influenzati da un pensiero definito Huang-Lao, dove era ben presente anche una componente etica che possiamo chiamare confuciana.
Oggi si trova tradotto in inglese il Libro della Grande Pace che fu il riferimento teorico dei Turbanti gialli, ma si tratta di uno scritto piuttosto palloso che ho letto con grande sofferenza solo per amor di completezza e che mi ha insegnato molte cose. Innanzitutto che non diventerò uno storico delle antiche religioni e culture cinesi. Molto meglio i fossili.

Abbiamo bisogno di liberarci di una serie di miti, falsi e superati

Come risolvevano la questione del crimine gli uomini dai turbanti gialli?
L'esperienza dei Turbanti gialli durò poco, mentre più lunga fu quella delle Cinque misure di riso, e anche qui in quanto a fonti stiamo messi maluccio. Però da quello che si trova in inglese sembra che fosse condivisa l'idea che tanto le malattie quanto la tendenza a comportamenti antisociali fossero dovuti a squilibri dell'individuo e del cosmo in relazione a questi, e quindi si diffusero pratiche di preghiera, cura, meditazione e rito. Il risarcimento-ringraziamento per la guarigione spesso significava aggiustare pezzi di strada. Erano per principio poco inclini alla punizione e alla detenzione, però se uno compiva atti gravi o era recidivo usavano il codice Han, che non era simpatico nelle sanzioni.

Chi era Ruan Ji?
Uno dei principali poeti della Cina del primo medioevo, faceva parte dei Sette saggi del bosco di bambù, individualisti che si erano ritirati dalla vita pubblica oppressa dalla corruzione e da un soffocante conformismo. Anticonformisti radicali che dedicandosi alla musica, alla poesia, all'alcool e al sesso variegato sono diventati un'icona della ribellione al potere. Con loro più che Machno e Durruti ci sarebbero stati bene, non so, Bukowski e Belushi. Ruan ci ha regalato la Biografia del Maestro Eccelso, il primo dei tre scritti anarcotaoisti che ho riportato nel libro, con passi davvero acidi verso il potere. Che sia arrivato fino a noi mi sembra una specie di miracolo.

Yang Zhu invece è quel taoista che ci parla di assecondare le gioie dei sensi, di prendere il meglio della vita senza reprimere i propri desideri un elogio alla pigrizia e al non lavoro?
Non è facile sapere cosa esattamente dicesse Yang Zhu, tutto quello che sappiamo di lui è scritto da altri, e non è molto. Di certo ciò che è tramandato incarna perfettamente quella parte individualista dell'animo cinese che era un incubo per i pensatori confuciani come Mencio. Al pari di Stirner, del quale è il trisavolo spirituale, tiene in considerazione gli altri, ma sa anche perfettamente che rinunciare a se stessi, sacrificarsi a cause più alte e a noi esterne, è una strada che non porta né alla pace né all'armonia e tantomeno alla libertà. La libertà del singolo non può essere immolata sull'altare della società. Ti ricorda qualcosa?

Per concludere questa nostra conversazione sarebbe bello se riuscissi a dirci qualcosa sulla differenza che passa tra disciplina e autodisciplina e sul perché in effetti questo tuo piccolo libro (solo per il numero di pagine) sia una fondamentale lettura per tutti i libertari.
Come ho scritto nelle ultime pagine del libro io al taoismo ci sono arrivato tramite il taijiquan, che è una pratica di kung fu interno, basato su principî che vengono definiti taoisti. Io il taoismo manco sapevo che era, però vedevo applicata in concreto un'idea che secondo me ha sempre distinto, ad esempio, le milizie anarchiche dagli eserciti. Tu operi con impegno, a volte anche con abnegazione assoluta (lo so che contrasta con il wu wei, ma sorvoliamo obbligatoriamente) al compito che ti sei scelto. Ci sono alcuni esercizi di qigong che sono davvero impegnativi, ma non li farai mai perché qualcuno ti ordina di farlo, li fai perché sai che stai facendo un percorso che merita quel disagio, anche intenso, che stai provando. Perché quel percorso fa parte, è, la tua singolarità, la tua individualità in connessione con ognuno e ogni cosa. Per me praticare e insegnare taijiquan significa essenzialmente questo, oltre al fatto che mi aggiusta la schiena che il lavoro al microscopio e al computer mi sabota.
Per quanto riguarda il libro non so se sia fondamentale per tutti i libertari, di sicuro è informativo su alcuni aspetti della storia delle idee di libertà che ben pochi conoscono. Poi c'è una parte mia, piccola, in fondo al libro, dove espongo alcune convinzioni sull'attuale strutturazione del Dominio-Proteo (ameboide gerarco-frattalico l'ho chiamato in un delirio battesimale che ogni tanto mi prende) e su come abbiamo bisogno di liberarci di una serie di miti, falsi e superati, che ci spingono a contrapposizioni sterili o, peggio, a una desolata rassegnazione.
Quello di Zhuang e di Lao è in questo senso un insegnamento per me davvero prezioso, e quanto ho scritto spero costituisca una buona introduzione alla parte più libertaria delle loro idee e che sia magari capace di sollevare qualche dubbio.

Andrea Staid