Convegno a Reggio
Emilia/
Di anarchismo e di rivoluzione russa ieri e oggi
Tra il 1° e il 2 dicembre si sono svolte presso l'Università
di Reggio Emilia due giornate di studi dedicate agli anarchici
nella rivoluzione russa. Programma fitto e interessante, pubblico
piuttosto folto per essere un convegno (direi a spanne una sessantina
di persone fisse e un centinaio contando quelle di passaggio),
in queste poche righe vorrei buttare giù qualche impressione
e riflessione personale, rimandando per una panoramica più
generale al sintetico e completo report firmato dalle organizzatrici
e dagli organizzatori del convegno.
Il primo giorno è stato funestato dalle assenze: purtroppo,
né Roberto Balzani né Giampietro Berti né
Ettore Cinnella hanno potuto presenziare (per fortuna il secondo
giorno è mancato solo Massimo Ortalli). Ciò ha
fatto ricadere il peso della prima sessione su Toni Senta che,
direi, se l'è cavata egregiamente. Considerate queste
assenze, lo schema di questa prima giornata mi sembra che si
possa riassumere così: Cinnella (attraverso la lettura
da parte di Toni Senta della relazione che ha inviato) ha preso
in esame la complessità e la lunghezza della rivoluzione
russa, Marcello Flores ha presentato gli aspetti generali degli
anarchici e della rivoluzione russa, infine Giuseppe Aiello
si è concentrato su un aspetto particolare (Kronstadt).
Un percorso a imbuto che in prospettiva mi è sembrato
nel complesso convincente come inizio.
Il secondo giorno è stato ricco di interventi diversi,
che hanno spaziato (in ordine sparso) dalla Machnovicina
(Misha Tsvoma) alla critica del bolscevismo di Alexander Berkman
(Roberto Carocci) e al dibattito sulla rivoluzione tra lo stesso
Berkman ed Emma Goldman (Pietro Adamo), dagli ultimi giorni
in Russia di Kropotkin (Selva Varengo) alle donne rivoluzionarie
(Lorenzo Pezzica) passando per la precoce critica alla rivoluzione
russa dei più significativi esponenti dell'anarchismo
italiano (Toni Senta) e per il ruolo di Berlino come centro
dell'esilio anarchico russo (il sottoscritto).
Ora, come spero si sarà capito, il convegno mi pare che
sia andato bene. In fin dei conti ha presentato una panoramica
ampia, non limitata né geograficamente alla Russia né
cronologicamente all'evento “rivoluzione d'Ottobre”.
Nell'insieme è invece venuta fuori una narrazione stratificata:
le riflessioni di esponenti conosciuti come per esempio Kropotkin,
Berkman, Goldman, Fabbri e Malatesta non hanno messo in ombra
le vicende di donne e di militanti di secondo piano (mi si passi
l'espressione). È emersa quindi la dimensione internazionale
della critica anarchica alla rivoluzione russa. Gli interventi
non sono rimasti fermi a Mosca, ma hanno idealmente spaziato
tra Francia, Italia, Germania e Stati Uniti, spingendosi dal
1917 fino alle profondità degli anni Venti, quando gli
anarchici non erano che degli sconfitti che criticavano l'incriticabile
- la “patria rossa del proletariato”.
Eppure. Eppure tornando in treno in una nebbiosa e cupa serata
come solo la bassa padana sa regalare, sentivo che c'era qualcosa
che non andava – e non me lo spiegavo. Ero soddisfatto
del convegno, gli interventi interessanti, ho dato un volto
a persone che conoscevo solo attraverso uno schermo, ho detto
quello che volevo dire - insomma, tutto a posto. Eppure c'era
qualcosa che mi era rimasto sullo stomaco e non era quella maledetta
torta di riso che con alcuni convegnisti ho mangiato a pranzo
(che sullo stomaco ci è stata davvero per lunghe ore).
Era qualcosa di meno materiale. Dopo alcuni giorni, quando oramai
la torta di riso era bell'é digerita, ho capito.
In un recente e fondamentale volume dedicato alla storiografia
dell'anarchismo in Italia, Giorgio Sacchetti osservava giustamente
che è finalmente caduto il “muro di Berlino”
anche nella storiografia che aveva nei decenni precedenti marginalizzato
l'anarchismo. Da alcuni anni a questa parte infatti anche nel
panorama accademico italiano si è cominciato a parlare
di anarchici e anarchismo: ci sono sempre più tesi di
laurea e di dottorato, studiosi affermati prendono in considerazione
l'argomento, una nuova generazione di studiosi sta crescendo.
Certo, l'Italia è ancora indietro rispetto al resto dell'Europa.
Solo pochi giorni fa un'amica mi ha prestato un opuscolo pubblicato
dalle edizioni dell'Università di Nimega (Olanda) dedicato...
alla pratica del consenso nella costruzione decisionale di un
gruppo anarchico. Una cosa del genere è ancora fantascienza
da noi. Ma non mi piace nemmeno cullarmi in questo continuo
masochistico paragone con l'estero – non è questo
il punto.
L'elemento centrale invece mi sembra essere un altro. Secondo
me, la grande maggioranza degli interventi che si sono tenuti
durante il convegno (compreso il mio) oscillavano tra due dimensioni:
da un lato la ricerca (e ce n'era tanta), dall'altro la testimonianza.
Parlo per me: analizzando in retrospettiva la mia relazione,
non c'era solo l'analisi di un network solidale, ma anche la
testimonianza dell'esistenza di questo network, ancora ignorato
dalla storiografia ma soprattutto – e qui è l'elemento
chiave – dal dibattito pubblico. Senza farsi illusione
alla Habermas, bisogna infatti notare che per la grande maggioranza
delle persone l'anarchismo non evoca certo una delle più
importanti correnti di pensiero dell'Otto-Novecento, capace
di intuizioni geniali che poi si sono generalizzate (anche se
spesso sotto un segno ideologico diverso - pensiamo al caso
della critica alla rivoluzione russa) e di analisi profonde
e capaci di cogliere i processi in atto.
Ed ecco la causa del mio peso sullo stomaco: sentire ancora
come necessario coniugare analisi e testimonianza. Dover insomma
ancora dire: ehi, non solo gli anarchici hanno fatto
questo e quello, hanno sbagliato quello ma ci hanno imbroccato
su questo e lo dico su queste fonti con questa metodologia.
Ma dovere soprattutto dire: ehi, gli anarchici c'erano, erano
militanti attivi, erano teste pensanti, erano critici lucidi
e acuti. Non voglio dire, si badi, che le cose devono
essere in questo modo, dico solo che, a mio parere, le cose
stanno in questo modo.
Come ha efficacemente osservato un giovane studioso di anarchismo
con cui ho parlato di queste righe, Oreste Veronesi, la sfida
allora consiste nel fare in modo che la testimonianza anestetizzi
un approccio decontestualizzante della ricerca ma al contempo
non si trasformi in memorialistica volta a ribadire solamente
un'identità politica. Potremo così camminare tra
le macerie dei muri caduti, in un mondo senza frontiere.
David Bernardini
Francia/
Lotte ecologiste. Vittoria a Notre-Dames-des-Landes
Gli oppositori hanno vinto una battaglia ambientalista durata
più di cinquant'anni (cfr. “A”
407, maggio 2016, “Con le scorie sotto i piedi”)
e paragonabile a quella di Larzac. La lotta di Larzac fu un
movimento di disobbedienza civile, contro il progetto di ampliamento
di un campo militare nella piana di Larzac, che durò
dal 1971 al 1981.
La decisione annunciata dal governo francese di abbandonare
il progetto di aeroporto a Notre-Dame-des-Landes, magnifica
area rurale a circa quindici chilometri a nord di Nantes, è
una vittoria e un enorme sollievo per le decine di migliaia
di ecologisti presenti a ogni raduno anti-aeroporto. È
innanzitutto una vittoria sulla Vinci, tra le più grandi
e rapaci multinazionali francesi, che da decenni cementifica
e distrugge senza sosta la natura del pianeta1.
Una vittoria sul lobbismo e su chi ci sguazza dentro, come gli
amministratori locali e nazionali appartenenti alla stessa famiglia
del grande patronato.
Il nuovo governo non si farà pregare per versare i 350
milioni di euro di risarcimento alla Vinci. Il contratto fu
stipulato nel 2010, dopo che il costruttore vinse l'appalto
per un contratto statale di concessione, concezione e costruzione
dell'aeroporto del Grande Ovest, per un totale di più
di 500 milioni di euro, e la durata prevista era fino al 2065.
Una vittoria sul capitalismo, perché nei circa settanta
alloggi illegali, di una bellezza «anarchitettonica»
mozzafiato, l'autogestione e il mutuo soccorso sono riusciti
a sostituire l'ideologia mercantile.
Una vittoria sull'organizzazione di tipo statale. La ZAD –
in origine «zona di sistemazione differita», poi
«zona da difendere» o «zona di autonomia definitiva»
– non è certo diventata dall'oggi al domani un
«paradiso» terrestre anarchico, tuttavia, le decisioni
sono state prese in assemblea, senza forze dell'ordine, né
tribunali.
Una vittoria, infine, contro il disfattismo dilagante e l'«a
che pro?». I cittadini legalisti, gli agricoltori storici
e gli zadisti hanno, infatti, dimostrato che, nonostante le
differenze e seppur con qualche divergenza, è possibile
unirsi e far fronte comune.
Questo è un traguardo incoraggiante anche per gli altri
siti in Francia in cui si consumano scontri diretti e che registrano
a loro volta occupazioni illegali (delle ZAD per intenderci):
è il caso di Bure, dove si vogliono smaltire i rifiuti
nucleari più radioattivi del paese, oppure di Strasburgo,
dove la costruzione del grande raccordo anulare ovest è
affidato, guarda caso, alla Vinci, oppure, di Roybon e della
sua storia di Center Parcs, e così di molti altri. La
“convergenza delle lotte” è avvenuta, ora
deve farsi anche a livello sociale.
Tuttavia, anche se gli ecologisti hanno vinto la battaglia,
non dobbiamo dimenticare che, in compenso, gli aeroporti di
Rennes e Nantes saranno ampliati, che la Vinci otterrà
un indennizzo, e che di sicuro le saranno affidati altri cantieri
lucrosi.
L'attuale governo francese, il cui ministro dell'ambiente Nicolas
Hulot vara di continuo misure anti-ecologiche2,
continuerà la sua marcia in avanti grazie a riforme ultraliberali.
Insomma, il capitalismo e il suo stato stanno bene.
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Francia, Notre-Dame-des-Landes - Un momento della mobilitazione |
Una frequentatrice assidua della ZAD commentava così:
«Certo la Vinci ha perso, ma questo non vuol dire che
gli “zadisti” abbiano vinto, perché adesso
è il capitalismo verde a farsi strada. Le tante persone
che negli anni si sono trasferite nella ZAD per proteggerla,
ormai subiscono una doppia pressione. Innanzitutto, una pressione
esterna, per far evacuare la zona, anche con espulsioni. La
polizia sta già cominciando a manifestarsi nei dintorni
della ZAD, e non tarderà a piombare sugli “occupanti
abusivi”, mettendo in atto tutte le misure necessarie
per “ripulire” quella che, agli occhi della cittadinanza,
deve smettere di essere una “zona franca”. I controlli
si abbatteranno principalmente su i più precari, che
hanno mezzi di trasporto e documenti non proprio in regola e,
a forza di multe e ritiri della patente, alcuni potrebbero,
addirittura, essere processati. Tutti saranno esortati a migrare
altrove sotto minaccia di un pestaggio generale in primavera.
Ma c'è anche una pressione interna, perché una
parte del movimento (...) vorrebbe che gli abitanti trovassero
una sistemazione in case vere e proprie e pagassero l'affitto,
le bollette, le tasse, e che le capanne fossero distrutte...
in pratica che l'occupazione cessasse e la zona si legalizzasse.
Poi, forse, potrebbe diventare un territorio pilota per l'agricoltura
eco-responsabile, e via dicendo. Il cerchio sarà chiuso.»
In altre parole, a Notre-Dame-des-Landes, per molti militanti
la lotta era «contro l'aeroporto e il mondo che rappresentava».
«Quel mondo» però non è morto.
Sébastien Bonetti
traduzione di Gaia Cangioli
- Leggere “Les dix casseroles de Vinci, bétonneur
de Notre-Dame-des-Landes” sul sito Reporterre.
- Il nucleare non sarà abbandonato nel prossimo futuro,
i rifiuti radioattivi sono sotterrati di preferenza a Bure,
l'agricoltura biologica e le energie rinnovabili rimangono
in secondo piano, sul divieto dei pesticidi è stata
fatta marcia indietro, ecc.
Ricordando
Claudia Vio/
Una compagna unica, come le sue edizioni
Il 14 gennaio è improvvisamente mancata all'età
di 63 anni Claudia Vio. Insegnante, scrittrice, attiva militante
negli anni '70 del gruppo anarchico Nestor Mackhno di Venezia-Marghera
e collaboratrice di questa rivista.
Avevo conosciuto Claudia Vio nei primi mesi del 1970 a Venezia
in quella specie di appartamento al piano terra nel quartiere
popolare di S. Piero di Castello, ai lembi estremi di Venezia,
affittato come sede anarchica. Il locale era quasi senza pavimento,
tanto era corroso dall'acqua che lo inondava ad ogni, anche
se minima, acqua alta. Non c'era né elettricità
né acqua potabile. Qualche candela qua e là rischiarava
gli occhi spiritati di Nico (Berti) che ci spiegava, con teatrale
gestualità, la differenza tra il gigante Bakunin e il
“piccolo” Marx.
Eravamo quasi tutti studenti assorbiti e affascinati da quell'atmosfera
carbonara che solo Nico sapeva creare. Eravamo molto giovani
ma Claudia lo era di più. Aveva allora, circa 16 anni,
studentessa al liceo classico Franchetti di Mestre. Curiosa,
attenta, intelligente. Parlava lei, di famiglia veneziana, soltanto
italiano.
È stato un amore politico a prima vista. Avevamo creato
in quegl'anni con alcuni compagni una specie di Comune, Claudia
quando poteva si spostava da noi. Manifesti, volantini ciclostilati,
discussioni interminabili, manifestazioni e ancora riunioni,
assemblee e ancora volantini... Così erano le nostre
giornate militanti, fatte di amicizia e lotta politica. Claudia
si allontanò dal gruppo e dall'attività militante
anarchica su posizioni femministe e forse anche per stanchezza.
Eravamo nel 1977. Gli scontri ideologici all'epoca erano fortissimi,
spesso totalizzanti e umanamente devastanti...
Ho rivisto Claudia molti anni dopo al “Salone del Libro
di Pace” promosso da Giovanni Benzoni. Presentavano, lei
e la sua amica, compagna inseparabile fin dai tempi del liceo,
Antonella Barina, le loro case editrici autogestite: Claudia
aveva fondato l'“Unica Edizioni” dove pubblicava
i suoi scritti. Sul tema dell'Autoeditoria autogestita è
rinata una collaborazione e una amicizia all'interno dell'Ateneo
degli Imperfetti. L'abbiamo rivista per l'ultima volta, sorridente,
felice di essere tra noi (da mesi doveva occuparsi a tempo pieno
della madre ammalata) il 16 dicembre scorso in occasione dell'incontro
“Arte e Anarchia a Venezia negli anni '60”.
Elis Fraccaro
Ricordando
Donato Romito/
Una lunga “presenza civile”
Il 13 gennaio ci ha lasciati Donato Romito, anarchico, storico
di movimento, didatta ed organizzatore politico. Per noi che
lo abbiamo conosciuto come coordinatore dei dibattiti ai meeting
anticlericali... per noi ancora molto giovani, un esempio di
stile. Donato sapeva infatti coniugare la metodica ostinazione
nel ritenere l'appartenenza “di classe” essenziale
nella visione politica, alla passione per la visibilità
anche culturale del movimento anarchico, passione che unita
ai saperi e alle energie di noi tutti ha dato vita ad uno dei
più importanti esperimenti libertari del nostro Paese.
Esperimento che lui stesso, ironicamente riferendosi a CL, aveva
proposto di chiamare “meeting”.
Lo troviamo attivo nell'anarchismo pugliese e poi marchigiano
e protagonista del processo di unificazione che fa nascere nel
1986 la Federazione dei Comunisti Anarchici (ora Alternativa
Libertaria), di cui è stato in passato ed era attualmente
segretario nazionale. Maestro di scuola primaria dal 1976, a
livello locale è stato uno dei promotori della nascita
dell'ALLP (Associazione Lavoratrici Lavoratori Pesaresi) nel
1994, partecipa poi a tante altre attività culturali
cittadine improntate a “fare rete”, una per tutte
la redazione del giornale multiculturale Pesaro Nuovo Mondo.
Alla fine degli anni '90 Donato entra nel sindacalismo di base
ed apre a Pesaro insieme ad altri insegnanti la sede della federazione
provinciale dell'Unicobas. Svolge inoltre attività di
formatore per la didattica della storia prima per il Movimento
di Cooperazione educativa e poi per CLIO '92.1
Donato è sempre stato un preciso ed entusiasta traduttore
e corrispondente delle riviste anarchiche e libertarie nel mondo.
Nel 2001 ha pubblicato per i “Quaderni di Alternativa
Libertaria” il saggio “La Quinta Guerra Mondiale”2,
a cui seguirà nel 2003 “The Italian base unions”,
per il mensile “North American Anarchist”, un saggio
sul sindacalismo di base in Italia3.
Nel 2010 diviene responsabile del Centro di Documentazione “Franco
Salomone” aperto a Fano, per il quale cura la pubblicazione
tra il 2011 ed il 2013 del libro su Franco Salomone, di quelli
sulla sinistra libertaria a Bari negli anni '70 e sui Gruppi
Anarchici di Azione Proletaria-GAAP. Nel 2012 ha partecipato
all'incontro anarchico internazionale di St. Imier nel suo 140°
anniversario, in cui rappresenta la FdCA nella terza conferenza
europea4 e nella prima conferenza
intercontinentale della rete Anarkismo5.
Donato ci lascia l'esempio della sua presenza “civile”,
intesa come capacità di essere presente nel vivere politico
quotidiano non per il gusto del conflitto, non per visibilità
personale ma con la capacità di creare dibattito, dissenso,
prospettive più solide, nei tempi e negli spazi, dei
ritagli di storia ed arte nei quali un certo pregiudizio ha
sempre tentato di relegare gli anarchici.
Francesca Palazzi Arduini
- Sulla scuola ha scritto per A: “La
chiesa dentro lo stato”, nr. 238/1997 e “Privati
di scuola”, nr. 250/1998.
- http://www.fdca.it/antimilitarismo/quintaguerramond.htm.
- http://www.fdca.it/sindacale/cobas.htm.
- Di questo incontro ha scritto su A nr.377/2013, “Senza
fughe in avanti, né indietro”.
- www.anarkismo.net.
Quel
13 maggio '68 a Marsiglia/
Un ricordo e una poesia
Danilo Mannucci è stato un militante comunista livornese,
attivo negli Arditi del Popolo e poi lungamente confinato, vicino
agli anarchici. Suo figlio racconta qui un piccolo spaccato
del Sessantotto, vissuto in Francia dove abitava e abita, lì
emigrato al seguito del padre. E ritrova una poesia scritta
dal padre in quelle giornate di lotta dura.
In questo 2018 ricorre il cinquantesimo anniversario degli
avvenimenti del maggio '68, vicende che ho vissuto in Francia
quando avevo 23 anni, partecipando attivamente nelle file della
CGT1. A quei tempi lavoravo come
saldatore presso una ditta impegnata nella costruzione di una
centrale termica di Gardanne. Si sono svolti in quel periodo
una serie di scioperi generali selvaggi, nonché manifestazioni,
avvenute durante il maggio/giugno. La classe operaia francese
prese allora consapevolezza del suo continuo sfruttamento, rivoltandosi
contro l'autoritarismo, scoprendo che una cultura consumista
si era ormai insediata nei costumi senza che si prendesse davvero
coscienza di tutte le sue implicazioni né degli squilibri
mondiali che provocava, e sbalordì il mondo con un ampio
sovvertimento ancora mai visto nella dopoguerra.
In Francia, nel 1968, la miscela esplosiva era composta da motivazioni
diverse, come il dissenso verso l'establishment, contro la morale
borghese, il capitalismo e la guerra in Vietnam, nello spirito
libertario di Cohn-Bendit sintetizzato nello slogan “Vietato
vietare”. Il Sessantotto rappresentò il più
importante movimento sociale rivoluzionario della storia di
Francia del secolo XX che coinvolse gli operai delle fabbriche
e gli studenti, costringendo il generalissimo De Gaulle a scendere
a patti: scioperi, occupazioni e autogestioni delle fabbriche
e delle università andarono avanti per il tutto il mese
di maggio.
Tali eventi non erano stati previsti dagli “strateghi”
del capitale né in Francia né altrove, neppure
dagli stalinisti e dai leader riformisti e non parliamo della
cosiddetta sinistra rivoluzionaria o di quelli che si autoproclamavano
marxisti. Unica eccezione: i situazionisti che furono l'anima
della rivolta. Quel movimento si era sviluppato lungo tutto
il corso degli anni sessanta, in particolare dopo la pubblicazione
dell'opuscolo La miseria nell'ambiente studentesco francese
scritto nel 1966 dal tunisino Mustapha Khayati, e poi diffuso
in tutte le grandi università europee. Quell'opuscolo
trovò nel maggio '68, a Parigi, il momento più
alto di affermazione, laddove si incontrarono il desiderio di
cambiamento dei giovani francesi e le teorie in senso rivoluzionario
dei situazionisti.
Impressionante fu la risposta alla feroce repressione poliziesca
della notte dal 10 al 11 maggio a Parigi. Ero a Marsiglia quel
13 maggio 1968, con i compagni della ditta dove lavoravo. Le
campane della cattedrale de Notre-Dame-de-la-Garde risuonarono
alle ore 10 per lo sciopero generale. Il viale Léon-Gambetta
(nella parte alta del celebro corso La Canebière)
era nero di gente, e da ogni parte arrivavano ancora persone
a piedi, dato che corriere, treni e tramvia erano in sciopero.
La totalità dei sindacati operai e studenteschi - sostenute
dal Partito comunista e dalla Federazione della sinistra democratica
e socialista - era presente. Il corteo imponente, popolare,
fisicamente rumoroso con studenti, operai e Gaston Deferre –
sindaco socialista di Marsiglia – in testa, fece il tragitto
fino al Palazzo di giustizia gridando “abbasso la repressione,
rilasciate i nostri compagni”, “amnistia totale”,
“De Gaulle assassino”, “Studenti solidali
con i lavoratori”, e cantando L'Internazionale.
A Parigi, dopo la retromarcia del governo, 24 studenti furono
liberati.
È uno dei tanti ricordi che ho del maggio '68, al quale
voglio aggiungere che in conseguenza dello sciopero, la ditta
per la quale lavoravo perse l'appalto da parte delle Miniere
di carbone fossile di Provenza per “non osservanza dei
termini di attività”, e fin da giugno, con 35 compagni,
mi sono trovato disoccupato per circa 10 mesi.
Danilo Mannucci (Livorno,1899 – Gardanne,1971), mio padre,
ex ragazzo del '99 ed ex ardito del popolo, sindacalista della
CGTU tra il 1923 e il 1936 in Francia, e poi fondatore nel dicembre
1943 della ricostituita Camera del Lavoro di Salerno –
affiliata alla CGL “rossa” – seguiva con passione
questi scioperi. Aveva 69 anni e il suo stato di salute non
gli permetteva di spostarsi nei cortei. Quando tornai da Marsiglia,
mi chiese il resoconto dettagliato della manifestazione. «Pitti,
– così mi chiamava – peccato che non ho 20
anni di meno. Sarei venuto con te. Ricordati, se il mondo operaio
non vuole più essere sfruttato dal capitale, è
nelle vie e nelle piazze che deve andare» mi disse in
conclusione. Aveva un'attenzione particolare per Daniel Cohn-Bendit
che tutti chiamavano ”Dany le Rouge” e si
ricordava che negli scioperi delle miniere di Provenza che lui
aveva organizzato tra 1930 e 1935 pure lui era stato soprannominato
”Dany le Rouge”.
Militante della Federazione giovanile socialista italiana all'età
di 16 anni, poi comunista dopo la fondazione del PCd'I a Livorno
nel 1921, nel '44 entrò in contrasto aperto con il “Partito
nuovo” di Togliatti e con lo stalinismo, aderendo nel
1947 al gruppo anarchico salernitano “Vicenzo Perrone”
e scrisse dalla Francia, dopo il nostro esilio volontario del
1949, alcuni articoli per Umanità Nova, giornale
al quale fu abbonato fino alla sua morte nel 1971.
Conservo una bozza manoscritta, ritrovata per caso, di un poesia
nel quale mio padre esprimeva il suo risentimento per quegli
eventi del maggio '68. Il compagno Marco Rossi l'ha sistemata
in modo chiaro rispettando perfettamente lo stile di mio padre.
Di cuore lo ringrazio per la sua attenzione, ed è con
gran piacere che ve la offro.
Dalla Francia, un saluto libertario.
Giuseppe Mannucci
Caschi bianchi e scudi neri
Ed ho visto gli uomini
i mastini
biechi strumenti di una tirannide
ancor più sanguinaria
nell'imminenza della caduta.
Ho visto, gli eroi dai caschi bianchi,
martirizzare una gioventù
che non apparteneva che a lei sola.
A una gioventù che impavida
gridava lanciando le pietre
tolte al selciato
e che cantava
il nuovo ideale rivoluzionario rigenerato.
Ho visto questi giovani
questi studenti fanciulli
che resistevano
in una difesa eroica
dall'alto delle fumanti barricate
nello sventolio
di bandiere rosse
e di bandiere nere.
Ho visto dei francesi, che pur erano padri,
imbestialirsi contro altri francesi
che erano dei figli.
Ho visto questi francesi
caschi bianchi nei camion grigi
esseri umani, spinti avanti
contro una gioventù
che clama un diritto. Ed ho pianto!
Ho pianto per gli studenti fanciulli
che cadevano sotto il bastone
per rialzarsi e continuare a combattere
e cadere ancora.
Ed ho pianto per questi uomini
per gli incoscienti
che andavano avanti contro i figli
con la testa piena di idee sballate
senza accorgersi che lottavano
per un potere ormai defunto
che insanguinava le strade
nella sua agonia.
Ed ho pianto, per questi studenti fanciulli
che cadendo sotto le cariche bestiali
indicavano agli altri, agli assenti,
la via da seguire.
Danilo Mannucci
1. Confédération Générale du Travail,
cioè Confederazione Generale del Lavoro di tendenza “rossa”
simile alla CGdL italiana prima che diventasse la CGIL.
Portoferraio/
Cancellare Pietro Gori? Noi non ci stiamo
A fine gennaio la giunta comunale di Portoferraio ha deciso
di dedicare all'ex-sindaco Ageno la piazza antistante il municipio
che, dal 1946, ospita la lapide dell'artista Arturo Dazzi dedicata
a Pietro Gori.
Nato a Messina nel 1865, perché il padre – generale
– era stato lì trasferito, Gori è stato
uno degli anarchici più noti, e nelle terre toscane quasi
“venerato” per il suo limpido impegno sociale, come
difensore dei più deboli e dei ribelli – lui che
era avvocato – nonché conferenziere e anche “cantautore”
(si sarebbe detto oggi). Da “Addio Lugano Bella”
in poi, tante canzoni ottocentesche sono arrivate a noi ancora
cariche di pathos, spesso cantate in piazza non solo dagli anarchici.
Gori morì 46enne, di tisi, proprio a Portoferraio e i
suoi funerali, con la bara su un treno da Piombino a Rosignano
(la sua vera “patria” - ma per lui “nostra
patria è il mondo intero, nostra legge la libertà”)
furono una partecipatissima manifestazione di popolo.
Nel mezzo, tra Messina e Portoferraio, una vita militante tutta
dedita all'Ideale, libri, processi nei quali fu imputato,
condannato, difensore, poesie, opere teatrali, conferenze, viaggi
di propaganda in Nord e Sud America, Europa, Egitto, direzione
di riviste, la frattura nel 1892 a Genova con i socialisti che
scelsero la via parlamentare.
Un rapporto forte con l'Elba, in cui visse gli ultimi anni,
tormentati nella salute, della sua vita. Con la sua ultima conferenza
pubblica, nel 1909, proprio a Portoferraio, per ricordare il
“martire del libero pensiero” Francisco Ferrer y
Guardia, pedagogista anarchico fucilato a Barcellona.
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Portoferraio (Isola d'Elba), 3 febbraio 2018 - Un momento
della pacifica protesta di un gruppo di cittadini elbani e di anarchici toscani. Foto: Federazione Anarchica Livornese |
Una ventina di persone hanno partecipato alla cerimonia ufficiale
delle autorità, con cui è stata cambiata la denominazione
della piazza. Ben distinti, un'ottantina i cittadini elbani
che si sono uniti a un gruppo di anarchici e libertari, provenienti
anche da Empoli, Volterra, Pisa, Livorno e altre località
per l'immediata risposta di protesta e di denuncia. Al termine
della cerimonia istituzionale, dal settore critico si sono levati
i canti sociali del Gori.
Il tutto ha avuto grande risalto a livello locale, in particolare
sulla stampa locale. Due tempestive prese di posizione della
Biblioteca “Franco Serantini” di Pisa – sottoscritta
da storici e scrittori – e della Federazione Anarchica
Livornese hanno denunciato la squallida operazione di cancellazione
della Memoria.
Può sembrare una piccola cosa a fronte di tutto quanto
succede, ma il peggioramento della situazione generale e del
clima politico-sociale (basta pensare a Macerata e alle tante
Macerate in giro per l'Italia) si vede anche da queste piccole
“cancellazioni” della memoria. Che tanto piccole
non sono e che vogliono sradicare un passato che ci parla di
speranze e di un possibile mondo migliore. Di anarchia.
Paolo Finzi
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