rivista anarchica
anno 48 n. 423
marzo 2018


esperienze concrete

Il gusto della rivoluzione

di Gianandrea Ferrari

A Massenzatico, una frazione di Reggio Emilia, la prima Casa del Popolo è sopravvissuta a oltre un secolo di storia sociale. Da oltre un quarto di secolo ha dato vita alle Cucine del popolo. Anche due feste per “A” negli ultimi anni. Un anarchico reggiano, tra i promotori dell'iniziativa, ne riferisce qui. Tra passato, presente e futuro.


Le Cucine del Popolo vengono fondate da tre compagni della federazione anarchica Reggiana FAI dopo una lunga riflessione tra la fine degli anni 90 e l'inizio del millennio. D'altronde, la gastronomia sociale ha sempre rappresentato un'esigenza primaria nelle varie esperienze dell'anarchismo militante. In sede storica, come hanno dimostrato i vari presidi solidali delle case del popolo, delle cooperative di consumo, dei sindacati rivoluzionari e dei comitati pro vittime politiche. In sede contemporanea con centinaia di iniziative autogestite dove veniva delineata un'altra gastronomia, diversi momenti conviviali, forti legami mutualistici che hanno sedimentato nel tempo questa “utopia alimentare.”
La nostra generazione ha subito questa fascinazione e si è misurata sul tema con una costante pratica comunitaria che ha fatto della tavola un elemento fortemente aggregante. Le cucine del popolo discendono in modo conseguente da quelle iniziative, promosse dalla FAI Reggiana a partire dagli anni '70: fiere dell'autogestione, giornate libertarie, feste per il settimanale Umanità Nova e per il mensile “A” rivista anarchica, meeting della solidarietà, capodanni dell'utopista, occupazioni di fabbriche, scuole e spazi sociali.
Le cucine del popolo furono definite nei dettagli dai nostri compagni dopo un confronto con Sandro Bortone, studioso e libraio, e con il noto anarchenologo Gino Veronelli. Nella vivace discussione si trovarono gli ingredienti necessari per “mangiare il tempo”. Vale a dire, costruire un progetto originale dal forte magnetismo aggregativo utilizzando mezzi il più possibile in sintonia con i fini. La ricetta perfetta fu definita pure nelle percentuali: 80% di anarchia, 20% di gastronomia. Naturalmente nella parte libertaria rientrava la solidarietà vera a favore dei migranti, gli esodati, lavoratori licenziati e popolazioni bisognose.
Per la parte gastronomica proponemmo subito la riscoperta della cucina popolare, dei suoi luoghi e dei suoi tempi in relazione alle esperienze lontane e recenti del movimento operaio. Ma soprattutto ci premeva diffondere la nostra cultura antiautoritaria all'interno di uno spazio autogestito di grandi dimensioni, vivendo un rapporto umano e politico innovativo. Una relazione caratterizzata da un profondo rispetto delle diversità, dall'armonia dei contatti sociali e dall'inclusione delle varie esperienze mescolate da questo sentire comune.

Rapporto umano e politico innovativo

Le cucine del popolo si sviluppano nel tempo grazie alla collaborazione di autorevoli studiosi anarchici: tra gli altri, Giorgio Sacchetti, Franco Schirone, Edy Zarro, Federico Sora; di importanti scrittori tra gli altri Paolo Nori, Edoardo Sanguineti, Maurizio Maggiani, Pino Cacucci; di artisti d'avanguardia tra gli altri Stefano Raspini, Philip Corner, Matteo Guarnaccia, Cristina Francese ; di prestigiosi giornalisti tra gli altri Gianni Mura, Armando Torno, Paolo Pasi, Carla Chelo e da un gruppo di librai militanti che hanno sempre sostenuto il progetto, mediante fiere del libro, incontri con gli scrittori e presentazioni degli editori. Inoltre in questi anni non è mai mancato un sostegno delle compagne e dei compagni che da ogni parte d'Italia hanno partecipato attivamente alle nostre iniziative arricchendole di contenuti ed esperienze che hanno permesso una crescita culturale complessiva. Ma, uno straordinario contributo è venuto prima dal famoso esperto di enogastronomia Gino Veronelli, scomparso nel novembre 2004 e successivamente, dal professor Alberto Capatti, primo rettore di scienze gastronomiche di Pollenzo (Cuneo) dove ha insegnato storia della cucina e della gastronomia.
Le cucine del popolo si sono ispirate, fin dalla loro costituzione, ai principi del socialismo libertario e umanitario in una dimensione internazionalista intesa come possibile e necessaria società solidale ed egualitaria dove venga eliminato sia lo sfruttamento economico che il dominio politico stabilendo una libera relazione valevole per tutti e per tutte in armonia con l'ecosistema. I valori del primo socialismo internazionalista rappresentano oggi, più di ieri, un riferimento imprescindibile per ogni trasformazione sociale. Un cambiamento che non può essere rinviato all'infinito secondo le classiche illusioni dottrinarie, ma va costruito giorno dopo giorno con comportamenti coerenti all'insegna della libera sperimentazione realizzata in un percorso popolare fuori dalla semplice testimonianza o dalla banale autoreferenzialità. Di conseguenza andranno ripensate nuove pratiche d'azione diretta abbinate a proposte di autoorganizzazione sociale diffondendo i nostri valori di riferimento per contrastare l'autoritarismo crescente.

Secondo un chiaro sistema federativo

Le cucine del popolo sono una realtà autogestita dove si pratica l'integrazione dei ruoli e dei compiti per favorire una militanza collettiva evitando pericolose specializzazioni. Tutte le decisioni vengono prese dall'assemblea generale che deve sollecitare lo scambio di idee mediante una partecipazione diffusa. I meccanismi organizzativi devono sempre partire dal semplice per arrivare al complesso secondo un chiaro schema federativo, riconducibile alla prassi libertaria. Gli incarichi di rappresentanza e di lavoro hanno un valore esclusivamente tecnico e sono sottoposti a puntuali verifiche assembleari. L'attività pratica si fonda sull'impegno in prima persona libera e volontaria senza alcuna retribuzione.
Naturalmente non sono ammessi i finanziamenti pubblici, ne' statali, ne' locali, né di altro genere che condizionerebbero la nostra iniziativa rendendoci incapaci nel vivere forme autentiche di autogestione. Siamo stati e saremo sempre un soggetto indipendente da qualsiasi partito, lobby o associazione nella misura in cui l'autonomia progettuale è stato l'elemento fondante della nostra storia. Una storia potente perché è venuta dal basso per restare al basso mantenendosi in modo orizzontale, evitando qualsiasi forma di condizionamento.
Le cucine del popolo sono state situate a Massenzatico, a 5 km da Reggio Emilia, perché quel paese ha rappresentato i migliori ideali del socialismo reggiano grazie alle sue esperienze. In quella località si è costruita la prima casa del popolo in Italia nel 1893 e la cooperativa di consumo nel 1895; inoltre Massenzatico è il paese di Camillo Prampolini, importante leader del socialismo italiano fautore di un socialismo pratico che costituì un forte sistema cooperativo sociale e municipale. Di più, a Massenzatico abbiamo trovato una trentina di compagni che hanno sostenuto, aldilà delle differenze, i nostri progetti aderendo a tutte le iniziative che abbiamo messo in campo. Un altro elemento importante è stato il sodalizio con le “cuoche rosse” di Massenzatico, vere e proprie maestre della cucina popolare che ci hanno permesso di realizzare fantastici eventi gastronomici - alla portata di tutti - con centinaia e centinaia di persone con innumerevoli proposte di altissima qualità. Per tutte queste ragioni la nostra collocazione naturale risiede in questo paese che è stato così vicino alle nostre aspettative di fondo.
Le cucine del popolo nella loro storia hanno prodotto una “cultura alternativa” che ha saputo avvicinare gastronomia e convivialità, socialismo e solidarietà, costruendo un laboratorio unico nel suo genere che ha messo a confronto le cucine etniche con quelle popolari, le cucine tradizionali con quelle immaginarie. Nelle nostre “distillerie” si sono bevuti i vini del contadino, i liquori proletari, si sono degustati gli aceti balsamici lavorati dai nostri compagni, si sono riscoperte le insalate estinte a base di erbe rigeneranti, si sono proposti menù perduti. Abbiamo promosso in più occasioni mercati con i prodotti della madre terra cercando di sollecitare esperienze autogestite ed ecosolidali legate al nostro territorio.
Ci siamo interrogati a più riprese con appassionate discussioni sul valore della tavola proletaria, con i suoi momenti di condivisione e di contaminazione tesi a creare un piano solidale dai forti legami unificanti. Abbiamo associato la cuoca di Lenin alla cuoca di Durruti, proposto le cucine delle resistenze,delle insorgenze e delle rivoluzioni assaggiato menu leggendari. Si sono ritrovate le ricette delle grandi scadenze delle classi subalterne risalenti alla comune di Parigi e alla prima internazionale per arrivare poi alla rivoluzione spagnola, passando per il biennio rosso.

Esperienze autogestite legate al territorio

Le cucine del popolo hanno promosso in questi anni innumerevoli iniziative, eventi, conferenze, concerti e fiere del libro e tra cui l'ormai annuale festa del 25 aprile, giornata della liberazione dal nazifascismo che ha visto, nel 2017, la partecipazione di oltre 1.000 persone. Ma i momenti più significativi della nostra esperienza sono rappresentati dai convegni internazionali a carattere biennale che affrontano a ogni scadenza un diverso tema sociale messo in relazione con la gastronomia popolare.
I convegni internazionali vedono una grande adesione di cuochi, studiosi, artisti, letterati, militanti da tutte le parti d'Italia con significative collaborazioni di alcuni paesi europei. In ordine cronologico i convegni sono stati: cucine del popolo - la rivoluzione a tavola (2004), le cucine letterarie - tavola proletaria e narrativa sociale (2006), le cucine del utopista - viaggi, sogni, bisogni, rivoluzioni (2008), le cucine della locomotiva - visioni, migrazioni, movimenti, liberazioni (2010), le cucine della rivoluzione (2012), le cucine della solidarietà (2014), le cucine dell'amore (2016). Nello scorso settembre abbiamo ospitato la prima conferenza internazionale “Geografia e cambiamento sociale e pratiche antiautoritarie”, organizzata dalla Rete internazionale dei geografi libertari. Sono stati tre giorni di grande intensità culturale e conviviale con una qualificata partecipazione di studiosi, professori e ricercatori. Per il 2018 stiamo preparando un nuovo convegno biennale, che si terrà indicativamente a settembre, dedicato alle cucine popolari nel mondo.
Le cucine del popolo davanti a questa fase di crisi sociale e di degradazione alimentare imposta dal capitale multitransgenico, si attivano per costruire momenti di collegamento, creando esperienze antagoniste all'insegna della solidarietà di classe. Ci rivolgeremo come sempre agli ultimi, perché siamo sicuri che la nostra 'vitamina sociale' possa nutrire il cervello nel conflitto e nella fantasia. Come si diceva una volta 'per il pane e per le rose'.
Per il futuro più prossimo sono in via di realizzazione una serie di esperienze concrete: uno spaccio indipendente, un orto collettivo, l'ampiamento della cassa di solidarietà, un gruppo di studi sulla pedagogia libertaria e un progetto per giovani librai. Nel prossimo anno inaugureremo il nostro archivio-biblioteca composto da un migliaio di libri sulla gastronomia e sulle tradizioni popolari.
Stiamo lavorando per realizzare nuove scadenze, in via di definizione, di dimensioni sia nazionali che internazionali, per promuovere una rete indipendente sul piano della gastronomia proletaria. Infine convocheremo una serie di appuntamenti con alcuni studiosi, storici e militanti per aprire una nuova stagione delle cucine del popolo che sappia valorizzare i migliori gusti alimentari a partire dal gusto per la rivoluzione.

Gianandrea Ferrari
cuocarossonera@gmail.com