femminismo
Abbiamo un dibattito
intervento di Silvia Papi
“Abbiamo un piano” è il titolo del denso documento che “Non una di meno” ha elaborato e proposto.
Lo scorso numero sono intervenute in merito Lucia
Bertell e Francesca
Palazzi Arduini. Ecco un altro intevento.
Quella fitta trama di piccole
violenze
Questo piano domanda a ciascun@ di posizionarsi, ognun@ a
partire da sé, di prendere parte a un processo di trasformazione
radicale della società, della cultura, dell'economia,
delle relazioni, dell'educazione, per costruire una società
libera dalla violenza maschile e di genere.
Quello
su cui mi interessa riflettere non è tanto la violenza
eclatante, che molte donne subiscono, ma quella fitta trama
di piccole violenze subdole che tutte, più o meno, patiamo,
che ci condizionano profondamente fin dall'inizio della vita,
che formano l'“ambiente ideale” in cui la violenza
fisica e lo stupro possono accadere. Parlo di tante cose che
diamo per scontate, che fanno parte delle abitudini radicate
nel linguaggio, nel comportamento, nel modo di relazionarsi.
Qualcosa che, ad esempio, ha immediatamente agito su una parte
di me facendomi pensare che un documento come questo, redatto
dal movimento Non una di meno, è tanto bello quanto impossibile.
Non lo permetteranno. Perché c'è qualcuno che
a noi donne deve darci il permesso e questo qualcuno è
un'autorità maschile che da sempre, o quasi, detta le
leggi.
Fortunatamente poi le altre Silvia che formano la mia persona
sono insorte in difesa della possibilità e del diritto
di esigere, costruire, creare realtà differenti, ecc.
Però, partendo da questa sorta di rassegnazione all'autorità
maschile, sarebbe utile poter aprire un ampio capitolo di approfondimento
su tutti gli ambigui strumenti di seduzione che noi bambine
abbiamo imparato a mettere in atto fin da piccolissime per aggirare
l'ostacolo/proibizione e raggiungere in maniera non diretta
un obiettivo. Seduzione che diventa parte di un comportamento
ovvio e accettato, tale per cui le bambine sono così.
Le bambine ottengono quel che vogliono non perché è
giusto ed è un loro diritto ma perché sono carine,
gentili, servizievoli, accondiscendenti e quindi viene loro
concesso.
Su questa modalità si è formata tutta una cultura
trasmessa di madre in figlia, che certamente non è finita,
ed è una delle cose peggiori che ci portiamo addosso,
una delle più difficili da sradicare perchè a
volte è stato vero e proprio strumento di sopravvivenza.
Per questo che ho detto – certamente espresso in maniera
troppo breve e poco approfondita rispetto a tutte le implicazioni
psicologiche che va a costituire nei rapporti madre-figlia/madre-figlio
e non solo – la parte del documento che io sento come
indispensabile riguarda la ri-educazione che ognun* deve
compiere su di sé, non soltanto coloro che andranno a
rivestire ruoli educativi formalizzati nella società.
Tutti noi, in quanto esseri che vivono di e in relazione, abbiamo
una reciproca funzione educativa e questo è ciò
su cui è fondamentale spendersi senza avarizia per poter
creare modi nuovi di essere in comune.
Come il documento mette bene in evidenza, sono le scuole di
ogni ordine e grado, dal nido all'università, ad essere
i luoghi primari per contrastare quella violenza di genere che
si esprime in mille rivoli di ingiustizia e limitazioni imposte
a chi non è maschio, eterosessuale e di razza bianca.
E poi anche questo non è propriamente vero fino in fondo
perché, se quel modello porta ad avere dei vantaggi nella
società così come è strutturata, personalmente
provo una profonda pena per quel misero esemplare di maschio
bianco costretto dentro la sua griglia di comportamento obbligato
e totalmente ignaro delle potenzialità inespresse nella
sua persona.
Allora incominciamo da subito e cominciamo dalla base su cui
si forma la nostra personalità, cioè il linguaggio
attraverso il quale possiamo praticare chiarezza. Incominciamo
col non dare più per scontato che esistano dei generici
bambini ai quali rivolgersi e impariamo la sana abitudine di
nominare distintamente maschi e femmine, per cui ci saranno
le bambine e i bambini a cui rivolgersi.
La pratica del consenso, un processo aperto
Pare cosa da niente, ma crescere riconosciut* nella propria differenza fa la differenza e abitua a non generalizzare mai, su niente, considerato il fatto che tutto ciò di cui il nostro mondo è composto non è altro se non un insieme infinito di differenze in relazione. Perciò il maschile quale neutro universale non può più far parte della grammatica italiana, è una regola che va tolta, i linguaggi si trasformano e formano in maniera diversa. Va compiuto quello che sarà un percorso lungo, articolato ma indispensabile per agire sulle abitudini che il linguaggio ha creato.
Ho ricordato il neutro maschile ma che dire dell'abitudine a ragionare per opposti (bianco/nero – giusto/sbagliato – bene/male – buono/cattivo) tipica del pensiero binario e del binarismo di genere, del maschio e femmina che abbiamo interiorizzato come unica possibilità.
Mi metto in prima fila nel dire che siamo tutt* portatrici e portatori di stereotipi molto interiorizzati e sfuggenti e che lavorare sulla decostruzione di questo bagaglio è il compito primario di ognun* di noi se vogliamo uscire dall'infinità di meccanismi dai quali si genera l'aggressività che le circostanze possono trasformare in violenza.
Se ci sta a cuore un cambiamento radicale della società, se lo vediamo non solo indispensabile ma improcastinabile, diamoci da fare e incominciamo ad ascoltarci quando parliamo e ad ascoltare chi si rivolge a noi. La “pratica del consenso”, che in diverse realtà è già sperimentata, ha da essere la base su cui fondare un atteggiamento culturale radicalmente nuovo, che non dia mai per scontati ruoli, desideri, bisogni e che permetta a tutt* e a ciascun* la sincerità di espressione.
Come viene detto nel piano il consenso è un processo aperto, mai risolto una volta per tutte, un'interazione costante basata sulla capacità di ascolto e su pratiche di condivisione. Questo è il cambiamento passo passo, lento ma irreversibile che ognun* di noi può scegliere di compiere. Tutto sta nell'iniziare. È alla portata di tutt* insieme all'enorme quantità di azioni che il movimento delle donne ha analizzato, trascritto e proposto.
Silvia Papi
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